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Autore: Little Miss Sunshine    17/08/2009    3 recensioni
Diciassette anni, capelli rossi, infinite lentiggini.
-Sembra che tu abbia la varicella!
Non ero la classica ragazza anonima che voleva mostrare di avere carattere.
Non ero la classica ragazza anonima che rispondeva acida.
Diciamo che ero la classica ragazza un po' stronza e popolare che non voleva un ragazzo facile da ottenere, ovviamente.
Possibile che nella mia scuola, carente di ragazzi carini, non si fosse mai parlato di quel ragazzo che meritava sicuramente un posto nella classifica dei più desiderati? Ipotizzai che fosse uno nuovo mentre portavo la tazzina alle labbra per mandare giù il caffé amarissimo. Ad un tratto lui si girò ed incrociò il mio sguardo che gli stava facendo una radiografia da almeno un paio di minuti. Mentre le mie guance si coloravano probabilmente di porpora ed indirizzavo il mio sguardo ficcanaso sul piattino dove posavo la tazzina, lui sorrideva guardandomi per poi tornare a concentrarsi sul suo cappuccino.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Terzo: Vodka Lemon 

Lentiggini. Mi aveva chiamata Lentiggini.
Quando entrai nella mia stanza, buttandomi poi sul letto, non riuscii a non pensare ad Emanuele Benassi.. come darmi torto, d’altronde? Affioravano nella mia mente le immagini di quella mezz’ora passata insieme, del passaggio in moto, del suo modo di fare, della sua risata ed inevitabilmente mi ritrovai a fantasticare.
Cosa diamine succedeva? Ero sempre io, Ginevra Sforza? Scossi la testa mentre mi toglievo il cappotto, la sciarpa ed infine le scarpe, senza prendermi la briga di mettere a posto niente di tutto ciò. Sicuramente qualcosa di strano, di insolito stava accadendo ed io non riuscivo a farci i conti, ma perché? Forse inesperienza o paura. Inesperienza perché mai mi ero trovata nella situazione di pensare ad un ragazzo che non era minimamente interessato a me e paura perché probabilmente il ricordo di Federico bruciava ancora dentro di me.
Federico Grandi era stato il mio primo, unico ragazzo. L’unico che era riuscito ad aprire il mio cuore definito da tutti di ghiaccio, l’unico che mi aveva fatta sentire speciale, che era entrato nella mia vita con convinzione, apparentemente per non uscirne mai. Eppure, come sempre accade, l’utopia di quell’amore destinato a durare per sempre si infranse, lasciando solamente cocci che ferivano molto più della rottura del sogno stesso. Ancora ricordavo quel pomeriggio autunnale quando pochi giorni dopo aver festeggiato i nostri nove mesi insieme, mi aveva detto che non mi amava più come prima, che non ricambiava più i miei sentimenti, che voleva farla finita con me per non illudermi ancora di più, per non ferirmi. Io ne ero uscita distrutta inizialmente, con il cuore spezzato non in due pezzi, ma in infiniti, ma con il passare dei giorni, delle settimane, vedendo in lui solo indifferenza, avevo raccolto tutte le mie forze fino a costruire una maschera d’indifferenza di cui mi ero stupita io stessa.. Due settimane e sembrava che non fosse passato nulla, sembrava che sul mio cuore non fosse passato un treno. Erano trascorsi tre mesi da quel ventisette di ottobre, ma nonostante facessi finta di nulla, nonostante ridessi di quella storia, spesso mi chiudevo in stanza ed accedendo la musica soffrivo silenziosamente, con orgoglio, com’ero abituata a fare con tutto.

 Driiiin!

 Il telefono di casa mi destò da quella triste ondata di pensieri, facendomi sobbalzare. Corsi velocemente in salone e presi la cornetta, schiarendomi la voce.
-Pronto?- Dissi, sperando che chiunque fosse non riuscirre a sentire la mia voce un po’ roca, dispersa ancora in quei dolci e contemporaneamente amari ricordi.
