Storie originali > Soprannaturale > Licantropi
Segui la storia  |       
Autore: LazySoul    20/08/2020    0 recensioni
Trama:
Diana ha 17 anni, è la secondogenita dell'Alpha ed è trattata da tutti come una bambina.
Nel tentativo di dimostrare di essere grande abbastanza per combattere e difendersi da sola, chiederà aiuto alla persona che più la confonde, suscitando in lei sentimenti contrastanti, Xavier O'Bryen.
Tra uno spasimante indesiderato, una migliore amica adorabilmente pazza e un assassino in circolazione, riuscirà Diana ad accettare i sentimenti che prova per Xavier?
Estratto:
«Sei giovane, ancora non hai imparato che spesso gli odori celano delle emozioni», spiegò, appoggiandosi al materasso con le mani e avvicinando il viso pericolosamente al mio: «E sai cosa mi sta urlando il tuo odore in questo preciso istante?», mi chiese, anche se era palese che non si aspettasse una risposta.
«Prendimi», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Riassunto del capitolo precedente: Nei mesi in cui Xavier è lontano, Diana parla con Francine, facendo pace con lei. Isabel incontra Claire, la cugina dei fratelli Picard, per la quale prova una forte attrazione. Xavier ignora i messaggi e le chiamate di Diana, che sta progettando di partire senza di lui.

Buona lettura!




 

Capitolo XXIV: Codardo

 

 

Quel Sabato mattina mi svegliai con un leggero mal di testa e gli occhi gonfi.

Non l'avrei mai ammesso, ma avevo passato la maggior parte della notte in lacrime, abbracciata al cellulare.

Dopo aver mandato, qualche giorno prima, quell'ultimo messaggio a Xavier — dove gli avevo annunciato la data della mia partenza — avevo passato giorni e notti da incubo. 

Da quando mamma e papà mi avevano regalato un cellulare per il mio dodicesimo compleanno, l’avevo usato molto poco, giusto per comunicare con Isabel o con i miei genitori, eppure, nelle ultime settimane, mi ero trovata, sempre più spesso, a sbloccare lo schermo del telefono nella speranza di notare la notifica di un messaggio o di una chiamata che non avevo notato da parte di Xavier.

La notte, che avevo appena trascorso, era la penultima prima della mia partenza e la tristezza per la mancanza di Xavier veniva quasi completamente oscurata dall'eccitazione che provavo, all'idea di imbarcarmi in una nuova avventura.

In cucina venni accolta dal profumo dei pancakes e sciroppo d'acero.

Ai fornelli c'era mio papà, con un grembiule natalizio e un sorriso radioso stampato in faccia.

«Buongiorno, tesoro!», mi accolse la voce allegra di mamma, che stava svuotando la lavastoviglie e ogni tanto punzecchiava il fianco a mio padre, facendolo borbottare e contorcersi.

Mi sedetti a tavola rasserenata dall'atmosfera tranquilla che si respirava quella mattina.

Era dalla partenza di Xavier che le tensioni tra me e i miei genitori si erano lentamente dissolte.

Mi era finalmente concesso partecipare alle feste senza avere Kyle con me, anche se dovevo tornare comunque per mezzanotte e avvertire i miei genitori dei miei spostamenti; in quanto membro attivo del branco avevo le ronde come tutti gli altri e, nel caso ci fosse stato bisogno di votare per delle nuove decisioni, avevo la possibilità di dire la mia come chiunque altro.

Quando papà e Kyle andavano a caccia mi chiedevano di partecipare e quando mamma andava a correre nel bosco per tenersi allenata, mi invitava ad accompagnarla.

In un primo momento avevo creduto che il loro comportamento fosse dettato dalla pietà che provavano per me, la ragazza-lupo "sedotta e abbandonata" del branco, poi mi ero resa conto che avevano semplicemente smesso di vedermi come una bambina e avevano cominciato a rispettarmi e a considerarmi una ragazza abbastanza matura da prendere le proprie decisioni.

Mamma mi servì una tazza fumante di caffè, facendomi l'occhiolino, prima di punzecchiare per l'ennesima volta il fianco a mio padre.

Scoppiai a ridere quando papà si voltò e sporcò il naso di mamma con della pastella per i pancake.

«Dov'è nonna?», chiesi, notando che oltre ai miei genitori e me, la cucina era stranamente vuota, malgrado fosse mattina inoltrata.

