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Autore: AlexSupertramp    18/08/2020    6 recensioni
Dopo aver saputo della relazione tra Hayama e Fuka, Sana decide di sparire e non tornare più a scuola e tutto quello che succede nel manga/anime non accadrà mai, compresa la famosa dichiarazione in TV di Kamura. Dopo quattro anni Akito ritrova una lettera di Sana, la stessa lettera che lei scrive durante le riprese de "La villa dell'acqua".
Cosa c'è scritto e cosa è successo in questi quattro anni? Riusciranno Sana ed Akito a ritrovarsi dopo così tampo tempo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9

Quando tutto accade
 
Sana era tentata dal seguire Akito e scoprire cosa dovesse fare, alle quattro in punto, insieme a Fumiko. Era ancora sigillata in classe a causa del recupero e, come se non bastava, Rei sarebbe arrivato a momenti per prelevarla e portarla direttamente agli studi televisivi. Ma tutto ciò che voleva fare era pedinare Hayama, scoprire la natura di quell’appuntamento, e tornarsene a casa a pensare alla persona orribile che era.
Già, perché se Hayama occupava il novanta per cento dei suoi pensieri, l’altro dieci per cento era esclusivamente rivolto al suo fidanzato, impegnato in Egitto e lontanissimo da lei. Forse era quello il motivo per cui era ricaduta tra le braccia del suo migliore amico, si sentiva sola e aveva bisogno di attenzioni.
Ma quella notte ad Hakone non era affatto sola, pensò, eppure le attenzioni di Hayama le aveva desiderate eccome. Sbuffò sonoramente, lasciandosi andare sul banco quasi a peso morto.
«Signorina Kurata, devo dedurre che le lezioni di recupero non sono di suo interesse.»
«Cosa? No no, sono attentissima.»
Riuscì a ricomporsi all’istante.
«Mh… devo dire che i suoi voti sono leggermente migliorati, comunque.»
«Ah sì?»
Sana si dimostrò più sorpresa del suo insegnante e per un attimo si sentì più leggera. Almeno uno dei suoi problemi sembrava essere in procinto di essere risolto.
Per fortuna il recupero era ormai giunto al termine e quando lei, a fatica, raggiunse il corridoio esterno alla sua aula, Rei era già lì ad aspettarla con una stampella di riserva.
Sana gli sorrise andandogli incontro.
«Come è andata oggi?» Le domandò una volta in macchina, guardando la strada dritto davanti a loro.
«Bene. Rei, posso farti una domanda?»
«Certo Sana-chan.»
«Pensi sia possibile essere una persona crudele, pur non considerandosi tale?»
Rei ci pensò su due minuti cercando di capire la natura di quella domanda. Nonostante ormai avesse sedici anni, Sana per certi versi gli sembrava ancora una bambina e, nonostante tutto, non era così insolito che lei gli rivolgesse domande di quel tipo. Il problema era trovare le parole giuste per risponderle.
«Beh, credo che nella vita di una persona ci siano infinite situazioni da affrontare, e non sempre esiste un codice, una regola per farlo nel modo giusto. A volte è inevitabile che qualcuno soffra.»
Sana restò immobile, attentissima alle parole del suo manager.
«Credo anche che spesso facciamo troppa fatica a prendere atto delle sfumature che hanno le persone, perché ci aspettiamo sempre dei comportamenti lineari… ma non sempre accade. Ma dimmi, è successo qualcosa?»
«No no, ero solo curiosa. Ho letto un libro di recente, in cui la protagonista tradisce il fidanzato con un altro. Ma nonostante i sensi di colpa e il fatto di ritenersi una persona buona, continua a farlo… proprio non riesce a smettere», raccontò quella storia priva del coraggio necessario per continuare a guardare Rei in faccia, timorosa di essere scoperta. Che lui capisse che la protagonista di quel libro altri non era che Sana Kurata, stella nascente della televisione giapponese.
«Oh, è come finisce il libro?»
«Non lo so, ho smesso di leggerlo.»
Rei la guardò perplesso per un attimo, il tempo sufficiente per capire che qualcosa la turbava. Erano alcuni giorni che Sana era diversa, pensierosa, triste, assente e a lavoro rendeva ai minimi storici. Certo non era quella la sua principale preoccupazione: a lui interessava in primis la sua salute e il suo benessere, e quando Sana era troppo euforica o troppo silenziosa c’era sicuramente qualcosa che non andava.
Nonostante tutto, l’essere triste e sovrappensiero, la giornata agli studi televisivi fu abbastanza produttiva e Sana riuscì a registrare i due episodi in programma per quel pomeriggio. Qualcuno le chiese se fosse stanca, un altro la trovò dimagrita, molti le chiesero cosa avesse fatto alla gamba, tutti nominarono Naozumi e il suo documentario in Egitto almeno una volta in sua presenza. Rei fu molto attento ai suoi cambiamenti d’umore e d’espressione e notò facilmente il rabbuiarsi del suo viso quando il nome di Kamura saltava fuori come un canguro impazzito. Evidentemente il problema di Sana risiedeva lì, nella sua storia complicata con Naozumi Kamura.
