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Autore: Taylortot    21/08/2020    1 recensioni
La paura gli si inerpicò in bocca, amara sulla lingua. “Chi sei?” Gli ci volle un momento per registrare il suono della sua stessa voce.
Lei lo fissò e sbatté le palpebre. “Lance, per favore. Non è il momento per una delle tue battute-”
Lui aggrottò le sopracciglia e si mise a sedere a fatica per sfuggire alle braccia di lei. “Non sto- non sto…scherzando.”
*
Dopo essersi sacrificato per salvare Allura, Lance si sveglia in un mondo strano e nuovo dove l’unica cosa che sente è un profondo legame con un ragazzo che non ricorda.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, Krolia, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note della traduttrice: Sorpresa! Siamo riuscite a tradurre e betare il capitolo in tempo record, quindi abbiamo pensato di postarlo subito per farci perdonare della lunga assenza in questi mesi estivi!

Buona lettura <3

 


 

“Credi che Lotor possa giustificarsi così?”

Lance si mordicchiò il labbro inferiore mentre si lavava le mani nel lavandino della cucina per pulirle da un succo che puzzava come di cipolla. Aveva captato con facilità la domanda che Hunk aveva fatto ad alta voce.

“Non lo so.” Ammise Lance, sbirciando da dietro la spalla giusto in tempo per vederlo infornare la loro cena con uno dei suoi sguardi preoccupati. “Ma Allura è arrabbiata. È un tipo intelligente, Hunk, e i tipi intelligenti non tornano strisciando dalle ragazze che hanno lasciato se non per una buona ragione.”

Stava anche pensando alla faccia che lei aveva fatto quando avevano guardato il videomessaggio quel pomeriggio. Allura era arrabbiata, sicuro, ma c’era anche un che di selvaggio nel suo volto, un qualcosa nascosto da quel muro freddo e insensibile che usava come facciata. Quel qualcosa aveva colpito Lance nel profondo del cuore e si era sentito investire da un’ondata di familiarità che portava il riflesso della sua stessa disperazione di alcuni giorni prima, quando Keith era entrato nella sua vita, vivo e perfetto e reale.

Lotor aveva detto: “Comprendo quello che pensate di me, ma datemi la possibilità di spiegarvi cos’ha visto il vostro paladino rosso, ve ne prego.” Il suo volto era supplichevole, la voce sincera, grondante di una promessa di completa onestà, e sembrava che quelle parole fossero indirizzate ad Allura, solo ad Allura. Lance era straziato per lei. Sapeva che non doveva essere facile; Lotor l’aveva tradita e l’aveva amata, e non c’era posto per la facilità tra quegli estremi, non quando erano intrecciati così saldamente.

Hunk sospirò e Lance gli fece spazio, asciugandosi le mani con un canovaccio, in modo che anche l’amico potesse lavarsi le mani. “Già, nemmeno io. Cosa pensi che farà?”

Lance lo sapeva già; faceva paura quanto poteva comprenderla in modo così intimo, ma fece comunque spallucce. Le circostanze potevano anche essere del tutto diverse, ma l’amore, alla fine, aveva alcuni tratti universali condivisi da tutti. L’amore rendeva stupidi e forti e coraggiosi e Allura avrebbe dovuto essere tutte e tre le cose per permettere a Lotor di mettere di nuovo piede nel castello. “Vedremo. Parlare con Lotor sarebbe sicuramente meglio di risolvere le cose alla Voltron con un combattimento.”

Pidge sbuffò col naso da dove si era appollaiata sul ripiano della cucina, con il computer accoccolato in grembo sulle gambe incrociate. “Come no. Prova a dirlo a Keith.”

Lance strinse le labbra e non rispose. Non era rimasto sorpreso dal rifiuto categorico di Keith alla proposta “Facciamo tornare Lotor nel castello?”. Non che Lance si fidasse di lui, soprattutto dopo tutto quello che era successo su quella luna nell’abisso quantico, ma non voleva neanche che tutto quel casino si ripetesse.

Era solo che… meno dovevano combattere e meglio era. E più sicuro. In quanto difensori dell’universo, combattere era parte delle loro mansioni, ma più riusciva a tenere lontano un Keith spericolato e altruista dal campo di battaglia, meno stretto era il nodo d’ansia che gli comprimeva il petto. Combattere per mantenere la sicurezza di interi pianeti era totalmente diverso dal combattere con l’imperatore di un impero di cui la coalizione ancora si fidava poco.

Hunk sospirò di nuovo, questa volta più grave, e si concentrò sulla preparazione di una nuova portata mentre la cena si cucinava nel forno, giusto per tenersi impegnato. Lance si era accorto che cucinava quando era stressato e, nonostante il caos che scuoteva il castello – con la storia di Lotor e perfino con quella di Shiro, anche se nessuno a parte lui e Keith stava investigando la cosa –, era confortante notare qualcosa dei suoi amici senza che nessuno glielo dicesse.

Lance si propose per dare una mano, anche se una parte di lui voleva andare a cercare Keith. Dopo quella storia di Lotor, Shiro e Keith avevano avuto una sorta di scontro verbale perché avevano opinioni diverse su cosa fare. Poi era intervenuta Allura, che aveva suggerito con freddezza di prendersi più tempo per pensare alla questione. Shiro se n’era andato sbuffando e Keith aveva preso la direzione opposta dopo poco. Lance stava per seguirlo, ma Keith gli mandò un messaggio dicendo che aveva bisogno di tempo per pensare.

Ho bisogno di stare da solo per un po’, aveva scritto, telegrafico e diretto.

Lance avrebbe rispettato la sua richiesta. Era preoccupato, ma dopo giorni in cui Keith si era aperto a lui, il minimo che poteva chiedere era del tempo per sé. Fammi sapere se hai bisogno di qualcosa.

