Quando entrai nella mia stanza, buttandomi poi sul letto, non riuscii a
non
pensare ad Emanuele Benassi.. come darmi torto, d’altronde?
Affioravano nella
mia mente le immagini di quella mezz’ora passata insieme, del
passaggio in
moto, del suo modo di fare, della sua risata ed inevitabilmente mi
ritrovai a
fantasticare.
Cosa diamine succedeva? Ero sempre io, Ginevra Sforza? Scossi la testa
mentre mi toglievo il cappotto, la sciarpa ed infine le scarpe, senza
prendermi
la briga di mettere a posto niente di tutto ciò. Sicuramente
qualcosa di
strano, di insolito stava accadendo ed io non riuscivo a farci i conti,
ma
perché? Forse inesperienza o paura. Inesperienza
perché mai mi ero trovata
nella situazione di pensare ad un ragazzo che non era minimamente
interessato a
me e paura perché probabilmente il ricordo di Federico
bruciava ancora dentro
di me.
Federico Grandi era stato il mio primo, unico ragazzo.
L’unico che era
riuscito ad aprire il mio cuore definito da tutti di ghiaccio,
l’unico che mi
aveva fatta sentire speciale, che era entrato nella mia vita con
convinzione,
apparentemente per non uscirne mai. Eppure, come sempre accade,
l’utopia di
quell’amore destinato a durare per sempre si infranse,
lasciando solamente
cocci che ferivano molto più della rottura del sogno stesso.
Ancora ricordavo
quel pomeriggio autunnale quando pochi giorni dopo aver festeggiato i
nostri
nove mesi insieme, mi aveva detto che non mi amava più come
prima, che non
ricambiava più i miei sentimenti, che voleva farla finita
con me per non
illudermi ancora di più, per non ferirmi. Io ne ero uscita
distrutta
inizialmente, con il cuore spezzato non in due pezzi, ma in infiniti,
ma con il
passare dei giorni, delle settimane, vedendo in lui solo indifferenza,
avevo
raccolto tutte le mie forze fino a costruire una maschera
d’indifferenza di cui
mi ero stupita io stessa.. Due settimane e sembrava che non fosse
passato
nulla, sembrava che sul mio cuore non fosse passato un treno. Erano
trascorsi
tre mesi da quel ventisette di ottobre, ma nonostante facessi finta di
nulla,
nonostante ridessi di quella storia, spesso mi chiudevo in stanza ed
accedendo
la musica soffrivo silenziosamente, con orgoglio, com’ero
abituata a fare con
tutto.
-Pronto?- Dissi, sperando che chiunque fosse non riuscirre a sentire la
mia
voce un po’ roca, dispersa ancora in quei dolci e
contemporaneamente amari
ricordi.
-Ginevra, sono io!- Era la voce di mia madre, che probabilmente mi
aveva
chiamato mille volte sul cellulare ed infine arrerasi aveva chiamato a
casa.
–Perché hai il cellulare spento?-
-Sì è scaricato.. Senti, la macchinetta si
è rotta, l’ho lasciata
parcheggiata in Via della Tecnica..- Cominciai mentre mi guardavo le
punte
ramate dei capelli. –Non è che poi potresti
chiamare il carroziere e chiedergli
quando può venirla a prendere?-
-Sì, sì.. – Mi disse leggermente
sbrigativa lei dopo qualche istante.
Probabilmente aveva ancora molto lavoro da svolgere. –Tu stai
bene? Vai a
mangiare, ti ho lasciato un’insalata!- ù
-Tutto apposto, mamma, non ti preoccupare.. Ora vado a mangiare!-
Quella
breve conversazione si chiuse con i soliti saluti che ci si scambia fra
madre e
figlia e poggiata la cornetta andai in cucina. Presi
l’insalata che mi madre mi
aveva preparato e me la portai in salone dove dopo essermi seduta ed
aver
acceso la televisione, cominciai a mangiare con gusto. Quando mi
ritenni sazia
e soddisfatta, presi il telecomando e cominciai a cambiare canale,
sperando di
trovare un programma, magari anche il più stupido che fosse
di mio gradimento,
ma sembrava che quella pioggia avesse lavato via anche tutto
ciò che di decente
ci fosse in tv, costringendomi a spegnerla. Tornai in cucina mettendo a
lavare
il piatto, il bicchiere e la forchetta, affacciandomi nel frattempo
anche alla
finestra, per perdermi ad osservare le goccioline che correvano lungo
il vetro,
donando sempre più maliconia a quel pomeriggio.
