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Autore: yewfrost_p    21/08/2020    0 recensioni
Storia partecipante al "il gioco della sigaretta (Lui e Lei contest)" indetto da GaiaBessie sul forum di EFP.
Quando assai tempo prima Lucius aveva fatto ritorno a casa confessandole di essere entrato tra le schiere del Signore Oscuro, Narcissa non aveva idea di quello che sarebbe successo poi. Non aveva idea del fatto che persino suo figlio sarebbe stato coinvolto in una missione suicida, che l'avrebbe distrutto se l'avesse portata a termine e portato sull'orlo del baratro se avesse fallito.
L'unico modo per salvarlo era stringere un Voto Infrangibile.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Draco Malfoy, Narcissa Malfoy, Tom O. Riddle, Voldemort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Il circolo della disperazione
Villa Malfoy, poco prima dell'inizio del sesto anno di Hogwarts.
 
Il bambino chiama la mamma e domanda: "Da dove sono venuto? Dove mi hai raccolto?"
La mamma ascolta, piange e sorride mentre stringe al petto il suo bambino: "Eri un desiderio dentro al cuore".
Rabindranath Tagore


Non c'era più alcuna traccia di gioia, di allegria, di quel caldo familiare che aveva sempre permeato le mura della casa. Il grigiore sembrava aver invaso ogni stanza, ogni angolo, ogni corridoio, e persino il tempo atmosferico sembrava andare di pari passo con la disperazione che avvolgeva il cuore della padrona della Villa. 

Non c'era fuoco, in quei giorni, che potesse scaldarla. Non c'era gesto di conforto che potesse rasserenarla. Non c'era una presenza capace di infonderle serenità. Persino suo figlio, il suo unico e amatissimo figlio, non era più motivo di gioia. 

Distrutto dopo l'incarcerazione di suo padre, Draco cercava un modo per ridare lustro e onore al proprio cognome, mentre sua madre sperava solo che quell'incubo finisse il prima possibile. 

La donna si ritrovò, ancora una volta, a maledire quella malsana scelta di suo marito nel voler a tutti i costi entrare nelle schiere del Signore Oscuro, quella scelta che li aveva condannati tutti, dal primo momento. 

Narcissa Black, ormai da diverso tempo Malfoy, osservava una delle sue sale da pranzo preferite trasformata in un quartier generale. Mangiamorte di ogni specie, dal più idiota al più crudele, dal più capace al più inutile, dal più sano di mente al più pazzo, fare avanti e indietro dalla sua dimora con ogni tipologia di informazioni e, più spesso di quanto preferisse ammettere, persone. 

C'erano giorni in cui l'unica cosa che voleva fare era chiudersi in una delle stanze al piano superiore e, semplicemente, non uscire più. Rifugiarsi nella quiete delle chiacchiere con un quadro, rimanere con il naso sepolto in un libro, bere litri di camomilla fin quando una delle due parti non avesse vinto. Per lei, in realtà, era abbastanza indifferente quale delle due fazioni trionfasse. Se si fosse trattato di Voldemort, probabilmente nessuno avrebbe torto un capello a suo figlio, mentre se vincevano gli altri, comunque non avrebbero mai fatto del male alla sua famiglia. Ma non poteva escludersi dal mondo. Draco c'era dentro fino al collo e sebbene il suo desiderio più grande era quello di prenderlo e portarlo al sicuro, doveva sopportare tutto per sostenerlo ed essergli accanto. Ora che Lucius era ad Azkaban, spettava a lei proteggerlo. 

La donna si fermò sulla porta, una mano sullo stipite e l'altra che cercava disperatamente la bacchetta mentre osservava la scena. Il bel salone che accoglieva la luce solare in tutta la sua gloriosa brillantezza era diventata una sala buia e inquietante, dove persino i quadri ora erano spogli dei loro protagonisti. Lei sentì una fitta allo stomaco per quella che era stata una delle più belle stanze della casa e che, un domani, non avrebbe mai più riaperto. 

