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Autore: Clownqueen_oa    21/08/2020    1 recensioni
Era sempre stata una sua caratteristica, ma con gli anni si era acuita fino a causarle un qualche tipo di blocco: forse, ammise a se stessa guardandolo servire per primo, stava con Kuroo solamente perché lui era in grado di sciogliere un po’ il ghiaccio che la circondava e che fungeva da lama a doppio taglio.
| Kuroo x fem!Tsukki |
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kei Tsukishima, Kozune Kenma, Tadashi Yamaguchi, Tetsurou Kuroo
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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|| Kuroo makes it simple ||

“Potresti darmi un incentivo, per farmi giocare al meglio” suggerì Kuroo, con il solito sorrisino da cascamorto incollato sul viso. “La butto lì, una prestazione sessuale di qualche tipo-”

“Fatti una sega dopo la partita e chiudi la bocca” lo interruppe Kei sul nascere, gelida, e gli sistemò il colletto della pettorina sgargiante con poca delicatezza. “Se avessi davvero bisogno di una cosa del genere per vincere, saresti un giocatore mediocre. Portati a casa la partita perché sei forte, Tetsuroo”.

Il ragazzo arricciò il naso e sbuffò come un bambino, nonostante gli fosse stato appena fatto un complimento. “Sei cattiva con me, Akaashi ricompensa sempre Bokuto quando giocando dà il meglio di sé”.

“Bokuto ha l’età mentale di un bambino delle elementari, tu di uno delle medie. Dovresti essere un po’ meno stupido, no?” la ragazza si sistemò gli occhiali sul naso dritto, scoccandogli un’occhiata penetrante. “Mi trovi sugli spalti con Yamaguchi, buona fortuna”.

Kuroo la guardò allontanarsi come se gli avesse dichiarato amore eterno (principalmente perché le stava guardando il sedere, e lo sguardo di adorazione che ne conseguiva ogni volta poteva portare a pensarlo), e urlò per sovrastare il richiamo del coach. “Almeno lanciami il reggiseno quando segnerò il punto decisivo!”

Kei non si disturbò neanche a rispondergli o a voltarsi per rifilargli un gestaccio di qualche tipo.

Kuroo si comportava sempre come un arrapato quando erano in pubblico, perché sapeva che la faceva incazzare e lui adorava farla incazzare, era assodato. Tsukishima aveva una pazienza limitata, soprattutto con quel cretino del suo ragazzo, per questo si era allontanata il più velocemente possibile: se fosse rimasta lo avrebbe messo KO con una scarpa in faccia e avrebbe complicato la vita al Nekoma, che rispettava molto come squadra, perciò meglio evitare.

“Che brutta faccia, Tsukki, va tutto bene?” le chiese Yamaguchi quando lo raggiunse sugli spalti.

Era solo un amichevole, ma gli avversari del Nekoma avevano una palestra pomposamente grande e se ci fossero stati più spettatori sarebbe quasi sembrata una partita seria.

Kei sbuffò, mettendosi le cuffie. “Sì, è solo Kuroo che fa il maiale come al solito. Mi sono già pentita di essermi fatta questo viaggio della speranza per andarlo a vedere…”

Il suo migliore amico ridacchiò. “Be’, è un gesto carino, e che lo aiuta a dare il massimo”.

“Stronzate. Il Nekoma ha la vittoria in pugno, e anche se Kuroo iniziasse miracolosamente a fare schifo di certo io non mi metterei a fare la cheerleader per sedimentare il suo ego”.

Stava sputando veleno come una vipera, ne era consapevole, ma non riusciva a evitarlo. Quella situazione la innervosiva, tutti i giocatori intorno a lei si stavano impegnando come se fossero all’ultimo set dei nazionali solo per il riscaldamento, mentre a lei di norma bastavano dieci minuti di stretching per volersi già ammazzare.

Michimiya-senpai la rimproverava spesso per la sua apparente carenza di motivazione, ma Kei non poteva farci nulla se era sempre stata una tipa molto quadrata: dopo lo scherzetto di suo fratello con la Karasuno, faticava a lasciarsi andare in qualsiasi cosa. Era sempre stata una sua caratteristica, ma con gli anni si era acuita fino a causarle un qualche tipo di blocco: forse, ammise a se stessa guardandolo servire per primo, stava con Kuroo solamente perché lui era in grado di sciogliere un po’ il ghiaccio che la circondava e che fungeva da lama a doppio taglio. La proteggeva, se le importava poco di qualcosa non soffriva le delusioni, ma a lungo andare la limitava.