-Ginevra, sono io!- Era la voce di mia madre, che probabilmente mi aveva chiamato mille volte sul cellulare ed infine arrerasi aveva chiamato a casa. –Perché hai il cellulare spento?-
-Sì è scaricato.. Senti, la macchinetta si è rotta, l’ho lasciata parcheggiata in Via della Tecnica..- Cominciai mentre mi guardavo le punte ramate dei capelli. –Non è che poi potresti chiamare il carroziere e chiedergli quando può venirla a prendere?-
-Sì, sì.. – Mi disse leggermente sbrigativa lei dopo qualche istante. Probabilmente aveva ancora molto lavoro da svolgere. –Tu stai bene? Vai a mangiare, ti ho lasciato un’insalata!- ù
-Tutto apposto, mamma, non ti preoccupare.. Ora vado a mangiare!- Quella breve conversazione si chiuse con i soliti saluti che ci si scambia fra madre e figlia e poggiata la cornetta andai in cucina. Presi l’insalata che mi madre mi aveva preparato e me la portai in salone dove dopo essermi seduta ed aver acceso la televisione, cominciai a mangiare con gusto. Quando mi ritenni sazia e soddisfatta, presi il telecomando e cominciai a cambiare canale, sperando di trovare un programma, magari anche il più stupido che fosse di mio gradimento, ma sembrava che quella pioggia avesse lavato via anche tutto ciò che di decente ci fosse in tv, costringendomi a spegnerla. Tornai in cucina mettendo a lavare il piatto, il bicchiere e la forchetta, affacciandomi nel frattempo anche alla finestra, per perdermi ad osservare le goccioline che correvano lungo il vetro, donando sempre più maliconia a quel pomeriggio.

 Driiiin!

 Possibile che tutti avessero deciso di farsi due chiacchere con me? Sbuffando corsi nuovamente in direzione del telefono e risposi cercando di mascherare la mia scocciatura.
-Pronto?- Quasi mi stupii della falsità del mio tono, aggrottando la fronte. Evidentemente non fui l’unica a stupirsi, visto che dall’altra parte della cornetta sentii una risatina.
-Che diamine fai?- La voce di Sara mi fece decisamente risollevare il morale e sorrisi quasi naturalmente, buttandomi poi sul divano pronta ad un’intensa chiaccherata.
-Pensavo fosse di nuovo mia madre..- Mi giustificai, cominciando a giocherellare con i capelli. -..Non hai idea di cos’è successo oggi dopo scuola!- Così mi riservai la bellezza di poter parlare da sola indisturbata di tutto ciò che mi era accaduto, ripercorrendo gli eventi. Raccontai filo e per segno la mia amata disavventura, mentre lei faceva strani versi di stupore ogni volta che mettevo in mezzo Emanuele. Mi ritrovai a sfogliare con un sorriso le immagini di quei momenti, sognando ad occhi aperti lontana da occhi indiscreti, sola nel mio mondo.
-Come sarei voluta essere al tuo posto.. in moto con Benassi!- La voce sognante di Sara mi fece quasi venire il diabete. Da quand’era che aveva quella cotta per quel ragazzo che era stato uno sconosciuto per me fino alla settimana precedente?
-Benassi è un tipo strano.- Commentai un po’ sovrappensiero mentre guardavo un video che passavano su MTv. –A scuola non mi calcola, appena stiamo io e lui si trasforma, diventando un’altra persona.-
-Benassi è così, te l’ho detto. Ha il suo mondo, ci vive, il resto non lo calcola. E’ uno di quei tipi che “se il mondo casca, mi sposto un po’ più in là”! Per quanto può essere figo.. Lascialo perdere!- La ascoltai senza fiatare, sentendomi nuovamente dire quelle cose che già sapevo perfettamente, che già mi ero sentita raccontare più volte.
-Hai ragione- Mentii, sperando che in questo modo cambiasse argomento. Inutile dire che non fossi d’accordo con ciò che aveva appena detto: ormai mi ero costruita un’immagine di Emanuele Benassi completamente differente da quella che ne avevano le mie amiche e le restanti studentesse dell’ Eco.