«Narcissa, vieni avanti» La voce del Signore Oscuro le metteva i brividi. Sempre così fredda, così controllata, aveva il potere di renderla inerme e farla precipitare in un vortice di terrore e timore che la costringeva all'obbedienza. Lei si guardò intorno, il tavolo occupato solo che da pochi membri di quel singolare e distruttivo circolo. 

Sua sorella Bellatrix, fedele generale di Lord Voldemort, sembrava particolarmente grata ed entusiasta di trovarsi lì, in quel preciso momento. Non riusciva a contenersi, la sua gioia la rendeva più folle e crudele che mai. 
«Siediti, sorellina» La sua voce era uno strillo acuto e infantile, degno di chi aveva passato gran parte della propria vita dietro le mura di una prigione circondata da dissennatori. 

Al solo pensiero di quelle creature disgustose e immonde, Narcissa sentì il proprio cuore tremare di apprensione per quello che stava sopportando suo marito e la mano chiudersi a pugno dalla rabbia, per essersi ritrovata in una situazione del genere. Ogni volta, non riusciva a non pensare a come si sentisse tradita da Lucius, per come lui l'aveva lasciata da sola ad affrontare quella situazione all'interno della sua stessa casa. No, una volta uscito di prigione, il rapporto che li legava non sarebbe mai più stato lo stesso. 
Avanzò, rigida e fiera come sempre, come si confaceva ad una signora del suo calibro, e non una singola emozione, non uno di quei sentimenti che le devastavano l'animo, si intravide dalla sua espressione. Prese posto accanto a suo figlio, Draco, che manteneva anch'egli una postura rigida e composta, segno di quanto, in realtà, quella situazione lo mettesse a disagio. 

«Ora che ci siamo tutti, vorrei illustrarvi il piano» Il signore oscuro si scostò dallo schienale della sedia e il suo serpente, il suo fidato animale da compagnia, montò sul tavolo. Il sibillio della sua lingua, unito al suono derivante dallo strisciare del suo corpo, mise i brividi a tutti loro. Tutti ecetto una, naturalmente. 

Nessuno osava contestare, nessuno osava muovere un dito, nessuno quasi osava respirare. Erano tutti fin troppo consapevoli degli scatti d'ira di Lord Voldemort, che ad una mossa sbagliata li avrebbe uccisi seduta stante. 

E questo, il Signore Oscuro lo sapeva fin troppo bene. Gustava appieno quella situazione che gli dava potere, che lo rendeva leader di una battaglia che, ai suoi occhi, aveva come fine il bene dell'intera società magica. 

Cosa era, a confronto, un paio di persone sacrificate? Cosa potevano mai voler dire un paio di persone uccise, in confronto alla grandezza che il suo governo avrebbe dato? Erano niente. Le vite umane, per il Signore Oscuro, erano poco più che un mezzo per raggiungere il proprio fine. In battaglia, del resto, tutto aveva uno scopo e tutto era giustificato. 

Il sorriso che gli deformò i lineamenti già serpenteschi innestò un brivido di paura in Narcissa, che temeva sin dal primo momento quell'incontro. 

«Immagino che voi tutti sappiate di quali siano i miei... ostacoli, per così dire» iniziò Lord Voldemort, osservando con attenzione le reazioni dei suoi seguaci. Rise del loro timore, si nutrì della loro paura. Lo sapeva fin troppo bene, lui che capiva così perfettamente l'animo umano, di come la presenza di alcuni dei suoi più fedeli servitori fosse in realtà una posizione di convenienza. 

Primo tra tutti, proprio Lucius Malfoy era a capo della banda di Mangiamorte che in realtà poco credevano nella sua causa, ma molto di più nel potere. Il Signore Oscuro non tollerava un atteggiamento del genere e, si sapeva, lui aveva già fallito diverse volte. Quale modo migliore, allora, di vendicarsi? 

Lord Voldemort giunse i polpastrelli delle mani e li scrutò uno ad uno... il suo piano era semplicemente geniale. Se fosse andato in porto, avrebbe ottenuto ciò che più bramava, se fosse fallito... avrebbe ottenuto nient'altro che una disfatta di una famiglia che, ormai, non gli era più utile. 