Va bene. Grazie. E poi, dopo: Dopo voglio vederti.

Quello lo aveva fatto andare a sbattere contro un muro come un idiota. Dieci minuti più tardi, Okay era stata l’unica e banale risposta che era riuscito a pensare, ma almeno aveva risposto, miracolosamente, a dispetto dello scoppiettio di felicità che aveva riempito la sua testa di un chiacchiericcio allegro.

Anche se odiava ammetterlo, anche lui avrebbe avuto bisogno di un po’ di tempo da solo.

Sentiva ancora lo stomaco bruciare per la conversazione di poco prima; era stato lì lì per dichiararsi e, anche se si era sentito imbarazzato, anche se la realtà di quel gesto lo arroventava con un calore e un peso inspiegabili, non ne era più terrorizzato. Cauto, forse, ma non terrorizzato. Non come prima, quando temeva il pensiero di farsi conoscere, di non sapere come sarebbe stato accolto, di essere troppo. Ma le mani di Keith erano ferme e calde, e i suoi occhi erano gentili e non importava cosa provava perché non si sarebbe allontanato da Lance. Erano migliori amici; erano l’uno l’ancora dell’altro.

Era stato Keith che l’aveva attratto.

Sicuro. Caldo. Gentile.

Sentiva quel calore fino alla punta delle orecchie e non aveva paura. Un piccolo sorriso si fece lentamente strada all’angolo della sua bocca mentre impastava una massa verde.

Pidge strizzò gli occhi da dietro i suoi occhiali tondi, sospettosa. “Perché sei così felice?”

Lance alzò gli occhi al cielo e scrollò le spalle. “Niente.”

Non sembrò molto convinta e nemmeno Hunk, che si scambiò un’alzata di sopracciglio con lei, ma quella era l’ultima delle preoccupazioni per Lance quel giorno.

Hunk e Pidge chiacchierarono senza posa di quello che stava succedendo e Lance si fece prendere dalla conversazione sempre di più per distrarsi dal pensare a Keith fino a quando la cena fu pronta e il pranzo di tipo un’intera settimana preparato. Hunk inviò un messaggio al team per avvertirli che potevano trovare il cibo in frigo, ma gli unici che si presentarono a cena per mangiare furono Coran e Krolia, con Kosmo alle calcagna.

Nonostante il suo aspetto guerriero, Krolia conversava facilmente con Coran; la sua voce calda da contralto era abbastanza gentile, in contrasto con la sua dura scorza esteriore. Lo sguardo di lei si soffermò su Lance quando questi si inserì nella conversazione, e sentire la sua attenzione su di lui lo fece sedere con la schiena un po’ più dritta. Era come se potesse leggerlo come un libro aperto e Lance si domandò che cosa Keith le avesse raccontato di lui.

Un momento. Le aveva mai parlato di lui?

Lance scosse la testa mentalmente; quella non era affatto una priorità al momento. E poi, cosa c’era da dire?

Non mangiò molto. Solo quel poco da non far insospettire Hunk né istigare le sue domande. Dopo aver allungato di nascosto il resto della sua cena a Kosmo e aver lavato le sue cose, sgusciò fuori dalla stanza per trovare un po’ di pace e tranquillità. Vide che solo Krolia aveva notato la sua fuga, gli altri erano troppo presi a parlare di Allura e Lotor. Lance le rivolse un sorriso affettato e nervoso, ma se lei gli aveva risposto in qualche modo, non lo vide.

Circa a metà corridoio, sentì una presenza alle sue spalle e si girò, vedendo Kosmo che lo seguiva con le orecchie attente e gli occhi intelligenti e curiosi. Dal modo in cui le attenzioni del lupo lo facevano stare bene, pensò che anche prima doveva aver amato così tanto gli animali. Gli sorrise, dandogli un buffetto sul fianco.

“Dai, vieni qui, cucciolone.” Disse.

Kosmo tirò fuori la lingua e trottò al suo fianco, prendendo l’andatura di Lance. Lance lo grattò dietro le orecchie e sorrise quando il lupo seguì il suo tocco.

Non aveva un piano vero e proprio; inizialmente, voleva andare nella sala allenamenti per esercitarsi un po’, giusto per concentrarsi su qualcosa che non fossero i suoi pensieri turbinanti. Però, arrivato lì vicino, sentì che qualcuno la stava già usando. A giudicare dal modo in cui Kosmo si era soffermato davanti alla porta, era abbastanza sicuro che si trattasse di Keith e nonostante ogni singola cellula del suo corpo morisse dalla voglia di aprire quella porta e stare con lui, voleva rispettare la sua richiesta di stare da solo.

Dunque, optò per andare nell’hangar di Rosso. Almeno sapeva che lì avrebbe trovato conforto. O perlomeno era quello che pensava.

Quello che trovò fu Allura, seduta sulla zampa del leone rosso. I suoi lunghi capelli di luna le ricadevano lungo la schiena in boccoli disordinati, le ginocchia strette al petto e le braccia attorno alle gambe per tenerle vicine a sé. Gli occhi di lei si posarono brevemente su di lui e poi su Kosmo quando Lance si fermò a guardarla, stupito dalla sua presenza in un luogo che aveva sempre percepito come inviolabile dagli altri. Uno spazio che era sempre stato suo.

“Allura.” Disse, anche se suonò più come una domanda.

Lei si tirò su, sciogliendo la presa sulle gambe, l’espressione neutra quando distolse lo sguardo da lui. “Lance.”

Lui aggrottò le sopracciglia e si diresse verso di lei, a malapena cosciente del lupo al suo fianco. “Cosa ci fai qui?” Perché qui, perché con Rosso invece che con Blu? Lance si arrovellò la mente alla ricerca di una spiegazione, ma non ne trovò nessuna e rimase lì, confuso. Sembrava che Allura volesse rimanere sola, quindi dubitava che lo stesse cercando, ma non riusciva a pensare a nessun altro motivo.