-Comunque ti avevo chiamata per dirti che domani sera andiamo al festino di Marika Marchesani, quella del IIIC..- Una festa! Finalmente! Sorrisi sollevata sia per il cambio d’argomento repentino sia per la novità. Un festino con alcol, fumo e buona musica a casa di una delle più ricche del nostro liceo. Cosa avrei mai potuto desiderare di più?

 Quel sabato uscii da scuola con uno strano buonumore. Forse era l’aria di festa che ormai era palpabile all’interno del Liceo, o forse era il bel tempo che finalmente aveva scacciato via il ricordo del diluvio del giorno precedente. Scesi l’ultimo scalino e salutai Gianluca e Sara, aspettando poi mia madre. Mi voltai a guardare le classi che uscivano dalla scuola, riversandosi nella stretta salita, ed inevitabilmente il mio sguardo fu catturato dal II A e dai suoi componenti che scendevano con la classica fretta di tutti coloro che terminano finalmente la settimana scolastica.
Emanuele Benassi e Federico della Valle si fermarono a chiaccherare con dei ragazzi della B giusto un metro e mezzo davanti a me. Poggiata con la schiena contro il muretto, li osservai con discrezione, aiutata anche dalla folla che continuava a scorrere davanti a me e spesso fermandosi per salutarmi e chiedermi informazioni o sulla vita scolastica studentesca o su qualche attività che il comitato studentesco stava organizzando. Passarono cinque minuti, cinque minuti in cui i miei occhi cercarono i studiare i suoi movimenti, cercando di capire se quei movimenti corrispondevano o meno all’idea che mi ero fatta di lui.
Il mio cellulare vibrò. Mia madre era arrivata. Mi alzai sulle punte e vidi la Mercedes classe A parcheggiata di fronte al baretto. Salutai un paio di ragazze del quinto ginnasio che si erano fermate a parlare e mi incamminai nella direzione di mia madre, sistemandomi bene sulla spalla la borsa. Successe tutto in pochi istanti: passando affianco al gruppetto dove stava parlando Emanuele, presi una storta e persi l’equilibrio, andandomi a poggiare proprio sulla spalla per non cadere. Una volta ripresa, alzai lo sguardo e gli sorrisi, nel modo più amichevole possibile.
-Oi ciao.. Scusami!- Dissi, senza riuscire a togliermi dalle labbra quel sorriso ebete. La sua reazione mi spiazzò completamente. Mi guardò in quel modo austero, serio, e senza pronunciare parola si voltò, tornando a parlare con i suoi amici. Come se non esistessi. Come se non fossero esistiti quei momenti che avrebbero reso necessario un saluto, un qualsiasi cenno, un’espressione differente.
Stupita, con nuovi dubbi per la testa, me ne andai velocemente, cercando di fare il minor numero di passi possibile per arrivare alla macchina di mia madre. Entrai, mi sedetti e fissai davanti a me senza pronunciar parola.
-Tutto bene?- Mi domandò mia madre con dolcezza, sistemandomi una ribelle ciocca rossa dietro l’orecchio e sorridendomi. Annuii impercittibilmente, forzando le mie labbra ad assumere la forma di quello che si sarebbe potuto definire un sorriso. Partimmo e mi persi nel guardare fuori dal finestrino finendo, mentre giravamo nella parte opposta alla salita, a lanciare uno sguardo a quel gruppetto. Benassi non c’era più e non lo capii solo dal fatto che il gruppo avesse perso un componente, ma anche da rombo del motore che fece scattare la mia testa costringendomi a guardare avanti, a guardare una moto nera sfrecciare.
-Queste moto! Sono così pericolose!- Esclamò mia madre, alzando poi leggermente il volume della musica. Le fui immensamente grata, riuscì a lasciarmi immersa nel miei pensieri, senza disturbarmi.
