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Autore: Little Miss Sunshine    13/08/2009    2 recensioni
Diciassette anni, capelli rossi, infinite lentiggini.
-Sembra che tu abbia la varicella!
Non ero la classica ragazza anonima che voleva mostrare di avere carattere.
Non ero la classica ragazza anonima che rispondeva acida.
Diciamo che ero la classica ragazza un po' stronza e popolare che non voleva un ragazzo facile da ottenere, ovviamente.
Possibile che nella mia scuola, carente di ragazzi carini, non si fosse mai parlato di quel ragazzo che meritava sicuramente un posto nella classifica dei più desiderati? Ipotizzai che fosse uno nuovo mentre portavo la tazzina alle labbra per mandare giù il caffé amarissimo. Ad un tratto lui si girò ed incrociò il mio sguardo che gli stava facendo una radiografia da almeno un paio di minuti. Mentre le mie guance si coloravano probabilmente di porpora ed indirizzavo il mio sguardo ficcanaso sul piattino dove posavo la tazzina, lui sorrideva guardandomi per poi tornare a concentrarsi sul suo cappuccino.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Secondo: Lentiggini.

La sigaretta dopo un compito in classe di Greco è probabilmente la migliore dell’intera giornata, seguita da quella dopo mangiato. Feci un ultimo tiro prima di lasciarla a Gianluca, gustando il sapore che la Marlboro Light aveva lasciato nella mia bocca. Io, Gianluca, Sara, Matteo e Valeria eravamo in cortile a goderci quei venti minuti in più di ricreazione che ci eravamo guadagnati consegnando prima il compito. Io ero poggiata con la schiena contro la palestra, Valeria era seduta con la schiena poggiata nel mio stesso modo, mentre gli altri tre stavano in piedi davanti a noi o confrontando pezzi della versione o facendo ipotesi sugli errori fatti e sul futuro voto.
-Quasi non ci speravo più in una versione di Erodoto.. Mi ha salvata dal corso di recupero a febbraio!- Disse Valeria alzando i pugni al cielo vittoriosa. –Io amo quella donna, oggi me la sposerei!- Aggiunse sorridente.
-Adesso non esagerare.. Io non mi sposerei la Mauro neanche per tutto l’oro di questo mondo!- Commentò Sara facendo il gesto del vomito. Maurizia Mauro, professoressa di latino e di greco che si era diplomata proprio all’Umberto Eco, era una di quelle donne che sorridevano tanto e pugnalavano altrettanto spesso alle spalle. Non aveva preferenze, non ti aiutava mai. Se avevi la media del dieci spaccato ed un giorno facevi una scena muta era due, non era un “torni la prossima volta”, “sei politico”, e baggianate del genere che si sentivano troppo spesso ultimamente.
-Io per un sette la sposerei e ci andrei a letto!- Esclamò Matteo scoppiando poi a ridere. Inutile dire che lo seguimmo tutti a ruota in quella risata, scrollandoci di dosso la tensione accumulata nell’ora e mezza precedente. Matteo Bassotti era una di quelle persone che dopo quattro anni in classe insieme ancora non riuscivo a capire perfettamente. Era molto furbo, sveglio, sapeva come arruffianarsi le professoresse e senza il minimo sforzo aveva una media decente. Però era anche il classico teppista che si sfondava di alcol, fumo di tutti i generi. Un giorno poteva essere la persona più gentile ed altruista del mondo, quello dopo uno stronzo che ti faceva contrarre tutte le viscere per la rabbia. Era famoso in tutta la scuola per la sua famosa schiacciata di pallavolo: le ragazze di tutto il liceo quando c’erano le partite del torneo interno, evitavano di giocare nella partita contro il IIE proprio per non rompersi un dito o un polso, com’era già successo precedentemente.
-Che schifo!- Gianluca diede una spintarella a Matteo, buttando nel frattempo la sigaretta. –Mi stavo immaginando la scena e.. CHE SCHIFO!- Ormai la risata ci aveva contagiati tutti ed eravamo piegati in due, con le lacrime agli occhi. Quando riuscii bene o male a riprendermi mi rimisi dritta, inspirando profondamente e guardando in direzione dell’entrata a scuola vidi uscire due ragazzi. Aguzzai la vista e ne riconobbi uno: Emanuele.