Lei incrociò le caviglie, fredda e piatta e distaccata. “Immagino che nessuno ti abbia detto che mio padre è stato il primo paladino rosso di Voltron.” Disse, come a voler rispondere ai suoi pensieri. La sua confusione si dissipò; Hunk gli aveva detto che Allura e suo padre erano stati molto legati prima che lui morisse. “Volevo… parlargli, ma non ci riesco quindi…”

Sembrava distante. Lance aggrottò le sopracciglia e si fermò di fronte a lei. Allura sollevò lo sguardo. “Stai bene?”

Si pentì di quelle parole non appena ebbero lasciato le sue labbra. Che domanda stupida… Certo che non stava bene. Non esisteva che stesse bene. Si morse la lingua e la osservò mentre si sistemava sul posto, fissando i suoi penetranti occhi blu su di lui, guardandolo dall’alto del suo trespolo. Nonostante il tono della sua voce e il volto disteso, i suoi occhi erano stanchi e sfibrati.

“Lance, non so cosa fare.” Lì, proprio in quel momento, la sua voce tentennò. Gli si spezzò il cuore a sentirla così.

Si arrampicò di fianco a lei e si sedette al suo fianco per starle vicino. “Non sono tuo padre, ma sono un buon ascoltatore. Ti va di parlarne?” La sua voce era gentile e umile e una minuscola parte di lui continuava ad annuire in assenso. Non sapeva perché si sentisse così affine ad Allura, alla sua confusione e disperazione, alla sua situazione, ma era così. Voleva esserci per lei; era il minimo che potesse fare dopo che lei gli aveva salvato la vita. Il minimo che poteva fare in quanto amico.

“Lo amo ancora.” Ammise lei miseramente, la voce al tempo stesso calma e fredda. “Non dovrei. Vorrei non amarlo ancora.” Si interruppe di colpo e distolse lo sguardo.

Lance si guardò le ginocchia, quel piccolo strappo sui jeans, i fili bianchi e slabbrati. “Non ci si disinnamora in un giorno. Non puoi colpevolizzarti per provare dei sentimenti, Allura, non funziona così.”

“Non dovrei, forse?” Rispose lei, fredda.

“No.” Deglutì. “Penso… che l’amore sia troppo costante per riuscirci.” Pensò a Keith a come fosse impossibile che non l’avesse mai amato. Era una realtà semplice e irrevocabile. Era così e basta. Il sole era caldo. L’acqua era bagnata. Lui amava Keith. Per quanto semplice, era anche grande. Era la cosa più grande dell’intero universo… quel tipo di amore che lo seguiva, morte dopo morte, vita dopo vita, ora e per sempre, ed era… enorme. Supermassiccio. Costante.

“Forse svanirà col tempo, ma non- non lo so. Non è- non è così semplice. Lo so.” Lance sospirò e si mosse sul posto, percependo lo sguardo intenso di lei. “Per quanto possa valere, Allura, penso che tu- che noi dovremmo sentire cos’ha da dire Lotor.”

Lei non disse niente, ma Lance percepì la sua assoluta immobilità.

“Sai che non ho alcun motivo di dirlo; non mi è mai piaciuto. Non sto dicendo che dovremmo prendere precauzioni, ma- non voglio dover combattere quando non serve e penso che tuo padre direbbe lo stesso.”

Dopo quelle parole, tra loro calò il silenzio. Lance si sentiva leggermente vulnerabile, leggermente nervoso; forse aveva detto troppo e l’aveva offesa. Dopo un momento, però, sentì una mano posarsi delicata sulle sue e sollevò lo sguardo, vedendo che lei lo stava guardando. “Sei un buon amico, Lance.”

Era così bella. Le sue ciglia scure umide di lacrime, i capelli argentei, l’inarcatura delicata delle sue sopracciglia, la curva del suo mento. Sapeva che aveva molto a cui pensare, ma sperava che sapesse di non essere sola.

“Devo pensarci… considerare le nostre possibilità senza confonderle con i miei desideri, ma sono contenta che tu mi abbia parlato.” Poi, gli rivolse un sorriso, e anche se era fragile gli venne facile sorriderle a sua volta. “Grazie. Sai sempre cosa dire.”

Lui scrollò le spalle con nonchalance e girò un palmo verso l’alto per stringerle la mano. “Almeno sto migliorando.”

I suoi occhi si chiusero leggermente mentre il suo sorriso si allargava, poi il suo volto si distese e ritrasse la mano. “Sembri molto più felice di recente. Ne sono contenta.”

A quelle parole, lui arrossì un poco. “Lo sono. Più felice. Uh, sai, è solo che… mi sto abituando a tutta questa cosa della perdita di memoria. Già.”

“Bene.” Si sporse per scoccargli un veloce bacio sulla guancia, poi scivolò giù dalla zampa e si diresse verso l’uscita, lasciando a Kosmo una cuccia nel mentre. “Tu e Keith state bene insieme.”

Lance boccheggiò e le sue guance si incendiarono di un rosso intenso. “Chi- chi ha detto niente su-”

Lei lo guardò da dietro la spalla inarcando un sopracciglio e, chissà come, con quel gesto riuscì a trasmettere più di qualunque parola. Il suo rossore si fece più intenso e Lance si zittì, annuendo come un pupazzetto con la testa a molla, il cuore che batteva frenetico nel petto e le mani che si muovevano in ogni direzione.

“Giusto. Sì. Hai- l’hai capito.”

“Ci vediamo domani, Lance.”