Kei si guardò le dita affusolate, strette in bende sottili a causa dell’amichevole del giorno prima che gliele aveva ridotte malaccio. La soddisfazione sul momento le era parsa più intensa del dolore, visto che era riuscita a murare l’avversaria più prestante che avesse mai fronteggiato (per intenderci, avrebbe probabilmente piegato Kuroo come un depliant dei club scolastici in uno scontro a braccio di ferro), ma ora le faceva un male tremendo e non si era nemmeno portata dietro il ghiaccio.

“Vado a prendermi qualcosa da bere” grugnì, ripensando al distributore fuori dalla palestra.

“Ti accompagno” si propose subito Yamaguchi, drizzando a sedere e lasciando momentaneamente perdere il telefono, in cui era intenta un’accesa discussione sul gruppo del club di pallavolo maschile della Karasuno.

“Lascia stare, ci metto due secondi. Se Kuroo guarda da questa parte fagli capire che non me ne sono andata completamente, altrimenti potrebbe far sfigurare la Nekoma con qualche sceneggiata”.

Sarebbe stato un po’ fuori dal personaggio per lui, ma Yamaguchi lesse tra le righe e le mostrò il pollice sollevato con un gran sorriso: Kei non voleva che il compagno ci rimanesse male.

Fuori faceva ancora più caldo, l’estate stava avanzando inesorabilmente mangiandosi gli ultimi giorni di maggio e Kei si pentì all’istante di non essersi messa i pantaloncini.

Era stato più forte di lei, Kuroo le aveva chiesto di metterseli e la tentazione di fargli un torto si era sadicamente fatta strada nella sua testa. Ora però, ne stava pagando le conseguenze.

Facendosi aria con una mano, frugò nelle tasche dei jeans grigi e tirò fuori qualche moneta, squadrando il pannello di vetro sotto il suo naso in cerca di qualcosa che non ribollisse di zuccheri: in lontananza udì la grassa risata di un gruppetto di ragazzi, e si sbrigò a scegliere per evitare il più possibile di scontrarsi con altri esseri umani.

Fu questione di un momento, Kei si chinò per prendere la coca cola zero fuoriuscita dallo scomparto in fondo al distributore e, quando aveva ormai le dita attorno alla lattina, le arrivò uno schiaffo di una portata non indifferente sul sedere. Riuscì quasi a sentire lo schiocco rimbombarle nelle orecchie, vacuo, e sovrastare il fracasso di palloni e scarpe che stridevano sul pavimento ligneo della palestra.

Per un istante rimase immobile, mentre le risate che aveva sentito poco prima esplosero tutte intorno a lei, poi si raddrizzò con apparente nonchalance e squadrò la comitiva di ragazzi che si erano materializzati girando l’angolo.

Quello che le aveva tirato la pacca aveva ancora la mano mezza sollevata nell’atto. Il suo sorriso per un momento sembrò vacillare, probabilmente realizzando che la ragazza che aveva preso di mira era alta quanto lui e con le spalle che aveva lo fronteggiava in modo quasi minaccioso, ma se lo riprese subito spronato dai risolini scimmieschi del piccolo branco che si portava appresso.

“Scusami” la sua voce tremava di una malizia derisoria da due soldi, la disgustò. “Mi è scivolata la mano. Sei nuova di qui? Non ti abbiamo mai vista”.

Kei a volte si domandava come facessero certi ragazzi ad avere la faccia come il culo e a vantarsene apertamente. Dopo averle tirato uno scapaccione, cosa che neanche Kuroo era mai sceso a fare, ora il bellimbusto si atteggiava pure da simpatico, attaccando bottone con lei come se la sua mano fosse davvero scivolata per sbaglio sulla sua natica sinistra, che per inciso non le faceva nemmeno male.

Incapace.

“Sono salita direttamente dall’inferno” rispose, con voce rauca e non molto amichevole.

Il ragazzo si concesse un’altra risatina, e non colse o ignorò di proposito l’occhiata gelida con cui lo stava ininterrottamente spronando a spostarsi per farla passare. “Dovevo immaginarlo, un culetto così non può essere umano. Sei qui da sola, o c’è anche il tuo fidanzato infernale?”.

