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Autore: Lacus Clyne    02/09/2020    3 recensioni
Una notte d'inverno. La città che non dorme mai.
Un'ombra oscura al di là della strada, qualcosa di rosso. Rosso il sangue della piccola Daisy.
Kate Hastings si ritrova suo malgrado testimone di un efferato omicidio.
E la sua vita cambia per sempre, nel momento in cui la sua strada incrocia quella di Alexander Graham, detective capo del V Dipartimento, che ha giurato di catturare il Mago a qualunque costo.
Fino a che punto l'essere umano può spingersi per ottenere ciò che vuole? Dove ha inizio il male?
Per Kate, una sola consapevolezza: "Quella notte maledetta in cui la mia vita cambiò per sempre, compresi finalmente cosa fare di essa. Per la piccola Daisy. Per chi resta. Per sopravvivere al dolore."
Attenzione: Dark Circus è una storia originale pubblicata esclusivamente su EFP. Qualunque sottrazione e ripubblicazione su piattaforme differenti (compresi siti a pagamento) NON è mai stata autorizzata dall'autrice medesima e si considera illegale e passibile di denuncia presso autorità competenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Buondì!! Seconda parte dell'ottavo capitolo!! Anche stavolta è lunghetta, ma è piena d'azione! *_* Al termine, le note! Buona lettura!!











Il mattino seguente, dopo una breve colazione e un rapido briefing, corredato da un breve alterco sulle differenze di vedute, ci trovammo pronti all’azione. Stavolta, per via delle rivelazioni di Vaughn, il capo aveva deciso di tenere la mia copertura in stand-by, così mentre Alexis si recò come da piano a colloquio con Harriet Cruise, lui ed io ci recammo presso l’ufficio preposto al rinnovo del visto internazionale ad attendere Varban Petrov. Jace, intanto, ci attendeva dietro le quinte, appostato nell’auto di Graham. Era una bella giornata e il via vai di gente che si affaccendava tra lavoro, scuola e commissioni, mi faceva pensare alla mia città natale.

– Sembri serena. – mi disse il capitano Graham, riportandomi alla realtà.

– Pensavo soltanto a casa. È un bel posto. –

– Shrewsbury. Non credo di esserci mai stato, ora che ci penso. –

– Lei è originario di Boston, vero? –

Graham annuì. – Cambridge. –

– Wow. Non l'avrei mai detto. –

La mia osservazione gli fece aggrottare le sopracciglia. – Pensavi venissi da qualche bassifondo? –

– Come? N-No, certo che no! –

Graham inarcò il sopracciglio stavolta. – Tu sei davvero un bel tipo. Lo sai, vero? –

Soffocai una risatina, ma prima di chiedergli di più, fummo interrotti dall’arrivo di Petrov.

– Eccolo. – disse.

Varban Petrov aveva circa ventotto anni. Capelli rasati e occhi verdi, piuttosto piazzato, con una cartellina in mano.

– Vieni. – ordinò Graham, e io lo seguii, sperando che non desse spettacolo come suo solito, ma rimanendo qualche passo indietro, pronta a dare supporto se richiesto. Fingendo di non essere stato attento al marciapiede, andò dritto a scontrarsi con Petrov, che, nonostante la stazza, indietreggiò di qualche passo subendo il colpo. Nello scontro, la cartellina che aveva con sé gli cadde, riversando a terra diversi documenti.

– Ehi, guarda dove metti i piedi tu! – protestò, a giusto titolo, contro il capo, in un marcato accento straniero che mi fece irrigidire.

– Scusi. Ho preso una storta e ho finito con l’inciampare. Lasci che l’aiuti. – replicò il capo.

Petrov, per tutta risposta, si mise a borbottare nella sua lingua madre, cercando di risistemare alla bene e meglio la sua documentazione, che il capo, puntualmente, finiva per rimescolare.

– Ma che diavolo fa? –

Graham sorrise beffardo. – Sono maldestro. E... wow, questo visto è scaduto oggi. – osservò, leggendo con finta curiosità il documento.

Petrov si innervosì, cercando di strapparglielo di mano, ma il capo fu più veloce e si alzò.

– Senza questo non puoi rimanere qui, vero? Che peccato, finirai rimpatriato in quattro e quattr’otto. –

– Ma chi cazzo sei tu, eh?! Ridammi quel che è mio! – esclamò, pronto ad avventarsi contro di lui. Per un attimo, fui sopraffatta dal terrore dell’immagine di Trevor aggredito dal Mago e feci un passo indietro.

