Anime & Manga > Card Captor Sakura
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Autore: steffirah    21/08/2020    1 recensioni
A causa del lavoro del padre Sakura verrà ospitata a casa di una sua cugina, in una cittadina dal nome mai sentito prima, nell'estremo nord del Paese. Qui farà nuovi incontri, alcuni dei quali andranno oltre la sua stessa comprensione, mettendo a dura prova le sue più grandi paure. Le affronterà con coraggio o le lascerà vincere?
Una storia d'amore e di sangue, di destino e legami, avvolta nel gelo di un cielo plumbeo, cinta dalle braccia di una foresta, cullata dalla voce di un lupo.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eriol Hiiragizawa, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Tomoyo Daidouji | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ritrovarsi




Sorrisi tutto il tempo inebetita, sentendomi quasi fluttuare su una nuvoletta rosa durante l’intero arco della mattinata. Già a colazione avevo mangiato i cornetti caldi in maniera molto distratta, facendo cadere briciole dappertutto sulla tavola, e il tè col latte lo avevo sorseggiato ad interruzioni, fissando il vuoto. Mio fratello mi aveva adocchiata con sospetto e a giudicare dal suo sguardo rabbuiato probabilmente aveva pure capito cosa era successo, ma c’era poco da fare. Anche se avesse provato a distruggere la pace che provavo non sarebbe mai riuscito a rovinare il mio buonumore.
La sensazione delle sue labbra, le labbra di Syaoran-kun, sulle mie, persisteva. Era come se col suo ghiaccio mi avesse lasciato un’impronta indelebile di fuoco. Anche quando si era allontanato lo avevo guardato sentendomi totalmente rimbambita… finché non avevo razionalizzato quel che aveva fatto, e allora mi sentii esplodere come una teiera. Syaoran-kun aveva riso di quella mia reazione, sebbene in quel suo modo quasi impercettibile anche lui paresse piuttosto imbarazzato, e mi aveva salutata definitivamente, augurandomi buon viaggio. In realtà avrebbe voluto rimanere, almeno finché non fossero cominciate le lezioni, ma a sua detta rischiava di far innervosire mio fratello – che per qualche ragione sembrava non averlo preso in simpatia.
«È perché sei troppo perfetto, troppo impeccabile, e sa che ti amo e che per te farei qualunque follia, compreso dire addio per sempre alla mia umanità, alla mia vita» avrei voluto dirgli, ma dopo quella sua azione totalmente imprevista dalla mia bocca uscivano solo suoni sconnessi.
Le mie labbra bruciavano, scottavano, come se avessi baciato il sole stesso, ed era un paradosso quando la sua temperatura era invece tanto bassa che avrebbe dovuto soltanto farmi rabbrividire. E sì, i brividi li avevo, ma di certo non erano provocati dal freddo. Anzi, era quel piacevole calore che aveva lasciato dentro e fuori di me ad azionarli.
Sospirai sognante, appoggiando la fronte contro il finestrino, ammirando il vasto cielo e l’immensa distesa di nuvole bianche sotto di noi senza neppure vederli davvero. Ripensai alla morbidezza di quel bacio, così simile ad una carezza, così casto e innocente e ingenuo e puro e limpido. Era il mio primo bacio in assoluto! E pensare che Syaoran-kun mi aveva veramente baciata, come aspettavo da così tanto, così tanto tempo… Poteva mai essere reale?
Chiusi gli occhi, beandomi di quel ricordo, decidendo che lo avrei custodito in eterno nel mio cuore e nella mia memoria. Ci eravamo lasciati in una maniera fantastica, sorprendente, inimmaginabile. E speravo che quando ci saremmo ritrovati avremmo rivissuto un’emozione simile, se non persino più grande.