-Pronto?- Quasi mi stupii della falsità del mio tono,
aggrottando la
fronte. Evidentemente non fui l’unica a stupirsi, visto che
dall’altra parte
della cornetta sentii una risatina.
-Che diamine fai?- La voce di Sara mi fece decisamente risollevare il
morale e sorrisi quasi naturalmente, buttandomi poi sul divano pronta
ad
un’intensa chiaccherata.
-Pensavo fosse di nuovo mia madre..- Mi giustificai, cominciando a
giocherellare con i capelli. -..Non hai idea di
cos’è successo oggi dopo
scuola!- Così mi riservai la bellezza di poter parlare da
sola indisturbata di
tutto ciò che mi era accaduto, ripercorrendo gli eventi.
Raccontai filo e per
segno la mia amata disavventura, mentre lei faceva strani versi di
stupore ogni
volta che mettevo in mezzo Emanuele. Mi ritrovai a sfogliare con un
sorriso le
immagini di quei momenti, sognando ad occhi aperti lontana da occhi
indiscreti,
sola nel mio mondo.
-Come sarei voluta essere al tuo posto.. in moto con Benassi!- La voce
sognante di Sara mi fece quasi venire il diabete. Da
quand’era che aveva quella
cotta per quel ragazzo che era stato uno sconosciuto per me fino alla
settimana
precedente?
-Benassi è un tipo strano.- Commentai un po’
sovrappensiero mentre guardavo
un video che passavano su MTv. –A scuola non mi calcola,
appena stiamo io e lui
si trasforma, diventando un’altra persona.-
-Benassi è così, te l’ho detto. Ha il
suo mondo, ci vive, il resto non lo
calcola. E’ uno di quei tipi che “se il mondo
casca, mi sposto un po’ più in
là”! Per quanto può essere figo..
Lascialo perdere!- La ascoltai senza fiatare,
sentendomi nuovamente dire quelle cose che già sapevo
perfettamente, che già mi
ero sentita raccontare più volte.
-Hai ragione- Mentii, sperando che in questo modo cambiasse argomento.
Inutile dire che non fossi d’accordo con ciò che
aveva appena detto: ormai mi
ero costruita un’immagine di Emanuele Benassi completamente
differente da
quella che ne avevano le mie amiche e le restanti studentesse
dell’ Eco.
-Comunque ti avevo chiamata per dirti che domani sera andiamo al
festino di
Marika Marchesani, quella del IIIC..- Una festa! Finalmente! Sorrisi
sollevata
sia per il cambio d’argomento repentino sia per la
novità. Un festino con
alcol, fumo e buona musica a casa di una delle più ricche
del nostro liceo.
Cosa avrei mai potuto desiderare di più?
Emanuele Benassi e Federico della Valle si fermarono a chiaccherare con
dei
ragazzi della B giusto un metro e mezzo davanti a me. Poggiata con la
schiena
contro il muretto, li osservai con discrezione, aiutata anche dalla
folla che
continuava a scorrere davanti a me e spesso fermandosi per salutarmi e
chiedermi informazioni o sulla vita scolastica studentesca o su qualche
attività che il comitato studentesco stava organizzando.
Passarono cinque
minuti, cinque minuti in cui i miei occhi cercarono i studiare i suoi
movimenti, cercando di capire se quei movimenti corrispondevano o meno
all’idea
che mi ero fatta di lui.
Il mio cellulare vibrò. Mia madre era arrivata. Mi alzai
sulle punte e vidi
-Oi ciao.. Scusami!- Dissi, senza riuscire a togliermi dalle labbra
quel
sorriso ebete. La sua reazione mi spiazzò completamente. Mi
guardò in quel modo
austero, serio, e senza pronunciare parola si voltò,
tornando a parlare con i
suoi amici. Come se non esistessi. Come se non fossero esistiti quei
momenti
che avrebbero reso necessario un saluto, un qualsiasi cenno,
un’espressione
differente.