– Non ti conviene aggredirmi. Sono un rispettabile cittadino americano, ci faresti una figura di merda, Petrov. –

L'uomo si bloccò istantaneamente al suono del suo cognome e il suo sguardo si fece pungente. Il capo sogghignò. – Se rivuoi il tuo visto, farai bene a collaborare. Altrimenti farò in modo di farti sloggiare e dubito che tu abbia tanta fretta di tornare nel luogo da cui sei andato via, no? –

Petrov fece un gesto di stizza, ma poi finì di raccogliere i suoi documenti e si ricompose. Solo dopo quel momento, si rese conto anche della mia presenza. – Chi siete voi? Federali? –

Graham stavolta era sinceramente sorpreso. – Questa mi mancava. Vieni con noi, ne parliamo con calma. –

– Non se i miei diritti non vengono rispettati. –

– Prego? –

Sospirai. – Signor Petrov, per favore, lei conosceva Karina Razinova, vero? –

Varban Petrov sgranò gli occhi. – Siete della Polizia? –

Graham mi rivolse un’occhiata, poi guardò Petrov e tirò fuori il distintivo. – Polizia di Boston, V Dipartimento, sezione Omicidi. Sono il detective Alexander Graham e lei è la mia assistente, la dottoressa Hastings. Stiamo indagando sull’omicidio di Karina. Lei è una delle poche persone che ci hanno avuto direttamente a che fare, non è così? –

Il nostro interlocutore fissò lo sguardo sul distintivo, poi ci guardò, sconvolto. – Karina... Karina è morta? –

Graham e io ci guardammo, poi ci rivolgemmo a un quantomai fuori dal mondo Petrov, la cui reazione fu decisamente inattesa. – Lei mi aveva detto che era fuggita... ma Karina non ci avrebbe mai abbandonati... ne... – mormorò, portando le mani alla testa.

Non so se fu per via di quella debolezza, ma gli posai una mano sul braccio e incontrai nel suo sguardo tutto il suo improvviso dolore. – La prego, signor Petrov, abbiamo bisogno del suo aiuto. –

Petrov, storcendo la bocca per soffocare il singhiozzo, annuì con un cenno. – Non qui. Un posto tranquillo. –

Annuii e mi voltai verso il capo, che assentì, ma qualcosa nella sua espressione pensierosa mi allertò. E così, dopo aver raggiunto Jace, che ci attendeva a pochi metri di distanza, nel parcheggio adiacente, ci recammo presso l'abitazione di Varban Petrov. Era un appartamento, di recente ristrutturato, a quanto ci disse, di proprietà della Cruise. Un particolare che mi colpì, una volta entrati, fu lo stile spartano e la totale assenza di suppellettili. Come se fosse una sorta di prigione, nella sua estrema essenzialità.

– Cosa sa di Karina Razinova, signor Petrov? – domandò il detective Graham.

– Se permette, preferirei parlare più con questa ragazza, dopo che lei mi ha praticamente aggredito senza farsi problemi. – rispose, con un cipiglio d'orgoglio che colpì sia Jace che lo stesso capo. Quest'ultimo lo guardò di sottecchi.

– Per quello, mi scuso. Mi sono lasciato un po' prendere la mano. –

Alla faccia della sincerità. Sospirai. – Il capitano Graham ha un caratteraccio, ma è uno degli investigatori più in gamba che conosca. Se c'è qualcuno che può dare giustizia a Karina, quello è lui. La prego, si fidi. – dissi.

Petrov mi rivolse una lunga occhiata, con un evidente tentativo di capire se stessi bluffando o meno, ma nonostante i suoi modi sgarbati, c'era poco da fare: Alexander Graham era a tutti gli effetti un ottimo detective. Così, non vacillai. Petrov se ne rese conto, poi si fece capace.

– Karina, Zlatko, Mirena e io eravamo amici, in origine. Studenti scapestrati, come si dice, con pochi soldi e tanta voglia di avventura. Avevamo messo insieme qualcosa per un viaggio in America, circa otto anni fa, ma Zlatko aveva altri progetti per la mente. Aveva cominciato a far uso di droghe e aveva finito col coinvolgere Karina e Mirena, portandole su brutte strade. Loro erano più giovani e facilmente influenzabili. Così il cerchio si è allargato e non sono più stato in grado di fermarlo... –

– Zlatko era lo spacciatore morto, vero? – domandai, trovando risposta affermativa.

