An INSANE and SICK Romance
SECOND
CHAPTER - YOU
CALL PURGATORY SOMETHING MUCH MORE
SIMILAR TO A PSICOPATHS’ ROOM
Qualcuno
-William Scott credo- ha detto che Amore e Ragione non possono restare nella
stessa stanza d’albergo.
Nel
momento in cui uno vi arriva, l’altro se ne va a cercar posto altrove…
Allora
mi chiedo se questo sia il posto dove l’Amore puro possa esistere pienamente
per tutta l’eternità, senza mai dover sloggiare.
Perché la Ragione qui non ha posto, no?
Ed
è inutile che continui a ridacchiare in quel modo tanto impertinente, perché lo
sai meglio di me che è così.
Odio
quando davanti a tutti loro affermi il contrario di ciò che credi veramente,
solo per non abbattere l’immagine che ti sei costruito.
Odio il falso te stesso che tanto mi disprezza…
Dovresti
dirlo qui, quel che mi hai sussurrato l’altra sera. Perché non lo ripeti ad
alta voce e dai loro mostra del tuo vero Io?
“Il fatto è che siamo tutti matti… La differrenza è che
noi ancora riusciamo ad amare chi possiede una pazzia diversa dalla
nostra. Quindi se sei folle…”
Se
lo dicessi ora, forse dimostreresti di non essere come tutti gli altri, sai?
Forza,
dillo adesso…
“…amami.”
Ti amo…
Ti amo…
Ti amo…
Ti amo…
* * *
Resto in silenzio al seguito del gothic-boy che mi
guida attaverso il cortile interno, mentre tutti si voltano a guardarci
insistentemente. Dei ragazzi vestiti con la divisa del CapGrass ci si piazzano
accanto, iniziando a fare domande sul mio conto.
Io mi limito ad osservarli vagamente spaventato,
mentre loro ridacchiano manco avessero davanti qualche persona famosa. Ma
d’altronde sono il nuovo arrivato qua dentro ed è risaputo che la novità
riscuote davvero tanto interesse. Eppure c’è anche gente che rimane tranquilla
a fare i suoi comodi sotto il porticato…
-Lasciali perdere, loro si divertono così… Tra due
giorni non si ricorderanno più della tua presenza qui.-
La sua voce mi arriva forte alle orecchie,
strascicata come se parlare per lui fosse una seccatura. Giustificare
il comportamento altrui è più noioso ed inutile del farlo con il proprio.
Affretto il passo ed entriamo in una struttura meno
moderna della scuola, alla cui entrata vie è un arco a sesto acuto con tanto di
strombatura degna di una cattedrale europea del XIV secolo. Il ragazzo dark
svolta in una scala stretta e poco illuminata, abbassando la testa per passare
da una porta un po’ troppo bassa rispetto agli standard, lasciandomi per un
attimo sbigottito dall’ambiente astruso.
Però superata la soglia l’illuminazione si fa
decente e il vano delle scale si allarga, permettendomi così di mettermi a
fianco del mio accompagnatore, che ancora se ne resta in ingobbito e nascosto
dai suoi lunghi capelli castani.
A guardarlo da vicino mi accorgo pure del trucco
bianco che porta sul viso, manco fosse un pagliaccio o uno di quei cantanti
malati che fanno metal. Sarà che io ho sempre pensato che fossero dei buffoni…
Poi ecco che lui si volta e mi lancia un’occhiata
scocciata, prima di aprire una porta ed entrarci. M’immobilizzo un secondo a
deglutire per poi seguirlo, ritrovandomi in una stanza con tre letti -di cui
uno a castello- su uno dei quali ci sta seduto un ragazzo un po’ sovrappeso con
una maglia nera di qualche gruppo illeggibile.
-Hey, Emil… è lui quello nuovo?-
Il presumibile Emil annuisce e si sfila il cilindro,
gettandolo sulla scrivania un secondo prima di occuparne la sedia girevole,
rivolto verso di me. I capelli stirati gli ricadono lungo il collo,
accarezzandogli appena le spalle, e lui ci porta in mezzo le dita iniziando a
giocarci annoiato.
-Allora, che ci dici di te?-
Il ragazzo paffuto si alza dal letto e va a mettersi
al fianco dell’altro, così che io rimango a guardarli come uno stoccafisso.
Sinceramente socializzare non è proprio il mio forte… Ci mettevo giorni prima
di rivolgere la parola ad una persona che magari vedevo quotidianamente a
scuola. Figuriamoci se mi metto a raccontare la mia vita a due
sconosciuti!