Pedine su una scacchiera, ecco cosa erano i Mangiamorte, e i Malfoy, in quel campo da gioco, erano i pedoni

«Lo saranno ancora per poco, mio signore!» Enunciò con entusiasmo Bellatrix, allungandosi sul tavolo. 
Voldemort la guardò con espressione seria e irata. «Non interrompermi, Bella!» la esortò. La donna si ritirò immediatamente e fece silenzio. 

«Molto bene...» proseguì il Signore Oscuro, continuando ad osservare i signori. «Come tutti noi sappiamo, dobbiamo trovare il modo di fermare Silente. Qual è il modo migliore per farlo, se non attaccarlo dall'interno?» Il suo piano era geniale, infido, perfido e disgustoso. Un sorriso inquietante e spaventoso si disegnò sulle labbra, rendendolo così euforico da fargli quasi perdere il controllo. 

E se da un lato lui esprimeva solo che vivacità per il piano che aveva ideato, Narcissa si sentì morire. Il suo cuore smise di battere, preda di un presentimento materno che non poteva negare. I suoi occhi scattarono su Draco, che pendeva dalle labbra del Signore Oscuro come il suo più fedele dei servitori e si domandò dove avesse mai sbagliato nella sua educazione. 

Aveva costretto Lucius a mandarlo ad Hogwarts, lo aveva sottoposto e affidato alle cure di uno dei migliori presidi che quella scuola avesse mai avuto, ed ora quel piano si ritorceva contro di lei. Quello stesso preside a cui lei aveva voluto bene, che aveva stimato, e al quale aveva lasciato in custodia la persona più importante della sua vita, ora doveva morire. Perché non c'era fu bisogno di aggiungere altro, Narcissa aveva già capito dove sarebbe andato a parare il discorso e non poteva farci assolutamente nulla

«Draco, non vedevi l'ora di unirti a noi e occupare il posto vuoto di tuo padre, non è così?» Lord Voldemort si rivolse direttamente al ragazzo, pallido come un fantasma e teso come una corda di violino. Voldemort ne gioì, di quel timore che sapeva incutere persino nei suoi seguaci. 

Narcissa strinse le mani sotto il tavolo, pregando qualsiasi cosa di portarli fuori da quella situazione. Quello che lei più temeva, per il quale aveva combattuto, ora stava accadendo. Non c'era modo di tornare indietro da una delle missioni che il signore oscuro affidava, non c'era strada da percorrere al contrario. Se Draco si fosse macchiato di omicidio, non sarebbe più stato lo stesso. 

«Compi questa missione per me, Draco, e l'onore della tua famiglia tornerà a brillare come la più luminosa delle stelle del firmamento» stava continuando il Signore Oscuro, rivolto a suo figlio. 

Narcissa si schiarì la gola, «Mio signore» disse attirando la sua attenzione, con un tono molto più calmo e pacato di come, in realtà, si sentiva dentro. 
«Si, Narcissa? Dimmi, non sei orgogliosa che finalmente il tuo ragazzo diventi un uomo?» 
Non così! Avrebbe voluto urlare lei. 
Schermò i suoi pensieri, era sempre stata un'ottima occlumante, sin da quando Lucius le aveva insegnato le basi di quella sottile arte. «E' ancora un ragazzo... come possiamo affidargli una missione così importante? Silente è un mago brillante e...» 
«Osi forse insinuare che è più in gamba di me?» 
«No, mio signore, non oserei mai ma...» 
«Allora, Narcissa, lascia che tuo figlio segua il suo percorso. Sarà lui a scegliere, non è vero, Draco?» 

Narcissa dovette fare uno sforzo immenso per costringersi a tacere, a stare immobile. Se avesse continuato, mettendo in dubbio la virilità e potenza di suo figlio, questo le si sarebbe rivoltato contro, ne era certa. Ora come non mai, aveva bisogno di tenerlo stretto. Osservò il ragazzo, bianco e teso. Voleva chiudere gli occhi, tapparsi le orecchie per non sentire, ma alla fine successe. 

«Si, mio signore». 

