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Autore: Trilla    17/08/2009    6 recensioni
Gola, Accidia, Superbia, Avarizia, Lussuria, Ira, Invidia. Sette peccati, sette capitoli, sette storie diverse. 1-Gola 2-Accidia 3-Avarizia 4-Invidia 5-Lussuria 6-Superbia
Genere: Malinconico, Horror, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sette peccati:

Avarizia

-Ciccio, passa!!- gridò Cremino correndo a perdifiato verso il compagno. Ciccio però passò la palla a Uccia, che trovandosi davanti alla porta segnò un potentissimo goal.
Cremino sbattè a terra il cappello e ci saltò sopra dalla rabbia.
-Non è possibile, non è possibile!- urlò fuori dai gangheri -Non me la passi mai, tu!-
-E' che non eri vicino alla porta...- si scusò Ciccio, poi aggiunse guardando Uccia -Complimenti, bel tiro!-
-I suoi calci potrebbero abbattere un muro di mattoni!- scherzò Man. Uccia sorrise lusingata e si lisciò il vestito nero.
La piccola partita di calcio si era conclusa, i bambini tornarono a casa e mangiarono a sazietà un caldo pasto, dopodichè furono messi a letto dai loro genitori che gli diedero il bacio della buonanotte e augurarono loro di fare dei bellissimi sogni.
Vorrei poter scrivere questo.
Purtroppo è mio triste compito raccontare la vicenda come si è svolta realmente, presentare i personaggi come sono in realtà.
Quindi, quei bambini non tornarono mai a casa dalle loro famiglie, perchè non ne avevano. Il loro campo di calcio era la strada, la palla una lattina e la porta un muro pieno di graffiti.
Orfani, tutti quelli citati all'inizio. Orfani quelli che citerò tra poco. Orfani tutti loro.
Vivevano per la strada già da cinque anni, tutti insieme. Un gruppo formato da sette monelli.
Si erano dati dei soprannomi a vicenda, visto che, di solito, chi vive vagabondo come loro tra i vicoli di una città non usa mai il nome con cui è stato chiamato dai genitori. E comunque far sapere il tuo vero nome in un ambiente come quello è pericoloso.
Loro erano i figli della strada, i figli della città, come affermava sempre Man.
Ecco, comincerò a descriverli partendo dal più grande di loro, il capo: Man. Era un ragazzotto sui quattordici anni, muscoloso e sempre con il viso pieno di lividi, segno che le risse erano il suo pane quitidiano. Man si occupava quasi a tempo pieno di una bimbetta bionda di appena cinque anni, Lea, che trattava come una sorellina. L'aveva trovata una sera, circa quattro anni fa, dentro un cassonetto e da allora se ne era occupato.
Il miglior amico di Man si chiamava Ciccio ed era, possiamo dire, il vice capitano della banda. Come s'intuisce dal soprannome, Ciccio era tutto lardo, e nessuno ne capiva il motivo perchè non mangiava quasi mai, essendo un poveraccio come gli altri.
Il ragazzino chiamato Cremino era un po' il classico monello della strada: aveva la giacca di quarta o quinta mano, un grosso basco rattoppato sulla testa, i pantaloncini sfrangiati e le scarpe rotte. Ed era una testa calda. Lui ed Uccia bisticciavano spesso, nonostante fossero cugini.
Uccia era una ragazzina coi capelli corti, neri e unti. Aveva due grandi occhiaie sotto gli occhi, anch'essi neri, ed era una specie di maschiaccio. Sapeva di essere cugina di Cremino perchè ricordava la modesta abitazione dei suoi genitori andare in fiamme e il bambino gridare "Zio, zia!"; comunque allora aveva solo sei anni e i ricordi riguardo a questo erano confusi. Cremino era più piccolo di lei di tre anni e non ricordava di certo.
Un'altra componente femminile del gruppo era Lulu. La bambina di soli undici anni era stata particolarmente sfortunata nella sua breve vita: una sera di qualche anno fa un ratto le aveva morso il ginocchio destro e quella notte stessa la ferita si era infettata, facendo diventare l'arto rosso e pulsante. I suoi amici avevano provato a chiamare un dottore, ma questo si era rifiutato di fare qualsiasi cosa perchè sapeva che non sarebbe stato pagato. Giuppa le recise la gamba con un coltello da cucina. Ci vollero un'ora intera per tagliarla tutta e Lulu per poco non moriva da dolore; ma adesso era lì, ad assistere a tutte le partite di calcio dei suoi compagni, munita di stampella e benda a coprire la parte monca.
A proposito di Giuppa, era una ragazza dagli occhi a mandorla vestita di capi di vario genere. Non parlava mai, infatti i suoi amici pensavano non conoscesse la loro lingua nonostante aiutasse sempre quando c'erano dei guai, come nel caso di Lulu. Stava sempre in disparte e giocava con una specie di peluche bianco, forse un pesce, con gli occhi di bottone.
Questi orfanelli usavano giocare spesso davanti ad una casa di cemento grigio piuttosto cadente, piena di crepe e dalle persiane rotte.
In quella casa abitava un vecchio, il signor Stuart Bennet, un uomo che odiava con tutto se stesso quei bambini. Diverse volte uno di quelli là, il più grasso, aveva bussato alla sua porta a chiedere l'elemosina, ma naturalmente lui gli aveva dato una sberla, o un calcio, gridando: "Vai a lavorare, ragazzaccio!".
Non aveva soldi da dare a quei perdigiorno.
Lui non aveva soldi da dare a nessuno!
Il signor Bennet si alzò e attraversò la cucina arrancando sulle gambe tremolanti. Si fermò davanti a un grosso quadro raffigurante delle donne seminude che si lavavano in una fontana al chiaro di luna. L'aveva dipinta lui, quella tela. Prese il quadro e lo posò a terra delicatamente; poi aprì uno sportellino nella parete, aiutandosi con le unghie delle mani: una cassaforte nascosta. Lì teneva i suoi assegni, le banconote, le carte di credito e i gioielli della defunta moglie. Guardò il tutto con occhi luccicanti e un sorriso sdentato sulle labbra raggrinzite. Richiude l'aperutra e coprì il tutto con il dipinto.