Era passata ormai una settimana dal nostro casuale scambio di borse e conseguente incontro, e quella era la prima volta che lo rivedevo dopo che ci eravamo salutati davanti la sua moto. Indossava dei jeans scuri, delle converse blu, un maglione grigio e sopra aveva il giubbotto nero della Museum.
-Chi è quello?- Domandai tranquilla ai miei amici. Era distante almeno venti metri, sicuramente non avrebbe sentito niente. Tutti quanti si girarono a guardarlo mentre io cercavo di fare la disinteressanta fissando il mio sguardo sulle finestre dei bagni di ogni piano da dove erano affacciati alcuni quartini (*)
-Quello col cappotto nero è Emanuele Benassi, l’altro è Federico della Valle- Rispose prontamente Sara. Poi mi guardò con quel suo modo curioso e birichino. –Perché ti interessa, Ginni? Ti piace per caso?- Domandò facendomi l’occhiolino. Tutti i miei amici mi fissarono incuriositi. Raramente a me, Ginevra Sforza, la lentigginosa rossa del IIE, piaceva un ragazzo. Solitamente avevo differenti spasimanti ma li consideravo tutti estremamente appiccicosi e stupidi, così mi ero guadagnata con il tempo la fama di “stronza”. In realtà non mi ero mai lamentata di quell’appellativo che accompagnava spesso il mio nome fra i ragazzi, perché in fondo un po’ stronza lo ero davvero, senza impegnarmici. Il mio problema più grande con i ragazzi era che sì, magari fisicamente mi piacevano e ci uscivo un paio di giorni, ma dopo quarantotto ore se non avevano neanche un po’ di sale in zucca li scaricavo senza farmi troppi problemi e senza dar loro troppe spiegazioni. Restava il fatto che a me, quel ragazzo, non piaceva. Indubbiamente aveva qualcosa che catturava la mia attenzione ma, oltre a ciò, non c’era assolutamente nulla.
-No, ma che dici!- Distolsi lo sguardo dalla figura di Emanuele e mi concentrai a dissuadere i miei amici dalla teoria che stavano silenziosamente covando. –Solo che lui era il famoso proprietario della borsa che ho scambiato ieri e non sapevo il suo cognome!- Mi giustificai determinata riuscendo apparentemente a convincerli.
-E ci hai anche parlato?- Domandò Valeria lanciandogli di tanto in tanto un’occhiata.
-Mmm.. Sì, perché?- Quella domanda mi aveva un po’ stupita effettivamente. Se ci avevo parlato? Certo.. Mica mi ero presentata, mi ero presa la borsa, gli avevo ridato la sua e poi ero corsa via!
-Hai parlato con Benassi? Non ci credo!- Questa volta era Sara che mi guardava con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca aperta. –Perché non me l’hai detto!- Lanciai una silenziosa richiesta d’aiuto a Gianluca e Matteo, sperando di essere salvata da quelle due che mi stavano lentamente circondando. Però i ragazzi hanno un brutto vizio, purtroppo: parlare sempre ed esclusivamente di calcio, donne e moto. In quel momento il loro discorso verteva sul nuovo calendario di Megan Fox e sapevo che pretendere un salvataggio d’emergenza era agli stessi livelli di chiedere ai miei come regalo di compleanno un Ferrari: inutile e deludente.
Tornai a posare lo sguardo sulle mie due amiche che mi guardavano in preda ad una voglia irrefrenabile di novità ed abbassai un momento lo sguardo prima di parlare. –Ma sì che ci ho parlato! Abbiamo scherzato un po’ sulla storia dello scambio e su queste cose.. Poi me ne sono andata! – Dissi tutto d’un fiato sperando di calmarle ma le mie parole ebbero l’effetto contrario. –Perché diamine fate quelle facce!- Sbottai esasperata.
-Hai parlato, riso, scherzato con Emanuele Benassi! Te ne rendi conto?- Disse Valeria con foga mentre Sara accanto a lei annuiva. –Emanuele Benassi! Quello lì non scende mai in cortile, non parla mai con nessuno che non sia Federico della Valle o un compagno di classe ed è un figo allucinante! E’ ricco da far paura.. Il padre è il proprietario di un’importantissima multinazionale e la loro famiglia passa l’anno scolastico qui e le vacanze a New York in un attico sulla 5th Avenue!- Certo che Valeria Guglielmino si stava rivelando un vero e proprio database di gossip. Valeria era una ragazza tutto pepe: capelli castani, portati a caschetto, uno stile tutto suo ed originale. I suoi occhietti vispi sembravano sempre sul punto di combinare qualche pasticcio ed era un’amante della risata di prima classe.
