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Autore: Marco1989    01/09/2020    0 recensioni
Da un momento all'altro, la tua vita cambia all'improvviso: un istante, uno schianto, e ti trovi in un mondo che hai soltanto sognato. Ti trovi di nuovo ragazzo, e coinvolto in una avventura che mai avresti sognato di vivere. Matteo Simoncini si troverà improvvisamente catapultato ad Hogwarts, e dovrà decidere cosa fare in quel nuovo mondo, mentre una oscura minaccia si avvicina, e lui potrebbe essere il solo ad avere il potere per fermarla.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A strange, new world'
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Salve a tutti! Come vi avevo anticipato, ho impiegato un po’ di tempo a completare questo decimo capitolo. Purtroppo, tra lavoro, vacanze, difficoltà tecnologiche (la mia disponibilità si è ridotta ad un malridotto tablet), non sono riuscito a mantenere una grande velocità, ma prometto che cercherò di scrivere il prossimo più velocemente.

Vorrei spiegare una cosa che ho dimenticato di specificare nei capitoli precedenti in relazione agli incantesimi che i miei personaggi utilizzano. Immagino che ne avrete riconosciuta una gran parte come tratti dai libri (ho ignorato quasi interamente i film), ma alcuni, come avrete notato sono chiaramente inventati. Si tratta, in massima parte, degli incantesimi da combattimento: la Rowling non ha mai specificato molto per quanto riguarda gli incantesimi utilizzati in duelli e battaglie, lasciando molto all’immaginazione, cosa che tutto sommato ci può stare, trattandosi di un libro per ragazzi.

Io sono voluto entrare maggiormente nel dettaglio, non mi accontento di un semplice “iniziarono a scambiarsi incantesimi”. Ho dovuto quindi trovare una serie di magie da combattimento che non esistono nel mondo dell’autrice. Incantesimi come ‘Impactus’ e altri che utilizzerò in futuro sono inventati. Non da me però, non voglio prendermi meriti che non ho. Come si suol dire, “Se devi copiare, copia dal migliore”, e poiché c’è un fantastico autore che nelle sue storie ha impiegato una lunga serie di incantesimi da combattimento, ho deciso di seguire la strada da lui tracciata. Ringrazio quindi il grande jbern per il suo lavoro, lo impiegherò con grande rispetto.

Detto questo, godetevi il capitolo!

 

CAPITOLO DIECI

 

Era pomeriggio inoltrato quando tornai nel dormitorio di Grifondoro. Ero emotivamente svuotato e fisicamente stremato, e la sola cosa che avevo voglia di fare era crollare sul letto e dormire per un po’, diciamo circa una settimana. Avevo ricordi molto confusi di quello che era accaduto dopo lo scontro con Nott: Mary era stata comprensiva, aveva lasciato che mi sfogassi e mi aveva rassicurato, dicendomi che mi ero fatto prendere la mano e che sapeva bene che io non ero fatto in quella maniera. Ciononostante, non avevo potuto fare a meno di notare una piccola ombra di paura nei suoi occhi quando mi aveva salutato nell’ingresso del castello: era passata sopra all’accaduto solo in nome del bene che mi voleva, ma non aveva certo dimenticato la scena vista.

Svolsi l’esame di Babbanologia con il pilota automatico attivato: non sarei stato in grado di ricordarmi una delle domande scritte sul foglio neanche sotto tortura, tantomeno le mie risposte. I venticinque anni che avevo vissuto da Babbano erano la mia sola speranza di aver evitato una vergognosa bocciatura.

L’accaduto pesava sul mio cuore come un macigno: non potevo dimenticare di aver evitato di un soffio di compiere un omicidio. La terrificante sensazione che mi aveva lasciato l’incursione della mia nuova, oscura personalità mi schiacciava: ero tornato quello di sempre, certo, un insolito mix di Joshua Carter e Matteo Simoncini, ma in qualche modo avvertivo che non era scomparsa. Era ancora lì, appena oltre la mia coscienza, di nuovo addormentata. Per quanto? Chi poteva dirlo. Sarei stato in grado di dominarla, o per meglio dire, di fermarla, anche qualora fosse tornata a presentarsi? Stessa risposta. Perché esisteva? Idem come sopra.

