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Autore: I am on my way    30/08/2020    0 recensioni
Le sua labbra sono calde, morbide, sanno di menta e il suo volto profuma di shampoo e bagnoschiuma, ma anche di dopobarba: è un odore pungente che mi solletica il naso e mi fa girare la testa.
I nostri respiri si inseguono, mentre le sue mani scendono lungo la mia schiena, fermandosi qualche centimetro più giù del previsto e io vorrei togliermi la maglietta per poter far aderire il suo petto nudo al mio, per sentirlo mio e fondermi con lui in una cosa sola.
I suoi capelli bagnati mi stuzzicano il volto, mentre lascio vagare i miei polpastrelli sulle sue spalle umide, beandomi della sensazione della sua pelle pallida sotto i miei palmi, esplorando, avida, ogni singolo centimetro di pelle, imprimendomi nella mente ogni imperfezione, ogni suo lineamento.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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12 minuti di codardia

Eirwen


Sento la sabbia fra le dita dei piedi, il mare mi bagna ritmicamente le caviglie, quasi in sincronia col mio respiro zoppicante.
L'odore di salsedine è forte, mi fa pizzicare il naso, l'acqua fredda ogni tanto mi fa trasalire e il verso dei gabbiani mi costringe a cercarli con lo sguardo non appena li sento gridare in cielo, un cielo grigio, compagno del mio umore.
Mentre sono seduta qua sulla spiaggia, con le ginocchia piegate, il mento poggiatovi sopra e le braccia strette attorno alle gambe, penso che faccia davvero caldo e che ci sia una certa di malinconia nel ritrovarmi qui, sola, dopo ben quattro anni.
Non è cambiato nulla dall'ultima volta, un po' come dentro quella vecchia casa che mi sono lasciata alle spalle qualche minuto fa.
Sembra come se il tempo avesse conservato tutto questo per me, per ferirmi gli occhi una volta che sarei tornata. Perchè sapevo anche io, ancor prima di andarmene, che prima o poi avrei fatto ritorno.
Ricordo che nel momento in cui avevo afferrato le mie valigie tra le lacrime, arrabbiata e frustrata, la sera del sedici agosto di quattro anni fa, avevo gridato tutto il mio odio verso questo posto, l'avevo urlato così forte che persino Harry che mi aspettava fuori, nella sua vecchia auto che io amavo tanto, era corso dentro a vedere cosa fosse successo.
Quel giorno avevo giurato, nel silenzio della notte, che non avrei fatto ritorno. In un respiro strozzato avevo gettato il piccolo braccialetto dell'amicizia in mare e al vento avevo sussurrato il mio dolore.
Ma come si può dire addio al luogo dove hai lasciato la parte più importante di te stessa?
Non si può, semplice.
Ed infatti eccomi qui, con le infradito abbandonate accanto a me, la canottiera improvvisamente troppo stretta, i granelli di sabbia intrappolati fra i capelli e il desiderio che questo posto mi diventi estraneo. Vorrei non sentirlo più mio, non sentirlo come fosse parte di me, ma non ci riesco: si è incastrato nella mia anima e non vuole più lasciarmi libera.
È frustrante, è come se cercassi di andare avanti ma avessi una catena a tenermi ancorata a questa stupida cittadina e fa male, perchè mi stringe i polsi, perchè dopo anni inizia a corrodermi la pelle e io vorrei solo trovare la chiave e finalmente avere sollievo.
Harlan Ellison diceva: “dodici minuti [...] corrispondono all'effettiva durata verificata del dolore genuino. Qualsiasi cosa oltre i dodici minuti è autocommiserazione, e tentativi inutili di far sembrare più importanti i primi dodici minuti.”
Quindi questi ultimi miei quattro anni non sono stati altri che giorni, mesi, minuti, costellati di autocommiserazione? Nulla di più?
No, non ci credo, quello che sento nel petto è dolore. Dolore per aver perso tutto quello che avevo, in una notte. Dolore per aver perso lui e me stessa.