-Grazie per avermi detto la sua vita, morte e miracoli ma davvero, non mi interessa, ci ho solamente parlato per quella questione della borsa!- Sara e Valeria si guardarono per un istante, decidendo silenziosamente di non insistere più. Probabilmente immaginavano che ben presto i motivi per insistere si sarebbero presentati spontaneamente.
-Comunque sta in II A- Disse ad un tratto Sara. Mi aveva letto nel pensiero per caso? Avevo passato gli ultimi due minuti a chiedermi in che classe stesse, per capire anche perché non lo avevo mai visto nel mio corridoio. Lui stava sempre al mio stesso piano, solo con la classe nel corridoio che si affacciava sulla grande piazza, mentre la mia finestra dava sulla scuola elementare.
Passò poco tempo ed il discorso su Emanuele Benassi era stato archiviato. Nel frattempo era suonata la campanella che annunciava l’inizio della ricreazione ed un mare di gente si era riversato nel cortile. La maggior parte della popolazione studentesca trascorreva quei quindici desiderati minuti nel cortile, mentre una parte più ristretta preferiva vagare per i corridoi, o restare in classe a ripassare o affacciarsi alle finestre dei bagni ed osservare la vita da sopra senza però prenderne parte. Molte persone desideravano quella campanella per poter scendere e contemplare per quindici minuti la persona che volevano ma con cui non avevano ancora mai parlato, altri per incontrarsi con i rispettivi fidanzati o con amici che stavano nelle classi, molti semplicemente per sedersi o con la schiena contro la palestra o sul campetto esterno di pallavolo e chiaccherare ripassando nel frattempo qualcosa tutti insieme. Una volta mi era capitato di dover restare su in classe durante la ricreazione e solo allora mi ero affacciata ad una delle famose “finestre” e dovetti ammettere che era uno spettacolo seguire tutto da sopra, soprattutto se si stava al primo o al secondo piano, da dove c’era una visuale perfetta visto che si entrava nel cortile solamente dal piano seminterrato.
Quel giorno il mio sguardo cercò comunque incuriosito Emanuele Benassi. La descrizione che me ne avevano dato Sara e Valeria mi fece distrarre completamente dai discorsi che venivano nel frattempo condotti all’interno del gruppetto con cui passavo le mie ricreazioni. Aveva quel non so che si misterioso, quel ragazzo, di irraggiungibile che mi intrigava. Forse perché noi umani siamo fatti così: ci interessiamo di qualcosa solo quando quel qualcosa non sa minimamente della nostra esistenza.
Ad un tratto lo notai e mi destai dai mille pensieri che già inconsciamente stavo facendo. Era seduto sugli scalini che collegavano la faccia della scuola che dava sulla piazza ed il cortile, con Federico della Valle ed altri ragazzi della sua classe che avevo già visto qualche volta in giro per la scuola. Era tranquillo, rilassato, rideva e si vedeva che stava a proprio agio. Non lo avevo davvero mai notato in quei quattro anni a scuola? Com’era possibile? Eppure le mie amiche e, secondo il loro parere, moltissime altre ragazze sarebbero morte pur di ottenere un suo sguardo, una minima considerazione da parte sua. Eppure lui era così.. Riservato. Non era come Gianluca. Gianluca era un bellissimo ragazzo, desiderato da mezza scuola, ed era aperto, parlava con tutte le ragazze che timidamente si presentavano. Lo faceva per poi illuderle, certo, perché come ho già detto un po’ stronzo lo era, ma almeno non si chiudeva a riccio, conquistando giorno dopo giorno sempre maggiore popolarità all’Umberto Eco. Benassi invece era completamente l’opposto.. O era timido e non a conoscenza dell’effetto che faceva il suo aspetto alle ragazze, oppure era un ricco, viziato figlio di papà che si considerava estremamente superiore e non si mischiava con la ‘gente comune’. Chissà perché avevo il presentimento che fosse lo specchio della mia seconda ipotesi. Eppure il giorno precedente si era rivelato simpatico, aveva scherzato, riso, mi aveva anche presa in giro, se volevamo essere precisi, rivelandosi un tipo alla mano.