Il viaggio di ritorno durò quasi un’eternità, probabilmente perché nessuno dei due presenti proferì parola: Rei era decisamente troppo impegnato a pensare alla salute della sua protetta, quanto a quest’ultima, le sue attenzioni erano rivolte tutte ad Hayama e al suo misterioso pomeriggio con Fumiko.
Aveva controllato il cellulare ad ogni fugace pausa tra un ciak e l’altro, con la speranza di trovare un suo messaggio, un avviso di chiamata… qualsiasi cosa la potesse ricondurre a lui. Ma non aveva trovato mai niente. Se non una email di Kamura in cui le allegava una foto di lui con le piramidi di Giza sullo sfondo. Un sorriso un po’ malinconico, di cui Sana si attribuì ogni colpa.
Il cellulare lo aveva controllato anche poco prima di entrare nella strada privata di casa Kurata, ma di Hayama non c’era traccia, volatilizzato nel nulla.
Insieme a Fumiko.
Sana sentì le guance arrossarsi e accaldarsi, nonostante l’aria fredda della sera. Si mise le mani sul viso e sentì il suo cuore battere più forte al pensiero di Akito insieme a quella ragazza, al tormento che la stava dilagando nel non sapere che fine avesse fatto e alla telefonata che lui aveva promesso di farle ma che non era mai arrivata.
Rei si fermò davanti al cancello della sontuosa villa: «Tu inizia a scendere, io vado a parcheggiare.»
Sana annuì distrattamente, aprendo la portiera dell’auto per inerzia, e con qualche movimento goffo dovuto alla stampella con cui andava in giro, lasciò solo Rei nell’abitacolo caldo della sua macchina.
Fece qualche passo impiegandoci più tempo del dovuto quando ad un tratto dovette fermarsi per dare alla sua mente il tempo di realizzare ciò che aveva davanti.
«Ciao.»
Hayama era fermo dietro il tronco di un albero, posto esattamente al lato destro del cancello d’ingresso di casa sua. Non fece nulla, perché se avesse dovuto seguire il suo istinto, Hayama probabilmente ne sarebbe uscito con qualche livido in faccia. Sì, perché si sentiva arrabbiata, furiosa, perfino tradita. Gli rivolse un’occhiata accigliata e si morse un labbro, come a catalizzare proprio lì tutti quei sentimenti negativi.
«È successo qualcosa?»
Il suo tono di innocenza e sorpresa le fece saltare qualche nervo.
«Avevi detto che mi avresti chiamata», piagnucolò infine, dando completamente sfogo alla sua preoccupazione ma, soprattutto, alla sua tremenda gelosia.
«Ah…»
Il monosillabo di Hayama non contribuì ad attenuare la rabbia di Sana.
«Ma mi rendo conto che fossi troppo impegnato per chiamarmi.»
Hayama alzò un sopracciglio quasi stordito da quel commento di lei. Era sempre più convinto che nella caduta quella notte ad Hakone avesse perso anche qualche rotella, perché era più strana del solito.
Il silenzio stampa di lui fu sufficiente a spingere la volontà di Sana ad abbandonare la scena e, a fatica, iniziò a saltellare sul piede sano, alternando a quei movimenti, qualche falcata meccanica sostenuta dalla stampella di plastica. Ma lui la raggiunse bloccandola per un braccio, il che la costrinse a voltarsi alle sue spalle.
«Non ho più il cellulare.»
«Che significa?»
«Che non ce l’ho più. È caduto e si è rotto.»
Sana rifletté qualche minuto. Poi la sua rabbia aumentò.
«Avresti potuto dirmelo, anziché promettere una chiamata che non avresti potuto comunque fare.»
«Me ne sono dimenticato, ecco perché sono venuto a casa tua.»
Sana si fermò ad osservare il suo viso, la sua espressione imbarazzata e non riuscì a coglierne il motivo. Che avesse qualcosa di scomodo da rilevarle?
«D’accordo, comunque ti ascolto.»
«Senti, non è che posso entrare in casa? Sto congelando», disse lui, tremando appena per l’effettivo freddo della temperatura esterna. Sana probabilmente non aveva percepito quanti gradi mancassero al raggiungimento di una temperatura ideale, perché era comodamente custodita in un caldo cappotto di lana – con tanto di sciarpa e guanti – ma Akito no, probabilmente era uscito per la sua corsa serale e li, all’addiaccio, c’era rimasto, in attesa che Sana tornasse a casa dai suoi impegni lavorativi.
Lei spalancò gli occhi sfilandosi al volo la pesante sciarpa che aveva al collo.
«Oh sì certo, non mi ero accorta che facesse così freddo.»
«È naturale, hai scuoiato un bisonte lanoso e te lo sei messo addosso.»
«Devo preservare la mia forma fisica, sono una donna dello spettacolo.»