Narcissa sentì il cuore spezzarsi con un sonoro crack. La vita di suo figlio, così come quella di suo marito, ora era distrutta per sempre. 

«Ucciderai Silente per me, Draco?» Voldemort sorrideva come un pazzo scellerato e lei aveva solo voglia di vomitare, di mettersi in un angolo a piangere. Come erano finiti, in quella situazione? Doveva tentare, ancora e ancora. 

«Mio signore... non credete che voi siate il siate il solo, unico grande mago capace di uccidere il professor Silente?» provò, tentando di fare leva sul carattere altezzoso e vanitoso di Lord Voldemort. Sussultò bruscamente quando lui scoppiò a ridere, così allegramente da farla sembrare una perfetta idiota. Il ristretto cerchio scoppiò in una risata. Gli unici seri, Draco e sua madre. 

«La tua supposizione mi lusinga, Narcissa. Non vuoi che tuo figlio dimostri tutta la sua potenza?» Era andata a rubare nella casa del ladro. 
«Madre» Narcissa fece scattare il suo sguardo sul suo ragazzo, bello come il padre e altrettanto orgoglioso. Un moto di fierezza le scosse il petto, benché si ritrovasse in una situazione già di per se tragica. 
«Il signore oscuro mi sta affidando una missione, sono disposto ad andare fino in fondo» la ammonì. 

Narcissa rimase sconvolta da quella determinazione che vi lesse nello sguardo, senza alcun cedimento. Non poté fare altro che rimanere in silenzio, bruciata dentro da tutto ciò che avrebbe voluto dire. 

Con uno scatto, Voldemort si alzò e lo raggiunse, afferrandogli il braccio. «Da oggi, Draco, fai parte a pieno titolo dei Mangiamorte» Quella frase, fu l'unico accenno di quello che sarebbe successo dopo. 

Lord Voldemort strappò la manica della giacca e vi appoggiò sopra la bacchetta. Mormorò una formula magica e sul pallido avambraccio del ragazzo, comparve un disegno. Il teschio nero attorniato da un serpente, ora, dimorava anche sul braccio di Draco Malfoy. 

Voldemort rise ancora, compiaciuto, non c'era una sola cosa che non andava. Era da quando aveva iniziato, tempo prima, che solo una cosa era andata storta. Ma non questa volta. 

Nel riguardare Draco e nel pensare alla sua missione, ricordò.

La preside dell'orfanotrofio aveva accettato di accompagnarlo solo fino alla stazione, dove poi lo avrebbe lasciato. Il piccolo Tom avrebbe dovuto cercare il binario 9 e 3/4 da solo, mentre si trascinava dietro il grande bagaglio che, in realtà, era abbastanza vuoto. Lui che non aveva nient'altro che un paio di cambi d'abito e il materiale scolastico che aveva acquistato a Diagon Alley, ora stava attraversando quel mucchio di babbani per poter arrivare dove gli serviva. 

Si era fatto accompagnare con un'ora di anticipo: era sicuro che l'ingresso al binario era nascosto, proprio come quello per la Londra magica, e lui non si sarebbe fatto aiutare. Oh, no. Lui avrebbe osservato con attenzione cosa succedeva, lo avrebbe replicato, e avrebbe raggiunto l'Hogwarts Express. 

Aveva sempre saputo di essere diverso, speciale, unico, e quel momento di dimostrarlo, finalmente, era giunto. Aveva aspettato con pazienza, Tom Riddle, fin quando non aveva visto una famiglia, con un bambino avente i bagagli del tutto simili ai suoi, sparire dietro il binario. Così, curiosamente e coraggiosamente, lo aveva imitato e, con sua scarsa sorpresa in realtà, si ritrovò dall'altra parte. Senza parlare con nessuno, si guidò fino al treno, lasciò il suo bagaglio e si sedette in uno scompartimento vuoto. Lì era rimasto, da solo, fino all'arrivo del castello di Hogwarts, la sua nuova casa. 

Aveva seguito il gruppo di piccoli studenti, era stato accolto da Albus Silente in persona e poi l'aveva vista. 

La Sala Grande. 

