Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Nescio17    28/08/2020    0 recensioni
1 settembre 1939, Hitler invade la Polonia e la seconda guerra mondiale ha inizio.
Molti giovani italiani vengono richiamati alle armi per difendere il proprio paese e portargli lustro.
Moira Marzotti e Andrea Nolano si troveranno coinvolti in questo avvenimento più grande di loro e i destini di tutti saranno legati da un filo rosso.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Storico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

21 Settembre 1940

La stazione era piena di persone, sembrava che un fiume si fosse riversato in quel stretti antri che solitamente vedevano tante persone solo nell’ora di punta. Gente andava e veniva come schegge impazzite in quel viva vai di anime, perse e vuote che abbandonavano una parte della loro vita per forse non vederla tornare mai più. Io mi aggiravo silenziosa, persa anch’io in quell’assordante rumore di voci e di treni che partivano carichi di soldati talmente giovani da sembrare ragazzini appena cresciuti. Stringevo a me la borsa cercando di schivare più persone possibili per arrivare dove sarei dovuta arrivare, lì dove la mia corsa si fermava e non ripartiva più, lì dove anch’io avrei lasciato un pezzo della mia anima insieme a tutte le altre. Più mi avvicinavo ai binari e più le donne che piangevano si moltiplicavano, i bambini che stringevano con le loro piccole mani pantaloni, facendo così tanta pressione da sembrare di voler strappare il tessuto. E poi c’erano loro: camminavano come tante formiche, ordinatamente in mezzo a quell’orda di vocii e rumori, come se nulla potesse toccarli o scalfirli, pronti per un destino che forse avrebbero evitato volentieri o forse eccitati all’idea di combattere, di battersi per un bene che in tanti consideravano superiore. I volti erano silenziosi, qualcuno più agitato di altri, qualcuno forse ancora reduce da ciò che era stata la guerra prima, con il rumore ancora fresco nelle orecchie e il fuoco ancora acceso negli occhi spenti: sembrava una triste sfilata di carne da macello, come bestie pronte al mattatoio più efferato e ingiustificato. 

 

Cercai di non pensare troppo ai risvolti negativi di tutta quella situazione: Mussolini aveva deciso di entrare in guerra per andare in appoggio alla Germania e diventare l’ago della bilancia sul tavolo delle trattazioni. Parlavano di guerra lampo, che nemmeno avrebbe superato natale, ma si sarebbe fermata giusto in tempo per riportare i soldati a casa per le festività: l’ombra del nazismo però invadeva l’intera Europa, con i loro carri armati che segnavano la terra lasciandole cicatrici profonde, con le loro bombe che facevano saltare corpi, terre, case, creando un miscuglio di morte organica.

 

Finalmente lo vidi nella massa di persone che si salutavano e che disperate pregavano un qualche signore lassù affinché i loro figli e i loro mariti tornassero sani e salvi. I capelli biondi tagliati corti svettavano anche grazie alla sua altezza, gli occhi tranquilli, pacifici, quasi spenti, senza quel bagliore di luce che solitamente li illuminava. La bocca era una linea dritta, dura, circondata da un sottile strato di barba che i barbieri non erano riusciti a eliminare prima della sua partenza: il grosso zaino gli pesava sulle spalle, arcuandole leggermente. Con la divisa addosso sembrava un vero e proprio soldato, di quelli che lo scelgono per lavoro e non perché si sono dovuti arruolare: i pesanti scarponi neri gli fasciavano i piedi, ma quell’accozzaglia di vestiti mi dava l’idea di essere così fragile e troppo leggera per ciò che davvero lo aspettava. Gli uomini che stavano partendo si sarebbero diretti verso le ali occidentali per difendere il confine italiano dalla Francia. 

 

Quando alzò lo sguardo incontrò subito i miei occhi che lo accolsero come se fosse a casa: mi sorrise debolmente, forse incapace di mostrare i suoi pensieri nel vedermi. Mi avvicinai a lui e lo strinsi forte: Andrea rimase scioccato dalla mia reazione, non abituato a i miei abbracci più rari che mai. Sentii il suo corpo adattarsi al mio, incapace di rispondere al mio gesto, immobile e rigido. Quando mi staccai cercò di dirmi qualcosa passando sopra il fragore di rotaie sferraglianti e donne piangenti. 