“O magari una sorella” aggiunse un altro della combriccola, spavaldo, come se lui e il compare si stessero spartendo una cena e avesse chiesto la propria razione.

Kei prese un respiro profondo, che le uscì tremolante dalla rabbia. “Non sono interessata, ragazzi, spiacente. Non lo sarei stata neanche prima, visto che fareste passare la stitichezza anche a un elefante, ma dopo la manata avete proprio perso ogni speranza”.

Così perlomeno riuscì a cancellare quei sorrisi da idioti sui loro visi. Il ragazzo dello schiaffo storse il viso in una smorfia, avvicinandosi pericolosamente e afferrandole un polso nudo.

L’intero sistema di Tsukki si mise in allerta, rendendola rigida come un tronco.

“Sei proprio stronza per avere quella faccia da angioletto” commentò. “Sei stata molto scortese, potresti farti perdonare con un b-”

Kei non lo lasciò finire, anche se forse avrebbe dovuto. Non le piaceva perdere il controllo di ciò che le stava intorno, in nessun caso, e anche se reagire violentemente era davvero da idioti, non riuscì a trattenersi e tirò al ragazzo una testata notevole dritta in faccia, facendolo uggiolare di dolore come un cane rabbioso.

“Puttana!” ululò, barcollando all’indietro con una mano sul viso, sorretto dai suoi increduli amici.

“Mi hai scambiato per tua madre” ringhiò Kei, conscia di starsi abbassando al loro livello ogni secondo che passava. Spintonò uno dei ragazzi per passare, ma si sentì strattonare per un braccio da questo; non era così fragile, ma pur essendo alta era troppo mingherlina per riuscire a fargli mollare la presa e caracollò all’indietro.

Per un secondo, pensò davvero che sarebbe finita male: fatta eccezione per i quattro scocciatori il giardino della scuola era deserto, essendo sabato, e non c’era neanche un bidello in vista.

Avrebbe potuto urlare, sarebbe stata la cosa più intelligente da fare, ma in quel frangente le sue corde vocali sembravano otturate. Si convinse che fosse perché non voleva disturbare Kuroo… Kuroo, aveva tremendamente bisogno che la notasse, in quel momento. Giusto un piccolo scatto e si sarebbe potuta affacciare alla porta della palestra, così da farsi vedere da lui o da chissà chi altro e finirla lì con quel teatrino che, non voleva ammetterlo, iniziava a stringerle lo stomaco in una morsa di panico.

“C’è qualche problema?”

La voce cordiale di Yamaguchi interruppe il flusso dei pensieri di Kei e, detto francamente, le salvò il culo.

Il Pinch Server della Karasuno aveva stampata in viso la solita espressione serafica, ma lei lo conosceva bene e si rese conto di quanto glaciale fosse il suo sguardo in quel momento. Gli occhi di Yamaguchi si soffermarono prima sulla mano di uno dei ragazzi, stretta intorno al polso di Kei, poi al viso di quest’ultima, che non aveva smesso di dolerle dopo la testata.

Anche dei decerebrati del loro calibro parvero rendersi conto che era meglio lasciar perdere: non solo perché quel tipo con le lentiggini era alto quasi quanto la porta, ma anche e soprattutto perché non ci avrebbe messo più di un paio di secondi a portare l’attenzione su quattro ospiti indesiderati che stavano palesemente importunando una ragazza.

“No” disse quello dello schiaffo, cautamente. Aveva un brutto livido sullo zigomo sinistro di cui Kei infantilmente si compiacque, ma non sembrava più farci caso. “Stavamo solo parlando. Ce ne andiamo”.

Saggia decisione, sembrò praticamente gridargli Yamaguchi con lo sguardo, che tenne fisso su di loro intanto che se ne andavano borbottando qualcosa e scoccando occhiate storte a Tsukishima.

“Stai bene, Tsukki?” le chiese subito quando furono soli, visibilmente allarmato. “Aspetta, vado dentro a chiedere del ghiaccio-”

“No” lo interruppe Kei, fermamente. Non era stato per mano sua, ma in qualche modo aveva riottenuto il controllo della situazione ed era decisamente più calma. “Non serve, davvero. Ci terrò su la lattina di coca cola, tra cinque minuti torno dentro. Grazie, Yamaguchi”.