«Dal signor Montgomery, gli ha preparato un cesto con un po' di zucchine dell'orto», disse mamma, mentre si puliva il naso sporco di impasto per pancake: «Tuo fratello invece è ancora a letto e tua sorella è andata a raccogliere un po' di fragole per la colazione».

Presi un sorso di caffè bollente, bruciandomi leggermente la lingua, mentre annuivo distrattamente.

Nonna aveva preso da un paio di mesi l'abitudine di andare a trovare il signor Montgomery, almeno una volta a settimana per tenergli compagnia e aiutarlo a superare il lutto della moglie. Essendo anche nonna Diana vedova, pensava di sapere quali fossero i pensieri che attraversavano la mente di Robert Montgomery e di essere l'unica in grado di consolarlo.

La calma e serenità della mattinata venne interrotta bruscamente, quando sentimmo un grido provenire dal giardino sul retro.

Non ci misi molto a capire chi doveva aver urlato e una stretta allo stomaco mi spinse a posare la tazza di caffè sul tavolo e seguire con passi veloci i miei genitori, che avevano abbandonato a loro volta quello che stavano facendo per accorrere in aiuto a mia sorella.

Era capitato in passato che le grida giocose di mia sorella fossero state confuse con urla di dolore o paura, ma in quel caso non avevo alcun dubbio: era successo qualcosa a Edith.

Appena uscimmo nel cortile sul retro, notai il cestino delle fragole rovesciato a terra e il cuore iniziò a battermi all'impazzata nel petto, quando non notai i capelli biondi di mia sorella da nessuna parte.

Ero sul punto di trasformarmi, così da sentire meglio le tracce e gli odori e partire alla ricerca di mia sorella, quando mi resi conto della massa di pelo scuro nascosto tra la fila dei pomodori e quella delle zucchine.

«Edith?», chiamò mamma, avvicinandosi alla figura, che tremava leggermente tra le verdure.

Quando realizzai che mia sorella doveva essersi trasformata per la sua prima volta in lupo, rimasi affascinata dalla sua pelliccia scura, che si confondeva facilmente col terreno.

Solo quando mamma appoggiò una mano sul suo manto, Edith sollevò il muso, metà bianco e metà marrone scuro, sul quale spiccavano gli occhi chiari di mia sorella.

«Va tutto bene, tesoro», disse papà, avvicinandosi a sua volta alla lupetto spaventata.

Il battito impazzito del mio cuore si era ormai calmato, la paura di poco prima sostituita dall'euforia e un pizzico d'orgoglio.

Avevo cominciato a pensare che, a causa della mia imminente partenza, non sarei stata presente il giorno in cui Edith si sarebbe trasformata, eppure mia sorella si trovava a pochi passi da me e uggiolava spaventata, mentre mamma e papà la rassicuravano con parole dolci, accarezzandole il pelo scuro.

Mi accovacciai a mia volta nell'orto, allungando la mano per sentire la consistenza morbida e sconosciuta della pelliccia di mia sorella.

«Non preoccuparti, Edith», dissi, aggiungendomi alle voci rassicuranti dei miei genitori.

Dopo una decina di minuti mamma e papà riuscirono ad aiutare Edith a tornare umana.

Mia sorella sorrideva da orecchio a orecchio, malgrado il dolore e la stanchezza che doveva provare dopo la sua prima trasformazione: «Avete visto?!»

Papà scoppiò a ridere, prendendo Edith tra le braccia: «Certo che abbiamo visto, signorina», esclamò con tono orgoglioso, stringendola al petto.

Mamma mi porse il cestino con le fragole e mi chiese di portarlo in casa, mentre loro si prendevano cura di Edith e le preparavano un bagno caldo e rilassante.

Una volta in casa sentii chiaramente l'odore di bruciato che proveniva dalla cucina. Abbandonai le fragole sul tavolo, accanto alla mia tazza di caffè e spensi il gas sotto alla padella che mio papà aveva lasciato accesa, nella fretta di uscire a vedere cosa fosse successo ad Edith.

Aprii tutte le finestre e accesi la cappa sui fornelli nel tentativo di depurare l'ambiente da quel puzzo insopportabile, poi buttai i resti del pancake carbonizzato e presi quello che era stato il posto di papà in cucina, così da finire di preparare gli ultimi pancakes.

