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Autore: Nadine_Rose    27/08/2020    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
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Nella foto, dal set del film “Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey”, come immagino Sarah e Matteo in luna di miele a Ischia.

 

Capitolo 37

 

Quando le farfalle smetteranno di librare

 

“Tua moglie, una conchiglia di mistero, donna che si difende alle parole, come Petrarca ne farei una dea.

È donna che ricerca smarrimenti che cerca un’acqua torbida di morte per poi ridiventare sirenetta.

Hai mai capito tu quelle ali unite di troppo maneggevole farfalla che vorrebbe volare oltre i momenti di questa terra gonfia di confini?”

Alda Merini, Tua moglie, una conchiglia di mistero

 

Gli occhi di Sarah si erano aperti e, improvvisamente, aveva compreso il reale motivo di così tanto astio nei suoi riguardi. L’ostilità della famiglia di Matteo, che si esprimeva in un continuo disappunto, non era generata dalle sue origini ebraiche e da un loro possibile, recondito sentimento fascista né dalla vergogna per le chiacchiere di paese sul presunto matrimonio riparatore, ma dal rifiuto a lasciar andare il loro primogenito, fonte di sostentamento economico per i figli più piccoli.

La delusione, frutto dell’acquisita consapevolezza, strinse alla gola un nodo di rabbia che si sciolse in parole di provocazione indirizzate alla futura suocera che, materialista, avrebbe voluto per lei un austero matrimonio di dopoguerra. Ricacciò indietro le lacrime e, ostentando un’aria fiera e altera, si rivolse alla sarta, dicendo: “Se il ricevimento finirà più tardi, avrò freddo e mi servirà una stola di pelliccia. Riuscirete a procurarmela in tempo?” E non aveva esitato al pensiero di dover dare in pegno un cimelio di famiglia per permettersela.

La sua dispendiosa richiesta zittì il parlottio delle donne e riportò Hannah alla realtà. Sul volto di tutte, attraverso lo specchio, vide disegnarsi un’espressione di stupore e, mentre donna Filomena, profondamente contrariata, torceva il naso, i propri lineamenti si contorsero in un ghigno soddisfatto che non le apparteneva. Ne ebbe quasi paura.

“Cara figlia, avresti potuto dirmelo prima”, ribatté la sarta in un tono misto di biasimo e sconforto, temendo di non riuscire ad accontentarla, “ma farò tutto il possibile.” Sorrise per nascondere la sua preoccupazione e rassicurarla, mentre Sarah preferì vedere riflettersi allo specchio l’ombra della tristezza nei propri occhi, anziché il velo di cattiveria che le deturpava il viso, il cuore.

Non era più sicura di voler sposare Matteo e sapeva di non poter attribuire l’intera colpa al rapporto conflittuale con la sua famiglia, poiché c’erano di mezzo il fantasma dell’altro e il ricordo di un amore passato, ma che lontano dal cuore non era.

 

“Gennaro mi ha proposto di suonare nel suo caffè”, la informò Davide, camminando con lo sguardo chino per ammirare le decorazioni in mosaico di anfore, pesci e cavallucci marini che ornavano la pavimentazione di quel tratto del lungomare, “credo che rimarrò qui per qualche mese, poi farò ritorno a Bologna.”

Sarah lo guardò volgere gli occhi al panorama serale del Golfo di Napoli e dischiudere le labbra a un lieve sospiro malinconico e, mentre lei, palpitante, cercava le parole giuste per confidargli i dubbi e la verità del suo cuore, fu lui per primo a confessare il proprio tormento, dicendole: “Questo posto sarebbe perfetto per ricominciare, ma lì ho tutto ciò che mi resta di mia figlia e della mia famiglia.” Si riferiva alle spoglie mortali della sua amata figliola.

Fermarono il loro lento incedere vicino alla ringhiera del lungomare e Davide, poggiandovi i gomiti, guardò le onde del mare portare a riva il ricordo di una giornata estiva sulla Riviera Romagnola a costruire castelli di sabbia con la sua piccola Rosa, sotto lo sguardo sereno e divertito di Maria che, seduta al riparo dell’ombrellone, li osservava dietro il suo ampio cappello di paglia. Si rivide, come la scena di un film in bianco e nero, mentre ricambiava il sorriso a sua moglie.