Allora mi ero sbagliata io? Mi ero illusa pensando di aver scoperto un lato di Emanuele che non conosceva nessuno, un lato bellissimo che rivelava solamente a me? Aveva avuto ragione Sara a definirlo un’egoista, un menefreghista, egocentrico? Chiusi gli occhi scuotendo delicatamente la testa: non potevo essermi immaginata quel suo sorriso così dolce, così vero, non potevo essermi immaginata la sua gentilezza, la sua premura nei miei confronti. Non potevo essermi immaginata un altro Emanuele Benassi.

 Stivali neri con il tacco da otto centimetri. Calze nere a bande larghe. Vestito nero corto che giovava dello spessore delle calze, con uno scollo classico, con le maniche corte. Mi guardavo allo specchio girando e rigirandomi, legando i capelli per poi slegarli. Non ero esattamente il tipo di ragazza che si metteva in tiro per andare alle feste e quella sera ero piuttosto compiaciuta del fatto di essere riuscita a vestirmi bene, senza cadere sull’elegante, mantenendo quel mio stile un po’ alternativo, originale. Presi una cintura che tenevo sul tavolo, bianca e grigia, e la misi sotto il seno. Pronta, sembrava che finalmente fossi pronta per uscire.
Mi allontanai dallo specchio prima di scatenare quell’autocritica che sorge spontanea quando ci si specchia cercando qualche difetto nel proprio look che in realtà è già impeccabile. Il citofono suonò ed afferrando al volo il cappotto nero lungo e la borsetta nera di pelle, mi precipitai fuori dall’appartamento, scoccando prima un bacio sulla guancia di mia madre.
-A casa per le due!- Mi urlò dietro. Le risposi con un sì gridato mentre varcavo già la soglia della porta, sbattendola poi alle mie spalle. Scesi le scale, cercando accuratamente di non rompermi l’osso del collo nell’impresa ed una volta fuori dal palazzo insipirai profondamente.
Squadrai lo scooter di Gianluca, spostando poi lo sguardo sul suo viso radioso ed allungai il braccio per prendere il casco che gentilmente mi porgeva. Mormorai un “grazie” indimidito, montando poi dietro di lui.
-Buonasera, Madamigella!- Mi disse con dolcezza, voltandosi e sorridendomi in quel modo affascinante che lo caratterizzava. –Pronta per la partenza?- Domandò, mettendosi poi il casco ed avviando lo scooter.
-Sì, stai attento..- Dissi supplichevole passando le braccia intorno la sua vita, stringendomi alla sua schiena. Nuovamente mi trovai a sperimentare il brivido delle due ruote e mi trovai a pensare ad Emanuele, a quel passaggio a casa, al suo sorriso sghembo, a quando mi aveva chiamata “lentiggini”. Sorrisi, chiudendo gli occhi ed assaporando la sensazione di avere il vento in viso, cercando di scacciare tutti i pensieri che affollavano la mia testa da due giorni interi ormai. Troppo tempo. Troppo tempo perso dietro a chi? Dietro l’ennesimo buffone, pallone montato?
Ci fermammo ed aprii gli occhi, allentando la presa su Gianluca, scesi in fretta dal motorino e mi tolsi il casco.
-Andata così tragicamente?- Mi domandò, allungando il braccio per passarmi con dolcezza una mano fra i capelli. –Dai che sono andato piano e non ho preso buche..- Ridacchiò, ritirando poi la mano e scendendo a propria volta dallo scooter, piegandosi per mettere la catena.
-Sei stato bravo.- Lo lodai affettuosamente, guardandomi poi intorno con le braccia incrociate al petto. L’ampio parcheggio che si trovava di fronte la villa di Marchesani era colmo di macchinette, macchine e motorini, ma il mio sguardo insoddisfatto dei dubbi, dei problemi di quella giornata, si andò a posare proprio sull’ultimo mezzo di trasporto che avrebbe dovuto addocchiare: una moto nera, parcheggiata vicino ad una mini cooper rossa. Emanuele Benassi era alla festa. Perché era alla festa? Non era Benassi colui che non partecipava mai ad eventi del genere, troppo impegnato nella vita mondana del “proprio mondo”? Aggrottai le sopracciglia e, quando Gianluca finì con la catena, mi avviai all’entrata insieme a lui, ridendo per qualche battuta, ma con la testa altrove, decisamente.