Driiin

Senza che me ne fossi accorta era trascorsa l’intera ricreazione che io avevo passato a guardare imbambolata un ragazzo. Un ragazzo! Come se fosse il primo essere di sesso maschile decente che vedessi! Dio, sembravo una dodicenne in calore!
-Come mai oggi eri così silenziosa?- Mi domandò Gianluca mettendomi un braccio intorno le spalle mentre stavamo rientrando nell’edificio. –Di solito non stai zitta un minuto. Mi nascondi qualcosa, roscia?- Sorrideva lui, ma sapevo che in realtà nutriva forti sospetti.
-Ma che! Stavo solamente pensando alle due ore infernali che ci aspettano! Matematica e fisica!- Mentii spudoratamente facendo spallucce. Non dovetti fingere più di tanto l’odio che nutrivo per quelle due materie.. In fondo stavo ad un Liceo Classico e l’odio per le materie scientifiche era innato in quasi tutti.
-Ma se oggi andiamo a vederci quel documentario!- Si intromise Sara prendendomi sottobraccio. La mia mano destra finì sulla mia fronte. –Sei la solita sbadata!- Ridacchiò insieme a Gianluca.
-Quello su Einstein, è vero!- Dissi ridendo anche io. Quei due erano la mia dose di allegria giornaliera. Sapevano farmi ridere sempre, in qualsiasi occasione, senza fare niente di speciale. Non dovevano inventarsi balletti, fare facce buffe, bastava che parlassero, facessero una battuta, ed io già ero a terra morta dal ridere.. Era la loro presenza. La presenza dei miei due migliori amici.
-Anche voi andate?- Una voce alle nostre spalle parlò quando arrivammo al pianerottolo del nostro piano. Ci voltammo ed incrociammo lo sguardo di Giacomo De Angelis, il rappresentante di classe del II A. Fermi tutti: II A? La classe di Emanuele?
-Sì! Infatti l’Angelucci ce lo aveva anticipato che ci sarebbe stata un’altra classe!- Disse Gianluca dopo aver stretto la mano di Giacomo.
-Ah, davvero l’aveva detto?- Chiesi senza neanche accorgermente. I tre mi fissarono un po’ straniti.
-Oggi stai un po’ fra le nuvole eh!- Disse Giacomo sorridendo. –Chissà a cosa o a chi pensa la signorina!- Tutti scoppiarono a ridere ma io ringraziai il cielo, nel frattempo, per avere tutte quelle lentiggini che mascheravano sempre i miei rossori improvvisi.

Dieci minuti dopo il IIA ed il IIE si trovavano nell’Aula Magna del Liceo “Umberto Eco” a parlare a voce altra fra loro mentre le due professoresse di matematica cercavano di far partire il documentario. Sedevo nell’ultima fila con Sara, Gianluca, Davide e Matteo e seguivo attentamente la partita di briscola che gli ultimi due stavano facendo sui propri iPhone.
-Ma sei un deficiente eh!- Sbottai tanto una piccola botta in testa a Matteo. –Ti pare che butti il tre di briscola con l’asso che non è ancora uscito! Ti sta bene!-
-Non avevo visto che era di briscola!- Provò a giustificarsi cercando di recuperare l’irrecuperabile. Un secondo dopo aveva messo il telefono in tasca scocciato per non leggere l’enorme scritta “HAI PERSO” che sarebbe apparsa a breve sullo schermo. Mi guardai intorno e riuscii a scorgere Emanuele, seduto con Giacomo e Federico qualche fila avanti a me, tutto impegnato a ridersela con i due amici. Distolsi lo sguardo e decisi di non imbambolarmi a fissarlo più, concentrandomi su Sara e Davide che stavano cercando di vincere all’ennesimo gioco stupido che il ragazzo aveva scaricato dall’iStore.
-Silenzio, ragazzi, silenzio!- Disse l’Angelucci ad alta voce. –Accendete i vostri cervelli e spegnete i cellulari!- Le battutine di quella donna circolavano da anni per la scuola e, anche quella, provocò qualche risatina per la sala.