Cercai di cucinare senza lasciarmi distrarre dai numerosi ricordi che avevo legati ai pancakes, ma ben presto il sorriso spensierato sul mio viso di trasformò in una smorfia, quando ricordai la sera in cui avevo dormito per la prima volta nello stesso letto con Xavier; la stessa sera in cui nonna aveva preparato i pancakes per cena per fare felice Edith.

Presi un profondo respiro e ignorai la fastidiosa fitta al petto, cercando nella mia mente un altro ricordo, più recente e meno doloroso da sostituire a quello legato a Xavier. Mi ritrovai così a pensare a quando ero andata da Sab, la settimana precedente, e la signora Drake aveva preparato i pancakes con la Nutella per merenda.

Da quando Isabel aveva trovato Claire non era cambiata molto, era sempre la solita chiacchierona, esuberante e solare, che riusciva sempre a farmi impazzire.

La cugina di Michel e Francine era dovuta tornare in Francia dopo una permanenza di tre settimane in casa Picard. Da quando era partita, lei e Sab si sentivano ogni giorno, più volte al giorno. Isabel sfruttava gli anni di studio di francese per impressionare la sua ragazza e Claire le raccontava della sua vita a Marsiglia, invitandola a raggiungerla appena possibile.

Per quanto la mia vita sentimentale non fosse delle migliori in quel momento, non potevo non essere felice per lei, che aveva trovato una compagna gentile e timida che la completava, rendendola ancora più felice di quanto fosse normalmente.

Terminata la preparazione dei pancake, li riposi in una pila ordinata e li misi al centro del tavolo della cucina, prima di munirmi di sciroppo d'acero, nutella, un piatto e un coltello.

Mi dedicai alla colazione con solerzia, godendomi ogni boccone e facendo attenzione a non sprecare nemmeno una briciola di quello che mi ero servita nel piatto.

In quel lasso di tempo ricevetti un paio di messaggi da Isabel, che mi ricordava del ballo scolastico di quella sera, evento a cui mi era proibito non partecipare, pena una morte lenta e piena di dolore.

Non solo Sab, ma anche Francine e Frida si erano coalizzate contro di me.

Per mia fortuna avrei potuto partecipare solo alla prima parte della serata, dato che da mezzanotte alle due dovevo occuparmi della ronda e proteggere i confini del branco.

Passai l'intera mattinata e buona parte del pomeriggio a controllare che nel borsone per il viaggio, che avevo iniziato a preparare dal giorno prima, ci fosse tutto quello che necessitavo; occasionalmente aggiungevo quello che mancava o rimuovevo ciò che era in eccesso.

Per tutto il tempo cercai, anche se con scarsi risultati, di non pensare a Xavier e al fatto che ancora non avesse risposto al mio messaggio.

Non riuscivo a capire cosa potesse essere successo in quei mesi e, malgrado i tentativi di Sab di farmi prendere in considerazione l'idea che il cellulare potesse esserglisi rotto e che per questo Xavier non aveva avuto la possibilità di rispondermi, più il tempo passava più la mia fantasia galoppava, proponendomi scenari sempre più cruenti e dolorosi da sopportare.

Avrei voluto che la rassegnazione vincesse una volta per tutte sulla speranza, così da permettermi di dimenticarlo e andare avanti.

Poco prima delle sette di sera, quando ormai avevo controllato quattro volte che nel borsone per il viaggio ci fosse tutto quello che necessitavo, sentii un lieve bussare alla porta.

Prima che potessi invitare chiunque si trovasse oltre il legno ad entrare, l'uscio si spalancò rumorosamente e una sorridente Isabel mise piede in camera mia.

«D, qualsiasi cosa tu stia facendo, smetti immediatamente, dobbiamo iniziare a prepararci», esclamò la voce entusiasta di Sab, puntandomi contro un indice ammonitore.

«Cosa ci fai tu qui?», le chiesi, confusa dalla sua improvvisa apparizione.

«Siamo qua per aiutarti ad essere bellissima per il ballo», disse Sab, posando a terra l'enorme borsa che aveva con sé.

«"Siamo"?», chiesi, ma non ebbi tempo di indagare oltre, dato che un'imbronciata Francine comparve a sua volta sulla porta di camera mia.

«Ciao, Diana», mi salutò, entrando svogliatamente: «È stata un'idea di Isabel, io ero certa che non avresti apprezzato».