Il ragazzo scosse la testa come a dire che non era niente, e poi le prese la bibita dalle mani sfiorandole con delicatezza il punto in cui le doleva; appena sopra l’attaccatura degli occhiali Kei sentiva chiaramente un bozzo dovuto alla testata che pulsava dolorosamente, anche se non aveva rimpianti.

“Dobbiamo denunciare la cosa al coach degli avversari del Nekoma” le disse Yamaguchi in tono molto serio. “Anche se è sabato non possono entrare esterni in questa scuola, persino noi abbiamo fatto molta fatica a fargli capire che siamo spettatori, perciò saranno sicuramente degli studenti che bazzicavano per la zona”.

Kei scosse le spalle. “Non mi interessa che vengano puniti, non mi è successo niente di grave. L’unica ferita che ho me la sono fatta da sola con una testata che gli ho dato”.

“E se la meritavano, Tsukki, quindi sono d’accordo con te sul fatto che non dovresti rimpiangerlo… Ma non possono passarla liscia, lo sai?”

Lo sapeva bene. Si erano dileguati solo grazie all’intervento di Yamaguchi, probabilmente Kei non avrebbe mai gridato né sarebbe riuscita a barcamenarsi tra quei quattro ragazzi da sola. Le venne istintivo stringere i pugni e conficcare dolorosamente le unghie nella carne, con rabbia.

Non voleva allarmare Kuroo, perciò rimase fuori dalla palestra un’altra ventina di minuti, con la coca cola sulla fronte e Yamaguchi che le faceva compagnia.

Nonostante il caldo terribile le avesse messo molta sete, Kei non bevve neanche un sorso. Una sensazione opprimente di nausea le serrava lo stomaco da un po’, impedendole di ingerire qualsiasi cosa: la sua testa era un fiume in piena di “se” e “ma” in quel momento. Se Yamaguchi non l’avesse raggiunta, se la sua testardaggine le avesse impedito di chiamare aiuto, se non avesse subito tirato una testata al ragazzo dello schiaffo, cosa sarebbe potuto succedere?

La conosceva, la risposta. Qualcosa di brutto, le suggeriva la sua coscienza, anche se in quel modo era riduttivo: era bastato un solo dito estraneo sulla sua pelle nuda, quando l’avevano afferrata, a farla sentire disgustosamente sporca, anche più della sculacciata.

Per quanto vergognoso, l’impatto placido di una mano sul tessuto dei jeans non l’aveva schifata come quando le avevano messo direttamente le mani addosso.

“Tsukki, stai tremando” commentò Yamaguchi, preoccupato. Erano entrambi seduti a terra, e le loro gambe si toccavano. “Sei sicura vada tutto bene?”

Deglutire un fiotto di saliva e quel grumo di disgusto che le si era sedimentato in gola fu particolarmente difficile, per Kei. “Sto bene. Come va la mia faccia?”

Si tolse la lattina ormai gocciolante dal viso, e alzò gli occhiali a mo’ di cerchietto intanto che l’amico le dava un’occhiata. “E’ solo un bernoccolo, quindi ora meglio. Prima ho sentito il secondo cambio campo, la partita sta per finire. Te la senti di tornare dentro?”

La ragazza scosse le spalle con apparente noncuranza, ma una volta schiuse le labbra per assicurare che sì, stava benissimo ed era pronta a rivedere quella faccia da idiota del suo ragazzo, quel blocco in gola si ripresentò prepotentemente. Kei ebbe un solo brivido, ma sentito, che le avviluppò la schiena umida di sudore, prima che la sua testa venisse rigidamente scossa in un cenno di dissenso.

“Si sta facendo tardi, sicuramente hanno vinto” la buttò lì, piatta. “Tra poco abbiamo l’autobus, no? Scrivo a Kuroo che ce ne siamo andati prima, se lo perdo mia madre mi fa fuori”.

Yamaguchi aggrottò la fronte, e per un secondo non rispose. Stava sicuramente pensando che il famigerato autobus per tornare a casa sarebbe passato solo quaranta minuti dopo a una fermata che ne distava meno di quindici da dove si trovavano; ma era questo il bello del Pinch Server, Kei avrebbe persino potuto dire che volavano asini, se era giù di morale o turbata lui le avrebbe dato corda senza pensarci due volte.

“Certo”.

 

*

 

C’erano solo due campi in cui Tetsuro Kuroo ammetteva di avere un ampio margine di miglioramento: la pallavolo, la sua amata pallavolo, e il suo ruolo di fidanzato di Tsukki.