-Come sapete, Albert Einstein.. – Continuò la Rosa, la professoressa dell’altra classe. Spensi decisamente anche il cervello, oltre al cellulare, posando la mia testa sulla spalla di Sara e non facendo caso ad una sola parola di quella donna. Si spensero le luci e restammo noi, le prof ed Einstein. Il documentario partì, in bianco e nero, ed una monotona, noiosissima voce parlò. In inglese?! Certo! Quelle due pazze speravano che 40 alunni avrebbero retto due ore di film coi sottotitoli anche in bianco e nero?
-Prof ma che è sta cosa!- La voce di Davide sovrastò quella inglese del narratore e tutti si girarono verso di noi prima di scoppiare in una sonora risata. Fra tutte quelle teste girate c’era anche quella di Emanuele che rideva insieme agli amici guardandoci. Guardandomi, forse. Chissà se mi aveva notata, riconosciuta. Lo guardai con un sorriso ma lui sembrò non accorgersi di me, tanto è vero che si girò e con le braccia incrociate al petto continuò a seguire il filmato. Maledetto ragazzo! Poi aveva dato della secchiona a me, quello?
Sbuffai imbronciata, come una bambina a cui si rompe la bambola preferita. Mi poggiai allo schienale della sedia e cominciai a cercare di seguire quel dannato documentario. Peccato che il II E fosse la classe più casinista dell’intera scuola e la nostra cattiva fama era giunta ovunque.. Neanche volendo mi sarei riuscita a concentrare! I ragazzi cominciarono a tirarsi palline di carta e ben presto nelle ultime due file scoppiò una vera e propria guerra con tanto di urla barbare, alleanze e comportamenti non adatti a dei diciassetteni e a dei diciottenni.
-Matteo questa me la paghi!- Dissi a voce forse un po’ troppo alta nel momento decisamente sbagliato. In quel momento l’Angelucci aveva interrotto la riproduzione del filmato e Davide aveva tirato una pallina di carta proprio in testa a lei. La donna si voltò e mi becco con il braccio a mezz’aria pronta a dare un’amorevole carezza a Matteo.
-Sforza!- Il mio cognome rimbombò per tutta l’Aula Magna e fra le due classi calò il silenzio. –Ringrazia Dio che non ti mando dalla preside per questa!- Urlò alzando la mano con la pallina tirata da Davide in mano. Boccheggiai, pronta a rispondere, ma la gomitata nello stomaco da parte di sara mi intimò il silenzio. –Te la cavi uscendo solamente dall’aula fino alla fine della riproduzione del filmato! Non ti metto una nota solo perché siamo agli sgoccioli del primo quadrimestre ed un sette in condotta ti rovinerebbe!- I suoi occhi sembravano pronti ad incenerirmi. Presi velocemente la borsa e me la misi a tracolla, mentre sentivo i miei compagni esprimere pareri tipo “Pur di non vedere questo schifo mi faccio sbattere fuori pure io!” e gli occhi di quaranta persone puntati su di me. Anche i suoi occhi. Lo guardai per un istante mentre tentavo di uscire da quella fila di sedie.
-Non sei poi tanto secchiona!- Mi disse ad un tratto facendomi l’occhiolino. Inutile dire quanto fosse giunto inaspettato quel commento alle mie orecchie. Si era accorto della mia presenza, di tutto.. Non ero stata un fantasma per lui in quell’ora e un quarto di stupido documentario. Scossi la testa e sorrisi, uscendo poi dall’Aula Magna senza proferire altra parola.
Non appena chiusi la porta sospirai sollevata: in fondo mi ero tolta il peso di dover seguire quel noiosissimo video fino alla fine! Nonostante ciò, non vedeva l’ora di vedere uscire Davide Manili da quella stanza per fargliela pagare. L’Angelucci già la detestava abbastanza, le mancava pure quel ricordino per avere un perfetto “pacco regalo” da dare ai miei genitori ai prossimi colloqui. Maledetto ragazzo!
Sbuffando mi incamminai verso la macchinetta del caffé e dopo aver inserito trenta centesimi presi quello che era il terzo caffé macchiato della giornata. Uscii in cortile, presi una sigaretta e me l’accesi, gustandomi quei trenta minuti di pace che mi aspettavano.