Non ho mai sopportato troppo la vicinanza delle
altre persone e non capisco questo bisogno che hanno di asfissiarti
e di fare
amicizia.
Dwight dice che ho una specie di intolleranza
sociale. Una fobia
dell’amore e delle sue varie forme…
In pratica a suo parere io parto dall’idea che le
persone a cui mi affeziono mi abbandoneranno, così evito direttamente di creare
dei legami. Non mi ricordo il nome del disturbo che mi ha diagnosticato.
Io direi che mi danno tutti fastidio e basta…
-Vorrei sapere quale sia il mio letto…-
Sbotto a voce piatta, facendo ridacchiare Emil che
girando sulla sedia mi indica con il piede il mio posto. Il letto sopra in
quello a castello… Perfetto. Almeno là avrò un po’ di privacy.
Senza farmelo ripetere due volte salgo e mi metto
sdraiato sul materasso un po’ troppo morbido per i miei gusti, lasciandomi
affondare nell’attesa che qualche assistente venga a chiamarmi per sbattermi a
fare qualche corso e qualche seduta.
Sospiro mettendomi in costa ed intravedendo la
figura esile del gothic-boy, che giocherella con gli strani legacci sulla sua
giacca nera. Il paffutello è voltato verso di me e mi fissa scazzato, prima di
andare all’armadio e prendere fuori una merendina al cioccolato.
Emil incrocia il mio sguardo ed indugia un attimo,
prima di spogliarsi le scarpe lucide e venire a sdraiarsi nella branda sotto la
mia. Sussulto sentendo il letto scricchiolare in modo preoccupante appena lui
ci si accomoda, maledicendo chi mi ha rifilato questo stupido posto.
-Julian, quelle sozzerie finiranno per ucciderti. Se
ogni qualvolta che t’irriti vai ad ingozzarti i quel modo, non uscirai da qui.-
Scorgo quello che ho scoperto chiamarsi Julian fare
una smorfia adirata, prima di rimettere a posto quella roba. Dev’essere uno di
quei tizi che mangiano continuamente per ogni motivo… Certo che questo non è
mica un problema da ricovero. I suoi genitori devono essere proprio
intolleranti quanto i miei…
Mi piacerebbe vedere quante persone qua dentro abbiano
veri
e propri disturbi
mentali. A mio parere siamo tutte vittime di famiglie intransigenti.
Mi rimetto a pancia in su e guardo il soffitto a
volte a crociera, chiedendomi per quanti giorni dovrò osservarli in silenzio
nell’attesa di tornare nella mia stanza. Sapevo che sarei finito qui dentro nel
giro di pochi mesi dall’inizio dei miei colloqui con Dwight, però non avevo mai
pensato a quanto tempo ci avrei passato.
Ora mi rendo conto che forse sarà una bella
seccatura… Non c’è cosa peggiore di un’aspettativa che si realizza. Finisci per essere
obbligato a guardare in faccia al presente che fino a poco prima era solo
ipotetico.
I miei pensieri vengono interrotti quando
d’improvviso la porta della stanza si spalanca ed entra un ragazzino
mingherlino con la divisa stirata perfettamente ed i capelli biondi pettinati
in modo impeccabile. Mi tiro su appena per vederlo meglio e lui sgrana gli
occhi neri con totale sconvolgimento, portandosi le mani alla bocca.
-Allora è vero che è arrivato! È vero… Credevo mi
mentissero! Ma è qui sul serio. Ha già sistemato la sua roba?-
Inizia a girare per la stanza in modo preoccupante,
andando all’armadio accanto a quello di Julian per spalancarlo e guardarci
dentro. Ne cade fuori una camicia nera orlata in pizzo che mi fa notare che
tutti i vestiti là dentro devono essere del caro gothic-boy, che mugugna
qualcosa riguardo al rimetterla apposto. Ma anche senza la sua pretesa il
biondino già si era messo a riordinare tutto quanto.
-Dai Martin… Datti una calmata! Non gli hanno ancora
portato le valige.-
Il paffutello va a fermarlo, chiudendo l’anta e
rischiando di schiacciargli dentro la mano ancora intenta a sistemare. Martin
si volta a guardarmi con espressione impaurita, gli occhi che sporgono come se
fosse preso da un’attacco di panico.