– Le persi di vista, scoprendo solo dopo qualche tempo che erano volate in America, ma non sapevo che fossero ancora sotto il suo giogo. Quando arrivai, mi misi sulle loro tracce, avendo scoperto che erano state assegnate a una struttura di recupero, assieme ad altre donne e a Zlatko, che paventava il suo cambiamento. –

– La Hope and Charity House. – aggiunse Graham.

Da. Volevo verificare di persona e, dal momento che non avevo grandi possibilità economiche, mi feci avanti. La dottoressa Cruise mi prese a simpatia, quando le raccontai la mia storia. –

– E Karina? –

Un fremito lo scosse e strinse i pugni. – Karina era tutta un'altra storia... ormai era dipendente dalle droghe e sempre più presa da Zlatko. Così tanto che alla fine, fuggì insieme a lui, una notte, lo scorso anno. –

– Però, durante quell'operazione di cattura, era da solo. E nessuno dei report faceva riferimento a una doppia fuga. – osservò Jace.

Petrov annuì. – Perché formalmente, quella notte fu lui il primo ad andarsene. Karina era combattuta. Andar via per seguire l'unico uomo che poteva concederle quei paradisi artificiali che l'avevano ormai catturata... oppure rimanere con il suo bambino. –

Quella rivelazione mi sconvolse. Karina aveva avuto un bambino?

– Un bambino... –

Graham storse le labbra. – Già. C'erano segni di un parto nell'autopsia, ma non era detto che il bambino fosse nato vivo o fosse sopravvissuto, data la condizione della madre. –

– Questo non me l'aveva detto! – protestai.

– Non l'ho fatto perchè non sapevamo cosa ne fosse stato. –

– Invece cambia le cose! Se Karina avesse cercato di tornare indietro? Se avesse cercato di riprendersi il bambino? Può essere così, signor Petrov? –

Petrov scosse la testa. – La dottoressa Cruise adorava quel bambino. E adorava Karina. La vedeva come quella figlia che non era Sarah. Nonostante le sue debolezze, Karina sapeva farsi voler bene. Sapete, lei non aveva nessuno al mondo e così, si era legata ai Reyes. E aveva compreso che fare il bene di Nicholas sarebbe passato anche dal consentirgli di vivere una vita più dignitosa, lontano da lei, dai suoi problemi... anche se non fu semplice. –

– Lei ha... rinunciato a suo figlio? – domandai, incerta. Come poteva aver fatto una cosa del genere? Una madre che decideva di abbandonare il suo bambino formalmente in nome di un futuro migliore, ma in realtà per inseguire una non vita fatta di droghe?

– L'ha fatto per lui... –

– No. – lo interruppe Graham. – Lo ha fatto perché ha scelto di distruggersi. –

Mi morsi le labbra, constatando come avesse dato voce ai miei pensieri.

– Non è così... lei era... disperata. Voi non la conoscevate, non come la conoscevo io. – mormorò, senza più riuscire a trattenere le lacrime.

– E del bambino... che ne è stato? – chiesi.

– Nicholas... lui vive sotto la supervisione della dottoressa Cruise. –singhiozzò.

– È... è lei il padre? – domandai, ancora.

Stavolta, mi rivolse uno sguardo eloquente. Non lo era, ma decisamente, avrebbe voluto esserlo. In realtà, fu il detective Graham a darmi risposta.          – Era Zlatko, no? Karina era incinta quando è stata ammessa alla Hope and Charity House. Immagino che qualcosa del genere abbia portato una ventata di entrate e di pubblicità alla Cruise. Petrov, ho una domanda da farle. –

– Di che si tratta? –

Gli occhi del capo si ridussero a due fessure. – Secondo lei, chi ha ucciso Karina? –

Petrov si sollevò, confuso e perplesso. – Non è lei quello che deve scoprirlo? –

Graham annuì, poi fece un cenno sia a me che a Jace. Era ora di andare.

– Se dovesse avere qualche indizio utile, mi contatti. Sarò a sua disposizione. – disse, passandogli un biglietto con su scritto un numero di telefono. Petrov lo prese, titubante, poi ci congedò, chiedendoci di trovare l'assassino di Karina.

Una volta rientrati nell'auto del capo, senza commenti di sorta, Jace, dopo aver tirato fuori dal suo zainetto alcuni muffin sopravvissuti alla colazione, ci fece notare che Petrov si era appostato dietro una delle finestre che dava sulla strada e stava osservando.