Forse fu per questo motivo che, inizialmente, al comportamento anomalo della ragazza aveva pensato di aver sbagliato qualcosa: da un po’ di tempo infatti, Kei era restia a restare da sola con lui.

Non che lo evitasse completamente, spesso e volentieri erano l’uno a casa dell’altra senza genitori o fratelli tra i piedi, ma in quei frangenti era dolorosamente evidente che cambiasse atteggiamento; si chiudeva talmente tanto che Kuroo spesso aveva pensato che si sarebbe direttamente appallottolata come un istrice, lasciando in vista solo gli aculei (ossia gli sguardi gelidi e i commenti pungenti, in quella bizzarra metafora che aveva adottato).

E la cosa lo sviliva terribilmente. Tetsuro aveva sempre saputo che Tsukishima non fosse una tipa facile, né come ragazza né come semplice persona con cui passare il tempo: si impensieriva per le cose più stupide e tirava fuori le unghie per nulla, spesso e volentieri era abbastanza lunatica e soprattutto era una maniaca del controllo. Le era sempre piaciuta per questo, decifrarla era una sfida che lo divertiva, anche se in quel caso sentiva come uno squarcio allargarsi tra loro.

Se Kei fosse stata una persona normale, ne avrebbero parlato e avrebbe probabilmente sputato il rospo dopo qualche lacrima e un abbraccio, ma l’unica volta che le aveva casualmente chiesto se andasse tutto bene non gli aveva scritto per tre giorni, chiusa in un mutismo furibondo.

Ne aveva parlato con Kenma, e lui ci aveva messo una trentina di secondi a dargli un’idea per risolvere quel problema. Come sempre.

“Perché non chiedi a Yamaguchi?”

Kuroo sbatté le palpebre più volte, poi scosse appena la testa. “Se Tsukki lo sapesse mi farebbe fuori. Si metterebbe a dire che non ho rispetto della sua privacy e non le credo quando dice che sta bene… Non guardarmi così, sta palesemente mentendo stavolta! E io non sono uno che si arrende”.

Kenma non aveva ancora alzato gli occhi dal suo videogame. “Da quanto hai detto che fa così, due settimane? Sbaglio o se n’era andata prima a quell’amichevole che abbiamo giocato fuori casa?”

“Sì, e allora? Non voleva perdere l’autobus, sai che ci si mette un’infinità per arrivare a Miyagi”.

“Magari è successo qualcosa in quel momento. Noi giocavamo, ma io ho notato Yamaguchi uscire dopo di lei, e quando è tornato per prendere lo zaino aveva una faccia terrificante”.

Tetsuro aggrottò la fronte. “Chi, Yamaguchi? Quello non conosce neanche l’espressione “rabbia” nel suo dizionario” protestò debolmente, anche se stava già riflettendo.

Che Kenma e il suo mostruoso spirito d’osservazione avessero ragione o torto, avevano appena stuzzicato l’idea di chiedergli se Kei stesse bene. Era l’unico dei suoi amici con cui fosse effettivamente in contatto, le ragazze della squadra non le conosceva…

Non fu difficile recuperare il numero del Pinch Server della Karasuno, Kenma chattava spesso con il piccoletto che faceva quella veloce sensazionale e glielo aveva fatto avere il giorno stesso.

Avevano entrambi gli allenamenti, perciò quando Kuroo riuscì a riprendere in mano il cellulare il tramonto si stava già consumando.

“Cosa posso fare per te, Kuroo-senpai?” la voce del kohai appariva ansante e affaticata, segno che probabilmente anche il suo allenamento era finito da poco.

“Ehi. Senti, di norma non avrei così tanta voglia di sentire un mio arcinemico fuori dal campo della pallavolo, ma… Come dire, sono stato forzato dalle circostanze” scherzò.

Dall’altra parte della cornetta, Yamaguchi ridacchiò. “La prossima volta che ci vedremo sarà in una palestra, senpai. Vuoi parlare di Tsukki, non è vero?”

Il sorrisino di Kuroo morì subito, anche grazie al cambio di tono del ragazzo. “E’ così. Sai com’è lei, darebbe sicuramente di matto se lo sapesse, quindi se puoi ti chiederei di non dirle che mi sono fatto sentire. Negli ultimi tempi mi è sembrata strana, quindi ho pensato di chiederti se ne sapessi qualcosa”.