Perché tutto d’un tratto Benassi mi rivolgeva la parola? Era passata una settimana senza che lo vedessimo, quel giorno non mi aveva calcolata di striscio ed ormai lo vedevo troppo ben puntato sul suo piedistallo. Magari voleva essere simpatico, divertente. Poi per aver fatto quella battuta aveva dovuto ricordare il fatto che mi aveva dato della secchiona quel giorno! Fermi, fermi, fermi. Io, Ginevra Sforza, stavo cominciando a farmi filmini su un ragazzo? Io che i ragazzi non li desideravo mai e loro si presentavano di continuo? Dov’era finita quella parte di me che era definita stronza e che andava a braccetto con la mia popolarità? Feci un altro tiro di sigaretta e scossi la testa. Non era possibile, mi stavo riducendo a fare cose che non erano da me. In quella settimana non ci avevo mai pensato a quel ragazzo, ma possibile mi fosse bastato solamente rivederlo per rifarmi tanti tanti viaggi mentali?
Finii la sigaretta e la buttai, bevendo poi l’ultimo sorso di caffé e gettando il bicchierino di plastica nel secchio che stava accanto alla porta dov’ero poggiata.

-I haven't been home for a while I'm sure everything's the same mom and dad both in denial and only jokes to take the blame..-(*) Cantavo ad alta voce mentre guidavo diretta a casa. Appena era suonata la campanella mi ero precipitate fuori da scuola, ero salita in macchinetta ed ero partita. Il cielo non faceva pensare a nulla di buono ed ero sicura che a breve avrebbe piovuto. Il semaforo diventò verde ed io proseguii diretta a Via della Grande Muraglia, dove vivevo. Svoltai a destra e presi la strada che avrei dovuto fare dritta per dritta per almeno altri cinque minuti. Guidavo piano, a quei cinquadue chilometri orari che l’Aixam mi permetteva. La radio era altissima, come mio solito. Amavo cantare ma avevo sempre avuto l’impressione di essere abbastanza stonata e, di conseguenza, se dovevo cantare dovevo farlo senza poter sentire la mia voce. Mentre mi lasciavo alle spalle il Laghetto dell’EUR pensavo alla giornata che mi aspettava una volta a casa. Dovevo studiare latino e biologia, fare una versione di greco e poi andare in piscina per il corso teorico da bagnina.. Era solo l’una e mezza, potevo tranquillamente farcela! Tutto sommato ero complessivamente di buonumore ma, la sfiga nera che mi perseguitava da una settimana circa, era pronta dietro l’angolo a colpire.

Boom

Avevo preso sicuramente una buca, ma la cosa più grave era che la macchinetta si era spenta. Fortunatamente, se fortuna la si poteva chiamare, stavo sulla corsia a destra e così riuscii ad accostare il più possibile la macchinetta al marciapiede, nonostante il motore spento e mettere poi le quattro frecce. Uscii da quella inutile scatola di latta e mi guardai intorno: non c’era niente e nessuno che potesse essere utile a me e all’Aixam. Mi portai le mani fra i capelli e tirai fuori il cellulare. Spento. Mannaggia a me che mi scordavo sempre di metterlo in carica! Strinsi i pugni e guardai il cielo. Ecco, direte che è la scena più classica del mondo, la più ridicola. Ma credetemi, quella scena scontata e da due soldi capitò proprio a me. La pioggia. Piccole, stupide, insulsi gocce cominciarono a cadere sul mio viso bagnandomi gli occhi, il naso, le guance. Mi tolsi l’elastico che portavo al polso e lo usai per legarmi i capelli. Non che fossi una di quelle bimbe amanti dei propri capelli che sbraitavano appena si arricciavano, ma erano lunghi fino alla metà della schiena e quando erano bagnati si appiccicavano ovunque dandomi un fastidio micidiale.
Guardavo l’orologio senza riuscire a ragionare: cosa fare? Dove lasciare la macchinetta? Come tornare a casa? Intanto erano passati dieci minuti senza che io concludessi qualcosa. Ad un tratto, mentre la pioggia mi aveva fatto completamente la doccia e le mie speranze erano finite sotto le suole delle mie scarpe, sentii il rombo di un motore ed il rumore di una fermata. Alzai lo sguardo e vidi una moto nera lucente davanti alla mia macchinetta grigia. Emanuele?
-Oddio sia ringraziato il cielo!- Esclamai forse a voce troppo alta, perché mentre si toglieva il casco lo vedevo che rideva sotto i baffi. Probabilmente non ero mai stata così felice in vita mia di vedere una persona.