Aprirò una parentesi per spiegare come mai il signor Bennet era ridotto a fare quella vita povera, nonostante egli possedesse tutti quei soldi.
Stuart Bennet, durante i suoi fiorenti ventinove anni, investì tutto ciò che possedeva (centosessantamila dollari) in un negozio di abbigliamento femminile. In dodici anni il suo patrimonio si moltiplicò per circa dieci o undici volte; nel frattempo egli viveva con trecento dollari al mese, perchè voleva a tutti i costi risparmiare. Non mancò inoltre di sposarsi con una ricca vedova francese: madame Danuve, di otto anni più grande del signor Bennet e anche otto volte più ricca.
Purtroppo però la donna venne a mancare poco dopo il loro quarto anniversario, a causa di un incidente autostradale.
Così il signor Bennet divenne erede universale, in quanto madame Danuve (o Bennet che dir si voglia) non aveva nè figli, nè nipoti, e i suoi altri parenti erano quasi tutti anziani in punto di morte.
Facendo una stima, il patrimonio del signor Bennet a quarantacinque anni sfiorava i due miliardi di dollari;  ma l'uomo non era soddisfatto e continuò a fare economia, a non prestare nulla dei suoi averi e a guadagnare ancora, sempre di più.
Verso i sessant'anni ritirò tutta la somma che aveva depositato in banca e la nascose in diversi punti della casa. Il primo nascondiglio era l'apertura dietro al quadro dove teneva poche cose; il secondo una botola nel pavimento del salottino che conduceva ad una stanza piena di mazzi di banconote; il terzo era al secondo piano, sotto il vecchio letto sfondato e sporco; il quarto ed ultimo era nella cantina, in una botte di vino, che di liquido non aveva nulla. Erano in realtà nascondigli banali, ma considerando il posto in cui viveva, le condizioni della casa sia all'esterno che all'interno nessuno avrebbe mai potuto sospettare che il signor Bennet teneva nella dua povera dimora più di quattro miliardi in monete, banconote, gioielli e piccole opere d'arte.
Passavano gli anni e l'uomo accumulava sempre più denaro, senza spendere mai un soldo nè per se stesso, nè per gli altri.
L'avarizia è un sinonimo di cattiveria verso il prossimo, e si paga.

