Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: KiaraMad    24/08/2020    2 recensioni
Sollevare i sassi e gettarli in acqua, lontano da sé, non sarebbe stato sfiancante neanche per Jun Misugi.
Forse solo la vecchiaia avrebbe portato delle noie.
La fatica, però, Yayoi cominciò a sentirla prima del previsto.
E non fu una piccola fatica la sua: non fu affatto una piccola fatica.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jun Misugi/Julian Ross, Yayoi Aoba/Amy
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

II. Senza tenersi

Circa diciotto anni, cinque mesi e due giorni di più*

 

Non sapeva molto di quello che in quei mesi le era successo. 

Sapeva che i suoi zii avevano avuto un incidente, che suo zio era morto. Della zia, però, Jun sapeva ancora meno, e chiedere informazioni a Yayoi in proposito non gli sembrava molto opportuno. 

L'aveva vista cambiata in quelle settimane. Quando aveva cercato di strapparle qualche parola, lei si era chiusa ancora di più; quando aveva cercato di farle capire che lui l'avrebbe aiutata sempre, e non solo per l'infinita gratitudine che lo legava a lei, lei aveva fatto un passo indietro.

Distante.

Anche se era tornato a indossare la maglia numero 14, in quel periodo Jun Misugi era troppo distratto. Il coach più volte l'aveva ripreso, i compagni più volte gli chiedevano se avesse qualche problema, se fosse stanco, se avesse voluto riposare. Ma lui non era affatto stanco, né tantomeno voleva riposare. 

Il club di tifoseria non era più venuto ad allenarsi con loro. Mancava meno di una settimana all'inizio del torneo studentesco e gli allenamenti si erano intensificati. Yayoi li aiutava, come sempre, ma non... non più con calore. E anche gli altri giocatori se ne erano accorti.

«Yayoi-chan è proprio pallida.»

«Secondo me, si è ammalata...»

«Speriamo che non sia niente di grave allora.»

Quando Jun udiva i compagni parlare negli spogliatoi di lei con tale preoccupazione, si sentiva in colpa... Yayoi non stava bene, e lui lo sapeva: perché non riusciva a fare niente per lei? Senza imporle la sua presenza, né forzarla in un momento così delicato... ma allo stesso tempo si sentiva in dovere di farlo: di proteggerla come lei aveva fatto in quegli anni con lui.

Quando il telefono squillò, in tasca, lui era in auto, solo, di ritorno dagli allenamenti. 

L'autista continuava a guidare imperterrito.

«Pronto?»

«Jun, come va?»

«Tsubasa! Che piacere sentirti. Io sto bene, tu come stai?»

«Bene! Non vedo l'ora di vederti giocare... mi hanno detto che tornerai in campo. Ne sono felice.»

«Tornerai in Giappone presto?»

«Per le vacanze. Qui c'è ancora qualche partita da giocare.»

«Capisco... e con i mondiali?»

«Tornerò di sicuro per quelli.»

«Ho visto qualche partita... sei migliorato molto. Sei un grande campione, Tsubasa.»

«Anche tu, Jun. Tu sei migliore di me.»

«Ah, non credo...»

Poi avvertì una piccola indecisione nelle parole di Tsubasa.

«Jun... ti ho chiamato per un motivo particolare, in realtà.»

«Dimmi pure.»

«Ho saputo che... che gli zii di Yayoi hanno avuto un grave incidente.»

Incomprensibilmente Jun percepì un leggero ronzio sullo sterno.

«Te l'ha detto lei?»

«No no, me l'ha detto mia mamma... penso che lei lo abbia saputo dai genitori di Yayoi.»

«Capisco... sì, purtroppo è così.»

«Come sta?»

Jun esitò, con un po' di reticenza in gola, ma infine sospirò.

«Non molto bene.»

«Prenditi cura di lei, mi raccomando.»

Gettò uno sguardo fuori dal finestrino.

«Spero di riuscirci.»

Si scambiarono i consueti saluti di cortesia e poi Jun non sentì più niente fino a che non arrivò a casa.

 

Senza tenersi

da sola galleggia

la ranocchia.

[Naito Joso]

 

Ogni mattina sembrava che non vedesse l'ora di scappare da quella casa. 

Più camminava, più distante era da quell'appartamento, più il suo passo si allentava. 