Stupita, con nuovi dubbi per la testa, me ne andai velocemente,
cercando di
fare il minor numero di passi possibile per arrivare alla macchina di
mia
madre. Entrai, mi sedetti e fissai davanti a me senza pronunciar parola.
-Tutto bene?- Mi domandò mia madre con dolcezza,
sistemandomi una ribelle
ciocca rossa dietro l’orecchio e sorridendomi. Annuii
impercittibilmente,
forzando le mie labbra ad assumere la forma di quello che si sarebbe
potuto
definire un sorriso. Partimmo e mi persi nel guardare fuori dal
finestrino
finendo, mentre giravamo nella parte opposta alla salita, a lanciare
uno
sguardo a quel gruppetto. Benassi non c’era più e
non lo capii solo dal fatto
che il gruppo avesse perso un componente, ma anche da rombo del motore
che fece
scattare la mia testa costringendomi a guardare avanti, a guardare una
moto
nera sfrecciare.
-Queste moto! Sono così pericolose!- Esclamò mia
madre, alzando poi
leggermente il volume della musica. Le fui immensamente grata,
riuscì a
lasciarmi immersa nel miei pensieri, senza disturbarmi.
Allora mi ero sbagliata io? Mi ero illusa pensando di aver scoperto un
lato
di Emanuele che non conosceva nessuno, un lato bellissimo che rivelava
solamente a me? Aveva avuto ragione Sara a definirlo
un’egoista, un
menefreghista, egocentrico? Chiusi gli occhi scuotendo delicatamente la
testa:
non potevo essermi immaginata quel suo sorriso così dolce,
così vero, non
potevo essermi immaginata la sua gentilezza, la sua premura nei miei
confronti.
Non potevo essermi immaginata un altro Emanuele Benassi.
Mi allontanai dallo specchio prima di scatenare
quell’autocritica che sorge
spontanea quando ci si specchia cercando qualche difetto nel proprio
look che
in realtà è già impeccabile. Il
citofono suonò ed afferrando al volo il
cappotto nero lungo e la borsetta nera di pelle, mi precipitai fuori
dall’appartamento, scoccando prima un bacio sulla guancia di
mia madre.
-A casa per le due!- Mi urlò dietro. Le risposi con un
sì gridato mentre
varcavo già la soglia della porta, sbattendola poi alle mie
spalle. Scesi le
scale, cercando accuratamente di non rompermi l’osso del
collo nell’impresa ed
una volta fuori dal palazzo insipirai profondamente.
Squadrai lo scooter di Gianluca, spostando poi lo sguardo sul suo viso
radioso ed allungai il braccio per prendere il casco che gentilmente mi
porgeva. Mormorai un “grazie” indimidito, montando
poi dietro di lui.
-Buonasera, Madamigella!- Mi disse con dolcezza, voltandosi e
sorridendomi
in quel modo affascinante che lo caratterizzava. –Pronta per
la partenza?-
Domandò, mettendosi poi il casco ed avviando lo scooter.
-Sì, stai attento..- Dissi supplichevole passando le braccia
intorno la sua
vita, stringendomi alla sua schiena. Nuovamente mi trovai a
sperimentare il
brivido delle due ruote e mi trovai a pensare ad Emanuele, a quel
passaggio a
casa, al suo sorriso sghembo, a quando mi aveva chiamata
“lentiggini”. Sorrisi,
chiudendo gli occhi ed assaporando la sensazione di avere il vento in
viso,
cercando di scacciare tutti i pensieri che affollavano la mia testa da
due
giorni interi ormai. Troppo tempo. Troppo tempo perso dietro a chi?
Dietro
l’ennesimo buffone, pallone montato?
Ci fermammo ed aprii gli occhi, allentando la presa su Gianluca, scesi
in
fretta dal motorino e mi tolsi il casco.
-Andata così tragicamente?- Mi domandò,
allungando il braccio per passarmi
con dolcezza una mano fra i capelli. –Dai che sono andato
piano e non ho preso
buche..- Ridacchiò, ritirando poi la mano e scendendo a
propria volta dallo
scooter, piegandosi per mettere la catena.