Se ci fosse stato Kenma gli avrebbe probabilmente dato un pizzicotto per essersi appropriato di una sua idea, ma fortunatamente aveva altri piani quella sera ed era tornato in auto con i suoi.

Yamaguchi tacque per qualche secondo. “Tsukki potrebbe uccidermi se te lo dicessi, ha fatto pressione fin da subito perché non ne facessi parola… Se si chiude anche con te, però, non ho intenzione di lasciar perdere”.

In automatico, Kuroo emise un piccolo sospiro di sollievo nel pensare che forse non era lui la causa del malumore della sua ragazza. Quando Yamaguchi riprese a parlare, però, tutta la serenità sparì in un nanosecondo.

“Non scenderò nei dettagli, credo sia giusto che debba raccontartelo lei, ma Tsukki… Ecco, durante quella vostra amichevole che sono venuto a vedere anch’io, se l’è vista brutta con dei ragazzi fuori dalla palestra” per un secondo si sentì solo il suo respiro leggermente affaticato e la porta di un autobus che si apriva cigolando, poi si affrettò ad aggiungere: “Non le hanno fatto niente, mi sono affacciato fuori perché non tornava e li ho mandati via. Però lei era scossa, riuscivo a vederlo”.

“Gesù Cristo” Tetsuro si passò una mano sul viso, e prese un respiro profondo. Quando provava profonda irritazione la gamba destra tendeva a tremargli, e in quel momento era così incazzato che dovette conficcarsi le unghie della mano sulla coscia tesa.

Quello era decisamente peggio di un errore da fidanzato disattento. Si sentì un totale idiota per non aver capito nessuno dei messaggi che, volente o nolente, Kei gli aveva mandato negli ultimi tempi: la rigidità del suo corpo quando la prendeva per la vita, gli occhi chiusi quando la baciava, e la sua impellente necessità di porre una qualche barriera (che fosse qualcuno quando uscivano o un semplice cuscino del divano quando guardavano un film) che la dividesse da lui.

Ed era anche arrabbiato con Kei. Quella centrale fastidiosamente testarda! Non gli aveva detto una parola, come se tacendo sulla faccenda essa potesse evaporare magicamente dalla sua testa.

Non funzionava così, Kuroo lo sapeva, altrimenti avrebbe scelto di scordarsi di quel bastardo di suo padre, anziché rivederselo ogni giorno guardandosi allo specchio.

“Hai detto che fisicamente stava bene, giusto?” chiese dopo qualche minuto di pesante silenzio. Kenma gli aveva detto che Yamaguchi ci aveva messo un po’ a raggiungere Kei, il solo pensiero di cosa potesse essere successo in quel lasso di tempo gli attorcigliava lo stomaco come un palloncino.

Yamaguchi esitò. “Lei aveva… Un bernoccolo, da quello che ho capito ha tirato una testata a uno di quei ragazzi. Dovresti parlarle, comunque, sei l’ultima persona a cui vorrebbe dirlo ma l’unica con cui lo farebbe”.

Era scontato, che l’avrebbe affrontata. Non c’era più alcuna occhiataccia che tenesse, Kuroo non poteva e soprattutto non voleva lasciar cadere la questione.

Decise che avrebbe agito il giorno seguente, venerdì, che era la loro serata da sempre: Kuroo usciva spesso con Bokuto e qualche altro sbandato di sabato sera, quindi raramente era libero dopo.

Tetsuro suonò il campanello di casa Tsukishima giusto un paio di minuti in ritardo, con la confezione di gelato fra le mani e un sorriso più tirato del solito.

Ad aprirgli fu il fratello maggiore di Tsukki. “Ehilà Kuroo-kun, è bello vederti”.

“Anche per me. C’è Kei?”

Akiteru ridacchiò, e indicò le scale che portavano al piano di sopra. “E’ tutta tua. Deve essere successo qualcosa agli allenamenti di oggi, perché ha la luna storta”.

Non il modo migliore con cui intraprendere la conversazione che aveva in mente, ma non si sarebbe tirato indietro. Toltosi le scarpe e messo in frigorifero il gelato, Kuroo salì le scale di legno scuro saltando qualche gradino dalla fretta, e si affacciò fischiettando nella camera della ragazza.