“Uh huh.” Sbatté le palpebre, annuì un altro paio di volte e poi si stese sulla zampa del leone una volta che la porta si fu chiusa dietro di lei. Dopo un momento, si coprì il volto con le mani e gemette contro i palmi, sentendo il calore della sua stessa pelle. Non ne era… sorpreso, davvero, che se ne fosse accorta così facilmente. Non pensava di essere mai stato discreto quando si trattava di Keith, ma comunque… sentirla dire quelle cose ad alta voce.

Aveva dato voce ai suoi sentimenti. Anche se la voce non era stata la sua, ora era lì. Ancora più chiara, forse, semplicemente perché l’aveva detto qualcun altro al difuori del suo vortice di emozioni. Non sapeva come sentirsi in merito… riguardo al fatto di essere così ovvio nonostante non fosse ancora riuscito a dirlo alla persona che doveva saperlo. Quei sentimenti appartenevano a Keith. Quello di cui si era sorpreso, però, era il modo in cui lo faceva sentire leggero, il cuore veloce e fluttuante come un colibrì, leggermente imbarazzato ma in senso buono, forse? Lo faceva sentire… gli faceva desiderare di vedere Keith. Gli… mancava.

Vide un lampo di luce da dietro le mani e quando se le tolse dal volto vide Kosmo sporto su di lui che scodinzolava. Il lupo sfruttò quell’apertura per leccarlo dalla guancia alla bocca e Lance lanciò un urletto, spostandogli la testa ridendo.

“Che schifo, bello! Mantieni le distanze! Dovrò fare una chiacchierata con Keith sulle tue maniere!”

Il lupo sbuffò, come se anche lui stesse ridendo, e si mise comodo stendendosi affianco a lui. Dopo essersi ripulito la bocca dalla bava, Lance poggiò la testa sul fianco del lupo e affondò le dita nella sua pelliccia, carezzandogli la pancia.

“Riusciresti a mangiarmi in un sol boccone.” Mormorò. “Cucciolone che non sei altro.”

Kosmo scodinzolò in risposta e sistemò la testa sul ginocchio di Lance, chiudendo gli occhi. Lance sentì in gola un moto di affetto per quel grande animale steso al suo fianco, fedele e dolce, e si chiese quante notti avessero passato lui e Keith nell’abisso quantico a quel modo.

“Bravo, bello.” Sussurrò Lance, allungando una mano per carezzargli il capo, lì dove la pelliccia era più fine e morbida. “Sei bravissimo, lo sai? Hai tenuto Keith al sicuro mentre era disperso nello spazio. È fortunato ad avere un bel cucciolone come te al suo fianco.”

Kosmo scodinzolò di nuovo, ricevendo un risolino in risposta.

Lance rimase steso sulla zampa di Rosso con Kosmo, condividendo i suoi pensieri con Rosso, fino a quando le fusa basse che sentiva agli angoli della mente e il calore del lupo alle sue spalle non iniziarono a farlo assopire pian piano. Piuttosto che passare un’altra notte nell’hangar, le sue anche – ancora doloranti dalla notte precedente – avrebbero preferito di gran lunga un materasso soffice e una pila di coperte.

Mentre tornava verso la sua stanza, controllò il tablet per vedere se Keith gli aveva mandato un messaggio, ma ancora niente. Aggrottò le sopracciglia, ma dato che non erano in pericolo immediato era probabile che Keith avesse solo molti pensieri per la testa. Era comprensibile. Lance avrebbe voluto curiosare, sapere tutto quello che gli passava per la mente, voleva esserci per lui, ma avrebbe aspettato. Sapeva essere paziente.

Lui e Kosmo diedero la buonanotte a Hunk, che trovarono per i corridoi di ritorno verso la stanza, e una volta arrivati, Lance si preparò per andare a dormire. Piano, con metodo, e controllando il suo tablet ogni minuto per assicurarsi di non perdersi un messaggio di Keith. Controllò, controllò e controllò ancora, ossessivamente, mentre si cambiava mettendosi dei vestiti più comodi e si infilava a letto in attesa. Kosmo si era accoccolato vicino ai suoi piedi per dormire.

Lance voleva rimanere sveglio, voleva aspettare fino a quando Keith non gli avrebbe scritto, ma quella era stata una lunga giornata e il sonno cercò di impossessarsi di lui fin troppo in fretta quando commise l’errore di accoccolarsi sotto le coperte. Quando si rese conto che stava per addormentarsi, sbatté le palpebre e aprì appena gli occhi, cercando di concentrarsi sul suo tablet, su qualunque cosa. Ma continuava a succedere e ogni volta era più difficile svegliarsi.

Venne strappato dalle grinfie del sonno grazie al suono della porta che si apriva, un woosh ovattato che lo fece ritornare un poco in sé. Girò la testa verso la porta, le palpebre a mezz’asta e le sopracciglia aggrottate per la luce del corridoio che si riversava nella sua stanza buia. Il tablet, abbandonato, gli scivolò dal petto e cadde a terra. Kosmo si stiracchiò ed emise un piccolo guaito, quasi da cucciolo.

“Sì?” Borbottò, strofinandosi gli occhi con fare assonato.

Sentì un suono attutito di passi che si avvicinavano e il basso rumore della porta che si chiudeva. “Ehi. Scusa, non volevo svegliarti.”

Lance sospirò, sentendosi subito a suo agio. “Keith.”

Il letto si imbarcò sul lato dove si sedette il ragazzo. Lance sentì che aveva appoggiato il tablet sul comodino, lo sentì mormorare il suo affetto per Kosmo, che si calmò, e sentì una mano scostargli alcune ciocche di capelli dalla fronte, incorniciandogli l’orecchio e l’angolo della mandibola. Rimase immobile e cercò di aprire gli occhi, ma era troppo buio per riuscire a distinguere altro che la vaga forma scura di Keith, chino su di lui. “Sono io. Torna a dormire, Lance.”