Immensa e ricca di candele, aria di festa, magnifica e che sapeva, per la prima volta, di casa. Il piccolo Tom sorrise nel vedere tutta quella magnificenza e, nel suo piccolo io, constatò che era quello che lui si meritava, non il vivere in un orfanotrofio. 

Se Lord Voldemort fosse stato anche solo vagamente umano, se tutto ciò che aveva vissuto non gli avesse fatto perdere ogni briciolo di pietà e compassione, avrebbe ricordato anche tutto il resto. Il Signore Oscuro osservò con soddisfazione il braccio ormai deturpato del giovane, con  entusiasmo pari al disgusto, invece, che pervase Narcissa nel vedere suo figlio marchiato come se fosse una bestia pronta da andare al macello. 

«Ed ora che la missione è stata assegnata, potete andare» fece Lord Voldemort, tornando a sedersi a capotavola. Si alzarono tutti, sapendo di essere congedati. 

«Ah, Narcissa?» 

La donna si immobilizzò. Ancora seduta, cercava di aspettare il momento migliore per filare via senza attirare attenzione. L'unica cosa che contava, ora, era salvare suo figlio da quel destino terribile che pendeva sulla sua testa come una spada di Damocle. 

«Si, mio signore?» fu costretta a rispondere, pacata e controllata come al suo solito. 
«E' un onore, per il giovane Draco, poter dimostrare il suo valore». 

Narcissa si voltò di scatto, incontrando gli occhi dell'Oscuro Signore. Quell'unico, veloce gesto, gli aveva confermato ciò che lui pensava. Quella missione era diventata esattamente ciò che voleva: una punizione per i Malfoy. Ah, quando lo avrebbe saputo Lucius! Sarebbe impazzito dietro quella cella nel sapere cosa in realtà lui stava architettando. 

Narcissa si pentì di quello scatto che aveva rivelato tutta la sua preoccupazione materna. «Si, mio signore» ripeté. Ma la donna era orgogliosa, fiera e altezzosa. Non aspettò di essere congedata. 

Da padrona di casa qual era, fece un gesto col capo e se ne andò. Tutti la seguirono e ben presto il signore oscuro si ritrovò da solo. «Ah, se anche Lucius avesse la stessa determinazione, eh Nagini cara?» sussurrò al serpente, ascoltandone la risposta. 
«Sono sicura che avremo interessanti sviluppi». 

C'era una prova, da superare, il piccolo Tom lo percepiva. I suoi occhi, vigili e attenti, scandagliarono la sala e, come facilmente intuibile, il suo primo pensiero andò ai quattro tavoli disposti in modo parallelo lungo la sala. 

Sembrava che ce ne fosse uno per ogni gruppo: i colori dovevano pur significare qualcosa. Immediatamente, Tom pensò che il giallo fosse per gli stolti. Chi mai si sarebbe vestito di quel misero colore di propria spontanea volontà? Anche quei palloni gonfiati che vestivano di rosso: non sapevano che carnevale era finito da un pezzo? Fu il tavolo blu, infine, ad attirare la sua attenzione. 

Era bello, il blu. Tenebroso come la notte, poteva essere inquietante e spaventoso, o accogliente e rassicurante. Pensava che, tutto sommato, non sarebbe stato brutto finire in quel tavolo. Davanti a lui, il cappello posizionato sullo sgabello, si aprì in una smorfia e una curiosa filastrocca uscì dalle sue labbra. 

Bello non sono, signori miei
Ma vi posso assicurare che da qui non m'alzerei.
Il posto cedo con cortesia
a chi trova una miglior via.
Nella mente pensiero all'oscuro non terrete, 
da me che di leggervi ho il potere.
Quindi indossatemi e ascoltate
in quale casa dovrete andare.
E' forse da Corvonero che inizia il vostro romanzetto,
meta di chi usa diligentemente l'intelletto.
O forse in Tassorosso che pur sembra un po' banale, 
ma dove dimora bene chi è leale. 
Ma c'è anche Grifondoro rosso-fuoco, 
casa di chi nasconde un animo coraggioso.
Non dimentichiamo infine di Serpeverde, 
dove gli amici ambiziosi sono perle.
Avvicinatevi dunque senza timore, 
che senza dolore troverò la vostra collocazione!