A Tomoeda gli anni trascorsero in fretta. Per la mia gioia, le settimane si susseguivano una dopo l’altra, i mesi si rincorrevano, gli anni saltavano, rendendo sempre più vicino quel momento che tanto agognavo. Senza che neppure me ne rendessi conto il tempo ticchettante volò via dalle mie mani, e in men che non si dica giunse il momento di tornare. Di tornare al nord. Di tornare da lui.
Naturalmente, sapendo che quelli sarebbero stati i miei ultimi istanti da umana, cercai di godermeli al meglio. Facevo tutte le cose che soltanto a me erano possibili, ad esempio cominciai a mangiare persino più del solito, soprattutto dolci a non finire – con grande piacere di mio padre; insieme a lui e Touya provammo anche a cucinare cibi etnici, che fossero indiani, italiani, turchi e così via, invitando ogni volta a cena Yukito-san che ne favoriva volentieri. Feci di tutto per non perdermi nulla, cominciando a vivere appieno la mia vita. Ogni giorno sorridevo, in vista della giornata fantastica che mi aspettava, e il mio sorriso si allargava anche di più dinanzi alla prospettiva che mancava sempre meno, sempre meno, e presto anch’io sarei divenuta una “creatura delle tenebre”. Ciò che più temevo in passato, ciò che adesso più amavo.
Quando c’erano belle giornate, pertanto, le trascorrevo sempre fuori casa, tenendomi impegnata con uscite o commissioni. Non era difficile, visto che ormai avevo finito il liceo e con l’università fortunatamente avevo un po’ più di tempo libero. Il primo anno seguii tutti i corsi e studiavo impeccabilmente, ma già dal secondo potetti cominciare a gestirmela io, non avendo più obbligo di frequenza. Attualmente mi trovavo al quarto anno, ben presto lo avrei finito e i miei sogni d’amore avrebbero potuto realizzarsi, proprio come mi aveva promesso la mamma.
Mi mancava Syaoran-kun. Il fatto che ci fosse il tabù sullo specchiarsi non ci permetteva di fare videochiamate, il che già era un punto a nostro sfavore. Non lo vedevo da quasi cinque anni. Mi mancava il suo viso. Mi mancava il suo sorriso. Mi mancava il suo freddo. Mi mancava il suo respiro. Mi mancavano i suoi colori. Mi mancava la sua voce, non quella profonda e meccanica che si sentiva a telefono, ma quella calma e pacificante, quella che mi sussurrava direttamente alla mente, quella che mi infondeva coraggio. Ci chiamavamo quasi ogni sera, ci mandavamo messaggi ogni giorno, ma non bastava. Capivo dalle sue parole, talvolta intrise di malinconia, che anche lui sentiva la mia mancanza, sebbene oltre ai regali che gli avevo fatto lui avesse anche i ritratti di me. Per questo, non facendocela più neppure io, ogni anno prima delle vacanze gli proponevo se potessi salire al nord, ma lui puntualmente rifiutava e mi rimproverava, dicendomi “Vivi la tua vita con i tuoi simili finché puoi”.
E lo stavo facendo, davvero. In estate andavo al mare con i miei nuovi amici conosciuti all’università e per tre anni consecutivi c’erano anche stati Chiharu-chan, Yamazaki-kun, Rika-chan, Naoko-chan e Akiho-chan. Come promesso funsi loro da guida turistica per visitare le zone più famose del Kantō e durante le nostre gite scoprii che Chiharu-chan e Yamazaki-kun avevano deciso di sposarsi una volta completati gli studi. Mancavano ancora degli anni, ma già mi avevano invitata – o meglio, obbligata a presenziare al loro matrimonio, naturalmente al fianco di Syaoran-kun. Ero molto contenta per loro, sapevo che si amavano praticamente da sempre e non vedevo ragioni per cui non avrebbero dovuto unirsi una volta per tutte.
Rika-chan pure si era dichiarata al sensei, e sebbene inizialmente lui la avesse messa dinanzi all’improbabilità di una relazione fattibile – essendoci molte difficoltà a causa della loro differenza d’età –, lei non si era arresa e col tempo lui aveva capito quanto fosse sincera e disposta ad aspettare. Una volta divenuta maggiorenne quello che una volta sembrava un abisso insormontabile pareva essersi ridotto e fortunatamente lui le permise di avvicinarsi a sé.