Mi ricorda un topo. Ecco a cosa sembra! Un topo
impaurito che non sa più cosa fare con il formaggio che ha accumulato…
-Se proprio ti diverti te le fa sistemare, nevvero
Davy-boy?-
Emil si alza e appoggia il viso proprio davanti al
mio, scoccandomi un sorriso sbieco e svagato che colgo con totale
diffidenza. Mi siedo appoggiandomi al muro e resto muto ad osservare i tre miei
compagni di stanza, che si aspettano che io apra la bocca per dire qualcosa
d’intelligente.
Julian sembra accigliato, ma allo stesso tempo
curioso di sapere se questa volta rispondo.
Sospiro, spostandomi indietro le ciocche rosse che
mi venivano negli occhi.
-Non voglio dare del disturbo, quindi mi darò da
fare da solo con le mie cose.-
Il gothic-boy si lascia andare ad una risatina,
prima di battere la mano sulla spalla del topolino, che sembra riprendere
controllo su se stesso. Li ascolto mentre si scambiano qualche parola non molto
interessante, quando poi due altre figure appaiono nella stanza con le mie valige
su un carrello.
Scendo dal letto con un balzo, raggiungendo il tipo
che accanto a Dwight ha portato qui i miei effetti personali. Il dottore mi
guarda per qualche istante, prima di sorridermi in quel suo modo strano.
-Spero che i compagni di stanza che ti ho scelto ti
stiano simpatici. Di solito usiamo far convivere persone che tra di loro
possano compensarsi e risultare teraupetici. Vedrai che pian piano ti abituerai
a loro e riuscirai a metter da parte i tuoi problemi, Hill. Ah… Per quanto
riguarda i corsi, domattina nel mio studio ci metteremo d’accordo.-
L’osservo un secondo, sentendomi di nuovo aperto
come un libro… Così –sì, forse per scappare- afferro i borsoni e li porto davanti
all’armadio di Emil, che è quello con la metà lasciata vuota per il
sottoscritto.
Lui mi si avvicina e leva una sua strana giacca dal
mio spazio, lasciandomi poi la possibilità di mettere tutto apposto senza
disturbo. Anche se per un attimo Martin viene a controllare come sistemo le
cose, forse sospettoso che non ne sia poi perfettamente in grado. Per mia
fortuna Julian gli consiglia di mettersi a studiare e lui subito squittisce di
essersi scordato del compito di matematica che c’è tra tre giorni, così corre
alla scrivania.
Tiro un respiro di sollievo, prima di estrarre dalla
borsa il mio portatile e metterlo sul comodino libero, ponendo così fine alla
mia sistemazione nel nuovo alloggio.
Quando mi volto verso il mio letto, il gothic-boy ci
è seduto sopra e dondola le lunghe gambe a ritmo della musichetta che sta intonando.
Alzo un sopracciglio vagamente allibito e lui con un movimento esagerato delle
braccia mi indica la stanza, allargando le labbra in un nuovo angosciante sorriso.
-Benvenuto al Purgatorio, Davy-boy…-
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Hello everybody!!!
Son
tornata con il secondo capitolo di questa storia di pazzi!!
Diciamo
che è una specie di introduzione sui compagni di stanza di Davie, ognuno con un
disturbo diverso.
Come
dice il protagonista nessuno è molto grave, sennò avrebbero mandato tutti in una clinica seria. Diciamo che
sono disturbi della personalità accettabili, che portavano comunque i ragazzi ad essere
isolati in altre scuole. U__U
CapGrass
è prorpio un’istituto in cui i ragazzi possono essere seguiti da psicologi per
tutto il tempo, mentre continuano i loro corsi scolastici normalmente. Così da
non perdere tempo…
E
poi per loro fortuna non devono sopportare l’intolleranza degli altri ‘ ragazzi
normali’
presenti in una scuola ordinaria!!!
Okay,
dopo aver spiegato questo…
‘‘Davy-boy’ è un gioco di parole con il
nome del protagonista e ‘day-boy’ che sarebbe ‘alunno esterno’. Insomma una presa in giro per il nuovo
arrivato. ^__^
Per
quanto riguarda Emil, Martin e Julian pian piano si imparerà a conoscerli.
Finora sembrano tutti semplici schizzati. XD
Vabbè,
ora vi saluto e spero di ricevere qualche altro commentino!!! Per sapere se la
storia un po’ è gradita o se è meglio piantarla qui sul nascere!!!
Ciao
ciao a tutti…
Grazie a chi mi ha messo nelle seguite e nei preferiti! <3
XOXO
Miky