Ritorniamo alla banda di monelli: quel giorno stavano gironzolando intorno alla casa del signor Bennet, chiamato comunemente da loro "il vecchio". Erano affamati, assetati e arrabbiati. I bambini in queste condizioni di solito si distraggono facendo scherzi agli adulti; ma i bambini cresciuti nella strada non scherzano mai, perchè non se lo possono permettere. In un ambiente crudele anche con dei bambini come loro non si può scherzare su nulla, perchè tutto è una questione di sopravvivenza.
Così i sette amici decisero di infastidire il vecchio a modo loro. Pensarono di distruggergli la casa.
Ciccio, che tra di loro ne sapeva di più sul signor Bennet, disse a Cremino di di suonare il campanello e distrarlo. Gli altri passarono dal retro dell'abitazione, dove a un metro di altezza c'era una finestra dai vetri rotti; Man diede un forte pugno ai pochi vetri ancora intatti. Si fece male, ma per lui era una cosa abbastanza normale rompere vetri e legno a mani nude, lo aveva imparato dagli adulti ladri di professione.
Dopo che tutti e sei i ragazzi furono entrati Ciccio andò a vedere se dall'altra parte della casa Cremino stava ancora parlando con il vecchio.
Il ragazzino stava infatti ancora trattenendo il signor Bennet con qualche scusa:
-Mi può dare un pezzo di pane per i miei fratellini?-
-Non ho pane, nè altro per te, ragazzo!- berciò il vecchio e tentò di chiudere la porta, ma Cremino la fermò con un piede e una mano.
-La prego signore, non mangiamo da giorni...- supplicò. Spostò lo sguardo oltre il vecchio e vide il suo compagno Ciccio sulla soglia della porta che gli faceva cenno di venire via, perchè erano già entrati tutti. Il ragazzino fece un mezzo sorriso, ma prima che potesse togliere la mano mano dalla porta il vecchio, senza alcun preavviso, gli recise tre dita.
Cremino strizzò gl'occhi e urlò tenendosi la mano sanguinante. Alzò poi lo sguardo verso il signor Bennet che stringeva tra le dita scheletriche un taglierino.
-Sparisci se non vuoi che ti tagli tutta la mano, criminale!- minacciò. Un vaso gli si spaccò in testa, lasciandogli il cranio pieno di schegge; si voltò e vide quel bambino grasso che cercava sempre elemosina da lui con uno sguardo minaccioso sul volto. Iniziò a sgorgargli un po' di sangue sulla fronte e sull'orecchio.
Pieno di rabbia si avventò su Ciccio urlando con la voce roca e con il taglierino puntato alla tempia del ragazzo.
Ma Cremino era ancora là, anche se soffriva. Ed era arrabbiato. Saltò e si aggrappò al vecchio stringendolo per la gola; il signor Bennet preso alla sprovvista si dimenò come poteva, data la sua età, poi col taglierino iniziò ad accoltellare la schiena di Cremino, che continuava comunque a strozzare il vecchio.
Ciccio intervenne e prese il braccio del signor Bennet voltandolo in senso antiorario e spezzandoglielo. Il fragile e rachitico braccio del vecchio cadde a terra inzuppando i piedi di Ciccio, seguito da un urlo di dolore.
Il signor Bennet cadde a terra. Per un vecchio è faticoso persino respirare, è quindi inutile dire che l'uomo ormai non riusciva neppure più ad alzarsi e si limitava a tenere la parte monca e sanguinante, gemendo.
Però, come ho già detto prima, i bambini cresciuti nella strada non scherzano, nè conoscono mezze misure.
Quando Man, Lea, Uccia, Giuppa e Lulu entrarono nel piccolo salottino trovarono Ciccio che cercava di aiutare alla bell'e meglio Cremino, che perdeva sangue dalla mano e dalla schiena.
Man guardò il vecchio che ancora gemeva dolorante con gli occhi chiusi; guardò il suo braccio oramai bianco e scheletrico e poi tornò con lo sguardo sul vecchio.
Non c'era pietà nel loro mondo. Per nessuno. Il signor Bennet lo aveva appena dimostrato tagliando le dita a Cremino e accoltellandolo. Evidentemente non era l'unico ad aver pensato questo, perchè anche gli altri guardavano minacciosi il vecchio.
-Va' in bagno a cercare delle bende per Cremino.- disse Man a Lea -Noi ci dobbiamo occupare di una cosa...-
Lea ubbidì e corse a cercare il bagno. Aveva una mezza idea di quello che stava per succedere; Man l'aveva mandata via altre volte quando faceva qualcosa di strano o brutto e non voleva che lei vedesse; ecco perchè voleva così tanto bene al suo fratellone, perchè la proteggeva!
Man aveva sferrato un calcio nello stomaco del vecchio non appena la bambina era uscita dal salotto. Uccia lo tirò su per i capelli e gli mollò un potente calcio sulla bocca, facendogli cadere i pochi denti che aveva ancora. Il signor Bennet gridò tenendo gli occhi chiusi.
-Hehe, l'avevo detto io che i tuoi calci potrebbero abbattere un muro di mattoni!- disse Man. Uccia sorrise compiaciuta in risposta e passò il vecchio a Giuppa.
Calò il silenzio. Giuppa aveva dimostrato ai suoi compagni di avere nervi d'acciaio per essere una ragazzina. Aveva tagliato la gamba infettata di Lulu senza voltare lo sguardo una volta e senza fermarsi mai, neanche per fare una pausa. Quando volevano fare veramente del male a qualcuno, Man chiedeva sempre aiuto a lei.
Giuppa lasciò il vecchio per terra, pallido, smorto, sporco di sudore e di sangue. Andò in cucina accanto al solottino ne uscì pochi secondi dopo con un enorme coltello seghettato tra le mani
Si diresse verso il vecchio e senza dire una parola lo prese per i pochi capelli che aveva, lo sollevò alla sua altezza e gli cavò i bulbi oculari infilzandoli e tirandoli via con il coltello.
Il signor Bennet urlò, gridò con tutto il fiato che aveva in gola, come non aveva mai fatto. E morì.
Troppo dolore per un povero vecchio di settantanove anni.