È dolore mischiato a paura. Paura del matrimonio, paura di quello che mi porto tutti i giorni dietro.
Stringo le gambe al petto. Vorrei rimanere qui per sempre. Vorrei vedere mille tramonti, mille albe e mille inverni, senza dover pensare ad altro.
Ma so che ,anche allora, non sarei in pace con me stessa.
Centinaia di voci che mi fanno diventare pazza, centinaia di volti che hanno tutti gli stessi occhi, stessi capelli, stesso sorriso. E ancora prima di socchiudere gli occhi so che lottare contro quell'immagine di noi due, di circa dieci anni fa, è inutile, allora mi lascio andare e improvvisamente le urla dei gabbiani scompaiono.

«Niall, che stai facendo?» gli domando, mentre lo osservo curiosa.
È poggiato contro il tronco di un pino, il volto nascosto in parte dai capelli biondi, in parte dall'ombra e sta armeggiando con qualcosa.
Mi avvicino, mentre attendo che mi risponda, ma so già che dovrò ripetergli la domanda e che probabilmente non mi ha sentito, concentrato com'è.
«Allora?» lo incito, sedendomi a gambe incrociate accanto a lui, sull'erba umida.
Niall alza finalmente lo sguardo, e i suoi occhi blu mi fanno sorridere, mi ricordano il mare in un giorno di pioggia.
«Tentavo di costruire questo stupido aeroplanino, ma le istruzioni sono sbagliate» dice frustrato, osservando il foglietto delle spiegazioni scritto fittissimo.
«Vuoi una mano?»
Lui annuisce «grazie Wendy.»
Mi blocco ancora prima di prendere in mano l'ala del modellino.
«Wendy? Perchè mi hai chiamata Wendy?» gli domando perplessa.
Lui attacca l'elica a quello che dovrebbe essere il sopra dell'aeroplano, mentre cerca le parole giuste «beh, l'altro giorno mi hai detto che se potessi scegliere un super potere, vorresti poter volare» dice sorridendomi «Wendy, in peter pan, volava. E i vostri nomi hanno le lettere simili: Eirwen, Wendy» dichiara, fiero del ragionamento che l'ha portato a notare quel piccolo dettaglio.
Rido, mordendomi il labbro «mi piace Wendy».
«Anche a me.»
Restiamo in silenzio, io mentre ripenso al mio nuovo soprannome, lui mentre lancia occhiate furiose al modellino ancora incompleto.
Sembra più un aereo che si è appena schiantato.
«Sai una cosa?» mi domanda Niall, spezzando quella quiete e tornandomi a guardare «un giorno, quando sarò grande ti porterò su un aereo, di quelli enormi. Voleremo insieme io e te. Te lo prometto.»


Ma le promesse sono il rifugio dei temporeggiatori. Questo l'ho imparato solo adesso, a venti anni e cinque mesi. Se solo l'avessi saputo prima, non avrei mai dato ascolto a tutte quelle parole, quegli sguardi e quegli abbracci che sembravano giurarmi che un giorno mi avrebbe regalato persino la luna.
Il problema è che ci affidiamo alle persone, scarichiamo il peso delle nostre vite sulle loro spalle, preghiamo affinchè ci aiutino ad andare avanti. Ma di spalle forti ce ne sono poche e questo non potevo saperlo.
Mi alzo in piedi scuotendo la testa e cercando di togliermi la sabbia dalle cosce e dalle mani, graffiandomi con i granelli, irritandomi  la pelle.
Sapevo che tornare qui, cercarlo, rivederlo, mi avrebbe fatto male, ma non pensavo così tanto, non credevo che mi avrebbe fatto tremare le gambe anche solo rivedere questi posti, sembra quasi di scavare in una grotta pregna di ricordi, frasi perdute e parole dimenticate.
Non sono pronta a risentire la sua voce e so già che rientrata dentro casa, prenderò nuovamente in mano la mia valigia ancora per nulla disfatta e scapperò prima che lui possa sapere di me.
Perchè scappare è la cosa che mi riesce meglio.