Dicendo ciò avvolse Hayama nella sua pesante sciarpa, riuscendo anche a fare un secondo giro sul ragazzo. Lui rimase immobile, fissando la sua espressione impegnata ad infiocchettarlo per bene affinché non sentisse più freddo. Allora sentì lo stesso incredibile impulso che aveva già provato diverse volte, quando era solo un bambino e non era nemmeno in grado di dare un nome a quella sensazione. Quindi si sbilanciò leggermente verso di lei rubandole un bacio sulle labbra come non faceva dai tempi delle elementari. In quello, Akito si era sempre considerato un maestro indiscusso e, benché con Fuka avesse decisamente perso qualche punto, si sentì immediatamente pronto ad avanzare di livello.
Sana, dal canto suo, fu sorpresa proprio come ai vecchi tempi. Tuttavia il fatto che si era scoperta di desiderare e amare i baci che le dava Hayama, fece sì che la reazione fosse completamente diversa. E lo abbracciò, gettandogli letteralmente il pesante mantello lanoso al collo facendolo vacillare un po’.
Un paio di colpetti di tosse ricordarono ai due ragazzi di non essere soli in un’isola deserta.
«Sana? Ma cosa stai facendo?»
Akito fu nuovamente scaraventato a qualche metro di distanza dalle braccia di Sana che, a fatica, la aiutarono a ripristinare l’equilibrio perso durante lo scatto funesto.
«Rei… niente! Hayama è venuto a trovare la mamma.»
Entrambi i presenti assunsero un’espressione stranita e confusa, poi il più adulto assottigliò lo sguardo traendo ben altre conclusioni.
«D’accordo.»
Poi rivolse un’occhiata incupita ad Akito che gli rivolse un’alzata di spalle indifferente. Il sangue che correva tra i due continuava ad essere tutt’altro che buono e Sana, la cui preoccupazione principale era di essere stata colta in fragrante, fece qualche passo a fatica verso Rei.
«Io e Hayama dobbiamo parlare. Per favore, non dire niente.»
Il tono di supplica di Sana intenerì profondamente Rei, che non riusciva proprio a dirle di no. E capì anche la natura dei discorsi della ragazza di quel pomeriggio.
«Sta’ tranquilla. Coraggio, entrate in casa.»
Hayama non frequentava casa Kurata da molto tempo, da anni in realtà. Non si sorprese affatto di trovare la signora Kurata con un grosso luna park costruito sulla sua testa, luogo in cui Maro stava compiendo numerosi giri di ottovolante, noncurante della possibilità di finire nella bollente tazza di the che la signora stava sorseggiando.
Hayama era seduto sul divano del loro soggiorno, accanto Sana iniziava ad essere nervosa perché voleva assolutamente trovare il modo di poter parlare con lui divincolandosi dalla scusa che lei stessa aveva rifilato un po’ a tutti. Rei era in piedi accanto alla porta della stanza con le braccia conserte.
«Akito, come ti va la vita?»
La signora Kurata gli rivolse un sorriso tranquillo, come se in quegli anni Hayama fosse stata comunque la presenza costante nella vita di sua figlia che era sempre stato.
«Non mi lamento.»
«Bene. E la tua famiglia?»
«Stanno bene anche loro.»
La madre di Sana fece un sorriso soddisfatto prima di attingere nuovamente al suo the, tranquilla. Rilassò le spalle prima di alzarsi in piedi davanti ai due ragazzi: «Ora vi lascio soli. Immagino abbiate qualcosa di cui discutere e io ho un romanzo da finire.»
La sua figura statuaria circumnavigò i due ragazzi, posizionandosi proprio accanto a sua figlia. Le si avvicinò ad un orecchio, sussurrando qualcosa a proposito di precauzioni da prendere non prima di averle rivolto uno strano sorriso beffardo. Sana scattò in piedi come una suricata vigile nella savana rivolgendo uno sguardo infiammato a sua madre:
«Ma che razza di consigli mi dai, mamma?»
Akito rivolse il viso verso Sana, la quale sembrava stesse per provare l’esperienza dell’autocombustione spontanea.
«Che succede? Che ti ha detto tua madre?»
«Oh niente.»
Fu la signora Kurata a rispondergli, sparendo poi dalla stanza lasciando solo l’eco della sua sonora risata. Hayama si domandò se fosse sul serio solo la madre adottiva di Sana perché, se non lo avesse saputo con certezza, non avrebbe avuto alcun motivo di dubitare della massiccia condivisione di geni da parte di entrambe.
Quanto a Sana, l’imbarazzo che l’aveva travolta fece sì che non rispondesse delle sue azioni, quindi, acciuffò Hayama per il collo della felpa che indossava e lo spinse verso la porta che conduceva al corridoio, faticando non poco a tenere a bada sia lui che la sua caviglia slogata.
Nonostante l’impresa fosse stata ardua, i due riuscirono a trovare un momento di solitudine nella camera di Sana.