Citofonammo e dopo esserci identificati varcammo il cancello, ritrovandoci in un magnifico giardino con tanto di piscina. Era presente davvero tutta la scuola, o perlomeno tutte le classi liceali e qualche membro delle ginnasiali. Camminai sicura di me fra tutti quei gruppetti: conoscevo la maggior parte delle persone, sicuramente non ero la ragazza che non si sentiva a proprio agio, non lo ero mai stata.
-GINNIIIII!- Sara mi abbracciò con tanta foga da farmi barcollare. –Finalmente sei arrivata!-  La baciai su una guancia e sentii la puzza di alcol salirmi su per le narici. Era ubriaca persa. Si allontanò da me e mi sorrise, passandosi una mano fra i lunghissimi capelli mentre si reggeva appena sui tacchi blu che aveva ai piedi. Mi accorsi solo allora che aveva un bicchiere in mano e con uno scatto glielo rubai, lasciandola stupefatta per qualche istante. –Ginni cattiva..- Mormorò mettendo su il broncio. –Sei proprio una stronza!- Sbottò infine girando sui tacchi ed allontanandosi traballante. Gianluca mi guardò con aria preoccupata e fece per seguirla quando ad un tratto la vedemmo avvicinarsi ad un ragazzo e parlare apparentemente tranquilla. Aguzzammo la vista e riuscimmo a riconoscere la fisionomia di Federico della Valle.
-Da quant’è che lo conosce?- Mi domandò Gianluca quasi leggendomi nella mente. Feci spallucce scuotendo poi la testa.
-Pensavo che la conoscenza di Benassi e Della Valle fosse Off Limits.. Ma adesso parla con entrambi..- Entrambi restammo in silenzio mentre vedevamo Federico offrirle un’altro bicchiere ben colmo, per poi passarle il braccio intorno alla vita ed entrare in casa.
-Gianluca!- Una voce femminile ci distrasse. Mi voltai e vidi una gallinella di quarto ginnasio buttare le braccia intorno al suo collo stampandogli un bacio sulle labbra. Vidi il mio migliore amico girarsi imbarazzato nella mia direzione, come a volersi scusare, ma io con un leggero gesto della mano gli dissi che era OK, che poteva andare, ed in pochi istanti restai sola.
Senza pensarci due volte entrai in casa e cercai Marika, la quale trovai seduta sui divanetti con dei compagni di classe a sorseggiare dello spumante.
-Ginni! Sei venuta!- Mi accolse con un abbraccio, alzandosi. –Vieni, ti accompagno a posare il cappotto..- Mi prese sotto il braccio e mi trascinò al piano superiore, nella sua stanza. Posai il cappotto sul letto e poi scesi nuovamente con lei.
-Gran bella festa, come al solito..- Mi complimentai gentilmente.
-Sì, se non fosse per tutta la gente ubriaca.. Hai visto in che stato gira Sara?- La mia preoccupazione a quelle parole salì ancora di più. –E’ andata con Della Valle, quello del II A chissà dove..-
-Se non si fa vedere entro poco la vado a cercare!- Disse con un sorriso, cercando di mascherare la mia reale ansia. Ci salutammo e fui libera di andare a mia volta al tavolo dove vi erano tutti gli alcolici. Mi fermai dubbiosa ad osservare cosa potessi bere, quando una voce alle mie spalle mi fece trasalire.
-Stanotte puoi far baldoria, non devi mica più guidare.- Mi voltai ed il mio sguardo si intrecciò con quello di Emanuele. Eccolo lì di nuovo a parlarmi.. A parlarmi come se nulla fosse, come se mi parlasse sempre così, ogni volta, come se non mi evitasse in cortile, all’uscita, come se per lui esistessi.
-Non amo bere più di tanto.- Dissi con calma, cercando di distogliere lo sguardo ma senza alcun risultato. Lui sorrise, io lo imitai con poca grazia. Senza dire nulla prese una bottiglia di vodka ed un bicchiere, lo riempì per un quarto e poi vi versò della limonata. –Tu invece non dovresti guidare?- Gli domandai, inarcando un sopracciglio.