 

“Ti scriverò in ogni occasione possibile Moira, avrai sempre mie notizie.” Disse stringendomi il braccio mentre con l’altra mano strinse forte la spallina dello zaino. “Cercherò di rimanere in contatto anche con i tuoi fratelli, non temere.” I miei occhi iniziarono a riempirsi di lacrime che però repressi immediatamente: non potevo mostrarmi così fragile in un momento che richiedeva solo forza d’animo. 

 

“Devi stare attento Andrea.” Lo pregai con la voce e con gli occhi, stringendo ancora di più la presa sul suo braccio: non avevo la minima intenzione di lasciarlo andare dopo che avevo salutato i miei fratelli il giorno prima, diretti sul confine austriaco. Questa volta fu lui a stringermi in un abbraccio, le sue mani avvolte attorno alla mia vita e le sue braccia fuse sul mio corpo. Feci in tempo a dargli un ultimo bacio sulla fronte che mi venne strappato via dalle mani, lasciando un freddo glaciale a riempirmi le ossa. Un suo compagno lo tirava per la manica mentre lui cercava ancora di ritardare la sua partenza: ma il capotreno stava richiamando tutti, ormai non c’era più tempo. 

 

Lo vidi scomparire nella folla come un fiocco di neve d’inverno. 

 

Decisi di non trattenermi più a lungo del dovuto e mi avviai verso casa con la bicicletta: passai in mezzo alla città, deserta, vuota come non lo era mai stata e sentii tutto il peso di quello che stavo per vivere. Notti insonni, dubbi, paure, ansie sempre più frequenti. Nemmeno l’università avrebbe potuto salvarmi dato che a causa della chiamata alle armi sarebbe rimasta chiusa per alcuni semestri. Pedalai più veloce per non assistere ancora a quello spettacolo tetro e solitario, pensando solo a quando sarei riuscita ad avere notizie dei miei fratelli e di Andrea. 

 

A casa mia madre stava lavando i piatti con ferocia mai vista: grattava le superfici quasi volesse romperle. Infatti un piatto volò fuori dal suo controllo e si sfracellò a terra, aprendosi in mille pezzi: andai ad aiutarla. Si piego sulle ginocchia e lasciò che il pianto la travolgesse come una cascata, come un fiume in piena: l’abbracciai silenziosa mentre mio padre fece la sua comparsa da dietro la porta. Si accucciò anche lui per sostenere il suo dolore.

 

“Su Rosa, non disperare. So che è dura, ma dobbiamo essere forti per loro.” Indicò me per intendere noi figli. Mia madre si asciugò le lacrime con nervosismo, facendo un sorriso tirato.

“Gabriele non doveva capitare di nuovo, loro non dovevano vivere quello che noi avevamo già vissuto.” Singhiozzò tra una parola e l’altra, sospirando rumorosamente. Mio padre la strinse ancora più forte in silenzio, consapevole che qualsiasi affermazione sarebbe stata vana. 

 

Iniziai a tirare su i cocci mentre assistevo ancora a quella scena che non faceva che stringermi il cuore: niente era facile, ma una guerra era troppo per tutti, era un ostacolo di cui non si riusciva mai a vedere la fine nitidamente e questo rendeva tutto più difficile. Era come camminare nella nebbia per giorni, senza poter sentire o percepire nulla che fosse di buon auspicio: come quando di notte cerchi di orientarti nel silenzio più assoluto e riesci a sentire solo il tuo cuore battere. 

 

Decisi di ritirarmi nelle mia stanza, la giornata era stata pesante per tutti, lo sapevamo, ma ci attendevano tempi ancora più difficili e spaventosi. 

 

Bisognava preparare cuori, menti e stomaci, perché la guerra non avrebbe risparmiato niente e nessuno. 

 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Nescio17