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Autore: saratiz    23/08/2020    4 recensioni
Da quanto tempo sono qui? Ho perso il conto. So solo che nella bottiglia, che ho aperto stasera, ora c’è meno della metà del suo contenuto. Il liquido vermiglio ondeggia nel bicchiere mentre lo faccio ruotare … ondeggia come se fosse un vestito, il “suo” vestito mentre sta danzando.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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NON E’ QUESTO CHE VUOI
 
… cinque, sei, sette, otto … forse se conto le rotazioni che imprimo al bicchiere fra le mie dita mi distraggo e la smetto di tormentarmi, in attesa che l’alcool faccia il resto.
Da quanto tempo sono qui? Ho perso il conto. So solo che nella bottiglia, che ho aperto stasera, ora c’è meno della metà del suo contenuto. Il liquido vermiglio ondeggia nel bicchiere mentre lo faccio ruotare … ondeggia come se fosse un vestito, il “suo” vestito mentre sta danzando.
Starà danzando un minuetto? Mentre lo svedese le cinge la vita …
E se invece non stessero più danzando? Se si fossero appartati e lei …
Oh basta! Ci risiamo! Di questo passo diventerò matto. Anzi, lo sono già: un folle, misero uomo, che ha osato posare i suoi occhi insolenti (ed il suo cuore temerario) dove non avrebbe dovuto. Forse questo tormento è la giusta punizione per la mia presunzione.

E questa? E’ un’allucinazione? No, è un’immagine troppo vivida, non ho bevuto a sufficienza per giustificarla. Sei comparsa improvvisamente sull’uscio della cucina, quello che porta all’ingresso della servitù, tanto silenziosa che, assorto nelle mie elucubrazioni mentali, non ti ho sentita arrivare. Immagino di avere lo stesso volto sorpreso che hai tu in questo momento.
Mi chiedi cosa ci faccio qui a quest’ora. Io non riuscivo a dormire. Tu, piuttosto? Che ci fai qui? Ma certo, che sciocco, trovo da solo la risposta: sei rientrata dall’ingresso di servizio, di soppiatto come un ladro, per evitare che tuo padre ti veda. Chissà che faccia farebbe il Generale se vedesse “suo figlio” agghindato come una splendida dama.
Immagino di aver avuto l’espressione più inebetita del mondo, quando ti ho vista comparire in cima alle scale, radiosa, splendida, come una dea greca venuta fuori direttamente da un libro di mitologia, ma tuo padre … penso, no, sono sicuro, diventerebbe viola per il disappunto.

Senza dir nulla ti togli il mantello e lo posi su una sedia. Poi ti accomodi accanto al tavolo, di fronte a me. Afferri quello che fino ad un minuto fa era il mio bicchiere, me lo togli dalla mano e te lo porti alle labbra. Non è la prima volta che bevi dal mio bicchiere. Lo fai sempre con estrema naturalezza. Ed io penso che questo sia l’unico modo che ho per baciarti: lasciare che le tue labbra si posino lì dove si erano posate le mie.
Bevi, avidamente, tutto d’un fiato. Certo che l’immagine che mi offri è alquanto paradossale: la dea greca elegante e delicata nel suo abito bianco di pregiata fattura che beve come un soldato in una taverna. Sorrido. In fondo l’abito non ti ha cambiata. Ma il sorriso si smorza quando , osservandoti bene ora che il tuo viso è accarezzato dalla luce delle candele, noto i tuoi occhi. Sono occhi di chi ha pianto, da poco ma per molto.
Forse non dovrei farlo ma, sono il tuo amico, te lo chiedo timidamente. Cosa è successo al ballo? Sollevi lo sguardo verso di me, uno sguardo mesto, che solo io posso capire, lo sguardo di chi non ha voglia di parlare. Infatti non rispondi, ma afferri la bottiglia e riempi nuovamente il bicchiere. Penso proprio che la serata non sia andata come ti aspettavi … per mia fortuna!

Resto a guardarti ancora un po’, non so se avrò ancora occasione di vederti in queste vesti, ma il tuo silenzio, il tuo capo chino ed il tuo sguardo fisso sul bicchiere mi imbarazzano. D’altronde negli ultimi tempi non parli più con me come facevamo una volta. Da quando il bel conte ha conquistato il tuo cuore ed i tuoi pensieri non puoi più condividere questi ultimi col tuo amico. La mia presenza qui è del tutto superflua. Mi alzo. Ti do la buonanotte e mi giro verso la porta.
Ma il mio nome si libera dalle tua labbra con una sonorità mai udita prima. Come un malcelato grido di aiuto. Mi inviti a restare, a prendere un altro bicchiere e farti compagnia. Mi giro nuovamente verso di te, mi guardi, disarmante, come sempre. Riesci sempre ad ottenere ciò che vuoi da me. Ma almeno uno fra di noi stanotte deve rimanere lucido. Ho già bevuto troppo. Sono stanco ed è tardi. E anche tu faresti bene ad andare a dormire: domani dobbiamo raggiungere Versailles molto presto.
Appena senti la parola “Versailles”, come se avessi pronunciato chissà quale abominevole bestemmia, sussulti, ti alzi di scatto e mi volti le spalle. Accidenti! Dev’essere andata proprio male la serata!
Ti poggi alla credenza, senza dire una parola, ma vedo le tue spalle sussultare ritmicamente: stai piangendo, di nuovo. Con la dignità e l’orgoglio che da sempre ti contraddistinguono, lo fai in silenzio, non vorresti darlo a vedere, ma non riesci a nasconderlo, non a me. Quanto stai soffrendo? Per un po’ resto fermo. Guardo le tue spalle scosse dai fremiti del pianto, la tua pelle di porcellana che la scollatura così generosamente espone. Dovrei lasciarti qui, da sola, è giusto che anche tu soffra, come io ho sofferto per tutti questi anni e come soffro ancor più ora nel saperti persa per un uomo che, ovviamente, non sono io.
E’ bene che anche tu assapori il gusto di un amore non corrisposto!
Ma non ce la faccio. Ti amo troppo. Non posso vederti così: è come se la mia sofferenza raddoppiasse.