Hayama si guardò intorno: quella era la prima volta che metteva piede in camera sua. Alzò gli occhi al soffitto e si stupì di trovarlo tappezzato di fotografie, si immaginò il momento in cui lei le aveva attaccate trovando un posto per farlo decisamente insolito.
«Così posso vederle e pensare.»
«Beh, potevi farlo anche se le avessi messe altrove.»
«Ma a me piacciono lì dove sono!»
«D’accordo.»
Hayama rispose con un tono di voce decisamente annoiato. Aveva capito che con Sana non c’era verso di poter replicare andando contro le sue idee o le ragioni per cui agiva in un modo o in un altro. D'altronde quell’aspetto era talmente radicato in lei che Akito si convinse del fatto di non poter fare a meno nemmeno più di quello, escludendo alcune sue reazioni esagerate.
Sana si sedette sul davanzale della finestra di casa sua imbronciando il viso. Hayama pensò che l’altra sua personalità, quella che gli aveva gettato le braccia al collo in cortile quando lui l’aveva baciata a tradimento, era finita chissà dove e si domandò se avrebbe avuto l’occasione di poterci avere a che fare nuovamente nel breve termine.
«Coraggio Hayama! Sputa il rospo e dimmi cosa sei venuto a fare a casa mia a quest’ora.»
«Te l’ho detto, ho rotto il cellulare e sono venuto a dirtelo di persona.»
«Pensavo avessi altro da dirmi.»
Lei si posizionò indice e pollice sul mento, come un moderno Sherlock Holmes in procinto di interrogare – ed incastrare – il presunto colpevole di un misfatto. E Hayama, agli occhi di Sana, aveva appena compiuto uno spiacevole misfatto.
«Altro?»
Sana si sentì invadere da una rabbia incontrollabile, possibile che Akito non capisse il suo stato d’animo e che avesse trascorso la giornata a pensare a cosa aveva di tanto urgente da fare insieme a quella Fumiko? Allora lo afferrò nuovamente per il colletto della felpa, scaturendo un moto di sorpresa nello sguardo di Hayama.
«Perché non mi racconti dove sei stato oggi?»
Quasi gli urlò in faccia.
«Ehi, cos’è tutta questa violenza?»
«Possibile che tu non capisca mai niente?»
Hayama la guardò in viso e, inaspettatamente, le sue labbra si piegarono leggermente all’insù, rivelando alla sua improvvisata assalitrice un piccolo quanto soddisfatto sorriso.
«Cos’è quello?» Sana gli puntò un dito sul viso – dopo averlo liberato dalla presa delle sue mani – condendo il tutto con uno sguardo sgomento.
«Niente.»
Hayama si divincolò mettendo le mani dietro la schiena, come se stesse nascondendo qualcosa e a Sana sembrò che gli fossero spuntate un paio di orecchie da leopardo in mezzo alla zazzera bionda.
«Va bene, ho capito. Non vuoi parlarmi di lei… lo capisco.»
E di colpo assunse un’espressione accigliata abbassando lo sguardo in modo da poter sfuggire da quello di lui. Akito invece aveva appena realizzato di averla provocata un po’ troppo e che, nonostante quelle buffe manifestazioni di gelosia in fondo lo facessero sentire così bene come non accadeva da tempo, capì anche di aver tirato troppo la corda, in un momento in cui lei non aveva proprio bisogno di sentire addosso il peso di altre incertezze.
«No aspetta un attimo.»
«Che altro vuoi?»
Sana rilassò le spalle e si sedette sul grande letto in mezzo alla sua stanza. Fu raggiunta da Hayama che fece la stessa cosa, poco distante da lei.
«Io non sto facendo tutto questo casino per niente. Se ci fosse un’altra, nella mia testa, ora non sarei qui.»
Hayama aveva sempre avuto una grande abilità, fin da quando erano bambini. Aveva trasformato, probabilmente nemmeno per sua stessa volontà, la sua incapacità di pronunciare lunghi e conditi discorsi nell’atto più semplice e primordiale di andare dritto al punto, utilizzando sempre e solo poche parole.
Quelle essenziali.
In quel momento non era più necessario rivelare la natura del suo rapporto con quella ragazza, perché erano bastate quelle poche parole dette con uno sguardo serio ed insistente, puntato dritto negli occhi di Sana. E lei si sentì stupida, colta da un profondo imbarazzo e disagio perché si era comportata in maniera impulsiva e infantile, senza tenere conto di lui e di quanto fosse dentro a quella storia.
«Comunque, Fumiko è la nipote del mio maestro di Karate. Purtroppo a scuola ha dei voti peggiori dei tuoi, il che mi fa provare una profonda pena per quella ragazza…»
«Ehi, ma come ti permetti? Io sto recuperando alla grande!»
«Ah davvero?»
«Sì, è esattamente quello che mi hanno detto a scuola oggi.»
«Buon per te. Ad ogni modo, oggi ho passato il pomeriggio a darle ripetizioni di matematica. Perché il maestro mi ha pregato di farlo.»