Mangiava un po' di frutta per colazione. Entrava in classe, e ogni mattina sembra ripetersi con poche varianti rispetto alla precedente. E Yayoi non vedeva l'ora che arrivasse il pomeriggio. 

Il giorno prima aveva incontrato i genitori e aveva litigato con loro. I suoi genitori non volevano che lei stesse lì da sola, in quella casa. Yayoi aveva chiesto di venderla e di comprare un appartamento più piccolo. Le avevano risposto che sarebbe stato poco opportuno per una ragazza vivere da sola a Tokyo. Lei era convinta. Loro pure. Le avevano dato una settimana di tempo per decidersi a cambiare idea. “Mi manterrò da sola, voi non dovrete fare nulla”, aveva proposto. L'antipatia che i suoi genitori le suscitavano non era mai stata tanto... tanto acuta come in quel periodo. Se ne erano andati, sdegnati: suo padre si vergognava per lei, così le aveva detto. Ma Yayoi aveva fatto una promessa alla zia – che non l'avrebbe lasciata sola – e l'avrebbe mantenuta, anche a costo di dover stare da sola e di lavorare. Avrebbe venduto la casa e ne avrebbe comprata un'altra. Avrebbe trovato un lavoro e avrebbe continuato a studiare. Ce l'avrebbe fatta. 

Ce l'avrebbe fatta da sola

E nel pensare quel da sola, la pervase un'emozione nuova... un senso di libertà che non aveva mai conosciuto prima. Senza considerare i suoi genitori, i suoi zii, Jun... senza nessuna condizione, lei stava decidendo cosa fare per se stessa. Ma come prendeva coscienza di quella nuova strada, Yayoi si vide minuscola, slegata da tutto ma al centro di un mondo che non la teneva più ancorata a qualcosa. 

Debole.

Debole mentre il cuore accelerava, mentre il respiro si affannava e mentre la testa... mentre la testa si confondeva, insieme agli occhi.

E c'era una nube davanti a lei. 

Una nube che sfocava la realtà. 

Una nube di tutti e di nessun colore.

Come evitarla?

Doveva evitarla?

Eppure Yayoi voleva vedere il mondo. 

Ma dove si trovava in quel momento? 

Dove stava andando?

Al campo? 

Sulle scale?

Stava per entrare?

Le mancava forse solo un gradino?

Sì, le mancava solo un gradino.

Eppure non se lo ricordava.

Le gambe non camminavano più.

Non rispondevano più.

Stava cadendo?

Perché stava cadendo?

«Yayoi-chan! Yayoi-chan!»

«Prendila, ma porca... dobbiamo chiamare il capitano.»

«Sarebbe meglio il coach, non credi?»

«Vai a chiamare Jun, presto!»

«Yayoi-chan, mi senti? Ti senti male?»

«Non ti preoccupare, Yayoi-chan, non sarà niente di brutto. Adesso ti portiamo...»

Dove?

Dove l'avrebbero portata? 

Avrebbe voluto chiederlo, ma il cuore non l'avrebbe ascoltata più.

Quello batteva piano piano... piano, piano: piano.

 

da sola galleggia

la ranocchia?

 

Sfiorando la divisa pulita, mentre il 14 gli pareva più lucente del solito, si ricordò di aver letto da qualche parte che quel numero significava libertà, esplorazione, cambiamento... ogni partita era stata una battaglia: una guerra contro la malattia. Con se stesso.

«Jun.»

Si voltò, appena indossata la maglia della squadra.

Squadrò l'amico e s'incupì.

«Dimmi.»

«Yayoi-chan non sta bene.»

E fu tutto molto rapido nella realtà, anche se nella testa di Jun tutto si era fermato. 

Yayoi-chan non sta bene.

«L'abbiamo vista cadere e abbiamo cercato di prenderla al volo. Per fortuna siamo arrivati in tempo. Abbiamo pensato di chiamarti e poi... abbiamo chiamato il coach.»

Ma Jun lo ascoltava con distrazione. 

Giunti all'entrata del campo, la vide stesa a terra, davanti alle scale. C'erano due dei suoi compagni con lei. Uno le reggeva la testa. 

Si inginocchiò. 

Rabbrividì.

Cercò di reprimere il disagio che quella situazione gli provocava dentro.