Anche Naoko-chan aveva trovato l’amore stesso all’università, dove per caso era stata aiutata in un momento di difficoltà da un gentile senpai, che in realtà aveva già notato quando andava a studiare in biblioteca.
Ero felicissima di trascorrere di nuovo del tempo con loro e ricevere tutte quelle notizie positive.
Approfittando della presenza di Akiho-chan, inoltre, per un certo periodo visitammo anche il luogo in cui abitava, nello Shikoku. Umaji era un piccolo villaggio circondato da montagne, foreste e corsi d’acqua, celebre per la produzione di yuzu, che avemmo la possibilità di provare non solo come cibo ma anche nei cosmetici e negli shampoo. Essendo avvolto dal verde somigliava molto a Reiketsu, ma era così pieno di sole che mi chiesi come avesse fatto Kaito-san a vivere lì per anni interi. Forse non usciva mai di giorno, se non col maltempo? Eppure i doveri di un maggiordomo mi sembravano più pressanti di così…
Ad ogni modo, durante quelle estati trascorse insieme ci recavamo in tutti i luoghi in cui si poteva andare col sole, finendo anche con l’abbronzarci più che mai. Nuotavamo al mare e in piscina, facevamo escursioni, praticammo trekking, rafting ed equitazione nello Shikoku, partecipavamo ai matsuri, mangiavamo gelati e granite, spaccavamo angurie… facevamo realmente di tutto.
Per quanto riguardava la mia relazione a distanza, le ragazze, dopo avermi parlato delle loro situazioni amorose, si interessarono a loro volta sul suo andamento e io raccontai che – nonostante quel piccolo posto vuoto onnipresente al mio fianco – stava andando bene, perché Syaoran-kun occupava tutto il mio cuore.
Frequentando anche loro l’università a Sapporo mi raccontarono di averlo incontrato spesso in giro per il campus e quando lo incrociavano lo vedevano sempre un po’ giù di morale, ma nel suo viso c’era anche determinazione. Sapevo già che avesse cominciato a frequentare quell’università, insieme alle nostre cugine ed Eriol-kun, mentre Feimei-chan aveva voluto aprire un negozio di artigianato nel paesino stesso. Erano rimasti tutti lì, ma era inevitabile. Mi dispiaceva sempre che dovessero perdersi tante meraviglie del mondo, ma capivo che non avevano molta libertà di spostarsi.
Pertanto, questo divenne il mio obiettivo: una volta completati i quattro anni universitari qui avrei provato ad ottenere un master lì in scienze delle comunicazioni e turismo. Avevo scelto quella facoltà perché comunicare con gli altri sembrava l’unica cosa che riuscissi a fare realmente senza sforzo e per quanto fosse pesante lo studio era piacevole; soprattutto, lo erano i tirocini.
La ragione per cui avrei aspettato tutto quel tempo era molto semplice: dopo che fui ritornata nella mia città Syaoran-kun fu piuttosto chiaro riguardo alle condizioni per trasformarmi. Mi scrisse una lunga mail elencandomi i pro e i contro (come se così avesse potuto fermarmi, quando sapeva che non mi sarei mai ravveduta), seguiti da una sfilza di richieste che prevedevano il fare tutte le cose da umana (come il dormire di più la notte, assaggiare tutti i cibi possibili e gustarmeli, prendere il sole, fotografarmi, uscire con altri esseri umani, abbracciarli con tutte le mie forze, restare costantemente accanto ai miei cari). Inoltre, dato che sarei stata come Tomoyo-chan la mia crescita si sarebbe bloccata, quindi desiderava che prima maturassi e compiessi almeno vent’anni.