– Secondo voi ha abboccato? – ci domandò, mentre Graham si preparava ad uscire in retromarcia dal parcheggio.

– Considerando che gli abbiamo confuso le idee a sufficienza e che pensa che brancoliamo totalmente nel buio, oltreché essere in totale disaccordo, direi di sì. – rispose.

– In realtà in parte è così... dobbiamo ancora verificare la presenza di eventuali sperimentazioni illegali... e poi, ora c'è di mezzo un bambino... di cui lei non mi aveva messo al corrente. – aggiunsi, guardandolo di sottecchi, mentre la strada intorno a noi si dipanava a ritmo della velocità dell'auto di Graham. – E comunque, non sono sicura che aver dato tante indicazioni sul suo conto sia stata una buona idea... gliel'avevo già detto, ma lei continua a fare come vuole, capo... –

Graham fece spallucce. – Alla peggio verrò licenziato. Sarà la volta buona che mi darò alla carriera di giustiziere. –

Sgranai gli occhi, nello stesso momento in cui Jace tirò fuori un fischettio divertito. – Ti ci vedo a fare il vigilante! Ne volete? – domandò, passandoci i muffin, ma declinammo.

– Io no, invece! Lei non farà niente del genere! – esclamai.

Graham mi guardò con la coda dell'occhio, mentre Jace, vedendosi stoppato nel suo momento di tifo sfegatato, si limitò a darmi della guastafeste. La verità era che più lo conoscevo, più temevo che questa sua inclinazione per il pericolo potessere finire col ritorcerglisi contro. E poi, sebbene sapessi che a volte cercava di punzecchiarci, l'idea di lui che abbandonava il suo Dipartimento mi rendeva inquieta. Avremmo catturato il Mago insieme e insieme lo avremmo assicurato alla giustizia, affinché pagasse per tutto il male che aveva fatto.

– Ad ogni modo... credi che ci sia stato un momento in cui è stato sincero? – mi domandò, mettendo fine a quel discorso.

Annuii. – Quando ha parlato di Nicholas. Probabilmente, era davvero innamorato di Karina e quel bambino, alla fine, è ciò che gli è rimasto di lei. –

Graham ora guardava dritto davanti a sé, imperscrutabile nei suoi pensieri. – Eppure, si è tradito nel nominare quella lei che gli ha mentito sulla sorte di quella ragazza. –

– La Cruise? – chiese Jace, mentre finiva di divorare il suo secondo muffin.

– Immagino di sì. Dopotutto, se lei sta crescendo il figlio di Karina, aveva tutto l'interesse a conoscerne la fine. –

– E perché mentirci, allora? Perchè dire che non aveva idea che Karina fosse morta? – domandò Jace, più confuso che mai.

– Ho due ipotesi. La prima è che lui non abbia avuto modo di sapere cosa sia accaduto. Ciò che mi ha colpito è il fatto che quella casa fosse tremendamente spartana. Come se non avesse bisogno di avere nulla con sé. Non c'era ombra né di di televisori, né di PC, né di telefoni. La seconda è che lui sappia cosa sia successo, ma ci abbia deliberatamente mentito. – dissi.

– Katie, sono opposte... è come dire che o sa o non sa. – protestò Jace.

– Onestamente propendo per una via di mezzo. – aggiunsi.

– Anch'io. – convenne Graham. – Il che ci porta a dire che sia stato precedentemente istruito su come comportarsi. Ha cercato di stare al gioco, ma si è tradito a causa dell'emotività. Ed era sotto stress dato che l'abbiamo minacciato di rispedirlo in Bulgaria. –

– Questo significa che sapeva che avremmo indagato... –

– No, Hastings. Significa che alla Cruise hanno preso delle contromisure e rischiamo di fare un clamoroso buco nell'acqua stavolta. –

– Certo, perché lei si è esposto! Avrebbe dovuto darmi ascolto! Invece fa sempre come le pare! Se soltanto mi desse retta una volta buona e si fidasse un po' di più del mio giudizio allora---

Non potei finire che le note della Marcia Imperiale di Star Wars risuonarono nell'abitacolo.

– Scusate, è il mio! – esclamò Jace.

Sospirai, mentre il capo imboccava la strada del nostro albergo.