-Sei stato bravo.- Lo lodai affettuosamente, guardandomi poi intorno
con le
braccia incrociate al petto. L’ampio parcheggio che si
trovava di fronte la
villa di Marchesani era colmo di macchinette, macchine e motorini, ma
il mio
sguardo insoddisfatto dei dubbi, dei problemi di quella giornata, si
andò a
posare proprio sull’ultimo mezzo di trasporto che avrebbe
dovuto addocchiare:
una moto nera, parcheggiata vicino ad una mini cooper rossa. Emanuele
Benassi
era alla festa. Perché era alla festa? Non era Benassi colui
che non
partecipava mai ad eventi del genere, troppo impegnato nella vita
mondana del
“proprio mondo”? Aggrottai le sopracciglia e,
quando Gianluca finì con la
catena, mi avviai all’entrata insieme a lui, ridendo per
qualche battuta, ma
con la testa altrove, decisamente.
Citofonammo e dopo esserci identificati varcammo il cancello,
ritrovandoci
in un magnifico giardino con tanto di piscina. Era presente davvero
tutta la
scuola, o perlomeno tutte le classi liceali e qualche membro delle
ginnasiali.
Camminai sicura di me fra tutti quei gruppetti: conoscevo la maggior
parte
delle persone, sicuramente non ero la ragazza che non si sentiva a
proprio
agio, non lo ero mai stata.
-GINNIIIII!- Sara mi abbracciò con tanta foga da farmi
barcollare.
–Finalmente sei arrivata!- La
baciai su
una guancia e sentii la puzza di alcol salirmi su per le narici. Era
ubriaca
persa. Si allontanò da me e mi sorrise, passandosi una mano
fra i lunghissimi
capelli mentre si reggeva appena sui tacchi blu che aveva ai piedi. Mi
accorsi
solo allora che aveva un bicchiere in mano e con uno scatto glielo
rubai,
lasciandola stupefatta per qualche istante. –Ginni cattiva..-
Mormorò mettendo
su il broncio. –Sei proprio una stronza!- Sbottò
infine girando sui tacchi ed
allontanandosi traballante. Gianluca mi guardò con aria
preoccupata e fece per
seguirla quando ad un tratto la vedemmo avvicinarsi ad un ragazzo e
parlare
apparentemente tranquilla. Aguzzammo la vista e riuscimmo a riconoscere
la
fisionomia di Federico della Valle.
-Da quant’è che lo conosce?- Mi domandò
Gianluca quasi leggendomi nella
mente. Feci spallucce scuotendo poi la testa.
-Pensavo che la conoscenza di Benassi e Della Valle fosse Off Limits..
Ma
adesso parla con entrambi..- Entrambi restammo in silenzio mentre
vedevamo
Federico offrirle un’altro bicchiere ben colmo, per poi
passarle il braccio
intorno alla vita ed entrare in casa.
-Gianluca!- Una voce femminile ci distrasse. Mi voltai e vidi una
gallinella di quarto ginnasio buttare le braccia intorno al suo collo
stampandogli un bacio sulle labbra. Vidi il mio migliore amico girarsi
imbarazzato nella mia direzione, come a volersi scusare, ma io con un
leggero
gesto della mano gli dissi che era OK, che poteva andare, ed in pochi
istanti
restai sola.
Senza pensarci due volte entrai in casa e cercai Marika, la quale
trovai
seduta sui divanetti con dei compagni di classe a sorseggiare dello
spumante.
-Ginni! Sei venuta!- Mi accolse con un abbraccio, alzandosi.
–Vieni, ti
accompagno a posare il cappotto..- Mi prese sotto il braccio e mi
trascinò al
piano superiore, nella sua stanza. Posai il cappotto sul letto e poi
scesi
nuovamente con lei.
-Gran bella festa, come al solito..- Mi complimentai gentilmente.
-Sì, se non fosse per tutta la gente ubriaca.. Hai visto in
che stato gira
Sara?- La mia preoccupazione a quelle parole salì ancora di
più. –E’ andata con
Della Valle, quello del II A chissà dove..-
-Se non si fa vedere entro poco la vado a cercare!- Disse con un
sorriso,
cercando di mascherare la mia reale ansia. Ci salutammo e fui libera di
andare
a mia volta al tavolo dove vi erano tutti gli alcolici. Mi fermai
dubbiosa ad
osservare cosa potessi bere, quando una voce alle mie spalle mi fece
trasalire.