«Non ci credo, sei diventato così buono Hayama?»
«Beh, in realtà mi ha promesso che per i prossimi due mesi non mi farà mai più sedere sui talloni. Qualunque cosa accada. Mi è sembrata un’offerta ragionevole.»
Sana sbuffò seguendo afflitta lo sguardo beffardo di Hayama.
«Povera Fumiko…»
«Ma sentila, fino a cinque minuti fa eri gelosa marcia.»
«Io gelosa? Ma cosa dici, io non sono gelosa di nessuno.»
Lui non le diede retta, si sollevò appena, il movimento necessario per accorciare ancora di più le distanze tra loro e di colpo allungò un braccio verso di lei, cingendole le spalle piccole. La attirò verso il suo petto, facendo in modo che anche l’altro braccio compiesse la stessa azione nel primo, in una stretta che a Sana, inizialmente, sembrò quasi inopportuna. Si sentiva rigida e un po’ a disagio essere abbracciata in quel modo da Hayama, nella sua stanza, sul suo letto.
«Kurata?»
«Sì…»
«Come stai?»
«Sono molto confusa, ho così tante cose per la testa. Non so proprio cosa fare…»
Sana abbassò lo sguardo, appoggiando il viso sul petto del ragazzo. Ripensò rapidamente agli ultimi eventi trascorsi, a quello che era successo nelle ultime settimane della sua vita. In cima alla lista c’era sicuramente la ricomparsa di Hayama nella sua esistenza e tutto ciò che questo aveva comportato: dal suo ritorno a scuola fino a quella notte ad Hakone e alle bugie raccontate a Naozumi. Non faceva altro che sentirsi in colpa per il solo fatto che la ritrovata presenza di Hayama nella sua vita la facesse stare così bene, e non riusciva a capire quale fosse la strada giusta da intraprendere affinché nessuna delle persone a lei care soffrisse a causa sua.
Hayama non proferì parola, si limitò solo a spostare una mano dalla schiena ai suoi capelli, iniziando ad accarezzarglieli distrattamente, passandosi qualche ciocca tra le dita. Quel lento movimento, quasi ipnotico, permise ai muscoli di Sana di allentare la tensione creatasi appena le braccia di lui l’avevano stretta e, probabilmente, quella ritrovata tranquillità fu percepita anche da Akito.
«Senti, lo so che è difficile… lo è anche per me.»
Quelle parole ebbero nuovamente il potere di farla riflettere, così come succedeva un tempo, quando lei ed Hayama erano solo due bambini, con problemi sulle spalle troppo grandi per la loro età. Lui aveva sempre avuto il potere di rassicurarla, di trovare il modo di farla sentire più leggera perché riusciva a trasmetterle la sua voglia di prendersi una parte di quei problemi che tanto l’affiggevano. Era stato così per la faccenda del libro di sua madre, per il fraintendimento verso i suoi stessi sentimenti nei confronti di Rei. Ogni volta che si era sentita persa, sola o in difficoltà, lui c’era sempre stato.
Sana alzò lo sguardo verso di lui incontrando i suoi occhi ambrati.
«Anche io sono confuso riguardo ciò che sta succedendo. Però, allo stesso tempo, ho anche capito che non posso rinunciare a questo, proprio perché ci sono delle persone che hanno sofferto. Mi dispiace, ma io non posso proprio rinunciare a te e all’averti nella mia vita.»
Poi aggiunse: «E lo so che per te è lo stesso, non puoi negarlo. C’è qualcosa che ci tiene legati.»
Sana pensò che quello era il discorso più lungo che aveva sentito fare ad Hayama. Non aveva letto incertezza, titubanza né lui aveva pronunciato frasi sconnesse o a metà. Era stato chiaro, per la prima volta le aveva detto di non poter fare a meno di lei. Si sentì felice, nonostante tutto, e sorrise sprofondando il viso nella sua tenera stretta. Pensò che lui aveva ragione, aveva sempre avuto ragione sulla natura di quel loro rapporto così profondo e speciale.
Akito spinse una mano sotto il mento di lei, sollevandole leggermente il viso in modo da poterla guardare direttamente negli occhi. Proprio quegli occhi che gli sembravano così fragili e confusi e di cui lui non riusciva più a fare a meno.
La accarezzò con la punta delle dita avvicinando poi il suo viso in modo da dimezzare la già insulsa distanza tra loro. Le diede un leggero bacio sulle labbra senza fare troppa pressione, senza forzarla troppo perché voleva che le fossero ben chiare le sue intenzioni e quanto profondo fosse il loro rapporto, quanto andasse al di là di tutto ciò che era successo e che stava accadendo in quel momento.
Fu lei ad approfondire quel bacio stringendo le sue braccia intorno al suo corpo, schiudendo le labbra in un movimento quasi disperato, perché l’unica cosa che in quel momento la faceva sentire viva sul serio era stare lì tra le sue braccia, e dimenticò il fatto di essere una traditrice e di aver mentito a qualcuno di importante. Perché quel qualcuno non sarebbe mai stato importante tanto quanto lo era Hayama.