Preso da questi pensieri tutt’altro che felici, attraversai gran parte della Sala Comune come uno zombie prima di notare tre persone estremamente agitate che parlavano tra loro: erano Harry, Ron ed Hermione, e sui loro volti campeggiava una espressione di orrore.

Improvvisamente ricordai che quel giorno c’era qualcuno, ad Hogwarts, che aspettava una sentenza ben più definitiva del risultato di un esame, ed il peso sul mio cuore raddoppiò in un istante. Mi avvicinai al trio e chiesi, con voce tremante: “Lo hanno condannato, vero?”.

Hermione, che sembrava prossima al pianto, assentì con la testa.

Fu un duro colpo da digerire, soprattutto sommato alla serie di batoste che avevo incassato nel corso di quell’apparentemente infinita giornata: nelle settimane precedenti, nonostante gli impegni legati allo studio, avevo lavorato con grande attenzione alla revisione del documento per l’appello di Fierobecco preparato da Hermione. Mi sembrava ineccepibile, ero convinto che davvero avessimo una possibilità di ottenere la sua assoluzione. Invece, a quanto pareva, era stata ancora una volta la politica corrotta a strappare il successo. L’animale di Hagrid, colpevole solo di essere se stesso e di aver incrociato un verme stupido e meschino come Draco Malfoy, sarebbe morto.

“Quando…?” riuscii a domandare.

“Al tramonto” rispose Harry.

Guardai fuori dalla finestra: il sole aveva già iniziato ad abbassarsi verso l’orizzonte.

“Che cosa pensate di fare? – chiesi ancora – Non ci lasceranno mai uscire a quell’ora, ma non possiamo lasciare solo Hagrid!”.

Hermione estrasse dalla borsa qualcosa che somigliava ad un lucido mantello nero. Resistetti a stento alla tentazione di sussultare: sapevo perfettamente cosa fosse, e compresi immediatamente le loro intenzioni, ma ricordai appena in tempo che, per quanto ne sapevano i tre ragazzi che avevo davanti, io non avevo mai visto quel particolare artefatto. Finsi perciò una certa sorpresa: “Che cos’è?”.

“Un Mantello dell’Invisibilità – spiegò ancora Harry – Era di mio padre. Con questo potremo passare oltre la sorveglianza. Il solo problema è che non ci staremo mai in quattro”.

Per alcuni istanti regnò un silenzio assoluto, mentre tutti riflettevamo sulle implicazioni di quello che il ragazzo con gli occhiali aveva detto: tutti avremmo voluto recarci a confortare il nostro amico professore, ma inevitabilmente qualcuno sarebbe dovuto rimanere al castello. Avvertii una sorta di lieve pizzicore all’interno della testa, ma lo ignorai. Alla fine Ron borbottò, poco convinto, che avremmo potuto tirare a sorte.

Per me era evidente, per quanto doloroso, quale fosse la sola scelta sensata, quindi ribattei subito: “No, non serve. Resto io – Hermione cercò di interrompermi, decisa evidentemente a farmi cambiare idea, ma la fermai con un gesto della mano – E’ tutto a posto, ragazzi. Voi conoscete Hagrid da anni, io solo da qualche mese – sorrisi stentatamene – Se dobbiamo scegliere chi deve avere intorno in un momento così terribile, è giusto che siate voi”.

Tutti, soprattutto Hermione, cercarono di farmi cambiare idea, ma io rimasi sulla mia posizione, e non ci volle molto, in realtà, prima che si arrendessero.