“Volevo aspettarti.” Mormorò lui, assonnato. Sbatté lentamente le palpebre e girò la testa verso la mano vicino al suo orecchio, poggiandosi a lui sovrappensiero. “Tutto bene?”

C’era dolcezza nel mormorio di Keith quando rispose. Negli ultimi mesi, la notte era sempre riuscita a far battere più veloce il cuore di Lance per il panico, ma ora era gentile e calda; voleva sprofondarci per sempre, gli occhi che si chiudevano senza il suo permesso. “Possiamo parlarne domani.”

“Ma-”

“Riesci a malapena a tenere gli occhi aperti, amore. Dormi.” Sentì le dita di Keith carezzargli di nuovo i capelli, più lentamente quella volta, più per se stesso che per Lance.

Amore. Quella parola si espanse in lui come miele, denso e caldo, e rimase in lui e rimase e rimase. Cercò di aprire gli occhi, il cuore così pieno di emozioni da far male e il sonno che era quasi riuscito a vincerlo. C’era una tenerezza lì che non era ancora stata macchiata dall’ansia di Lance né dal senso di colpa di Keith. non era nata dal passato, bensì dal loro semplice stare insieme nel buio.

Ora più che mai, Lance si sentiva voluto. Gli dava coraggio.

“Rimani?” Gli domandò, le parole leggermente strascicate ma non per questo meno sincere.

Sentì le dita di Keith tremare impercettibilmente quando passarono di nuovo tra i suoi capelli, e un breve silenzio seguì la sua domanda prima di ottenere una risposta. “Aspetta che mi cambi e vada a lavarmi i denti.” Disse sottovoce, con fierezza. Il modo in cui lo disse, il modo in cui lo toccava, era quasi fragile, e a Lance sarebbe piaciuto riuscire a guardarlo in faccia per capire cosa stava provando ma era troppo buio.

Lance sollevò di poco le palpebre, aggrottando le sopracciglia. “Torna.”

Keith gli passò un’ultima volta le dita trai capelli e Lance, più che vederlo, poté sentire il sorriso nella sua voce mentre si allontanava. “Certo.” Il materasso si appianò di nuovo quando si alzò. I suoi passi si fecero sempre più attutiti mentre se ne andava.

“Keith.” Sussurrò Lance.

Una pausa mentre si apriva la porta. Strizzò gli occhi per il rettangolo di luce improvvisa che entrò nella sua stanza e si rigirò su un fianco.

“Sì?”

“Torna, va bene?”

Quando Keith rispose, la sua voce era leggermente più profonda e quasi divertita. “Dammi due minuti, Lance.”

Gli ci vollero un po’ più di due minuti. Fu solo grazie al desiderio di vedere Keith nel suo letto prima di addormentarsi che Lance riuscì a rimanere aggrappato all’orlo della sua coscienza fino a quando non sentì la porta della sua camera aprirsi di nuovo, insieme al suono ovattato di passi che si avvicinavano. La porta scorrevole si richiuse e il materasso accolse il peso di Keith; Lance prese un respiro tremulo, sentendo il cuore che gli si arrampicava in gola al sentire il suo calore così vicino, sufficiente a bruciargli la pelle. Kosmo si sistemò di nuovo, ma rimase ai piedi del letto quando Keith gli sussurrò qualcosa sottovoce, gentile.

Lance sollevò appena le palpebre e girò la testa per vedere Keith infilarsi nel letto, i capelli scuri contro la luce chiara del suo volto, gli occhi che guardavano in basso e la mano sulle lenzuola per scoprirle piano, come se temesse di muoversi troppo veloce. Lance avrebbe dovuto spostarsi verso il muro, anche solo di poco, per fargli più spazio, ma non voleva. Non voleva… voleva-

Keith fece scattare gli occhi nella sua direzione ed erano bellissimi perfino mentre lo squadrava nel buio.

“Pensavo che ti fossi addormentato.” Mormorò, fermandosi.

Lance sentì il cuore battergli forte in gola, inebriato e intontito per la soddisfazione. “No.” Borbottò, fissandolo, con metà delle cellule cerebrali addormentate. Avere Keith lì con la sua maglietta nera, così vicino e morbido, gli sembrava un sogno. Si portò le mani a pugno sul petto, premendo le nocche per misurare i battiti del suo cuore, lasciando lividi sul suo petto dentro e fuori.

Keith finì di sistemarsi ed era così… così vicino. Sbatté le ginocchia contro quelle di Lance, un piede contro la sua caviglia, che poi ritirò in fretta, e quando si tirò la coperta fino all’anca e si girò su un fianco per guardare Lance, faceva troppo caldo, fin troppo. Lance non riusciva a smettere di guardarlo, sbattendo piano le palpebre; Keith gli rivolse un sorriso affettato e poggiò la testa sul cuscino. I suoi capelli erano una scura macchia di inchiostro, gli occhi ancora più scuri, senza stelle, attenti e, in generale, troppo. Quando espirò, Lance sentì il profumo di cannella del suo dentifricio e il suo cuore si fermò per un lungo minuto. Era fin troppo facile immaginarne il sapore se si fossero baciati.

“Ehi.” Esalò Keith. “Perché mi guardi così? Sono solo io.”

Lance gli rivolse un mezzo sorriso, grande e assonnato. Sono solo io. Come se quello non fosse già tutto.

Il sorriso di Keith si fece più dolce e osservò Lance che sbatteva le palpebre. “Dormi, Lance.”

Lui annuì, schiacciando la guancia contro il cuscino nel mentre, e lasciò che i suoi occhi si chiudessero, riluttante. La vicinanza gli rendeva difficile spegnere il cervello e sentì il cuore risvegliarsi quando sentì e percepì Keith che si faceva più vicino dopo alcuni momenti di immobilità.