«Capitano, non preoccuparti. Forse è un abbassamento di pressione.»

Jun annuì. 

Le circondò le spalle con un braccio e passò l'altro sotto le ginocchia. 

La strinse a sé, forte, e si tirò su, in piedi. 

«La porto in infermeria. Ditelo al coach... grazie.»

Un grazie che significava molto di più. 

Ma Jun non giunse in infermeria. 

A poca distanza dal luogo dello svenimento, Yayoi aveva già riaperto gli occhi.

«Jun, ma che...»

«Credo che tu debba mangiare di più.»

Aveva serrato la presa sulle spalle e sulle ginocchia. 

Era stato duro.

«Lasciami, per favore.»

«No.»

Yayoi si accigliò.

«Dove mi stai portando?»

«In infermeria. Sei svenuta, Yayoi. Se non ci fossero stati gli altri...»

La strinse un po' di più a sé.

Il volto contratto e il mento irrigidito.

Era arrabbiato.

«Non voglio.»

«Neanche io volevo che tu ti sentissi male, ma non sempre otteniamo quello che vogliamo.»

«Jun.»

Yayoi cominciò a muoversi un po', seppur flebilmente, per liberarsi dalle sue braccia.

«No... sono stanco

Si fermò.

Era stanco di quel silenzio.

Era stanco di vederla soffrire e di non poterla avvicinare.

Era stanco di sentirsi allontanato da lei. 

Era stanco di non ricevere più neanche un suo sguardo.

Era stanco di sentirsi escluso.

Era stanco di non riuscire ad ammettere a se stesso che...

«Non voglio, per favore. Fammi scendere.»

E Jun si sentì fremere dentro.

Udì un astio sconosciuto, forse ingiustificato, bussare al cuore.

«Sei una sciocca. Ti stai rovinando la salute da sola.»

Sciocca.

«Non è vero...»

«Potresti essere sana, vivere senza vincoli, eppure... eppure sembra che tu preferisca stare male.»

Senza vincoli.

Lui la stringeva forte. 

Non l'aveva mai stretta tanto forte.

«Non mi dici niente... pensi che non mi importi di te, Yayoi?»

Yayoi teneva lo sguardo basso. 

Pareva che si vergognasse, a disagio, con gli occhi illividiti... e Jun non poté non sentirsi in colpa.

«Ti prego... parlami. Ma perché tu puoi aiutarmi e io non posso aiutare te?»

Perché tu puoi aiutarmi e io non posso aiutare te?

Yayoi si piegò in una smorfia amara.

«Io... ho bisogno di trovare la mia strada da sola, Jun.»

Perché non lo voleva vicino dopo tutto quel tempo condiviso insieme? 

Non ti fidi più?

E perché non ti fidi più di me?

«Jun, tu non c'entri niente.»

Yayoi tirò su col naso: aveva smesso di divincolarsi.

«Ci sono cose che si affrontano da soli, con volontà e pazienza... non puoi proteggermi. Non puoi... controllare i miei dolori.»

Perché tu non controlli neanche i tuoi, Jun.

«Lo so, ma...»

Si crucciò.

«Allora, per favore, continuiamo a essere quelli di sempre: tu pensi al calcio, io penso alla squadra.»

Tu pensi a te, io penso a te.

a te, Yayoi, chi ci pensa adesso?

«Se tu sei diversa, come si fa?»

Era tutto meccanico. 

Jun si sentiva male, Yayoi si prendeva cura di lui. Jun stava meglio, Yayoi vegliava su di lui. Jun faceva una cosa, Yayoi ne faceva un'altra conseguentemente. 

Ma come potevano continuare a essere quelli di sempre se i ruoli che fino a quel momento avevano ricoperto si erano invertiti, se per una volta era Yayoi a stare male e non Jun?

Seppur in subbuglio, Jun ricominciò a camminare verso l'infermeria.

 

Note d'autrice

*Questa storia non segue esattamente le vicende e la cronologia del manga (ciò vale anche per i capitoli a seguire) e forse i personaggi non si confanno molto alle caratterizzazioni originali. Per questo si è preferito inserire l'avviso di OOC.

 

La poesia qui presente è tratta da Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Basho all'Ottocento, a cura di Elena Dal Pra ed edito da Mondadori.

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: KiaraMad