******************************************************
-Tira, tira!- incitò Lulu con le stampelle alzate in aria.
Man scartò gli avversari con abilità e tirò.
-GOAAAAL!!!- gridò felice Lea dalla panchina. Cremino, in porta, sorrise divertito nonstante la sconfitta subita. Le ferite sulla schiena si erano chiuse e Giuppa gli aveva ricucito le dita alle mani con incredibile maestria. Non riusciva a muoverle ed erano leggermente più pallide del resto della mano, ma le aveva attaccate e questo era l'importante.
Ciccio gongolò verso Uccia e la prese un po' in giro:
-Ahah! Noi abbiamo vinto! Noi abbiamo vinto!- cantilenò.
-Sì, ma soltanto di un punto!- ribattè Cremino.
Man sorrise al compagno e si complimentò con lui:
-Bravo Cremino, sei cresciuto! Una volta se perdevi ti arrabbiavi...-.
Il ragazzino arrossì ai complimenti del grande Man. Ciccio intanto ballava facendo rimbalzare la sua grossa pancia.
Uccia sbuffò infastidita dal suo comportamento e disse:
-Dai, andiamo dentro a prenderci una birra, che ho sete...-
-Sì, sì, anch'io!- gridò Lea saltando giù dalla panchina e avviandosi insieme Uccia verso la c
asa in cemento grigio, tutta rotta e cadente.
-Tu non puoi bere la birra, sei troppo piccola!- la rimproverò Man. Poi, vedendola mettere il broncio, la prese in braccio e le disse ancora -Quando avrai dieci anni te la farò bere, okay?-
Anche Cremino e Lulu si avviarono verso la casa sorridendo felici. Ciccio smise di ballare e stiracchiandosi disse a Giuppa:
-Prendi la palla e rientriamo anche noi. Ho un po' di fame...-
Giuppa sollevò le spalle e sospirò. Andò verso la rete, si chinò e prese la testa livida e piena di sangue raggrumato del signor Bennet; si rialzò e corse sorridendo verso la sua nuova casa.