Kei era riconoscibile perché era l’unico ammasso di coperte e vestiti che si muovesse in tutta la stanza. Era seduta a terra, la schiena appoggiata alla testiera del letto disfatto, e aveva le cuffie collegate al cellulare, dal quale si poteva udire indistintamente una canzone hip hop occidentale.

“E’ sempre bello notare l’ordine e il profumo di pulito tipico della camera di una ragazza” scherzò Kuroo, andando senza esitare ad aprire la finestra per non morire. Non che l’odore fosse terrificante, dopotutto lui era abituato a trovarsi in spogliatoio con una decina di maschi sudati fradici, ma era sempre divertente provocarla.

Tsukki però non reagì, anche se gli fece capire di averlo sentito con un’occhiataccia. Si tolse le cuffie, interrompendo il video, e si sistemò la coperta addosso; fuori faceva caldissimo, ma il condizionatore al massimo rendeva l’aria quasi polare in quel momento. “Hai portato il gelato?”

“Pistacchio, nocciola e fragola come mi hai ordinato, mia signora”.

“Bene” raschiò rauca, sistemandosi gli occhiali sul naso, e poi tornò a guardarsi i piedi nudi che spuntavano dal lenzuolo.

Kuroo si sedette accanto a lei, e per un po’ non disse niente.

“Oggi ho parlato con Yamaguchi” se ne uscì dopo qualche minuto, con un sorrisino nervoso. Gli occhi di Kei saettarono all’istante su di lui, ma non fiatò. “Mi ha detto cosa è successo l’altra volta quando sei venuta a vedermi a quell’amichevole”.

“Mmh” si limitò a rispondere lei, le labbra strette in una linea dura.

Tetsuro aspettò che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, ma Kei rimase in silenzio, avvolta in quel nido di coperte che avrebbe dovuto farle da scudo. “Non ti è mai venuto in mente di dirmelo?”

“Al contrario di quanto pensi, non ti metto al corrente di ogni minuto della mia vita, specie se si tratta di un avvenimento senza importanza. Quindi no, mai” disse seccata, scuotendo le spalle.

Kuroo le prese il volto tra le mani senza preavviso. Kei sobbalzò, l’espressione del ragazzo era un pallido tentativo di mascherare la rabbia. “Senza importanza? Non sei brava a prendere per il culo la gente, Tsukki. Lo sai cosa ho pensato nelle ultime due settimane? Ho pensato di averti offesa, di farti schifo o che tu ti fossi stufata di me e non avessi il fegato di dirmelo, il che era orribile, anche se non quanto il vero motivo per cui ti comportavi come una cazzo di estranea con me”.

Kei gli mise bruscamente una mano sul viso per spingerlo via, riuscendoci solo grazie al fattore sorpresa. “Stai dicendo che è colpa mia se sei insicuro di come ti comporti con me? Non è successo niente di grave e soprattutto tu non centri, quindi puoi anche tornare nel tuo mondo”.

“Il mio-Ma ti senti quando parli?” per la prima volta da quando stavano insieme-no, da quando si conoscevano, Tetsuro Kuroo alzò la voce con lei. “Cristo Kei, ti hanno messo le mani addosso! Come fai a essere ancora così cinica dal rifiutarti di vedere quanto io sia preoccupato per te? Puoi riversarmi addosso tutto il veleno che vuoi, non mi interessa, ma se credi che lascerò correre sei meno sveglia di quanto pensassi”.

La ragazza storse il viso in una morsa rabbiosa, la sorpresa per quello scatto d’ira sostituita da una bruciante rabbia personale. “Non volevo ti preoccupassi per me!” buttò fuori, ringhiando. “Mi fa sentire male, va bene? Sono rimasta fuori apposta per non farlo succedere, e sarebbe andato tutto bene se Yamaguchi-”

“Non mettere in mezzo lui” la interruppe subito Kuroo, con voce dura. “Ti rendi conto che sono dovuto andare da lui per sapere che cosa ti stesse succedendo? Non andava bene nemmeno prima, Kei, e sai perché? Perché continui a ripetere che non è successo niente, ma non riesci neanche più a farti toccare da me”.

A quelle parole Kei strinse ancor di più le labbra, e non gli rispose. Gli occhi chiari non lo guardavano neanche più, puntati a terra, e una ciocca bionda sfuggita dalla stretta ferrea della sua coda di cavallo le nascondeva parzialmente il viso.

