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Autore: Hikaritokage    30/08/2020    18 recensioni
La pioggia cade incessante, fuori.
Si riversa sui giardini ingrigiti e spenti, scroscia sulle vetrate in un mormorio continuo che culla i pensieri.
Li richiama e li respinge, come il moto di un'onda.
Pensieri liquidi, si infrangono sulle coste sabbiose e irregolari della coscienza, si increspano per poi ritrarsi subito dopo, fluidi e inconsistenti e inafferrabili come la spuma del mare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La pioggia cade incessante, fuori.
Si riversa sui giardini ingrigiti e spenti, scroscia sulle vetrate in un mormorio continuo che culla i pensieri. 
Li richiama e li respinge, come il moto di un'onda.
Pensieri liquidi, si infrangono sulle coste sabbiose e irregolari della coscienza, si increspano per poi ritrarsi subito dopo, fluidi e inconsistenti e inafferrabili come la spuma del mare. 
Le mani bendate, indolenzite, stringono la tazzina fumante che diffonde nella stanza le note voluttuose del cioccolato, il calore e il conforto delle abitudini. Ma l'odore di pioggia arriva a pungere fin lì, si insinua ovunque, impregna l'aria, satura i respiri. L'odore di pioggia non si può ignorare, così come la risacca di pensieri insistenti.
Così come il dolore.
Sì, è decisamente dolore quello che sente.
E non è la testa, né il fuoco vivo dei tanti tagli medicati di fresco, delle ferite più o meno gravi e disseminate un po' ovunque, dove la pelle si è lacerata insieme alla stoffa dell'uniforme. 
No, quel dolore non viene da lì.
È molto più profondo, molto più intenso, impossibile da definire.
È come se qualcosa - qualcosa che avrebbe dovuto restarsene sommerso, sprofondato in un'oscurità fitta e insondabile - avesse preso invece a contorcersi, a dibattersi per riaffiorare in cerca di luce e di aria, senza più darle pace.
È un pulsare costante, un nodo che non vuole saperne di sciogliersi. Estraneo e familiare al tempo stesso, non somiglia a niente che lei abbia mai provato prima.
Eppure, quasi le sembra che ci sia sempre stato.
 
La pioggia cade sulle immagini della notte appena trascorsa, si rovescia in un fiume già gonfio, tanto da rompere gli argini e travolgere tutto con violenza inaudita. 
Un fiume denso di corpi, indistinti e pressati insieme e mossi all'unisono dallo stesso irrefrenabile odio, fatto di grida assordanti e colpi inferti con una furia troppo a lungo repressa. Un fiume di rabbia, nero e ineluttabile quanto la morte, rischiarato soltanto dal bagliore infernale di vivide fiamme che avevano divorato la carrozza rovesciata e tutto ciò che rappresentava. 
Sul fondo della tazzina, quelle immagini sono  ancora reali, tangibili. 
Gli occhi ne sono ancora colmi, la mente ancora sconvolta, bruciano ancora sulla pelle come un marchio indelebile. I rumori, le grida, gli odori, il sapore del sangue e del fango e della paura. È ancora tutto lì, a chiuderle la gola.
È ancora lì l'orrore, il buio, il vuoto assoluto che aveva preso a solcarla quando si era accorta di essere rimasta sola, che soltanto lei aveva trovato un insperato rifugio in quel vicolo, senza quasi capire come. All’improvviso, il fiume che l'aveva inghiottita si era ridotto a nient'altro che un rumore di fondo. All'improvviso era salva, era viva. 
Era sola.
Lui non c'era, e nessun altro pensiero aveva più trovato posto nella mente squarciata da quel lampo di consapevolezza devastante.
Lui non c'era, risucchiato dalla corrente e trascinato lontano, alla deriva in acque implacabili, senza nessuna possibilità di riemergere.
Lui non c'era e il mondo intero era crollato su se stesso, quasi che il mondo intero si reggesse su di lui. 
Un soffio gelido le percorre la schiena, perfino adesso, al pensiero di lui issato a forza su un improvvisato patibolo, con una corda già al collo, condannato da una giustizia sommaria a versare quel sangue nobile che non aveva neppure.
Un soffio gelido al pensiero di ciò che avrebbe fatto lei, della sua furia che si sarebbe abbattuta su chiunque in quella folla informe e iniqua, se soltanto fosse stata lì e l'avesse visto appeso a un cappio come una bambola di stracci. 
Un soffio gelido, l'alito della morte che sussurra il suo richiamo, le mani che si stringono di più attorno al calore della porcellana. E non riescono a scaldarsi.
 
La pioggia cade, tenace e costante, il picchiettare monotono si mescola a un rumore di passi inattesi, che la distolgono dal vortice in cui è caduta. I passi che conosce, quelli che mai potrebbe confondere con altri.
Solleva lo sguardo, incontra quello di André.
È ridotto anche peggio di lei, ma come lei si è già rimesso in piedi. E adesso è lì, le sorride.
“Ho saputo che ieri notte il conte di Fersen è tornato sano e salvo nei suoi alloggi" le dice soltanto. 
“Mi fa piacere.”
Lui non aggiunge altro, perché è certo che una simile notizia sia tutto ciò che lei voglia sapere, tutto ciò di cui abbia bisogno per darsi finalmente pace. 