Non aprì di nuovo gli occhi, ma rimase steso per un po’ ad ascoltare il suo respiro tranquillo, sentendolo contro la sua fronte, crogiolandosi nel calore che il suo corpo emanava come un sole. Una parte di lui non poteva fare a meno di chiedersi se non si fosse addormentato nell’attesa, se quello non fosse altro che un sogno.

***

Il mattino presto, Lance si svegliò per primo con l’energia di un fiore sbocciato in primavera. Si rese conto della situazione così dolcemente che, quando aprì gli occhi e si scoprì con il volto accoccolato contro il collo di Keith, non si sentì né imbarazzato né in ansia. Solo un semplice e assonnato senso di beatitudine. Sospirò contro la sua pelle e lasciò che le sue palpebre ancora incollate per il sonno si richiudessero di nuovo.

Il suono del suo respiro profondo era ovattato dalla corona di capelli di Lance. Si fece più vicino a lui, assaporando il peso del ragazzo sopra e contro di lui. Mezzo addormentato, ancora invischiato nel mondo dei sogni, si ricordò del bacio che Keith gli aveva posato sul collo il mattino precedente e si sentì impotente di fronte al desiderio di ricambiare quel favore. Dunque, lo fece.

Premette piano le labbra contro il collo di Keith, esitante, e rimase lì fermo per un momento prima di scostarsi. Era la prima volta che cercava di- che lo baciava, e si sentiva così bene che sperava venisse ricambiato. Keith, però, non si mosse; rimase immobile e preda del suo sonno. Lance emise un piccolo suono di felicità e si concesse di aprire nuovamente gli occhi, scostando la testa all’indietro senza muovere il resto del corpo per ammirare la scena che aveva di fronte.

Keith sembrava più giovane, i capelli spettinati e arruffati sul cuscino che gli ricadevano anche sulla fronte a ciocche, lasciando intravedere le sue sopracciglia folte e la pelle delicata delle sue palpebre, le sue ciglia scure che sfioravano le guance. La forma perfetta delle sue labbra appena schiuse, le labbra rosate e la dentatura dritta. Era perfetto. Lance gli scostò i capelli con una mano, scoprendo la fronte, ed era-

Qualcosa dentro di lui tremò con violenza a quella vicinanza, a quella vulnerabilità, e nascose di nuovo il volto, sopraffatto dalla mera vista di Keith lì di fianco a lui, così bello da far male. Com’era possibile che quello non fosse un assurdo sogno a occhi aperti? Com’era possibile che fosse vero? Com’era possibile che non si sarebbe svegliato tra 10 secondi, solo nell’oscurità della sua camera? Era più di quanto avesse mai potuto sperare quando non aveva ancora incontrato Keith per la prima volta. Non avrebbe mai immaginato che avrebbe vissuto qualcosa del genere… che avrebbe potuto avere tutto questo.

Poggiò la fronte contro la linea della mascella di Keith e lasciò che le palpebre si chiudessero di nuovo, cercando di calmare il suo cuore con dei respiri profondi. Keith emise un piccolo suono – qualcosa di simile a un gemito, basso e soffocato e roco nel silenzio del mattino – e cambiò posizione, tuffando il volto nelle ridicole ciocche spettinate di Lance.

Lance sentì il volto bruciare e prese un respiro affettato, cercando ancora di calmare il suo cuore in tumulto. Pensò che forse avrebbe dovuto alzarsi e andare a farsi una doccia, salutare il mondo e roba simile, ma stava così al calduccio lì, appiccicato al corpo di Keith – non avvinghiato, ma intrecciato comunque in modo così intimo. All’improvviso, Keith si fece ancora più vicino, le labbra premute contro la sua testa.

“’giorno.” Borbottò Keith, assonnato, la voce ruvida e profonda. Lance la sentì fin nello stomaco come un ferro rovente.

“Buongiorno.” Mormorò Lance in risposta, rilassandosi nell’incavo tra il collo e la spalla di Keith senza vergogna alcuna quando vide che Keith non si era spostato. Keith profumava di buono – come il sapone muschioso del castello di Altea ed era quasi familiare, come se fosse stato un ricordo. Avrebbe voluto avvolgerselo attorno come una coperta e tornare a dormire. “Penso che Kosmo se ne sia andato durante la notte.”

Keith fece un suono pensieroso. “Probabilmente è con Krolia.” Fece una pausa, fresca come balsamo, che si insinuò gentile tra loro. “Sei caldo.” La sua voce era ancora profonda e gutturale per il sonno. Era fin troppo sexy così, soprattutto steso a letto, mentre lo toccava, e quelle parole rotolarono attraverso Lance, calde e appiccicose e lente.

“Grazie a te.” Gli disse Lance, senza perdere colpi, quasi in un sussurro. Aprì gli occhi lentamente e fissò il petto di Keith che si alzava e si abbassava a ogni respiro. “Dormito bene?”

Ci fu un risolino. Una mano gli toccò la parte bassa della schiena, esitante, e scivolò sopra la sua maglietta spessa per fermarsi tra le scapole. “Grazie a te.”

Lance borbottò contro la spalla di Keith, sentendo il calore fiorire sulle guance. “È troppo presto per dire cose del genere.”

Le sue parole vennero accolte da un altro suono pensieroso. “Hai iniziato tu.”

Non erano affatto imbarazzati, nonostante Lance fosse praticamente sopra di lui. Il che, a dirla tutta, forse aveva anche senso dopo che si era svegliato il giorno prima con Keith che lo abbracciava da dietro. Così erano più… vicini. E Lance non cercava di scappare né di coprirsi la faccia come prima; anzi, contava i respiri di Keith e cercava il suo tocco mentre Keith premeva il volto sui suoi capelli, le sue labbra presenti come una promessa.