-Infatti è per te, questo.- Mi porse il bicchiere e dopo che lo afferrai, fece scivolare le proprie mani nelle tasche, senza smetterla di guardarmi. Portai il bicchiere alle mie labbra e mandai giù un sorso di quel cocktail che mi aveva preparato. –Approvi?- Domandò curioso come un bimbo che consegna i propri compiti a casa alla maestra.
-Buono..- Era il cocktail più semplice al mondo, dannazione, ma il solo fatto che l’avesse preparato lui gli donava tutto il gusto che necessitava per essere “particolare”. Lui annuì soddisfatto, mentre io terminavo di mandare giù quel primo colpo basso per il mio fegato.
-Come sono andati questi giorni senza scatola di latta?- Mi domandò, prendendomi così dolcemente in giro. Dannazione, perché non si comportava così anche a scuola, perché non mi faceva mai caso? La vodka cominciava a fare effetto, leggermente, me ne accorsi dal fatto che cominciai a sentire la testa un poco più leggera.
-Hey, la posso chiamare solo io in quel modo!- Risposi ridendo, contagiando anche lui in quella mia..allegria, se così la si poteva chiamare. Lo vidi chinarsi sul mio orecchio, con quel suo modo di fare affascinante, unico.
-Scusami..- Mi sussurrò, allontanandosi poi con il sorriso sghembo già pronto a ridere di me. Aggrottai le sopracciglia stupita da tutta quell’improvvisa confidenza. Restammo un paio di minuti in silenzio, sorridendo, e quel momento quasi dolce, quasi sincero, vero, fu interrotto dalla comporsa di Federico che teneva per mano Sara, decisamente ubriaca.
-Sara!- Mi avvicinai alla mia migliore amica, guardandola negli occhi. Lei non rispose, evidentemente già in quello stato che è al confine fra ubriachezza pesante e leggera. Si limitò ad annuire con un sorriso ebete. Federico fece l’occhiolino ad Emanuele e prese una bottiglia di vodka dal tavolo, cominciando poi allontanarsi con Sara che lo seguiva come un cagnolino.
-Dove vai con quella?- Gli urlai dietro. –Sta già abbastanza male, lasciala stare!- Mi trattennero dal correre appresso a quei due solo lo sguardo truce di Sara e la mano di Emanuele che mi trattenne delicatamente per un braccio. Federico mi rise in faccia, continuando poi a camminare imperterrito, mentre io mi voltavo verso Emanuele, con le labbra schiuse ed un’espressione interrogativa dipinta sul volto. Mi bastarono pochi istanti per disincantarmi e riprendere un po’ di lucidità. Con un colpo secco allontanai il mio braccio dalla mano di Emanuele, facendo qualche passo indietro.
-Come mai tutto d’un tratto ti interessa qualcosa di me?- Sbottai, dicendo parole che non avrei mai detto se non avessi bevuto quella vodka. –Mi parli quando fa comodo a te. Altrimenti non mi calcoli. Non sono la prima deficiente troia che prendi e ti porti a letto con un paio di battutine e qualche sorriso.- Da un lato ero seriamente soddisfatta di ciò che stavo dicendo, dall’altro ancora non mi rendevo conto di quanto me ne sarei potuta vergognare. –Quindi ora, se non ti dispiace, vado a togliere la mia amica dalle grinfie di un altro puttaniere come te.- Senza degnarlo di un’altra occhiata girai sui tacchi e me ne andai veloce, cercando di seguire quello che mi era sembrato il tragitto fatto da Federico.
-Ginevra!- Gianluca mi si avvicinò, decisamente preoccupato. –Sara si è chiusa in camera con Federico..- Aggiunse ansiosamente.
-E con una bottiglia di vodka, lo so..- Lo guardai meglio e vidi sul collo un enorme livido violaceo che tendeva al nero. –Ma cosa diamine ha quella al posto della bocca?- Sbottai senza riuscirmi a trattenere dal ridere.