Da quando, qualche mese prima, avevamo sotterrato l'ascia di guerra ed eravamo tornate a frequentarci come amiche, le cose erano andate piuttosto bene.

Ogni tanto ci capitava di lanciarci ancora qualche frecciatina, in memoria dei vecchi tempi, ma tutto sommato eravamo di nuovo il trio inseparabile di un tempo.

«Francine, non sei di aiuto», disse Sab con tono scocciato, prima di chiudersi la porta alle spalle e sorridermi ampiamente: «Ti abbiamo portato un regalo».

Percepii chiaramente un brivido d'orrore attraversarmi la schiena a quelle parole: «Regalo?», chiesi, sperando vivamente che, qualsiasi cosa mi avessero comprato, non fosse un abito per quella sera.

Francine si sedette sul bordo del mio letto, con un sorriso crudele sulle labbra: «È proprio quello che temi che sia», disse, facendo sbuffare Sab dall'altra parte della stanza.

«Francine, oggi sei insopportabile, capisco che il pre mestruo ti renda di pessimo umore, ma stai esagerando», disse Isabel, con tono scocciato.

«E cosa pensi di fare? Lanciarmi contro una manciata di glitter?», chiese la ragazza, sollevando gli occhi al cielo.

«Ancora con questa storia!? È successo dieci anni fa, mamma mi aveva detto che era polvere di fata e io ci ho creduto», disse Sab, estraendo dalla borsa un pacchetto regalo color azzurro cielo.

Accettai quel dono con poca convinzione e iniziai a scartarlo con rassegnazione.

«Polvere di fata o meno ho continuato a trovarmi glitter addosso per anni», si lamentò Francine, incrociando le braccia al petto.

«Esagerata!», esclamò Sab, sollevando gli occhi al cielo: «E comunque ai tempi non ricordo ti fossi lamentata più di tanto».

«Mi avevi detto che era polvere di fata! Perché mai mi sarei dovuta lamentare?»

Estrassi dal pacchetto un paio di pantaloni e un blazer, entrambi neri e dal taglio elegante, una camicia bianca priva di fronzoli e un biglietto su cui c'era scritto: "Vuoi essere il nostro cavaliere per questa sera?"

Sollevai lo sguardo, incontrando il sorriso radioso di Isabel e quello un po' meno convinto di Francine.

«Non è un vestito», constatai, stupita.

«No, non è un vestito. Ti piace?», chiese Sab, sedendosi vicino a Francine sul letto.

«Sì, mi piace», ammisi, sorridendo apertamente; era la prima volta che Isabel mi regalava qualcosa che mi piacesse davvero e non qualcosa che piaceva a lei e che sperava piacesse anche a me.

Passammo il tempo che ci restava prima del ballo a prepararci.

Il completo che mi avevano regalato mi era leggermente lungo sulle gambe e sulle braccia, ma bastava fare un risvoltino per sistemare il problema, ai piedi indossai delle semplici scarpe stringate nere e mi rifiutai categoricamente di truccarmi, lasciando però libertà a Sab di decidere come acconciare i capelli, che mi arrivavano ormai alle spalle.

Dato che Francine e Isabel avevano scelto di indossare abiti più tradizionali per il ballo e, a differenza mia, non avevano intenzione di rinunciare al trucco, fui la prima ad essere pronta e utilizzai quella scusa per raggiungere mamma e papà in salotto, così da lasciare Francine e Isabel da sole a finire.

Papà approvò con una grande sorriso il mio completo e mamma mi sistemò un bocciolo di rosa rossa all'occhiello del blazer, facendomi l'occhiolino.

Papà prese la macchina fotografica e mi fece un paio di foto per documentare l'evento, poi quando comparvero anche Isabel e Francine, ci fece qualche scatto tutte insieme.

Per colpa di Kyle, che si era dimenticato di doverci accompagnare, arrivammo alla festa ben oltre le otto di sera.

Entrai nella palestra della scuola, abbellita per l'occasione con palloncini e striscioni, con un misto di tristezza ed impazienza.

L'idea che il liceo fosse finalmente finito mi sembrava quasi surreale. Avevo aspettato per anni il momento in cui mi sarei lasciata ogni cosa alle spalle, pronta ad iniziare una nuova avventura, e ora che quel momento era finalmente arrivato, non riuscivo ad essere felice come avrei voluto, ed era tutta colpa dei miei pensieri, nei quali continuavo, ogni pochi minuti, a constatare la mancanza di Xavier con me quella sera.