-Stanotte puoi far baldoria, non devi mica più guidare.- Mi
voltai ed il
mio sguardo si intrecciò con quello di Emanuele. Eccolo
lì di nuovo a
parlarmi.. A parlarmi come se nulla fosse, come se mi parlasse sempre
così,
ogni volta, come se non mi evitasse in cortile, all’uscita,
come se per lui
esistessi.
-Non amo bere più di tanto.- Dissi con calma, cercando di
distogliere lo
sguardo ma senza alcun risultato. Lui sorrise, io lo imitai con poca
grazia.
Senza dire nulla prese una bottiglia di vodka ed un bicchiere, lo
riempì per un
quarto e poi vi versò della limonata. –Tu invece
non dovresti guidare?- Gli
domandai, inarcando un sopracciglio.
-Infatti è per te, questo.- Mi porse il bicchiere e dopo che
lo afferrai,
fece scivolare le proprie mani nelle tasche, senza smetterla di
guardarmi. Portai
il bicchiere alle mie labbra e mandai giù un sorso di quel
cocktail che mi
aveva preparato. –Approvi?- Domandò curioso come
un bimbo che consegna i propri
compiti a casa alla maestra.
-Buono..- Era il cocktail più semplice al mondo, dannazione,
ma il solo
fatto che l’avesse preparato lui gli donava tutto il gusto
che necessitava per
essere “particolare”. Lui annuì
soddisfatto, mentre io terminavo di mandare giù
quel primo colpo basso per il mio fegato.
-Come sono andati questi giorni senza scatola di latta?- Mi
domandò,
prendendomi così dolcemente in giro. Dannazione,
perché non si comportava così
anche a scuola, perché non mi faceva mai caso? La vodka
cominciava a fare
effetto, leggermente, me ne accorsi dal fatto che cominciai a sentire
la testa
un poco più leggera.
-Hey, la posso chiamare solo io in quel modo!- Risposi ridendo,
contagiando
anche lui in quella mia..allegria, se così la si poteva
chiamare. Lo vidi
chinarsi sul mio orecchio, con quel suo modo di fare affascinante,
unico.
-Scusami..- Mi sussurrò, allontanandosi poi con il sorriso
sghembo già
pronto a ridere di me. Aggrottai le sopracciglia stupita da tutta
quell’improvvisa
confidenza. Restammo un paio di minuti in silenzio, sorridendo, e quel
momento
quasi dolce, quasi sincero, vero, fu interrotto dalla comporsa di
Federico che
teneva per mano Sara, decisamente ubriaca.
-Sara!- Mi avvicinai alla mia migliore amica, guardandola negli occhi.
Lei
non rispose, evidentemente già in quello stato che
è al confine fra ubriachezza
pesante e leggera. Si limitò ad annuire con un sorriso
ebete. Federico fece l’occhiolino
ad Emanuele e prese una bottiglia di vodka dal tavolo, cominciando poi
allontanarsi con Sara che lo seguiva come un cagnolino.
-Dove vai con quella?- Gli urlai dietro. –Sta già
abbastanza male, lasciala
stare!- Mi trattennero dal correre appresso a quei due solo lo sguardo
truce di
Sara e la mano di Emanuele che mi trattenne delicatamente per un
braccio. Federico
mi rise in faccia, continuando poi a camminare imperterrito, mentre io
mi
voltavo verso Emanuele, con le labbra schiuse ed
un’espressione interrogativa dipinta
sul volto. Mi bastarono pochi istanti per disincantarmi e riprendere un
po’ di
lucidità. Con un colpo secco allontanai il mio braccio dalla
mano di Emanuele,
facendo qualche passo indietro.
-Come mai tutto d’un tratto ti interessa qualcosa di me?-
Sbottai, dicendo
parole che non avrei mai detto se non avessi bevuto quella vodka.