-Che ti è successo, studentessa modello?- Mi domandò non appena scese dalla moto, avvicinandosi. –La scatola di latta è morta?- Solo io potevo chiamare in quel modo il mio amatissimo catorcio. Arricciai un po’ il labbro e poi annuii.
-Non riesco più a farla partire.. Ho provato tutti i modi che il meccanico mi ha suggerito di provare in questi casi..- Lui scoppiò a ridere sotto il mio sguardo accigliato. –Che ti prende?-
-Scommetto che ti si ferma regolarmente!-
-Sì..ma è la prima volta che non riparte!- Fu un botta e risposta veloce. Di sicuro non mi facevo tenere testa, in nessun discorso, scherzoso o serio che fosse, da nessuno. Emanuele salì in macchinetta e provò ad avviarla senza alcun successo, poi tolse le chiavi me le diede in mano e sorrise, come uno che pensa a qualcosa.
-Sali in macchina!- Mi disse, aprendomi la portiera. Alzai un sopracciglio senza muovere un passo. –Su dai, non fare la preziosa.. Dobbiamo parcheggiarla in quel posto un po’ più avanti, non puoi mica lasciarla qui finché non viene il carroattrezzi!- Più che convinta salii in macchina e tolsi il freno a mano, mettendo poi le mani sul volante.
-Vai, sono pronta!- Lui si era già posizionato dietro la macchina, con le braccia tese e le mani che premevano sul vetro posteriore. Cominciò a spingere e la macchinetta senza troppi problemi si spostò. Fortunatamente per entrare nel posto non dovemmo fare molte manovre e dopo qualche situazione esilarante e risata, uscii dalla macchinetta soddisfatta con la borsa a tracolla. Emanuele sorrideva raggiante mentre era impegnato a tirare qualcosa fuori dalla sua cartella senza lasciare che i libri si bagnassero per la fitta pioggia. Allungò poi il braccio e mi porse un casco bianco, semplice, con qualche scritta in nero qua e là.
-Stai scherzando?- Avevo una paura folle delle moto e di qualsiasi cosa avesse due ruote. Le mie avventure, o forse sarebbe stato meglio chiamarle disavventure, con la bicicletta erano note a tutti miei amici ed ogni volta che si organizzava una scampagnata io restavo a casa a guardarmi la televisione.
-Come ci vorresti tornare a casa, di grazia?- Mi domandò guardandomi negli occhi. In quel momento mi persi completamente nel suo sguardo. I suoi occhi castani avevano qualche leggerissima sfumatura di verde ed era così grandi, dolci, espressivi. La frangia mora era appiattita contro la fronte e le goccioline di pioggia scivolavano veloci sul suo viso. Diamine, possibile che mi incantassi come se nulla fosse?
-Sulla bicicletta mi sono rotta una gamba, poi un polso, poi tre dita. Una volta sono salita sul motorino di Sara ed abbiamo preso una buca, cadendo.- Dissi in fretta, quasi per nascondere l’imbarazzo provocato dal raccontare sia la mia incapacità di stare su mezzi a due ruote, sia quello provocato dall’essermi fissata a guardarlo.
-Hai paura?- Domandò ridacchiando. –Ma ti fai tanto la dura, l’ho visto il tuo diario, sai.. Tutte canzoni dei Metallica, dei Guns and Roses.. E poi hai paura della moto e della..- Qui la risata prese il sopravvento. Impiegò qualche secondo a riprendere controllo di sé. -..della bicicletta?- Boccheggiai qualche secondo prima di ridere un po’ anche io.
-Sono paure fondate perlomeno!- Mormorai alzando le mani e facendogliele vedere. –Guarda i miei mignoli..Sono stortissimi..- Dissi con voce lamentosa. Lui prese le mie mani fra le sue ed avvertii un calore unico, immenso. Lo osservai mentre le guardava divertito, tenendole strette.