Il trio aveva deciso di muoversi dopo la cena. Io non li vidi sparire sotto il mantello prima di varcare l’ingresso della scuola: dopo la nostra conversazione, mi ero gettato sul letto, e non ero sceso neanche per mangiare, nonostante fossi sostanzialmente a digiuno dalla colazione. Non era solo la stanchezza a trattenermi: la piccola pressione nella mia testa si era rapidamente trasformata in una scossa quasi costante, che sembrava aumentare di intensità con il passare dei minuti. Non ci misi molto a riconoscere gli effetti del mio strano ‘Senso di ragno’: più si avvicinava l’ora dell’esecuzione dell’Ippogrifo, più quella stranissima parte della mia mente alzava la voce per dirmi che sarei dovuto essere presente. Impossibile dire quale fosse la ragione: come sempre, le mie sensazioni si limitavano a suggerirmi il ‘cosa’, mai il ‘perché’. Con l’approssimarsi del tramonto, il sussurro si era trasformato ormai in un urlo a pieni polmoni: qualcosa, più che suggerendo, mi stava ordinando di uscire dal castello. Ero ormai certo che la questione non riguardasse soltanto l’esecuzione del povero Fierobecco: c’era qualcos’altro nell’aria, qualcosa di molto più oscuro. Non sarei stato in alcun modo capace di spiegare la ragione, ma sentivo di dover essere lì fuori. Forse proprio quella sera si sarebbe rivelato il motivo per il quale ero finito in quel mondo. Era solo una sensazione, ma talmente potente da essere impossibile da ignorare.

Mi alzai in piedi ed iniziai a camminare avanti e indietro nella stanza. Ormai avevo deciso cosa era necessario che facessi, ma la situazione non era migliorata di molto: oltre al ‘perché’, infatti, il mio ‘Senso di ragno’ si era dimenticato anche di dirmi il ‘come’: Harry e gli altri avevano preso il solo Mantello dell’Invisibilità esistente ad Hogwarts, ed uscire dal castello senza qualcosa di simile era virtualmente impossibile.

Il tempo passava, e la mia ansia cresceva: il tramonto era vicino, ed io ero ancora privo di qualsiasi idea che mi permettesse di eludere la sorveglianza all’ingresso. All’improvviso raggiunsi una sorta di illuminazione: un Mantello non era il solo modo per rendersi invisibili! Mi precipitai come una valanga verso il mio comodino, ed afferrai il libro che vi era posato sopra, iniziando a sfogliarlo alla massima velocità. Era un tomo di Incantesimi che avevo preso in biblioteca, e conteneva parecchie magie avanzate, la maggior parte delle quali venivano insegnate negli ultimi anni di scuola. Non si trattava di magie da combattimento, ma conteneva molta roba interessante. Tra queste, ricordavo di aver visto un incantesimo in particolare che faceva esattamente al caso mio. Ci misi quasi dieci minuti, ma alla fine lo trovai: l’Incantesimo di Disillusione, in grado di trasformare il soggetto colpito in una sorta di camaleonte, capace di assumere gli stessi colori dello sfondo sul quale si muoveva. Non si diventava realmente invisibili, ma essere individuati, soprattutto nell’oscurità, era quasi impossibile. Studiai rapidamente i movimenti necessari, poi posai il libro, presi la mia bacchetta e corsi nel bagno davanti allo specchio.

Cercando di replicare i movimenti che avevo visto sulla pagina, feci compiere alla bacchetta una sorta di mulinello, poi mi toccai la cima della testa mormorando “Desilludo!” e osservai il risultato.

Niente. Il mio corpo spiccava come sempre sulla superficie riflettente. Sospirai con stizza: essere riuscito a compiere, durante il duello con Nott, una serie di incantesimi avanzati senza averli mai provati mi aveva lasciato l’impressione di essere capace di fare qualsiasi cosa, ma in quel momento mi trovai a contrarmi con i miei limiti. Ero pur sempre un mago tredicenne, e l’Incantesimo di Disillusione era magia piuttosto avanzata. Eppure dovevo riuscirci! La sensazione nella mia testa era sempre più forte: dovevo sbrigarmi, dovevo uscire dalla scuola, dovevo vedere...cosa? Impossibile dirlo, ma sapevo che si trattava di un imperativo categorico.

Trassi un profondo respiro, e ricominciai: un mulinello, una giravolta, un tocco… “Desilludo!”.

Niente.