-Un’aspirapolvere.- Sorrise e per un attimo scaricammo la tensione. Ma fu solo un attimo, appunto, perché quella festa non era destinata a finire in una maniera decente.
-Sta sbrattando l’anima!- Urlò una ragazza che si era affacciata dal piano di sopra. Io e Gianluca ci guardammo per poi precipitarci su per le scale.
-Chi?- Domandai guardandola negli occhi. Lei scrollò le spalle, indicandoci un corridoio.
-Una del II E.. sta nell’ultima porta a destra..- Lo disse con tanta indifferenza, noncuranza, che mi venne una voglia immensa di darle un pugno sul naso. Senza neanche aspettare Gianluca corsi lungo il corridoio con il cuore che batteva a mille, affacciandomi poi a quello che era un bagno. La mia mandibola toccò terra ed il mio cuore si fermò: Sara era stesa a terra, i capelli biondi sparpagliati sulle mattonelle bianche ed il viso rossissimo.
-Sara!- Urlai precipitandomi al suo lato, scuotendola per le spalle. Alzai lo sguardo ed incrociai quello di Federico, colpevole, che mi guardava senza muoversi.
-E’ svenuta..- Disse una ragazza al mio fianco, senza alzare la testa. Mi girai e vidi Gianluca alla soglia della porta.
-Chiama l’ambulanza, subito.- Ordinai scuotendo la testa.
-Ma sei deficiente? Sai che casino che scatta?- Sbottò Federico, guardandomi con gli occhi sbarrati.
-Ha ragione. Dobbiamo chiamare l’ambulanza.- Mi voltai di scatto e vidi Emanuele affianco a Gianluca.
Tutto mi sembrò passare velocemente, troppo velocemente. Gianluca chiamò il 118 mentre tutti gli invitati alla festa o scappavano verso le proprie case oppure nascondevano dove potevano la marijuana e tutte le altre sostanze illegali che erano state portate a quel festino. Io restai seduta lì al lato di Sara, tenendole la mano, finché non sentii le sirene dell’ambulanza far alzare ancora di più il tono della voce di tutti.
Quando i medici arrivarono, mettendola sulla barella, li seguii fino all’automobile, sorretta da un lato da Gianluca e dall’altro da Emanuele, sorprendentemente. Gianluca, essendo l’unico diciottene, salì nell’ambulanza con Sara, mentre io cercavo di seguirlo, mentre cercavo di capire cosa dicevano quegli uomini con la tuta arancione riguardo lo stato della mia amica.
-Calma..- La voce di Emanuele accompagnata dalla sua forte stretta sembrarono fermare i miei impulsi per qualche attimo. Chiusi gli occhi e cercai di non cercare più il volto di Sara, con quel rossetto sbavato, il mascara colato, i magnifici capelli biondi sporchi di vomito, e la sua pelle così bianca, pallida, con quel rossore esagerato sulle goti.
L’ambulanza partì e se ne andarono indifferenti ma pieni di gossip tutti gli alunni dell’Umberto Eco che il lunedì avrebbero avuto di che parlare indubbiamente. Scoppiai in un violento pianto, un pianto disperato e lungo che Emanuele soffocò stringendomi forte al suo petto. Sentii la sua mano salire alla mia nuca premendo il mio volto contro di lui, posando nel frattempo il mento sulla mia testa. Le parole coma etilico non uscivano dalla mia testa. Quelle due parole che i medici avevano così tante volte detto.

 

 

 

Ecco anche il terzo capitolo! Spero che anche questo vi piaccia e non vi annoi troppo! Sinceramente la parte della festa la reputo un po’ scontata ma ho cercato di non renderla il solito punto dove succedono tutti gli impicci, anzi :P! Ringrazio swettlove, grillomylife, balenotta per le recensioni in questi capitoli! Sono davvero molto importanti per me! Inoltre ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la storia ai preferiti, coloro che la seguono e coloro che la leggono senza recensire! Un bacione!
  
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