Con le braccia penzoloni fuori dalla ringhiera, giunse le mani e, rivolgendole un abbozzo di sorriso pregno di rassicurazione, introdusse il discorso: “Ma dimmi, Sarah, di cosa volevi parlarmi?”

Sarah sospirò tristemente e, voltatasi a braccia conserte, poggiò la schiena al parapetto, con forza, tanto da avvertirne il colpo. Fuggì lo sguardo di Davide per meglio trovare il coraggio di parlargli. “Mancano pochi giorni al matrimonio e non sono più sicura di voler fare davvero questo passo.”

“Il matrimonio è un passo importante. Fra qualche giorno prometterai davanti a Dio di condividere per sempre la tua vita con l’uomo che ami”, ribatté e il suo sorriso fu da Sarah accolto, ma non ricambiato. “Il matrimonio rappresenta lo spartiacque nella vita di una persona, c’è un prima e un dopo e i dubbi che ti assalgono in questo periodo sono frutto di un cambiamento che senti già avvenire dentro di te e nella coppia”, affermò, pur sapendo che quei «dubbi», in realtà, avessero il nome dell’ufficiale nazista che aveva condannato la sua amata moglie a divenire cenere e anima effuse nel cielo grigio di Auschwitz. Si sforzò a non indurire il volto.

è proprio la possibilità di un cambiamento che mi preoccupa. Matteo non ha una personalità forte e, quando le farfalle nello stomaco smetteranno di librare, potrebbe essere influenzato dalla sua famiglia contro di me. Ma c’è dell’altro”, fece una pausa e un altro sospiro, distogliendo lo sguardo da Davide per indirizzarlo al cielo terso della sera, dove forse lui era a scontare le colpe in uno dei meandri brucianti, “metà del mio cuore appartiene a un altro uomo.”

Conoscendo già la verità, Davide non si scompose né permise al risentimento verso il tenente di accompagnare le sue parole. “Se non sei pienamente convinta su Matteo, prenditi del tempo e non avere paura di rinviare le nozze. La gente troverà sempre un pretesto per sparlare. Ma non permettere che sia un ricordo idealizzato a condizionare le tue scelte e a relegarti a una vita d’infelicità”, le disse in tono paterno, fermo e, allo stesso tempo, pacato, “parlarne con Matteo potrebbe essere «la prova del nove» per comprendere se è lui l’uomo giusto per te.”

Improvvisamente, Sarah proruppe in un pianto convulso e, dimenticando le volte in cui ci aveva già provato, disperata, dichiarò: “Non ce la faccio.”

“Sì che ce la fai”, la incoraggiò, stringendola paternamente in un abbraccio che le malelingue del paese non tardarono a infamare, “sei molto più forte di quello che credi.” E, dietro i capelli, le parole sussurrate all’orecchio furono equivocate per il gesto di un bacio.

 

Sarah conosceva il sentimento della gelosia. In un’afosa mattina di luglio, lo aveva visto dardeggiare negli occhi verdi di Hermann; lo aveva sentito far male per le sue dita impresse a stringerle un braccio e strattonarla nella baracca; lo aveva amato, eguagliandolo a un tenero istinto di protezione che, al calar di quel giorno, l’aveva indotta a liberare le recondite fantasie dell’amore.

Ma ciò che vide negli occhi di Matteo non era il fuoco della gelosia e nemmeno ne avvertì l’impeto in una tirata di capelli, reazione inaspettata e improvvisa scaturita dalla paura del giudizio altrui.

A causa dello strattone e per lo sconcerto, Sarah lasciò cadere in terra al porticato della loro casa gli ultimi capi di biancheria da sistemare e la volontà di aprirgli il cuore sul suo passato.

 

“Ti brucerai, piccola stella senza cielo.

Ti mostrerai, ci incanteremo mentre scoppi in volo.

Ti scioglierai dietro una scia, un soffio, un velo.

Ti staccherai perché ti tiene su soltanto un filo, lo sai.”

 

Luciano Ligabue, Piccola stella senza cielo

 

   
 
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