–Mi parli
quando fa comodo a te. Altrimenti non mi calcoli. Non sono la prima
deficiente
troia che prendi e ti porti a letto con un paio di battutine e qualche
sorriso.-
Da un lato ero seriamente soddisfatta di ciò che stavo
dicendo, dall’altro
ancora non mi rendevo conto di quanto me ne sarei potuta vergognare.
–Quindi ora,
se non ti dispiace, vado a togliere la mia amica dalle grinfie di un
altro
puttaniere come te.- Senza degnarlo di un’altra occhiata
girai sui tacchi e me
ne andai veloce, cercando di seguire quello che mi era sembrato il
tragitto
fatto da Federico.
-Ginevra!- Gianluca mi si avvicinò, decisamente preoccupato.
–Sara si è
chiusa in camera con Federico..- Aggiunse ansiosamente.
-E con una bottiglia di vodka, lo so..- Lo guardai meglio e vidi sul
collo
un enorme livido violaceo che tendeva al nero. –Ma cosa
diamine ha quella al
posto della bocca?- Sbottai senza riuscirmi a trattenere dal ridere.
-Un’aspirapolvere.- Sorrise e per un attimo scaricammo la
tensione. Ma fu
solo un attimo, appunto, perché quella festa non era
destinata a finire in una
maniera decente.
-Sta sbrattando l’anima!- Urlò una ragazza che si
era affacciata dal piano
di sopra. Io e Gianluca ci guardammo per poi precipitarci su per le
scale.
-Chi?- Domandai guardandola negli occhi. Lei scrollò le
spalle, indicandoci
un corridoio.
-Una del II E.. sta nell’ultima porta a destra..- Lo disse
con tanta
indifferenza, noncuranza, che mi venne una voglia immensa di darle un
pugno sul
naso. Senza neanche aspettare Gianluca corsi lungo il corridoio con il
cuore
che batteva a mille, affacciandomi poi a quello che era un bagno. La
mia
mandibola toccò terra ed il mio cuore si fermò:
Sara era stesa a terra, i
capelli biondi sparpagliati sulle mattonelle bianche ed il viso
rossissimo.
-Sara!- Urlai precipitandomi al suo lato, scuotendola per le spalle.
Alzai
lo sguardo ed incrociai quello di Federico, colpevole, che mi guardava
senza
muoversi.
-E’ svenuta..- Disse una ragazza al mio fianco, senza alzare
la testa. Mi
girai e vidi Gianluca alla soglia della porta.
-Chiama l’ambulanza, subito.- Ordinai scuotendo la testa.
-Ma sei deficiente? Sai che casino che scatta?- Sbottò
Federico,
guardandomi con gli occhi sbarrati.
-Ha ragione. Dobbiamo chiamare l’ambulanza.- Mi voltai di
scatto e vidi
Emanuele affianco a Gianluca.
Quando i medici arrivarono, mettendola sulla barella, li seguii fino
all’automobile,
sorretta da un lato da Gianluca e dall’altro da Emanuele,
sorprendentemente. Gianluca,
essendo l’unico diciottene, salì
nell’ambulanza con Sara, mentre io cercavo di
seguirlo, mentre cercavo di capire cosa dicevano quegli uomini con la
tuta
arancione riguardo lo stato della mia amica.
-Calma..- La voce di Emanuele accompagnata dalla sua forte stretta
sembrarono fermare i miei impulsi per qualche attimo. Chiusi gli occhi
e cercai
di non cercare più il volto di Sara, con quel rossetto
sbavato, il mascara
colato, i magnifici capelli biondi sporchi di vomito, e la sua pelle
così
bianca, pallida, con quel rossore esagerato sulle goti.
L’ambulanza partì e se ne andarono indifferenti ma
pieni di gossip tutti
gli alunni dell’Umberto Eco che il lunedì
avrebbero avuto di che parlare
indubbiamente. Scoppiai in un violento pianto, un pianto disperato e
lungo che
Emanuele soffocò stringendomi forte al suo petto. Sentii la
sua mano salire
alla mia nuca premendo il mio volto contro di lui, posando nel
frattempo il
mento sulla mia testa. Le parole coma
etilico non uscivano dalla mia testa. Quelle due parole che
i medici
avevano così tante volte detto.