Hello!!! Devo ammettere che questo capitolo non mi piace molto, ma non sapevo che inventarmi con il peccato dell'invidia. Chissà se un giorno i bambini troveranno i soldi del vecchio... Pensate che l'ha letto anche mio padre (l'idea della birra è sua) questo racconto, e straordinariamente ha continuato a ridere tutto il tempo. :D Cioè, pensavo che mi avrebbe considerata una matta con manie omicide e mi avrebbe fatta vedere da uno psicologo per prevenire il mio futuro da serial killer XD Vabbè, non mi resta altro da dire se non che il finale in cui giocano a calcio l'ho preso da Hostel II (quel film è tutto un vomito!).

RECENSIONIIIII (madonna, quante!):

nikoletta89: Wow! Per fortuna non sei l'unica ad aver capito che quello era Vlad... Be' immagino di aver lasciato molti indizi. Si vede che mi piace come personaggio storico? :D Comunque non ti consiglio di provare a mangiare kit-kat e pizza bianca, specie se quest'ultima è piana di olio. Ti fa venire la nause dopo un po'...

lagadema: Personalmente se ci fosse uno così ai giorni nostri sarei felice, perchè tu pensa che allora si adottavano questi metodi crudeli come l'impalamento e le torture, mentre adesso noi utilizziamo la galera, o le multe. E qui in Italia servirebbe un po' di giustizia...

VioletNana: XD l'incantesimo di appello! Pensa che io lo facevo per far venire a me i bicchieri d'acqua sul tavolo, mentre ero stesa nel letto! Gridavo "Accio bicchiere! Accio bicchiere!", poi arrivava mia mamma e me li dava lei... be', però funzionava! O_o Riguardo al capitolo della lussuria, ho già in mente la maggior parte del racconto! *_*

Miss_Juls_giu: Lol! Ecco ilm prossimo peccato: l'avarizia! :D Francamente io non vedo l'ora di scrivere il peccato della lussuria, che sarà probabilmente a rating rosso (ma nn lo cambio perchè voglio che anche chi non è registrato su EFP legga...). Lol! Continua a seguirmi! X3

violettamiciamiao: Io ho odiato quel re! E ho amato quel condottiero! Anzi, in realtà non ho odiato il re... ero molto indifferente... Oh, vabbè, sono molto confusa in questo momento! E poi io sono una pigra cronica, sarebbe stupido se io odiasso qualcuno che è pigro come me, no? :D

incasinata: OMG! Anche in questa sezione! :D Non preoccuparti per il commento triste dell'altro capitolo, non mi sono mica offesa! XD Comunque solo perchè scrivo storie horror non vuol dire che io sia triste, anzi! Scriverle mi rende felice (mmmh, sembra il discorso di una sadica).
   
 
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