Poi tutto accadde con estrema lentezza perché se c’era una cosa che Akito desiderava con tutto sé stesso era fare l’amore con lei, nonostante volesse con altrettante forze evitare di turbarla, in qualsiasi modo. L’aveva capito quella notte di qualche settimana prima ad Hakone, quando finalmente era riuscito a toccarla come sognava di fare da tempo, da sempre probabilmente.
Tuttavia, il fatto che fu lei ad attirarlo a sé ancora più forte di quanto non avesse fatto lui, gli diede la spinta necessaria per trovare il coraggio di varcare quella soglia. E allora spinse il suo corpo verso il suo lasciando che entrambi raggiungessero la superficie del letto. Lei agganciò le sue mani al collo di Akito facendosi guidare verso quel cammino di cui anche lui ignorava imprevisti ed avversità. Si distese su di lei afferrandole la gamba slogata con una mano, tirandola verso di loro, continuando a fissarle intensamente gli occhi. Sana si sentì per un attimo indifesa e completamente in balia di quel suo sguardo duro e intenso, quegli occhi ambrati così duri volevano dire mille cose: erano stati la sua sfida alle elementari, la sua pena nel saperlo un bambino lasciato solo dalla sua famiglia, il suo conforto in più di un’occasione, e il suo primo dolore quando si era resa conto di amarlo. Se c’era una cosa sulla quale Hayama aveva ragione, era la profondità del loro rapporto e lei aveva capito di doverci fare i conti, con o senza la presenza di Naozumi nella sua vita.
Akito le accarezzò il viso prima di baciarla di nuovo, cercò si sollevarsi appena per evitare di premere troppo sul suo corpo e, con un movimento un po’ troppo impacciato, si spostò appena facendo pressione sulle gambe. Lei aveva una camicetta leggera, azzurra, che lasciava intravedere un reggiseno dai toni leggermente più chiari. Quando le sue dita si avviarono verso la fila di bottoni e ne sfilarono il primo dalla sua asola, Akito rivolse uno sguardo a Sana, e lei capì che lui voleva accertarsi che volesse anche lei la stessa cosa e che fosse pienamente consapevole di quanto si stessero spingendo oltre qualsiasi confine si erano mai delineati intorno. Allora lei mise le mani sulle sue e le spostò piano verso il secondo bottone facendogli capire che lei non lo avrebbe più fermato.
Nonostante l’inesperienza e l’imbarazzo, Akito sentiva di stare facendo le cose nel modo giusto perché, per la prima volta dopo tanto tempo, si sentiva di nuovo a casa spogliato di quella costante voglia di fuggire che gli aveva tenuto compagnia durante gli anni senza Sana. Quindi le tolse l’indumento restando per un attimo a guardare il suo seno coperto solo da quell’intimo valicabile, Sana si sentì improvvisamente in imbarazzo e istintivamente si portò entrambe le mani proprio su quella parte del suo corpo che era stata molto spesso oggetto di derisione proprio da parte di Hayama. Se solo fosse riuscita a leggergli nel pensiero, avrebbe scoperto che forse lui non vedeva con i suoi occhi qualcosa di così bello da molto tempo. E fu allora che lui le afferrò dolcemente i polsi spingendoli via prima di avvicinare le sue labbra per baciarle delicatamente quel leggero rigonfiamento iniziale che andava poi scomparendo, ai suoi occhi, sotto il tessuto di pizzo bianco che lo custodiva. Continuò a baciarla tracciando un disegno invisibile lungo il suo ventre, fino al bottone che sigillava la gonna a pieghe che indossava. Sana fu percossa sa un brivido che non aveva mai provato prima, si avvicinava solo a quanto avesse provato quella notte ad Hakone, quando per un momento si era sentita pronta ad accogliere ogni desiderio di Hayama. Ma quando lo provò lì, sul suo letto, esattamente sotto di lui che sembrava essere comandato da una strana forza che gli impediva di staccare le sue labbra dal suo corpo, aveva provato un brivido forte che era nato nella parte basse del suo ventre, e l’aveva travolta come un’onda dell’oceano avrebbe travolto un castello di sabbia.
Hayama alzò il viso osservando l’espressione sul volto di lei: gli sembrò bella, stanca, libera e si sentì così forte ma, allo stesso tempo, completamente disarmato. Allora si tolse velocemente la felpa e i jeans lasciandoli abbandonati a sé stessi nell’angolo più remoto di quel letto, teatro della loro prima volta, e tornò a lei. Continuando a guardare il suo viso, le sfilò la gonna che andò a far compagnia ai suoi indumenti e, appoggiato sui suoi stessi gomiti, le accarezzò il viso spostando i capelli di lato. La baciò, prima dolcemente e poi con estrema passione, respirando quasi a fatica l’ossigeno che sembrava essere divenuto ormai secondario. Quello di cui aveva bisogno ce l’aveva proprio lì, sotto di lui, tra le sue braccia, sulle sue labbra. Le loro lingue si toccarono a lungo, aumentando così quella potente sensazione piacevole e sconosciuta che entrambi sentivano all’altezza del ventre. Sana aveva sempre immaginato la sua prima volta come un evento condito di imbarazzo e timidezza, tuttavia l’unica cosa che non provava nel trovarsi completamente nuda sotto il suo corpo caldo era proprio l’imbarazzo perché sentiva anche lei di trovarsi finalmente a casa.