Mi avvicino e ti chiedo di nuovo cosa sia successo. Continui a darmi le spalle, pur di non mostrarti in lacrime. Cominci ad insultarti, a darti della stupida, a chiederti come tu abbia potuto comportarti così: mascherarti per dimostrare cosa? A chi? Ti senti ridicola e del tutto fuori luogo.
Ridicola … tu? Afferro le tue braccia, gentilmente ma con risolutezza. Devo scuoterti da questo stato. Ti invito a guardare la tua immagine riflessa, seppur poco definita, nei vetri della credenza dinanzi a te. E’ l’immagine di una creatura stupenda, fiera e valorosa. Ridicola? Assolutamente no. Hai solo voluto per una volta mostrare quello che quotidianamente cerchi di nascondere: sei una donna. Non so gli altri come facciano a non accorgersene, io noto sempre la tua femminilità, anche quando indossi la divisa: sei una bellissima donna Oscar!
Forse non avrei dovuto dirtelo, in altre circostanze avresti sicuramente reagito molto male, ma stasera continui a darmi le spalle e tuttavia riesco a scorgere una lacrima che scivola lentamente lungo la tua guancia. L’asciugo sfiorandoti appena col dorso della mano, ma tu cerchi un maggior contatto, reclini il capo e premi la guancia contro la mia mano. Così facendo esponi ancor più il lato opposto del collo, già insolitamente libero dai tuoi biondi riccioli, stasera raccolti dalle mani sapienti della nonna in una morbida acconciatura sulla nuca.
La tua pelle è ora così vicina, ne sento l’odore, vedo il timido pulsare delle tue arterie e mi sento un vampiro assetato.
Sfioro allora il tuo collo con una serie di baci leggeri, lentamente, assaporando ogni centimetro del percorso, scendendo verso la spalla che frattanto libero impudentemente dalla spallina del vestito. Ma a questo punto ti volti verso di me.

Oddio cosa ho fatto?! I tuoi occhi sembrano due tizzoni ardenti. Chiudo i miei ed attendo rassegnato il colpo che la tua mano assesterà sicuramente sulla mia guancia. Me lo sono meritato. Invece … sento le tue mani che premono sulla nuca e che mi attirano verso di te. Riapro gli occhi: il tuo volto è pericolosamente vicino, il tuo sguardo basso, poi le nostre labbra si toccano e tu mi baci. E’ un bacio timido all’inizio, ma ben presto diventa appassionato e vorace, guidato ora dalle mie labbra. Non è possibile, mi manca il fiato, sto sicuramente sognando. Desidero questo momento da venti lunghi anni, ma sono sicuro che presto mi sveglierò, come è già successo migliaia di volte. Intanto però mi perdo nell’estasi di questo istante, tanto agognato e dunque tanto prezioso. Ad un tratto ti allontani da me quel poco che basta per prendere fiato, ansante, e reclini il capo indietro, in un gesto di fiducioso abbandono. Ma io non posso fermarmi e ti bacio il mento, e poi ancora il collo e scendo sul tuo petto, profumato di lavanda. Dovresti fermarmi Oscar, dovresti farlo, perché io ormai ho perso qualsiasi controllo. Invece mi abbracci, ancora, mi stringi a te.
Non capisco più niente, continuo a sfiorarti il petto con le labbra e poi tiro giù il corpetto, forse con  un po’ troppa forza, perché sento la seta cedere sotto le mie mani con un rumore che non dà spazio a dubbi.
E davanti a me i tuoi seni, finalmente liberi dalle costrizioni a cui quotidianamente li sottoponi con le fasce.
Mi accingo a baciarti ancora, sempre più assetato di te, ma così facendo ti spingo contro la credenza.
Il tintinnio delle tazze ( o forse solo un ultimo barlume di raziocinio nel mio caotico cervello) mi risveglia dall’estasi in cui ero stato travolto. Cosa sto facendo? cosa stiamo facendo?

Mi allontano da te, non è facile, non dopo averti assaggiata. Mi guardi interdetta, smarrita, come se fossi rimasta improvvisamente orfana. Prendo il tuo mantello e ti copro. Abbasso la testa. Scusami Oscar, non avrei dovuto. Ti desidero, non sai quanto, ma non voglio essere il ripiego dopo una serata andata male. Non voglio averti così, approfittando di un tuo momento di debolezza. Non voglio. Perché ti amo, credo di averti sempre amata. Ciò che è appena accaduto è tutto sbagliato.
Non è questo che vuoi. Non è questo che voglio.
Perdonami se puoi e … cerchiamo di dimenticare questa assurda notte.
Così dicendo mi volto ed esco dalla stanza.
 
 
//Grazie per aver letto fin qui, spero vi interessi continuare. Da grande fan di questa mitica coppia, ho voluto descrivere ciò che io avrei voluto accadesse dopo il famoso ballo. Ho cercato di rispettare le caratteristiche dei personaggi principali, facendo molti riferimenti a scene specifiche sia dell'anime che del manga.
Mi auguro che vi piaccia. Attendo le vostre recensioni.
  
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