Kuroo non si era pentito della sua ultima uscita, era la pura verità e indorare la pillola non avrebbe funzionato con lei, ma si sentì quasi male a livello fisico nel vederla così affranta. Avrebbe voluto accarezzarla, ma il “toccare” a cui si riferiva comprendeva anche e soprattutto il normale contatto fisico, perciò lasciò perdere e rimase in silenzio, seduto scompostamente sul pavimento di legno.

“Mi vergogno” la voce di Kei era solo un pigolio, ormai. “Non ho subito un trauma irreversibile o cose del genere, ma ogni volta che stiamo insieme continuo a ripensare a perché non te l’abbia detto”.

“Non so cosa sia successo, Kei, ma non sei tu quella che dovrebbe vergognarsi” si addolcì appena Tetsuro. “Avresti comunque dovuto fare reclamo a qualcuno, se sono studenti avrebbero potuto punirli”.

Tsukki sospirò. “Lo so, ma non volevo più vederli né pensare a loro. Mi facevano schifo, e mi facevo schifo da sola per non aver reagito in modo diverso”.

Il capitano della Nekoma si concesse un risolino. “Ma se Yamaguchi mi ha detto che gli hai tirato una testata? Le ragazze nei film che prendono a calci i ragazzi viscidi sono toste, ma la vita reale non funziona sempre così. Hai fatto quello che hai potuto”.

Kei si chiese come facesse a essere così idiota ogni dannatissima volta. Parlare con Kuroo era la cosa più facile del mondo, e lei lo aveva volontariamente evitato fino a quel momento nascondendosi dietro a pudori stupidi e insensati. Lo guardò sottecchi, sistemandosi gli occhiali sul naso con un moto stizzito. “Non ti vergogni a essere così mostruosamente empatico con le persone?”

Tetsuroo si esibì in uno dei suoi sorrisetti da gatto selvatico. “Sei tu che sei un iceberg con gli occhiali. Di solito le persone possiedono sempre un livello accettabile di empatia”.

Lei gli tirò un pugno sul braccio, e ironicamente fu il primo vero contatto che non le pesò da almeno una settimana. “Vammi a prendere il gelato, io sono in mutande e non ho voglia di vestirmi”.

“Stai cercando di sedurmi, Tsukki? Guarda che sono tredici giorni, sette ore e quarantadue minuti che non tocco il tuo sedere, sono molto fragile in questo momento”.

Una frase del genere detta anche solo mezz’ora prima probabilmente avrebbe reso Kei un fascio di nervi, ma in quel momento le strappò solo l’accenno di un ghigno. “Mettici la panna e potrei decidere di mangiare il gelato senza questa coperta addosso”.

Kuroo era già a metà delle scale, rischiando di travolgere un perplesso Akiteru.

Kei scosse appena la testa, con l’accenno di un sorriso, e si rannicchiò tra le lenzuola affondandovici il viso un po’ arrossato. A volte si scordava di quanto semplice e piacevole fosse stare con quell’imbecille, in preda a un brevissimo momento stucchevole si ripromise che non avrebbe più permesso a qualcuno di fare in modo che lo dimenticasse.

 

 

 

 

 

 

NOTA: il comportamento di Tsukki è terribilmente tossico. Se vi succede qualcosa del genere riportatelo immediatamente a chi di dovere, o parlatene con qualcuno; non tutti hanno un “Yamaguchi” a portata di mano che possa evitare il peggio.

Le molestie sessuali sono un problema concreto in Giappone (ho sentito racconti agghiaccianti), ma ammetto che all’inizio sarebbe dovuto essere tutto molto più leggero: nella bozza del racconto Kuroo recuperava una palla dispersa fuori dalla palestra, e dava il via a un siparietto semi-comico tra lui e i teppistelli. Non chiedetemi cosa sia successo perché non ne ho idea.

Il microscopico riferimento di Kuroo a suo padre è un espediente narrativo che ho inventato di sana pianta per farlo empatizzare con Tsukki, e non è stato approfondito proprio perché non è su di lui che verte il racconto.

Chiudo dicendo anche che oltre che più leggera sarebbe dovuta essere una os un po’ più hot, non da rating red ma di sicuro non una gialla. Vabbè, alla fine la fluff è meglio di niente.

Spero vi sia piaciuta!

Xoxo, clownqueen

   
 
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