E fecero l’amore per la prima volta. Quella fu la prima volta che Akito e Sana apprendevano il significato di appartenenza, di completezza e di famiglia.
Restarono a lungo in silenzio, l’una tra le braccia dell’altro, noncuranti del fatto di poter essere scoperti da qualcuno o che si era fatto davvero molto tardi per Akito, la cui famiglia lo stava aspettando per cena. Quindi lui si piegò su un lato appoggiando la testa sul palmo della mano: «Dovrei andare a casa.»
«Non puoi proprio restare?» piagnucolò lei sporgendo le labbra in un leggero broncio dispiaciuto.
«Conosci mio padre, se non torno in tempo per la cena penserà che mi abbiano rapito.»
«Mh…» Lei poi si voltò dalla parte opposta, dando le spalle ad Hayama che la guardò confuso.
«Ma perché te la prendi così?»
«Niente, va’ via se devi.»
Hayama allora si allontanò da lei scivolando via dalle lenzuola che coprivano entrambi e si rivestì, stranamente attento a non farsi vedere da lei. Tuttavia Sana si era ormai voltata a scrutare proprio lui cercando di capire le sue intenzioni. Avrebbe voluto restare tra le sue braccia per tutta la notte, si sentiva spaventata all’idea di dover affrontare quasi certamente un’orda di pensieri complicati non appena si fosse ritrovata sola in quel letto.
«Te ne vai?»
«Già.»
Sana abbassò lo sguardo fissando un punto indefinito tra le lenzuola sfatte e si domandò il perché lui fosse diventato così freddo all’improvviso, tanto da non voler restare ancora lì con lei.
Akito in realtà si rese conto di non sapere cosa fare, perché gli sembrò che quella foga e sicurezza acquisiti poco prima di fare l’amore con lei fossero svaniti, lasciando il posto ad un leggero senso di imbarazzo.
«D’accordo, ci vediamo allora.»
In realtà bastò il tono di quelle poche parole pronunciate da lei a far tornare ad Akito la voglia di non avere nient’altro davanti agli occhi se non il suo viso e, ora che lo aveva scoperto del tutto, anche il suo corpo. Hayama si voltò nuovamente verso di lei raggiungendola al centro del suo letto a baldacchino, la guardò a lungo prima di afferrarla e stringerla a sé in un lungo abbraccio. Sprofondò il viso tra i suoi capelli lunghi e profumati beandosene per qualche minuto. Quando poi si allontanò da lei, poggiò le sue labbra sulle sue in un fugace bacio di saluto.
«Ci vediamo domani a scuola.»
Questa volta lei sorrise annuendo con la testa seguendo con lo sguardo Hayama che lasciava la sua stanza. 
***
Sana si sentiva leggera, nonostante avesse trascorso la notte completamente in bianco. Non aveva fatto altro che pensare a quanto successo con Hayama la sera precedente, alle sue mani sul suo corpo, a quella strana e nuova sensazione che aveva provato quando lo aveva sentito dentro di lei per la prima volta, e quando ci pensava si sentiva ancora più leggera e su di giri.
Naturalmente quei pensieri felici erano stati accompagnati anche da sprazzi di tristezza, ogni qualvolta la sua mente spostava l’attenzione da Akito Hayama a Naozumi Kamura. Stranamente però, non si sentiva più così orrenda come qualche giorno prima, e si disse che quella ritrovata serenità era dovuta alla decisione che lei aveva appena preso, proprio dopo aver fatto l’amore con Akito.
Quel giorno andò a scuola senza stampella, la sua caviglia stava molto meglio e, nonostante fosse ancora abbastanza lenta, decise di riprendere a camminare sulle sue gambe.
«Sana, ciao.»
La voce di Aya, che si sbracciava da lontano per attirare la sua attenzione, arrestò la sua camminata verso la scuola.
«Ehi Aya, buongiorno.»
«Vedo che sei guarita»
«Oh sì, sto molto meglio. Guarda riesco anche a girare su me stessa.» così dicendo compì un paio di giravolte sull’unico piede sano.
«Sì d’accordo, ma sta’ attenta.»
«Non preoccuparti, oggi mi sento più forte di un leone.» disse, scoprendo leggermente un braccio per mostrare un inutile muscolo bicipite.
«Guarda che così rischi di slogarti anche l’altra caviglia.»