Uno scroscio di applausi partì dagli studenti in sala e persino il piccolo Tom iniziò a battere le mani, consapevole che ovunque sarebbe stato smistato, da lì sarebbe partito il suo percorso. Aspetto con intrepida pazienza che venisse il suo turno mentre osservava tutti gli altri. Ormai aveva perso il conto di quanti TASSOROSSO! GRIFONDORO! CORVONERO! SERPVERDE! Il cappello parlante avesse urlato. Aspettò, ancora e ancora, con il cuore che batteva all'impazzata nell'attesa di sapere quali sarebbero stati i suoi colori, a quale casa avrebbe portato onore e quali sarebbero stati i suoi fedeli ammiratori. 

Poi arrivò. 

«Riddle, Tom!» 

Il bambino non fece fatica a raggiungere lo sgabello, ormai erano quasi tutti stati smistati, e si sedette. Con trepidazione, aspettò che l'indumento cencioso fosse sulla sua testa. 

«Oh! Ma cosa abbiamo qui?» Il piccolo Tom sussultò istintivamente, dapprima spaventato e poi curioso di quell'oggetto. «Ma c'è tanta roba... vediamo un po'... vedo uno spiccato intelletto, oh si. Non ti manca la voglia di studiare, eh, caro ragazzo?» Tom ascoltava con pazienza, timoroso e curioso assieme. «Mi metti in difficoltà, credo. Poca lealtà, in realtà, non troppo coraggio. ECCOLO!» Quell'ultimo grido lo aveva fatto sobbalzare di nuovo. «SERPEVERDE!» Il tavolo dei ragazzi vestiti con accessori verdi spiccò in piedi e applaudì e lui, sereno, andò verso la sua nuova casa. 

Narcissa corse nelle sue stanze. Si chiuse la porta alle spalle e iniziò rovinosamente ad andare avanti e indietro, continuamente, senza smettere mai. La bacchetta si rigirava nelle sue dita, elettrica e in attesa di un incantesimo della portatrice che, in realtà, non arrivò mai. La donna si tormentava le mani, la scollatura, la gonna, i capelli... non c'era soluzione a quel disastro. Non c'era modo di uscirne. Si lasciò andare ad un verso di frustrazione mentre si mordeva il labbro con così tanta ferocia da farlo sanguinare. 

Corse verso uno dei mobili, afferrò la prima cosa che gli capitò sotto tiro e la tirò contro il muro. Il rumore di vetri infranti, oggetti distrutti, non la aiutò neanche un po' e ben presto tutti gli altri oggetti fecero la stessa fine. Si accasciò sul letto, le mani sul viso e il cuore a pezzi. Si dondolava, tentando di darsi conforto, e lasciò che quelle emozioni la divorassero e riempissero. 

Solo dopo diverso tempo si rialzò e andò verso quello stesso mobile che ormai era spoglio. Calpestò i vetri, che scricchiolarono sotto i suoi stivali, e aprì l'ultimo cassetto. Con le unghie, e il cuore che batteva veloce come le ali di un colibrì, cercò il minuscolo spiraglio. Vi infilò un unghia e, con delicatezza, sollevò. 

Il cassetto nascondeva un doppio fondo. 

Tirò fuori un quadernino, vecchio e logoro, e per un attimo si sentì travolgere dalla nostalgia. Quel piccolo manoscritto, che ingrandì con un engorgio, si dimostrò essere un quaderno che aveva le dimensioni di un immenso tomo di biblioteca. Era scritto a mano, fitto fitto, pregno di ogni possibile incantesimo riguardante i vincoli. Era stato un dono che le aveva lasciato un'amica dei tempi di Hogwarts grazie al proprio testamento. La donna era morta da ormai da sedici anni. 

Proprio lì, tra le pagine consunte e macchiate d'inchiostro, come se stesse richiamando la sua attenzione, esisteva l'incantesimo che avrebbe salvato suo figlio. 

Il Voto Infrangibile.

 

   
 
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