Sab e Francine mi riempirono di attenzioni e mi costrinsero più volte a ballare con loro nell'arco della serata. Frida aveva con sé la sua nuova ragazza, una certa Susan che lavorava part-time in un negozio di vestiti nel centro città e Jules trovò il coraggio di invitare Francine a ballare, riuscendo anche a farla ridere mentre dondolavano al ritmo di un lento.

Adam Truce, che non se l'era presa quando Sab gli aveva comunicato di non essere interessata da uscire con lui, la invitò a ballare un paio di volte, dimostrandole di essere il bravo ragazzo che avevo sempre saputo essere.

Verso le dieci di sera comparvero anche Michel e Kyle, i quali si unirono al nostro gruppo. Mio fratello si distrasse però facilmente, quando vide Ann chiacchierare con un gruppo di amiche, in un angolo della palestra e, senza pensarci due volte, la raggiunse per invitarla a ballare.

Isabel ricevette una telefonata dalla sua ragazza verso le undici di sera e rimase per qualche minuto in videochiamata a parlare fitto francese con Claire.

Poco prima di mezzanotte mi allontanai dalla festa senza farmi notare troppo, riuscendo ad evitare il momento della serata che temevo maggiormente. Sapevo che, se fossi rimasta e avessi concesso ad ognuno dei miei amici la possibilità di salutarmi, avrei finito col commuovermi oppure col rivelare la verità a qualcuno; ossia che non aveva intenzione di partire alle otto del mattino successivo, ma di mettermi in cammino poco dopo la fine della mia ronda notturna.

Sapevo che avrei ricevuto messaggi minatori da parte delle mie amiche, soprattutto da Isabel, con quel mio comportamento evasivo, ma non me ne preoccupai e mi allontanai dalla palestra, diretta verso la foresta poco distante.

Stavo prendendo in considerazione l'idea di spogliarmi e trasformarmi, così da iniziare la ronda senza passare da casa, quando il vento mi soffio in faccia un odore che mi fece tremare le gambe per qualche secondo.

Prima che potessi trasformare i miei pensieri confusi in qualcosa di razionale, avevo già incominciato a correre, ignorando le scarpe che slittavano sul terreno, facendomi perdere frequentemente l'equilibrio, o i capelli che a seconda di come tirava il vento, mi sferzavano il viso.

Raggiunsi in meno di dieci minuti di corsa ininterrotta il confine nord-ovest del territorio del branco, sentendo sempre più vicino l'odore di cannella e sandalo e e il rumore dei passi in avvicinamento.

C'era stata il giorno prima la luna nuova e la foresta era più buia che mai, riuscivo a distinguere le figure degli alberi e dei cespugli solo grazie alla mia vista sviluppata da ragazza-lupo, ma tutto appariva in una monotona scala di grigi, che non rendeva giustizia alla bellezza di quei boschi e alla pienezza dei verdi.

Smisi di correre quando intravidi in lontananza la silhouette di Xavier in avvicinamento e sentii le mie gambe diventare di cemento.

Rimasi ferma, impossibilitata a muovere un altro passo, mentre con gli occhi attenti studiavo l'andatura e la postura del ragazzo che pochi mesi prima avevo considerato mio e che, in quel momento, non ero sicura di poterlo definire tale.

Xavier sembrava stanco, forse era ferito e per questo muoveva i piedi in modo incerto, disordinato. Aveva i capelli scuri che gli arrivavano al mento e la barba che gli copriva interamente la mascella. Portava il borsone sulla schiena come se pesasse troppo per lui e gli abiti stropicciati avevano l'odore di muschio e acqua di torrente.

Non potevo distinguere, in quella tavolozza di grigi, il colore dei suoi occhi, ma ricordavo talmente bene quella sfumatura di verde, che non mi era difficile immaginarla in quel momento.

Xavier fermò la sua avanzata a un paio di metri da me, il volto serio e la mandibola serrata.

Rimanemmo in silenzio per qualche istante, io ero troppo sopraffatta dalle emozioni per trovare delle parole di senso compiuto in quel frangente, lui sembrava altrettanto senza parole.

«Sei vivo», sussurrai alla fine, rendendomi conto solo in quel momento delle lacrime che solcavano le mie guance.