Lei invece si accorge, in quel preciso istante e con un lampo di colpevole sorpresa, di non averci proprio pensato. 
È stato Fersen a trascinarla in quel vicolo, strappandola via a una morte orribile.
Fersen le ha salvato la vita, di nuovo, come tanti anni prima.
Di nuovo, come tanti anni prima, Fersen ha offerto la propria vita per salvare quella di André.
Eppure non è a lui che sono rivolti i pensieri. Non al suo nobile gesto, non al suo coraggio e al suo valore, non a quei suoi occhi impossibili che le hanno tolto il sonno per anni.
E forse dovrebbe chiedersi il perché.
Dovrebbe domandarsi dove sia finito quell'amore struggente e irrealizzabile, cosa ne sia stato della lenta e triste agonia che avrebbe dovuto scandire il resto della sua vita.
Dovrebbe chiedersi se l'amore possa davvero svanire, se il trascorrere del tempo possa mutarlo in semplice affetto e imperitura riconoscenza e amicizia sincera. Se possa cambiarlo, con la stessa semplicità con cui l'inverno cambia gli alberi.
Dovrebbe. Ma non vuole chiedersi nulla.
Tutto ciò che vuole è già lì, in piedi davanti a lei, e la sta guardando. E quel dolore insistente, misterioso, sconosciuto, di colpo sembra essersi placato. Una pace improvvisa, una calma perfetta.
“Vuoi un po' di cioccolata, André?”
Nelle parole che gli rivolge, nel tono, non c'è traccia dell'urgenza trattenuta con cui ha formulato una domanda tanto innocente. Della necessità fisica, imprescindibile, di vederlo restare e sorridere e sedersi all'altro capo del tavolo.
“No, ti ringrazio, Oscar.”
Se solo non fosse così brava a innalzare muri, a costruire fortezze invisibili e inespugnabili, forse adesso saprebbe come chiedergli di restare. Se non lo avesse allontanato così tanto, tagliandolo fuori dalla nuova vita che aveva creduto di voler vivere da sola, forse adesso lui saprebbe ancora ascoltare quello che non sa dirgli. Ma non lo fa, non più, lui che era l'unico a riuscirci davvero. Non lo ha più fatto, mai, da quell'unica volta in cui si è spinto oltre un confine inviolabile, ferendola più di quanto potesse mai fare chiunque altro al mondo. Dopo che anche lei lo aveva ferito, più di quanto potesse mai fare chiunque altro al mondo.
Da quella notte, su cui entrambi hanno steso un velo di pietoso oblio, non si è più addentrato nelle profondità di sguardi fugaci e silenzi accessibili soltanto a lui.
E adesso è ignaro di quanto la sua presenza sia fondamentale, inconsapevole di come il mondo intero fosse crollato la notte prima, quasi che il mondo intero si reggesse su di lui.
Ignaro, inconsapevole, si volta e lascia la stanza.
E lei non lo ferma. 
Anche se quel dolore ha ripreso a perseguitarla di colpo, nell'attimo esatto in cui lui ha distolto lo sguardo, lei non lo ferma.
Anche se le basterebbe chiedere, pronunciare il suo nome, inventare una scusa qualunque, lei non lo ferma.
Lo guarda andare via, mentre qualcosa risale dai più oscuri recessi della coscienza e la invade. Qualcosa che si dibatte, che si agita e si contorce in preda agli spasmi per la mancanza improvvisa di aria, di quel respiro che ha creduto di poter prendere e che di nuovo gli è stato negato.
Ci prova a metterlo a tacere, a scrollarselo di dosso alzandosi in piedi. Raggiunge la finestra, continua a ripetersi che, se solo avesse potuto, sarebbe andata lei stessa a salvare il suo André.
Ma quel  dolore non si placa.
E non è l'angoscia di aver quasi perso l'amico fraterno, il compagno insostituibile di una vita intera, l'uomo che l'ha amata in silenzio per vent'anni e che forse la ama ancora. Non è il rimpianto di non averlo salvato, di non aver offerto la propria vita in cambio della sua, come già ha fatto tanti anni prima sguainando la spada davanti a un re ingiusto, come farebbe anche adesso e altre mille volte ancora. 
No, quel dolore non viene da lì.
È molto più profondo, molto più intenso, impossibile da definire. 
È un pulsare costante, un nodo che non vuole saperne di sciogliersi. Estraneo e familiare al tempo stesso, non somiglia a niente che lei abbia mai provato prima.
Eppure, all'improvviso è certa che ci sia sempre stato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
~~~
Grazie, come sempre, a chiunque abbia speso un po' del suo tempo tra queste righe! ^^
Giusto una noticina piccola piccola: il titolo e l'ispirazione (estemporanea, mi riservo di rimaneggiare qualcosa a un orario più congruo e a mente più lucida) sono arrivati da lontano stavolta, portati dal vento della brughiera:
 
“My love for Linton is like the foliage in the woods: time will change it, I’m well aware, as winter changes the trees. 
My love for Heathcliff resembles the eternal rocks beneath: a source of little visible delight, but necessary. Nelly, I am Heathcliff! He’s always, always in my mind: not as a pleasure, any more than I am always a pleasure to myself, but as my own being.”
                  - Emily Brontë, “Wuthering Heights”
 
   
 
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