Imprecai rabbiosamente, cercando con poco successo di tenere la voce bassa. Tipico: nel momento nel quale ne avrei avuto maggior bisogno, la mia insolita abilità aveva deciso di abbandonarmi! Per un istante fui sul punto di arrendermi: non c’era modo di uscire dalla scuola senza rendermi invisibile, provarci avrebbe significato soltanto farmi scoprire e punire. Il pensiero di rinunciare, però, durò un solo secondo: semplicemente, non potevo. Arrivare al parco non era solo una possibilità, era una necessità. Era come se un invisibile burattinaio mi stesse manovrando, e rifiutare non era un’opzione valida. Era come se tutto il mio tempo ad Hogwarts mi avesse guidato fino a quel momento, facendomi scoprire le mie capacità e addestrandomi a… cosa? Cosa doveva accadere quella sera? Non ne avevo la minima idea, ma sapevo di doverci essere. E per poterlo fare…

Respirai, cercando di rilassare la mente, poi ricominciai: eseguii il movimento con la massima attenzione, mi toccai la testa e per la terza volta pronunciai la formula: “Desilludo!”.

Seppi che aveva funzionato prima ancora di vedere il risultato allo specchio: avvertii una sensazione di freddo che dalla punta della testa si espandeva verso il basso, come se qualcuno avesse rotto un uovo sui miei capelli e quello mi stesse colando addosso. Il mio riflesso scomparve, mentre il mio corpo assumeva la stessa colorazione e lo stesso aspetto del muro alle mie spalle. Pochi secondi, ed ero letteralmente sparito: con molta attenzione, avrei potuto vedere il contorno della mia fisionomia, ma senza una luce a breve distanza ed uno sguardo particolarmente attento, sarei stato impossibile da individuare.

Non persi altro tempo: velocemente, ma allo stesso tempo cercando di non fare rumore, uscii dal bagno, scesi dal dormitorio, attraversai la Sala Comune senza che nessuno dei miei compagni notasse nulla, superai il ritratto cercando di aprirlo meno possibile perché nessuno dei presenti se ne accorgesse ed uscii nel castello avvolto dalla semi-oscurità.

La discesa fino all’ingresso si rivelò molto più semplice di quanto avrei potuto anche solo sperare: i troll di guardia non si accorsero di nulla, e lo stesso accadde al paio di insegnanti di pattuglia che incrociai. Avevo temuto Mrs Purr, la malefica gatta del custode Gazza, che avrebbe forse potuto individuarmi con l’olfatto, ma per mia fortuna non era in circolazione, pochi minuti, e le mie narici si riempirono dell’aria fresca della sera.

L’oscurità stava calando velocemente sui prati all’esterno del castello: il sole era ormai scomparso, la luna velata dalle nuvole, e le ombre si allungavano sull’erba. Con decisione, mi diressi verso la capanna di Hagrid: la voce nella mia mente continuava a non darmi informazioni in più, ma sembrava non avere niente in contrario, quindi supposi di stare facendo la cosa giusta. Dalle finestre della casa, a pochi metri dagli alberi della Foresta Proibita, si intravedeva una luce. Vedendo il buio che ormai avvolgeva il parco, avvertii un tuffo al cuore: avevo perso troppo tempo. L’esecuzione era prevista per il tramonto. Fierobecco ormai doveva essere…

Non ebbi tempo di continuare con le mie riflessioni, perché qualcosa di assolutamente imprevisto accadde una cinquantina di metri più in basso rispetto a me: un attimo prima il parco era completamente vuoto, un attimo dopo una figura nera era apparsa come dal nulla, ed aveva iniziato a correre sull’erba. Strizzai gli occhi per alcuni secondi nel tentativo di riconoscere, nella poca luce rimasta, di chi si trattasse, poi riconobbi la figura allampanata impegnata in uno scatto attraverso il parco: era Ron. Doveva essere appena uscito da sotto il mantello dell’invisibilità. Ma che diavolo stava facendo?

Poi li vidi. In tutta sincerità, non sarei in grado di dire se furono i miei occhi o la mia mente a rendersene conto per primi, sembra incredibile che sia riuscito a notare due animaletti in mezzo ad un parco, di notte, con la luna oscurata.