Xavier abbassò il volto e annuì lentamente: «Sì, Diana, sono vivo».

Il sollievo provato fino a quel momento scomparve, sostituito da un dolore e una rabbia tali da farmi accorciare le distanze, fino a quando non mi trovai talmente vicino a lui da potergli afferrare il bavero della maglia che indossava e avvicinare il suo viso al mio.

«Perché non mi hai più scritto? Perché hai ignorato i miei messaggi? Ho temuto il peggio!», confessai, lasciando che le lacrime, le quali mi bagnavano il viso, gli facessero chiaramente capire quanto male mi avesse fatto il suo silenzio: «Cos'è successo?»

Xavier cercò si sfuggire alla mia stretta, di mettere della distanza tra di noi, ma non glielo lasciai fare, aumentando la stretta sul tessuto della sua maglietta: «Voglio la verità, Xavier. Merito la verità».

Quando lui tornò a sollevare il volto, così da guardarmi negli occhi, vidi chiaramente che stava piangendo a sua volta: «Mi dispiace, Diana», sussurrò, con una smorfia di dolore in volto: «Mi dispiace».

Lasciai la presa sul suo bavero solo per avvolgere le braccia intorno al suo torso, più magro rispetto all'ultima volta che l'avevo stretto a me, e affondare il viso contro il suo petto.

Xavier non rispose all'abbraccio, sentivo le sue mani tremargli leggermente lungo i fianchi e mi chiesi cosa fosse successo al ragazzo di cui mi ero innamorata pochi mesi prima e di cui stavo stringendo quello che pareva un'involucro vuoto.

«Cos'è successo, Xavier?», ripetei, questa volta con tono più sicuro ed esigente, scostandomi abbastanza dal suo corpo da puntare i miei occhi nei suoi.

«Sono stato un codardo», sussurrò, il volto distorto in un'espressione sofferente: «Sono un codardo, Diana. Quando ho trovato l'assassino di mio padre, l'ho inseguito per giorni e poi settimane e non sono riuscito ad ucciderlo, non ci ho neanche provato. Continuavo a pensare a quanto volessi vivere e tornare da te e ora che sono qui mi chiedo se ne sia valsa la pena. Sono qua, sono vivo, sono con te, ma mi sento un verme».

Rimasi con le labbra socchiuse, sorpresa dalle parole che uscivano dalla bocca di Xavier.

«Sarei potuto tornare prima, ma mi vergognavo troppo. Quando ho visto il tuo messaggio non ci ho pensato una seconda volta e sono partito per raggiungerti prima della tua partenza e ora che sono qua sento di non meritarmi questo abbraccio, il tuo affetto… Non ti merito, Diana».

Scossi la testa con convinzione, ferita da quelle parole.

«Sono felice che tu sia tornato da me e sono felice che tu non abbia rischiato di morire combattendo contro quell'assassino», dissi, cercando di fargli capire che non aveva motivo di sentirsi un codardo: «Sono felice che tu non sia un assassino, Xavier».

I suoi occhi lucidi si fissarono nei miei, colmi di dolore: «No, non un assassino: un codardo».

Mi sporsi e premetti le labbra contro le sue, zittendolo. Non approfondii il bacio, lasciai che rimanesse quello che era stato; un mezzo per ottenere un risultato: un bacio per ottenere il silenzio.

«Non m'importa, Xavier, ma a quanto pare importa a te. Volevi uccidere l'assassino di tuo padre per vendicarne la morte, ma per chi lo stavi facendo? Per tuo padre o per te? Cosa volevi dimostrare?»

Xavier scosse la testa, asciugandosi il volto con le mani: «Come fai ad essere ancora qui? A continuare a parlarmi? Non ti faccio ribrezzo?»

«Io ti amo, Xavier».

Le sue mani umide di lacrime si appoggiarono sul mio viso, iniziando ad accarezzarmi le guance, mentre gli occhi sbarrati studiavano ogni ruga d'espressione sul mio viso.

«Tu mi ami?», sussurrò, l'espressione incredula sul volto smagrito.

«Sì, io ti amo», confermai, sentendomi più leggera dopo avergli confessato la profondità dei miei sentimenti: «Sarò egoista, ma sono troppo felice di averti di nuovo qui, con me, per pensare di essere migliore di te e poterti giudicare. Non sei riuscito ad attaccare un omicida per vendicare la morte di tuo padre, non sei un codardo, sei semplicemente un ragazzo-lupo che è stato messo di fronte a un compito troppo duro, un compito il cui peso non meritavi di portare sulle spalle».