“Sei troppo sincero, a volte.” Mormorò Lance, pensando al suo povero cuore.

La mano sulla sua schiena continuò a carezzarlo fino a quando Keith non gli avvolse un braccio attorno alla schiena e il silenzio non si fu protratto tra loro per un attimo di troppo. Incuriosito, Lance si sollevò per guardare Keith, che fissava il soffitto con le sopracciglia aggrottate, come se si trovasse da tutt’altra parte. Poi, girò la testa e fissò Lance in modo strano. Ma quella stranezza svanì prima ancora che Lance riuscisse a comprenderla e, dopotutto, aveva qualcosa di più importante a cui pensare.

“Keith, tutto bene?” Domandò piano, studiando meticolosamente il volto mezzo addormentato dell’altro.

“Hmm?”

Lance aggrottò le sopracciglia. “Ieri notte-”

“Oh, quello.”

“Sì. Possiamo parlarne adesso?” Divenne ancora più smanioso di capire quando vide lo sguardo felice di Keith svanire, sostituito da un muro. Forse non voluto, ma c’era.

Keith si voltò dall’altra parte, come per nascondere i suoi occhi, e Lance gli toccò istintivamente il fianco. Avrebbe dovuto essere un gesto rassicurante, un’ancora, ma Keith rabbrividì al contatto e Lance sentì il volto avvampare con la velocità di un petardo a quella reazione.

“Beh.” Disse Keith, diretto, affettato, pratico. “Ho capito cosa intendevi su Shiro.”

Lance deglutì, ma mantenne ferma la mano. “Davvero?”

Keith inspirò profondamente. “Non è… in sé.”

“Cos’è successo?” Chiese Lance con curiosità, la voce calma. Si azzardò a disegnare piccoli cerchi con il pollice sul suo fianco.

Gli ci volle un momento per rispondere. Perfino di profilo, Lance poteva vedere com’era in difficoltà, come si sentiva incerto e spaventato dalla sua insicurezza su qualcuno che era così importante per lui. “È solo questa cosa di Lotor.” Mormorò, sconnessamente. “Shiro non metterebbe mai in pericolo il team per niente, solo che lo sta facendo. È come se… fosse più preoccupato di Lotor che di cosa Lotor potrebbe farci se abbassiamo la guardia. E quando ho cercato di parlare con lui… Lance, non mi ha mai guardato così prima.”

Lance aggrottò le sopracciglia. “Deve avere un motivo, dobbiamo solo convincerlo a confidarsi con noi. Capiremo cosa fare. Dobbiamo parlargli di nuovo o qualcosa del genere.”

Finalmente Keith si voltò per guardarlo, ma non aveva un’espressione convinta. “Lo spero. Una cosa è avere opinioni discordanti, ma- per un attimo, sembrava che mi odiasse.” La sua voce si spezzò, ma Keith si schiarì velocemente la gola, come per nasconderlo.

“Shiro non ti odia, Keith.” Disse Lance, piano, togliendo la mano dal suo fianco per scostargli con gentilezza i capelli dal volto con le dita.

“Lo so.” Disse Keith.

“Non ti odia.”

“Lo so.”

“Non ti odia.”

“Lance.”

“Non ti odia.”

Keith alzò gli occhi al cielo, ma l’espressione scura sul suo volto si schiarì un poco. “Lo so, Lance.”

“Bene.” Lance gli passò i capelli dietro l’orecchio e gli sorrise, paziente. “E non dimenticartelo. Era praticamente l’unico che parlava di te quando non c’eri.”

Quelle parole sembrarono calmarlo. “Parlava di me?”

Lance annuì, strofinando la guancia sul cuscino, e scostò la mano. “Ma certo che sì. A volte. Tipo, non abbastanza perché potessi conoscerti bene, ma abbastanza da lasciar intendere che voleva che tornassi a casa.”

Le labbra di Keith si sollevarono in un mezzo sorriso e lui si fece più vicino. Lance inspirò per la sorpresa e chiuse gli occhi, sentendo subito il calore soffondersi in lui a quell’inaspettata vicinanza tra i loro volti. Chiuse le mani a pugni, intrappolate tra i loro corpi. Se solo l’avesse voluto, avrebbe potuto volgere i palmi verso Keith, toccando il suo petto, sentendo il battito del suo cuore con la mano.

“Sei sempre stato bravo con queste cose.” Mormorò Keith, avvolgendo un altro braccio attorno a lui.

Lance tenne gli occhi chiusi, cercando di processare il fatto che era accoccolato contro il petto di Keith per davvero e che quella non era una fantasia notturna. “Quali cose?” Domandò, un po’ distratto e un po’ tremante.

“A esserci. A far sentire meglio le persone quando succedono cose brutte.” Sospirò Keith, e passò la mano lungo la schiena coperta di Lance, facendogli sobbalzare e tremare il cuore nel petto. “A essere qui.”

Lance cercò di resistere al pulsare erratico del suo cuore, al sangue che gli scorreva sottopelle. Aprì gli occhi lentamente e video che Keith lo studiava, il suo sguardo nero e liquido e sciolto. La mano sulla sua schiena, anche se sulla maglia, era calda, e il peso del braccio sul suo fianco era troppo e troppo poco. Doveva esserci una stella dentro quel ragazzo, luminosa e calda e giovane, dalla cui gravità non si poteva fuggire. Lance sentì l’amore arrampicarsi su per la gola e sedersi sulla punta della sua lingua.