Eppure, fu ciò che accadde: qualche metro davanti a Ron, lanciato in quello che sembrava un inseguimento, vidi un peloso gatto arancione. Appena il tempo di riconoscere Grattastinchi, e ancora più avanti individuai la sua preda. Il mio cuore saltò almeno un paio di battiti quando compresi che l’animale di Hermione stava rincorrendo un topo. No… non un topo: ‘Crosta!’. Il nome esplose nella mia mente come una folgore. Ero lontano, al buio, eppure non avevo il minimo dubbio: quello lanciato in una fuga disperata per la propria vita lungo i prati era l’animaletto di Ron, in qualche modo ancora vivo quando avrebbe dovuto essere morto da mesi! Improvvisamente una piccola parte dei pezzi dell’intricato puzzle che avevo nella testa andò a posto: tutti i dubbi che avevo avuto… le ore passate a chiedermi cosa ci fosse che non mi tornava nella morte di Crosta… ed eccolo lì! Non che questo risolvesse il vero dilemma: il topo era vivo… e quindi? Quale importanza poteva avere quel maledetto roditore? Sentii che forse stavo per scoprirlo.

Passarono ancora alcuni secondi, poi altre due figure apparvero nel parco e si gettarono dietro a Ron. Non dovetti neanche aguzzare lo sguardo per capire di chi si trattasse: anche Harry ed Hermione dovevano aver gettato alle ortiche il mascheramento.

Mi mossi per raggiungerli: volevo essere presente quando avessero recuperato il topo. Sentivo che, in qualche modo, questo avrebbe portato le risposte che volevo. Dopo pochi passi, però, compresi verso cosa si stava dirigendo Ron nella sua corsa cieca, e avvertii un brivido lungo la schiena. I miei ricordi dall’altra parte arrivavano abbastanza avanti da riconoscere il grande albero che si stagliava contro il cielo sempre più nero: il Platano Picchiatore, un albero capace di muoversi, particolarmente aggressivo, pronto a colpire con i suoi rami chiunque si avvicinasse.

Ero sul punto di lanciare un avvertimento a Ron, a costo di rovinare la mia copertura, quando il ragazzo, superato Grattastinchi, con un tuffo disperato riuscì a bloccare la fuga di Crosta, allontanando poi il gatto ancora deciso a catturarlo. Fortunatamente, il placcaggio di Ron era avvenuto quando era ancora fuori dalla portata del Platano Picchiatore. Trassi un sospiro di sollievo, pur non sapendo esattamente perché il recupero da parte del rosso del suo animaletto avrebbe potuto aiutarmi a dare un senso alle mie sensazioni, apparentemente impossibili da collegare e ordinare. Perfino in quel momento, mentre mi avvicinavo senza più la stessa fretta, vedendo Ron infilare a fatica Crosta nella tasca della sua veste e gli altri due arrestarsi a fatica accanto a lui, piegati in due per la corsa, continuavo a farmi le stesse domande: perché il topo era importante? In quale modo il fatto che non fosse stato mangiato era determinante? E Black? Perché avvertivo una sensazione così strana nei suoi riguardi? Tante domande, nessuna risposta. Sentivo però che il momento dei chiarimenti si stava in qualche modo avvicinando, anche se non sarei stato in grado di dire come sarebbe giunto.

La tranquillità si ruppe all’improvviso, come un vetro che si schianta al suolo: si udì il rumore di passi pesanti sul terreno, e nel buio vidi qualcosa di enorme, nero contro il nero della notte, con due occhi chiari che rilucevano nel buio, dirigersi a balzi verso i miei tre amici. Riconobbi un gigantesco cane color della pece, delle dimensioni di un piccolo orso, con il pelo irsuto e la bocca spalancata a mostrare enormi zanne.

La mia mascella cedette di diversi centimetri: da dove era uscito quella specie di mostro? Un istante dopo infilai disperatamente la mano nella veste, in cerca della bacchetta, ma era troppo tardi: il cane gigante travolse Harry, scaraventandolo a terra, poi rotolò a qualche metro di distanza spinto dal suo stesso slancio, si rialzò e si preparò ad un nuovo assalto. Harry si tirò faticosamente in piedi, ma era chiaramente dolorante, non sarebbe riuscito a difendersi. Provai a prendere la mira, ma compresi subito che, tra distanza e oscurità, non sarei mai riuscito a centrare l’animale. Disperatamente iniziai a correre, pur sapendo che non c’era alcuna speranza di arrivare in tempo: in due secondi la bestia avrebbe sbranato Harry!