Non potendo starmene due anni a fare nulla, una volta finito il liceo decisi di proseguire subito iscrivendomi all’università di Tokyo, la stessa frequentata da mio fratello – seppur non ottenendo i suoi risultati eccezionali –, dando a Syaoran-kun un ultimatum di massimo 5 anni. Di più non gli avrei concesso, temevo d’invecchiare e che la differenza tra di noi divenisse troppo palese.
Al suo accettare quel lasso di tempo ne gioii dentro, anche perché così il mio piano avrebbe funzionato. A lui non lo avevo svelato perché volevo fargli una sorpresa, ma lo raccontai sia a Tomoyo-chan che a Meiling-chan, in modo tale che eventualmente avessero potuto fungermi da complici.
Una volta completata la tesi e laureata, quindi, controllai i risultati per i test d’ammissione alla Hokudai, scoprendo che sebbene non con un punteggio eccellente ce l’avevo fatta a passare, e tanto mi bastava. Mi preparai quindi a fare le valigie, a dire addio a tutto, una volta per tutte: alla mia città, alle mie amicizie, alla mia famiglia. Era difficile staccarsi da loro, l’affetto che provavo mi induceva ad interrogarmi se quella fosse realmente la decisione giusta da prendere, ma sapevo che lo era. Sapevo che quello era il nostro destino. E sapevo che Touya non me l’avrebbe mai perdonato. Ma per quanto avrei voluto che anche loro facessero la mia stessa scelta per continuare ad averli vicini, mio fratello e mio padre avevano la loro vita da vivere ed io per il mio amore non potevo costringerli a rinunciarvi. In questo, un po’ capivo perché Syaoran-kun era sempre stato così riluttante.
La cosa peggiore era non poterne parlare con nessuno, perché nessuno mi avrebbe realmente capita. Se ci avessi provato non avrebbero fatto altro che tentare di “mettermi del senno”, convincendomi a non lasciare quel che avevo. Era un porto sicuro, contro un futuro incerto. Eppure, quel che nessuno avrebbe compreso era che per me anche quel futuro oscuro rappresentava un nido in cui mi sarei sentita amata e protetta.
Qualcuno avrebbe anche potuto pensare che, essendoci io e Syaoran-kun innamorati quando eravamo adolescenti, col tempo quel sentimento avrebbe potuto affievolirsi e persino svanire; ma non era così. Al contrario, seppure distanti sentivo che il nostro legame non faceva che rafforzarsi. Era come se ci fosse un significato più grande dietro tutto quello che stavo vivendo, come se noi fossimo realmente nati per unirci, per completarci, per stare insieme in qualunque forma, in qualunque esistenza. Quel pensiero mi riempiva di gioia e dolcezza, dava un senso a tutto e mi faceva sentire sicura e coraggiosa. Syaoran-kun era il mio destino e il mio destino mi stava aspettando. Non dovevo farlo attendere ancora.
Pertanto, una volta finite le vacanze primaverili presi il primo volo per Sapporo. Non appena scesa dall’aereo sorrisi contenta al cielo grigio e mi affrettai a recuperare la mia valigia, prima di correre a prendere un pullman. Scesi a pochi passi dal campus e una volta giunta dinanzi all’accademia la fissai trattenendo il fiato, col cuore a mille. C’eravamo quasi.
Pensai fosse meglio posare il bagaglio prima, per cui mi recai dapprincipio nella mia stanza del dormitorio femminile. Bussai alla porta, in attesa che la mia coinquilina mi aprisse, e quando essa si sbarrò il mio sorriso arrivò probabilmente alle orecchie.
«Sakura, eccoti!» esclamò in tono acutissimo Meiling-chan, trascinandomi all’interno per stritolarmi – si fa per dire.
«Meiling-chan!» piagnucolai felicissima, abbracciandola a mia volta, cominciando a rilassarmi nel risentire quella freschezza assente per tanti anni.
«Ben arrivata.»