-Sei proprio un personaggio!- Disse poi lasciando delicatamente le mie mani e passandosi le proprie fra i capelli. –Mettiti quel casco e andiamo. Sta diluviando e non smetterà.. E se non arriviamo a casa domani ci sveglieremo con la broncopolmonite.- Ormai le sue parole non suonavano più come proposta, ma come un vero e proprio ordine. Senza aggiungere altro salì sulla moto e mi fece cenno con la mano di montare. Con la maggiore lentezza di cui ero capace mi avvicinai a quella bestia di moto e salii, mettendomi poi in fretta il casco. –Non te lo stringere troppo che poi muori non per colpa della moto ma per soffocamento!- Mi stava guardando nello specchietto retrovisore. Probabilmente arrossii ma per fortuna non mi specchiai in quel momento, odiavo vedere la mia figura già prevalentemente rossiccia diventarlo ancora di più.
-Dobbiamo andare alla fine di Viale della Grande Muraglia..poco prima del benzinaio.- Annunciai, schiarendomi prima la voce. Lui si limitò a fare un leggero segno con il capo.
–Sei pronta?- Deglutii e poi mormorai un leggerissimo “sì” mentre mettevo i piedi nel punto apposito–Puoi anche stringerti a me, eh.. Non ti faccio del male.- Disse guardandomi per un ultima volta prima di abbassarsi la visiera e mettere in moto. Passai le mie braccia intorno al suo busto e chiusi gli occhi. In quel momento lui diede gas ed un attimo dopo la mia macchinetta era solo un lontano ricordo.
Emanuele guidava veloce, sicuro di sé, ma senza esagerazione. In fondo penso che si preoccupasse della mia innata paura per la moto e non ci tenesse a farmi prendere un infarto. Stringendomi a lui riuscivo a percepire tutto il suo calore e, dopo i primi istanti, aprii gli occhi e guardai il mio quartiere scorrermi veloce affianco. Si muoveva agilmente fra le macchine e le sue fermate non erano mai brusche ed improvvise ma anzi, completamente il contrario. Mi aveva fatto apprezzare per una volta nella mia vita quello che chiamavano il “brivido delle due ruote” e quando si fermò davanti alla mia palazzina e non sentii più il vento sul mio viso, dovetti ammettere che quasi mi dispiaceva.
-Allora, fifona.. Com’è andata?- Mi domandò mentre scendevo dalla moto e mi toglievo il casco, senza reggermi neanche bene in piedi. Lui si era tolto il proprio senza però scendere dalla moto e mi guardava con un sorriso.
-Strano ma.. bene.- Risposi sincera, restituendogli il casco e cominciando a prendere le chiavi di casa dal cappotto. Su una cosa aveva avuto ragione.. La pioggia non aveva proprio voglia di smettere di cadere.
-Sono proprio un guidatore provetto!- Disse ridendo con quel suo fare spavaldo ed un po’ ammiccante.
-Te lo potrei anche lasciar credere, mister modestia!- Lo guardai sistemare il casco bianco nella borsa e risistemarsela in modo tale che non lo disturbasse a guidare. –Grazie mille, comunque, davvero.. Mi hai salvata da.. Non so nemmeno io che cosa..-
-Ma figurati!- La sua risposta fu gentile. Per un momento pensai alla descrizione che mi aveva dato Valeria di quel ragazzo: chiuso nel suo mondo, viziato, ricco sfondato e menefreghista. Non vedevo nessuno di quegli attributi in lui.
-Ti devo un favore.- Dissi prima di salutarlo con un cenno della mano ed avviarmi al mio cancello. Lui ricambiò quel cenno con un movimento più piccolo, più impercettibile, e mi guardò mentre aprivo piano il portone. Prima di scomparire dietro di esso mi voltai per guardarlo un’ultima volta. Si era già messo il casco senza però abbassare la visiera.
-Ciao, Lentiggini!- Mi urlò con un largo sorriso beffardo impresso sulle labbra. Poi si sistemò il casco e tutto per un’ultima volta e partì velocemente, più velocemente di quando c’ero io dietro di lui. Mormorai un impercettibile “ciao” e poi entrai scuotendo la testa.
Lentiggini? Mi aveva chiamata.. Lentiggini?


Autrice:
Grazie mille a tutti coloro che hanno recensito, aggiunto la storia ai preferiti e alle seguite, ma anche ai lettori silenziosi. Sono felice che il primo capitolo vi sia piaciuto e spero che questo non vi deluda visto che io lo adoro. Non so precisamente come farò continuare l’intreccio ma fidatevi che me ne uscirò con qualcosa di buono!
Un abbraccio a tutti,
Silvia.

  
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