Mi inumidisco le labbra, mentre con l'indice destro mi porto una ciocca dietro l'orecchio, ho sempre odiato tenere i capelli sciolti al mare.
Inspiro e mi volto lentamente, come se una mano mi tirasse indietro, cercando di fermarmi e di farmi restare qui; come se inconsciamente volessi prendermi del tempo per riflettere o semplicemente per rimanere seduta in riva al mare a ricordare.
Ma io infondo sono sempre stata una codarda e allora mi scrollo via quella presa e decido che scappare è la soluzione migliore.
Finisco di girarmi con un sospiro, mentre alzo gli occhi da una conchiglia bianca, di quelle piccole, lisce.
Sposto lo sguardo oltre i miei piedi e prima che io possa ripensarci, è troppo tardi: lui è davanti a me, qualche metro più in là.
Mi sta guardando con le mani infilate nelle tasche, le infradito ai piedi e i capelli scompigliati.
Ha un'espressione afflitta, preoccupata, speranzosa e forse sorpresa. Una miriade di emozioni sono esplose sul suo volto e sono convinta che lo stesso valga per me.
«Wendy» mi chiama, trovando coraggio. La sua voce è.. Così diversa.
Ora che è più vicino riesco a cogliere ogni suo aspetto, lineamento, dettaglio, posso osservare con calma le sue mani dalle dita affusolate, le sue braccia allenate, le sue spalle più ampie rispetto a quattro anni fa. E soprattutto, riesco a vedere i suoi occhi, quelli blu come intorno alle stelle, blu come il mare in tempesta, blu come quelli di nessun altro.
«Wendy, sono io Niall» ripete, vedendo che non riesco a dire una parola.
Ma ho le gambe bloccate, il respiro spezzato e scommetto che se solo aprissi bocca scoppierei a piangere. Come posso muovermi? Come si fa a respirare? Come è che si parla?
Ho passo quattro anni a pensare a come avrei reagito alla sua vista, quattro anni a pensare alle parole che gli avrei detto o urlato contro. Ho pensato e mi sono preparata prima di partire.
Avevo pianificato tutto.
Avevo... Sapevo cosa-cosa fare.
E invece eccomi qui, incapace di compiere qualsiasi gesto; e lui è così bello, così simile al mio Niall, così reale e diverso dai miei ricordi. Lui è qui.
«Wendy, ti prego dimmi qualcosa» sussurra, facendo un passo verso di me, tentando di sorridere. Mi era mancato il suo sorriso, mi era mancata la sua voce.
Sento la rabbia montarmi dentro e non so nemmeno perchè, o forse sì.
«Non chiamarmi così» sibilo fra i denti, sorprendendomi di me stessa.
Niall sgrana leggermente gli occhi, che diventano ancora più grandi, ancora più belli. Poi la sua espressione si fa addolorata, colpevole.
«Eirwen» tenta sconsolato, facendo un altro passo verso di me «mi dispiace per tutto, lo sai io-»
«E me lo dici dopo quattro anni?» lo interrompo, senza riuscire a guardarlo negli occhi «mi dici che ti dispiace adesso?» la mia voce è malferma, bassa, non la riconosco nemmeno e mi maledico per questo.
«Io ho sbagliato, Wen-Eirwen. Lo so, d'accordo? Ma tu sei scappata, non mi hai dato il tempo di spiegarti, mi hai urlato di stare fuori dalla tua vita, cosa dovevo fare?» mi domanda, sempre più vicino.
Improvvisamente è come se non fossimo più in spiaggia, non sento più il rumore del mare o il verso dei gabbiani, non sento più nulla, solo il battito sordo del mio cuore e la sua voce che è più simile ad una pugnalata alle spalle che ad altro.
«Potevi chiamarmi!» grido, indietreggiando di un passo, allontanandomi da lui, dalle sue mani e dal suo petto che mi chiamano.