Mi si staccò, prendendo lei il mio trolley, per poi chiudere la porta. Mi riempì di domande, sul come era andato il viaggio, sulla mia vita fino ad allora, se fossi stanca e così via. Non smetteva un attimo di parlare e capivo perfettamente il suo entusiasmo, ma le mie risposte erano alquanto brevi. Il mio cuore palpitava in maniera incessante, le mani cominciarono a sudarmi per l’agitazione.
«Dai, chiedi pure» rise, notando quanto fossi irrequieta.
«Come… Come sta Syaoran-kun?» domandai timidamente, sentendomi arrossire.
Lei mi rivolse un sorriso ammiccante, sedendosi sul suo letto nella parte già occupata della stanza, di fronte alla mia ancora spoglia.
«Perché non glielo chiedi tu? Lo trovi di certo nel parco, tra i ciliegi» assicurò con certezza, indicando verso l’esterno. «Hai bisogno di una mappa?»
«No, lo troverò!» assicurai, ringraziandola prima di correre via.
Il mio cuore lo avrebbe di certo trovato.
Uscita fuori seguii sentieri, campi, superai edifici, caffetterie e la mensa, affiancai piccoli canali e stagni facendomi accarezzare dai lunghi rami dei salici piangenti, e scrutai tra gli alberi che solo in questo periodo stavano ritornando alla vita. La mappa me l’ero studiata alla perfezione nell’ultima settimana, in modo tale da riuscire a muovermi più velocemente in questo territorio così vasto, e se non ricordavo male gli yaezakura sbocciavano di fronte alla biblioteca della facoltà di medicina.
Corsi in quella direzione, sentendomi sempre più accaldata quanto più mi ci avvicinavo. Non appena li raggiunsi mi ci fermai per un istante al di sotto, notando quanto fosse scuro il loro rosa e quanti petali ne componessero i fiori. Come si diceva, sembravano realmente delle peonie.
Presi un profondo respiro posandomi le mani sulle guance, sperando di calmarmi e raffreddarmi, tentativo del tutto futile visto che continuavo a sentirmi bruciare. Cominciai a percorrere quel viale, guardandomi attentamente intorno. Non sembrava esserci nessuno a quell’ora – forse non c’era molta gente perché il tempo portava pioggia – per cui non avrei dovuto avere difficoltà a trovarlo. Eppure, non riuscivo a vederlo da nessuna parte.
Per un attimo temetti potesse non essere lì, magari era in biblioteca o nella sua stanza. Calpestai la poca neve rimasta un po’ abbattuta, osservando i frutti rossi che emergevano da un nanakamado ancora spoglio. Mi ci avvicinai avvilita, e allora mi bloccai.
Proprio affianco ad esso, quasi a volerlo coprire con la sua folta chioma rosata, v’era un ciliegio dal colore pallido che sembrava cingerlo. Al di sotto di quei petali sostava un ragazzo, col naso puntato all’insù e le palpebre chiuse, in un atteggiamento rilassato. I suoi capelli erano un po’ più corti e ordinati di come li ricordavo, ma erano i suoi. Indossava un maglione blu, d’un blu elettrico, stupendo, del colore dell’oceano, il colore che io gli avevo associato. Le sue labbra si distesero in una morbida linea poco prima che aprì gli occhi, spostandoli dai fiori direttamente a me, riempiendomi di dolcezza con quel suo candido viso.
Sentii le lacrime raccogliersi, soprattutto quando si voltò aprendo le braccia, quasi ad invitarmi di tuffarmici. E così feci.
Corsi scoppiando a piangere, saltando tra le sue braccia, stringendolo con tutta me stessa. Lui mi sorresse e mi avvolse la schiena, posando il viso tra i miei capelli, respirando tra essi.
«Bentornata, Sakura.»
Ascoltai la sua voce, così simile eppure diversa, un po’ più pacata e matura. Mi allontanai di poco per guardarlo in viso, sorridendogli in mezzo alle lacrime.
«Sono tornata.»