Per fortuna, fu Ron ad intervenire: con una spinta spostò l’amico mettendosi tra lui e il cane. Questo saltò addosso a lui, lo afferrò per un braccio ed iniziò a trascinarlo via, nonostante un disperato tentativo di Harry di fermarlo. Un attimo dopo, sia il ragazzo con gli occhiali che Hermione vennero sbattuti violentemente a terra dai rami del Platano Picchiatore, mentre il mostro portava un recalcitrante Ron fino alla base del tronco. Harry accese la punta della bacchetta, e nella pallida luce lo vidi entrare in una grossa fessura tra le radici, tirandosi dietro Ron, che opponeva una disperata resistenza. Ero ancora ad una ventina di metri di distanza quando mi fermai, cercando nuovamente di prendere la mira con la bacchetta, ma il cane era ormai sparito sotto l’albero. Ron si era agganciato ad una radice con la gamba, ma pochi secondi dopo si udì un terribile scricchiolio: l’osso della caviglia doveva essersi rotto sotto la violenta trazione. Un istante, ed il corpo del ragazzo scomparve interamente sotto la pianta.

Tutto era accaduto tanto rapidamente da lasciarmi stralunato, come se stessi vivendo un incubo: una creatura infernale aveva appena rapito uno dei miei amici! Rimasi bloccato, chiedendomi se potesse essere quella la ragione per la quale il mio ‘Senso di Ragno’ mi aveva spinto ad uscire dal castello. Neanche il tempo di decidere che linea seguire, e la situazione cambiò ancora: Harry ed Hermione fecero un paio di inutili tentativi di sperare i rami dell’albero, poi Grattastinchi si avvicinò al tronco e premette una specie di nodo. Il Platano Picchiatore si bloccò, come paralizzato. Il gatto si infiò di corsa nella fessura, e subito dopo i due ragazzi lo seguirono. Rimasi da solo nei prati avvolti dall’oscurità.

Ero letteralmente sotto shock: tutto mi sarei aspettato, tranne l’assurda serie di eventi alla quale avevo assistito. Poteva davvero essere questo che la strana forza che sembrava guidarmi aveva voluto farmi vedere? Forse era questo che voleva da me? Dovevo aiutare Harry ed Hermione a salvare Ron? E se Crosta fosse stato una coincidenza? E se lui e Black non avessero avuto un ruolo da protagonisti, ma solo da comprimari, nella storia che si stava dipanando davanti a me?

‘E se ti dessi una mossa, pezzo di cretino?’.

Non era stato il ‘Senso di Ragno’ a insultarmi: la voce che mi aveva urlato nel cervello era la mia. Mi riscossi: non era decisamente il momento di farsi troppe domande. Quel cane era grande abbastanza da fare a pezzi Ron. Non potevo perdere tempo a chiedermi che cosa stesse realmente succedendo, e in che modo ciò che avevo visto andasse ad incastrarsi con il resto. Harry e gli altri avevano bisogno di tutto l’aiuto possibile. Per un istante accarezzai l’idea di correre al castello per chiamare un insegnante, ma la scartai altrettanto velocemente: tempo di trovare qualcuno e di spiegare tutta la storia, ammesso e non concesso di essere creduto, e sarebbero potuti essere morti tutti e tre. Senza neanche togliermi di dosso l’Incantesimo di Disillusione, corsi a mia volta verso l’albero e mi infilai nella fessura. Appena in tempo: ero a stento entrato quando i rami si ripresero dalla paralisi e tornarono a sferzare l’aria.

Scivolai lungo una china di terra, fino al fondo di un tunnel molto basso. Senza attendere oltre, iniziai a percorrerlo, la schiena piegata quasi a novanta gradi per non battere la testa. Procedevo a tentoni, perché avevo immediatamente deciso di non accendere la bacchetta. Un incantesimo avrebbe fatto saltare l’Incantesimo di Disillusione, ed avevo la strana sensazione che arrivare inatteso, senza essere visto, sulla scena di qualsiasi cosa stesse accadendo, potesse essere una buona idea.