“Dove altro dovrei essere, Keith?” Gli domandò, sincero, sentendosi tenero e indescrivibilmente affettuoso. Le sue parole si posarono tra loro con dolcezza, nonostante fossero appesantite da tutto l’amore che provava. Gli occhi di Keith erano due lune nere, lo attiravano come la marea dell’oceano, un continuo gonfiarsi e refluire. Aveva qualcosa di familiare, di sicuro. Con il pugno contro il suo petto, sentì Keith prendere un piccolo respiro tremulo e si sentì caldo dentro e fuori, incapace di distogliere lo sguardo, ipnotizzato.

“Lance.” Disse Keith piano, quasi con un sussurro, quasi insicuro. La vulnerabilità nella sua voce lo trafisse come una freccia ed era indiscutibilmente magnetica. Il respiro di Keith gli toccò le labbra come il fantasma di una carezza e Lance per poco non si sporse, inseguendolo, desiderandolo. Sentì un calore profondo e divoratore nello stomaco, l’anticipazione che fremeva in lui come il suono che viaggia nell’aria. La tensione era così spessa che non riusciva a respirare.

Keith gli prese il pugno e se lo premette sul petto, come se quel singolo gesto potesse dire tutto quello che c’era da dire. La sua semplicità intrinseca, la sincerità disarmante e pura dietro il suo intento, ebbe il potere di farlo crollare. Come se Keith avesse solo voluto tenerlo vicino a sé, a quel modo, come se bastasse che Lance fosse lì con lui. Girò la mano e premette il palmo sulla maglia di Keith, sentendo il pulsare del suo cuore, irregolare e veloce. Era l’unico segno che Keith non era tranquillo come sembrava e, chissà come, lo sentì ancora più affine a lui. Lo fissò e pensò che forse Keith conosceva ogni pensiero che gli passava per la mente solo osservandolo.

“Lance.” Mormorò di nuovo Keith, con più dolcezza quella volta, la voce così densa di desiderio da farlo tremare. Era più vicino di prima, la pelle calda bruciava attraverso la maglia e dentro di lui come una fornace. “C’è qualcosa che-”

Venne interrotto dalla voce di Allura attraverso gli altoparlanti, riportandoli così bruscamente alla realtà che Lance scattò all’indietro, sentendo il cuore barcollare. Nel panico, si perse del tutto quello che lei aveva da dire e l’unica cosa che lo fece rinsavire fu il suono della risatina che si era fatto Keith a sue spese. Riportò subito la sua attenzione su di lui e si innamorò di nuovo quando vide che Keith lo stava guardando con tenerezza. Una volta finito il messaggio, Keith rivolse a Lance un ultimo sguardo e si tirò su.

Lance aggrottò le sopracciglia nel vederlo scivolare giù dal letto, sistemandosi la maglia sui fianchi. “Cosa volevi dire?” Gli domandò, tirandosi su a sedere con le lenzuola attorno alla vita. La sua voce sembrava rotta, spezzata, ed era così imbarazzato che una sola occhiata di Keith l’avesse ridotto a quel modo.

Keith poggiò un ginocchio sul letto e lo prese per la nuca, premendo un bacio sul suo sopracciglio. Lance si godette quel contatto e chiuse brevemente gli occhi, le mani vuote chiuse a pugno sul grembo, calde di desiderio. “Posso aspettare.” Mormorò Keith sulla sua pelle per poi allontanarsi di poco, guardandolo. “Devo vestirmi. Ci vediamo sulla plancia di comando.”

Lance inclinò la testa per guardarlo, frastornato dai suoi occhi scuri. “La plancia di comando?”

Keith accolse la sua confusione con un mezzo sorriso tagliente. “Allura ci ha appena convocati nella plancia di comando, Lance.”

Lance sbatté le palpebre. “Giusto.”

Keith non disse altro. Rimase lì ancora un momento, come a voler ricordare il tutto – Lance e la sua espressione immagata e i suoi capelli arruffati per il sonno e il rossore sulle sue guance – prima di andarsene, il sorriso leggermente più dolce e grande di prima. La porta si richiuse con un suono ovattato alle sue spalle e la penombra della stanza gli era amica, lo sosteneva.

Si lasciò cadere sul letto mollemente e fissò il soffitto, sentendo il battito del suo cuore nelle orecchie ora che era solo. Il mondo gli sembrava così lontano; perfino le lenzuola che lo avvolgevano sembravano distanti, come se lui fosse lì, ma non del tutto. Sembrava tutto così poco importante rispetto a cosa era successo tra loro. Se avesse dovuto perdere tutti i suoi ricordi su di lui per ottenere quel singolo momento, l’avrebbe fatto. Poteva ancora sentire il calore del respiro di Keith sulle sue labbra, la corsa del sangue scuro come vino nelle vene, come se fosse stato sull’orlo di un burrone e non avesse avuto paura di saltare.

Lentamente, si toccò il labbro inferiore, intoccato da un bacio, ma non per questo intoccato.

***

Arrivò in ritardo alla riunione nella plancia di comando. Una volta lì, l’unica cosa che riuscì a fare fu lanciare occhiate furtive in direzione di Keith e bruciare sul posto, vibrando come una stella.

 


 

Note dell’autrice: Siamo in dirittura d’arrivo, gente.

Mi dispiace davvero tanto farvi attendere così tra un capitolo e l’altro; in origine, questa non doveva essere la fine del capitolo 11, ma mi sembrava un buon momento per interrompere la narrazione e cercare di postare qualcosa un po’ prima. Ci ho lavorato per due mesi e sono pronta a metterlo al mondo lol. Spero che vi piaccia!

Il lavoro mi prende davvero tanto e farò del mio meglio per scrivere e finire il prossimo capitolo il prima possibile, ma non posso promettervi quanto presto. Comunque, grazie per averlo letto e per tutti i vostri dolcissimi commenti che scrivete sotto la storia. Li porto sempre nel mio cuore.

   
 
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