Rispose con un sorriso radioso e mi asciugò le guance, assicurandosi: «Sono di felicità?»
«Assolutamente sì!» lo rassicurai, ridendo, lasciandolo fare.
Mi staccai di poco giusto per riprendermi, facendogli notare: «Mi trovi cresciuta?»
Piegò la testa su un lato, analizzandomi dalla testa ai piedi, con aria concentrata.
«Sei cresciuta?»
Gonfiai le guance, fingendomi stizzita.
«Certo che sì! Ora sono alta precisamente un metro e sessantadue!» mi vantai fiera, mettendomi dritta.
Mi fissò impassibile, un po’ incredulo, mettendosi a sua volta dritto.
«Non te ne accorgi perché anche tu sei diventato più alto» borbottai, dandogli una lieve spinta.
Rise divertito, ammettendo: «Hai ragione, sei più alta.»
Esultai interiormente, precisando: «E sono anche più donna.»
Si portò una mano davanti alla bocca con aria riflessiva, scrutandomi. Speravo con tutto il cuore che tanto gli bastava, avevo gioito come non avevo mai fatto una volta scoperto che stavo maturando, proprio come lui desiderava. Ciononostante non diceva nulla e io non avevo idea di come interpretare quel silenzio analitico.
«Non… non vado ancora bene?» chiesi con un fil di voce, abbassando lo sguardo.
Lo sentii posarmi una mano sul viso, per sfiorarmi delicatamente la guancia. Riportai gli occhi nei suoi, percependo il mio cuore galoppare, certa che anche lui lo udisse.
«Sei sempre stata perfetta» smentì, avvicinando il viso al mio, guardandomi con una dolcezza impareggiabile. «Mi sei mancata tantissimo.»
Nel sentire il dolore celato nella sua voce avvertii di nuovo una lacrima rotolarmi giù fino al mento.
«Anche tu, sempre. Costantemente.»
«Ma adesso sei realmente qui.»
«Sì.»
«Sei realmente al mio fianco.»
«Lo sarò per sempre.»
Chiuse gli occhi, e io avvertii il suo cuore sorridere.
«Anche io, Sakura. Staremo insieme in eterno.»
«In eterno…» gli feci eco, cominciando a sentirmi la testa leggera mentre abbassavo lentamente le palpebre, mi allungavo sulle punte, incontrando la morbidezza delle sue fredde labbra.
Di nuovo, per la seconda volta in questa vita, ricevetti il suo respiro, e la terra scomparve da sotto i miei piedi, facendomi volare in un paradiso tutto nostro. Di nuovo, esistevamo solo noi due, e per le ore, i giorni, le settimane a venire, la mia mente divenne leggera come un palloncino, riempendosi poco alla volta del coronamento del nostro sogno.










 
Angolino autrice:
Salveeee! Che dire, ero convinta che mancassero due capitoli ancora, e invece questo è l'ultimo (seguirà l'epilogo). Ora piango sul serio T//T
Tralasciando il mio commuovermi, passo direttamente alle spiegazioni: 
- le università in Giappone durano generalmente 4 anni
- col termine "senpai" si indica uno studente che si trova uno o più anni davanti a noi (può essere usato anche in altri ambiti, per indicare che una persona lavora in un determinato posto da più tempo e quindi ha più esperienza)
- lo "yuzu" è un frutto, una specie di mix tra un mandarino e un limone
- "Hokudai" è diminutivo di "Hokkaido University" (l'università qui descritta esiste davvero - naturalmente non ci sono stata, ma ho cercato di esservi fedele)
- gli yaezakura sono una tipologia di ciliegi (ma penso si fosse capito)
- il nanakamado (o sorbus commixta) è una specie di albero tipico del Giappone - per le piante, consiglio di cercare immagini per poterle visualizzare.
Credo di aver detto tutto, ma come sempre, se ho tralasciato qualcosa non esitate a farmelo notare.
A presto con la fine fine fine TwT
Steffirah

 
  
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