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo e Xavier sembrò valutare le mie parole, pensieroso.

«Mi sei mancata, Diana», sussurrò alla fine, stringendomi tra le sue braccia calde: «Avevo paura a scriverti perché temevo il tuo giudizio, invece ho dimostrato soltanto di essere uno stupido».

Affondai il volto contro il tessuto della sua maglietta e sorrisi tristemente: «Confermo, sei stato stupido».

«Pensavo non mi avresti giudicato», mi fece notare Xavier e riuscii a percepire nella sua voce l'accenno di un sorriso.

«Non ti sto giudicando, ho semplicemente confermato le tue parole».

Xavier rise sommessamente, baciandomi la fronte.

«Non credo di essere in grado di comprendere appieno ciò che provi, ma se hai bisogno di riposare qualche giorno, possiamo spostare la data di partenza», proposi, saggiando con i polpastrelli la consistenza ruvida e disordinata della sua barba.

«Vuoi partire con me? Malgrado tutto quello che ti ho fatto passare negli ultimi mesi?», chiese con un filo di voce, incredulo.

«Sì, Xavier, voglio ancora partire con te, anche se sono arrabbiata, anche se mi hai fatta soffrire molto, anche se mi hai evitata invece di confidarti con me. So che parlare dei proprio problemi non è facile, ma d’ora in poi, vorrei che tu mi parlassi di ogni cosa che ti passa per la mente. Basta omissioni, basta segreti».

Xavier annuì, accarezzandomi dolcemente il viso: «Promesso», disse, sorridendomi timidamente: «Posso baciar…?»

Non gli lasciai neanche il tempo di concludere la frase e mi sporsi per premere la bocca contro la sua, riscoprendo il suo sapore, la morbidezza delle sue labbra e il desiderio bruciante di sentire la sua pelle contro la mia.

Sapevamo entrambi che ci sarebbe voluto del tempo prima che lo perdonassi per avermi fatta preoccupare tanto e inutilmente, ma non avevo dubbi che quel giorno sarebbe arrivato presto.

Non potevo immaginare appieno quanto avesse sofferto durante quella solitaria caccia. Anche io avevo sofferto durante i mesi di lontananza, ma avevo avuto la mia famiglia e i miei amici accanto, avevo portato a termine gli obiettivi che mi ero prefissata e tutto sommato ero riuscita ad andare avanti. Xavier invece era stato solo, all’inseguimento di un uomo-lupo che gli aveva portato via la persona a cui più teneva al mondo, suo padre, e malgrado il desiderio di vendetta non era riuscito ad attaccarlo. Xavier non era riuscito a compiere l’unico obiettivo che aveva avuto per molto tempo ed era comprensibile che quel pensiero lo tormentasse.

Solo in quel momento, mentre mi lasciavo distrarre dalle mani di Xavier, che mi stringevano a sé, quasi disperate, mi ricordai della ronda e del ballo e del mondo che esisteva all’infuori di noi.

Sciolsi l’abbraccio e il bacio a malincuore, passando una mano tra i capelli spettinati di Xavier e gli sorrisi dolcemente: «Andiamo a casa», gli proposi, intrecciando le mie dita alle sue.

Xavier annuì e mi seguì lungo il bosco.

Parlammo dei miei amici, della mia famiglia; lo aggiornai su tutto quello che si era perso in quei due mesi che non si era fatto sentire e una volta arrivati a casa lo lasciai riposare sul divano, mentre andavo a fare la ronda.

Il mio cuore tormentato era finalmente in pace, ora che Xavier era tornato e sembrava intenzionato a rimanere con me.

 

 

 

 ***

Buon pomeriggio popolo di EFP!

Speravo di riuscire a pubblicarvi prima questo capitolo, ma è stato molto difficile da scrivere, forse perché è il penultimo e l'idea di terminare questa storia mi rende felice e triste allo stesso tempo.

Nei prossimi giorni vi pubblicherò l'epilogo, che sarà piuttosto breve, quindi non dovrei metterci molto a scriverlo.

Spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa pensate della storia e di questo penultimo capitolo.

Un bacio,

LazySoul

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Licantropi / Vai alla pagina dell'autore: LazySoul