Il tono insolente di Akito Hayama aveva fatto la sua comparsa sulla scena insieme a Tsuyoshi. Sana lo guardò perplessa, insistendo il suo sguardo nel suo. Sentiva il cuore batterle forte e quando vide le guance di lui colorarsi appena di rosso, non potette fare a meno di ripensare nuovamente a quanto fosse successo il giorno prima, nell’intimità della sua stanza.
«Sei una sciocca.»
E così dicendo si avviò verso l’ingresso della scuola, separandosi da lei.
«Ehi, sei caduto dal letto stamattina?»
Mel frattempo erano stati raggiunti anche da Hisae e Gomi che, insieme all’altra coppia, iniziarono a godersi il solito spettacolo mattutino.
Akito poi si voltò appena verso Sana, facendole segno con le dita di avvicinarsi a lui e affiancarlo in quella marcia verso la scuola. Lei restò sorpresa per qualche istante, un po’ confusa su quel suo strano atteggiamento. Quando gli fu accanto, lui restò in silenzio.
«Volevi dirmi qualcosa?»
«Mh…»
«Eh?»
«Ciao.»
Sana si grattò la testa confusa, cercando di decifrare l’ennesima espressione verbale di Hayama, senza successo. Poi d’un tratto, capì.
«Oh certo, ora capisco. Non volevi dare nell’occhio.»
Il suo viso si distese in un sorriso e, di getto, afferrò il suo braccio stringendolo con entrambe le mani. Probabilmente non era stato molto chiaro, pensò Akito.
«Non preoccuparti, stanotte ho preso una decisione: parlerò con Naozumi. Non posso continuare così, non posso farlo soffrire.»
«Dici sul serio?»
«Sì. Sarà dura, questo lo so. Ma Naozumi è buono e merita la verità.»
Hayama si sentì di colpo invadere da una strana felicità, qualcosa che aveva provato raramente nella sua vita. La espresse con una specie di ghigno a cui Sana nemmeno prestò attenzione.
«Certo, dovrò stare comunque attenta ai giornalisti, quindi forse è meglio che per un po’ non ti avvicini troppo.»
«Sana…»
«Sul serio Hayama, sarebbe un disastro se lo venisse a sapere così, leggendo una notizia su un giornale o peggio ancora, con una fotografia.»
«Guarda che…»
«Sarebbe una tragedia e io non potrei sopportarlo.»
«Kurata!»
«Ma cosa c’è?»
Akito si limitò ad indicarle le sue mani strette al suo braccio in un gesto decisamente troppo confidenziale per due amici. Sana granò gli occhi, prima di compiere un balzo di due metri nella parte opposta ad Hayama. Rivolse poi un’occhiata imbarazzata ai loro amici.
«Ci vediamo in classe», urlò, defilandosi in pochi secondi da quella scomoda situazione.
Le prime ore di lezione passarono in fretta e Sana si domandava costantemente cosa stesse pensando Akito e cosa provasse, dopo quanto successo. Presa dai suoi intricati pensieri, non si accorse che il suo cellulare aveva preso a vibrare come un forsennato.
Dopo qualche minuto, la sua attenzione finalmente fu catturata dal nome di Rei sul display che continuava a chiamarla insistentemente. Pensò che doveva essere piuttosto strano che la chiamasse nonostante sapesse che era a lezione e che non poteva rispondere. Tuttavia l’insistenza del suo manager iniziò a preoccuparla sul serio: non era mai successo, se non per ragioni serie.
Aveva deciso di chiedere il permesso per uscire dall’aula quando lesse il messaggio di Rei. Per un attimo credette che il cuore le si fosse fermato nel petto e dovette raccattare tutte le sue forze per riuscire ad alzarsi e chiedere di poter uscire dall’aula.
Digitò nervosamente il numero del suo manager appena fuori il corridoio, aspettandosi il peggio.
«Rei… cos’è successo?»
Il suo viso divenne completamente pallido.
«D’accordo, ti aspetto qui», disse atona.
Quando si voltò fu l’espressione di Hayama, che l’aveva raggiunta all’esterno preoccupato, a spingerla a toccarsi il viso, bagnandosi le punta delle dita con le sue stesse lacrime.
«Sana…?»
«Naozumi… ha avuto un incidente.»


*Note d'autrice*
Ciao a tutti, eccomi con il capitolo 9. Questo è stato veramente complicato da scrivere, soprattutto la scena madre eeheh. Spero di essere stata soddisfacente e non troppo smielata ecco. So che mi odierete di nuovo, per come ho fatto finire il capitolo, ma non potevo farli lievitare tra farfalle e fiorellini troppo a lungo, sennò che storia è ?:D
Detto ciò, spero che questo capitolo vi piaccia, vi ringrazio sempre per i commenti, i messaggi, e anche solo per leggere i miei capitoli.
Infine mi faccio un po' di pubblicità: per chi non lo sapesse, ho iniziato la stesura di una nuova storia, sempre in questo fandom. Si tratta di un AU che mi sta prendendo molto. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, la trovate qui:  https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3927145&i=1
Un bacio enorme e alla prossima
Vostra Alex

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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