Una ridda di pensieri mi attraversavano la testa mentre arrancavo lungo il cunicolo: nonostante lo stupore per quello che avevo visto, avvertivo una strana sensazione di ‘giustezza’, come se stessi seguendo una linea tracciata. Capire chi l’avesse fatto andava al di là della mia comprensione. Non per la prima volta, mi sentii una sorta di marionetta, come se non fossi completamente padrone delle mie scelte. Misi da parte questo pensiero, ripromettendomi di analizzarlo con maggiore attenzione più tardi: c’erano cose più urgenti da fare.

Finalmente, dopo un tempo che mi sembrò infinito, sbucai in una stanza fiocamente illuminata. Era piena di polvere e ragnatele, e appariva abbandonata da tempo. La poca luce che entrava passava tra le assi inchiodate alle finestre. Per un istante, mi chiesi dove fossi: sicuramente non ero ad Hogwarts. Poi compresi: anche se non l’avevo mai vista, neanche dall’esterno, seppi di trovarmi all’interno della Stamberga Strillante, la casa infestata dai fantasmi alla periferia di Hogsmeade. Mi guardai ancora intorno, e notai che tutti i mobili presenti erano sfasciati, letteralmente distrutti. Osservando meglio un tavolo, vidi degli evidenti segni di artigli, e rabbrividii: decisamente, non era stato un fantasma a provocare quella devastazione. Che fosse stato il mostruoso cane? Per qualche ragione, questa spiegazione non mi suonava bene.

Notai poi che sul pavimento polveroso c’erano due serie di tracce: una larga striscia lucida, come se qualcosa fosse stato trascinato, e due serie di impronte di piedi proprio accanto. Entrambe si dirigevano verso una porta, oltre la quale si intravedeva un’anticamera buia. Mi mossi con la massima circospezione, cercando di limitare al minimo il rumore: dovevo essere non più di un minuto dietro Harry ed Hermione, quindi dovevano essere vicini. Quasi come conferma, avvertii uno scricchiolio sommesso. Molto lentamente, oltrepassai la porta. Alla mia destra c’era una scala molto malridotta, che conduceva al piano di sopra. Le tracce continuavano da quella parte. Harry ed Hermione non si vedevano, ma in cima alla scala notai una sola porta aperta. Nessun rumore di lotta, anzi, nessun rumore di qualsiasi genere. Che fine aveva fatto Ron? Non poteva essere morto…o sì? E il cane? Era in agguato? Era fuggito?

Quasi in risposta alle mie domande inespresse, udii la voce di Harry: “Ron stai bene?” e subito dopo quella di Hermione: “Dov’è il cane?”.

La risposta di Ron fu un gemito di sofferenza: “Non è un cane… Harry, è una trappola… è lui il cane… è un Animagus!”.

Prima ancora che il mio cervello potesse registrare le implicazioni di quelle parole, la porta in cima alle scale si chiuse di colpo, ed una quarta voce, cavernosa, simile al ringhio di un cane, gracchiò: “Expelliarmus!”.

Sentii come una coltre di gelo scendermi lungo la schiena. Non avevo mai sentito quella voce, ma non avevo il minimo dubbio: sapevo a chi apparteneva. Era certamente una trappola, ed Harry ci era caduto in pieno. Era chiuso dentro la stanza in cima alle scale insieme a Ron ed Hermione, con ogni probabilità erano tutti disarmati, e con loro c’era Sirius Black!

Stavo per precipitarmi a valanga su per le scale, ma mi trattenni quasi a forza: gli strani dubbi che mi erano venuti su Black potevano andare a farsi fottere, lui rimaneva un pluriomicida evaso dal carcere, e adesso armato. Piombare nella stanza senza riflettere era tutt’altro che una buona idea.

Cercando di fare meno rumore possibile, salii al piano di sopra, accostandomi alla porta con la massima delicatezza e le orecchie tese. Il ‘Senso di Ragno stava letteralmente urlando, ma non riuscivo minimamente a distinguere le diverse sensazioni. Non che ne avessi bisogno: sapevo che ai miei tre amici restavano, con ogni probabilità, solo pochi minuti di vita, e che forse ero la loro unica possibilità.

 

Bene, potete fulminarmi ora! Vi lascio in pieno climax! Come andranno le cose? Josh si getterà avanti lancia in resta oppure la storia seguirà il suo corso? Prometto che già domani inizierò a lavorare al prossimo capitolo!

  
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