«Ho provato a farlo!» allarga le braccia, fissandomi e facendomi venire la pelle d'oca. Il suo timbro è più alto, è arrabbiato, mi mette soggezione «Ti ho chiamata, ma non mi hai mai risposto! Come potevo rimediare?! Non me ne hai mai dato la possibilità!»
«Non te la meritavi» sussurro, sentendo gli occhi pizzicarmi.
Mi scruta sotto quelle sue lunghe ciglia «è stato un incidente, Eirwen.»
Basta, quel nome sulle sue labbra non lo sopporto, mi fa male, vorrei urlargli di stare zitto.
«Ti avevo detto che ti amavo» dico in un singhiozzo, mentre lui continua ad avvicinarsi verso di me, con il petto fasciato da una canottiera bianca, che lo rende così odiosamente perfetto.
«Ti scongiuro non continuare» mi prega, perchè quella verità fa male ad entrambi.
«Ti avevo detto che ti amavo e tu te ne sei andato via, senza dire nulla» sussurro.
«Wendy» mi supplica, è troppo vicino «non volevo-»
«Ti ho trovato a letto con mia sorella, la sera stessa!» urlo con tutto il fiato che ho in corpo «nel mio letto! Nella mia stanza!»
E un senso di nausea mi afferra lo stomaco, mi sento le gambe molli, come svuotata di ogni energia.
Erano anni che non ne parlavo, che non pronunciavo quelle parole, che tentavo di scacciare quel pensiero.
Erano anni che mi rifiutavo di parlarne.
Niall si blocca, mi guarda come se lo avessi preso a pugni, ma sono quasi sicura di avere il suo stesso aspetto.
Ci guardiamo, incapaci di fare nulla.
Quattro anni di silenzi iniziano a pesare sulle nostre spalle e io non riesco più a trattenermi, a fare finta che lui non sia qui, non riesco, la sua presenza mi fa male.
Così vicino, ma allo stesso tempo lontano, troppo.
Una consapevolezza che tento di far tacere nella mia testa continua a urlarmi contro: questi non siamo noi, siamo il riflesso di una vecchia amicizia, lo scarto di una storia andata a male. Siamo l'eco di ciò che eravamo.
E fa male, questa verità mi uccide, soprattutto ora che lui è davanti a me.
Siamo a due passi di distanza, ma lontani anni luce, ecco cosa.
«Mi dispiace» dice in un soffio.
«Anche a me» la mia voce esce spezzata, malferma, trema come la foglia trasportata dal vento che ci passa vicino.
Vorrei abbracciarlo: mentre la mia testa mi urla di mandarlo via, il mio cuore richiama la mia attenzione. Mi dice che gli manca Niall, che è così bello, che i miei ricordi non gli avevano mai reso giustizia. Mi dice che vuole sentire il suo profumo, si chiede se è sempre lo stesso.
Il mio cuore sa cosa vuole, ma non posso darglielo, non sarebbe giusto.
Lui mi ha fatto male, mi ha ferita.
«Per favore» e per un attimo penso che sarebbe capace anche di mettersi in ginocchio davanti a me «Wendy, mi sei mancata così tanto»
Il respiro mi si blocca. Non doveva dirmelo.
Come ha potuto pronunciare quelle parole?
E sono quasi sicura di aver sentito qualcosa rompersi nel mio petto, un piccolo “crac” che mi ha causato una fitta atroce, facendomi venire il voltastomaco.
Vorrei chiedergli di smetterla di guardarmi, con quei suoi occhi, quelle labbra, quel volto, quelle braccia.
«Io-io devo andare», il pianto bloccato in gola.
Mi muovo in fretta, sorpassandolo, sfiorandogli la spalla. Quel tocco mi fa rabbrividire e per un attimo mi sembra di poter cogliere il suo profumo, è sempre lo stesso: sa di casa, sa di Niall, sa di noi due, del passato. Sa di ricordi.
«Ti supplico» mi richiama da dietro «Wendy per favore!»
Ma prima che possa raggiungermi io corro via. Perchè sono sempre stata una codarda, perchè scappare, a differenza di amare, mi riesce bene.
   
 
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