– È Alexis! –

– Mettila in viva voce. –

– Provvedo! – e così fece, aprendo la chiamata. – Lexie! Dimmi che hai buone notizie! –

« Lexie? Pensavo che solo io potessi chiamarla così. » borbottò perplessa una voce maschile ormai familiare.

Jace guardò confuso lo schermo dello smartphone. – Ma... è Vaughn? –

« Fuori dai piedi! » la voce di Alexis. Stavolta sospirammo tutti e tre. « Posso parlare? »

– Ti ascoltiamo, Alexis. – disse Graham.

« Capo. Sono rientrata da poco. Come immaginavi, Harriet Cruise è decisamente quella che muove le fila. Persino Reyes deve sottostare e, per quanto ho potuto intendere, non è altro che un gradasso che si fa bello con i soldi della moglie. Ho potuto vedere i livelli d'operazione dei ricercatori e apparentemente, non c'è nulla di strano in quello che fanno. Ricerca sperimentale, ma solo su cavie di laboratorio. »

– Dunque almeno per questo possiamo escludere l'idea degli esperimenti illegali. – disse Jace.

« Però, c'è un dettaglio che mi ha colpito. La figlia della Cruise, Sarah, ha mansioni di supervisione nella stessa sezione di Varban Petrov. E quando ho chiesto di più, la Cruise mi ha liquidato dicendo che si tratta di affari di famiglia. »

– In che sezione presiedono, quei due? – domandai.

« È un livello interrato, credevo si trattasse di scarti, ma, data la risposta, immagino ci tengano registri o libri mastri. »

« Oppure celano altri tipi di cavia. » aggiunse Vaughn. « A proposito, com'è andata con Petrov? »

– È furbo. Segue un copione, ma credo che a modo suo, abbia cercato di dirci qualcosa. Magari non volontariamente. Va messo sotto pressione. Credi di poterlo braccare? –

Un borbottio dall'altra parte del telefono. « Maledetto Graham, ho accettato di aiutarti, ma non voglio giocarmi la carriera per causa tua. »

– Ma lo farai lo stesso, perché stai dietro alla Cruise già da un po' e sarebbe l'occasione ideale per accelerare le cose, no? –

« In che senso, Konstantin? Devi dirmi altro che non so? » la voce di Alexis.

« N-No... certo che no... io... Graham, sei un figlio di puttana. »

Jace e io annuimmo. – Con tutto il rispetto per sua madre, capo. – disse Jace, beccandosi un'occhiataccia truce dallo specchietto retrovisore e un brusco arresto nel parcheggio dell'albergo.

– Dai, anche il colpo di frusta no!! – pianse, chiudendo inavvertitamente la chiamata.

– Ops... –

Graham si voltò finalmente a guardarci. – Sarà il caso di fare una visita di cortesia alla Cruise. –

– Senza mandato? – chiesi, scettica, mentre dietro di noi, Jace massaggiava il collo dolorante.

– Ti sembra che abbia bisogno di mandati per fare qualcosa? –

Ruotai gli occhi. Intanto, Jace era alle prese con due lacrimoni. – Ci risiamo. Litigate tra voi, io non ne voglio sapere! – esclamò, uscendo rapidamente dall'auto.

Del canto mio, non distolsi lo sguardo da quello di Graham, che ignorò persino il rumore dello sportello sbattuto.

– Sul serio, c'è una volta in cui può fare le cose per bene, detective Graham? Finirà col farsi arrestare a sua volta così! Davvero vuole giocarsi la carriera per questa condotta irresponsabile? –

– Hai un'idea migliore? –

No, non ce l'avevo. – Forse. – mentii. Lui se ne accorse e affilò lo sguardo, sporgendosi verso di me. A vederlo così vicino, mi tirai istintivamente indietro.

– Ecco. Quando sei sicura di ciò che dici non arretri. Ora sei sulla difensiva. –

Arrossii. – È colpa sua! Non può farmi venire un accidenti ogni volta! E comunque, non voglio che faccia più niente di sconsiderato! Perché le è così difficile seguire le regole una volta tanto? –

Stavolta fu il suo turno di tirarsi indietro. La sua espressione accigliata si cristallizzò come se stesse rivangando qualcosa. Considerando i suoi trascorsi, dovevo aver toccato un nervo scoperto.

– So che lei sa quel che fa, ma questo non significa che andrà sempre bene. Io non voglio rischiare di perdere anche lei... se le accadesse qualcosa, detective Graham... se durante un'operazione finisse per pregiudicarsi o peggio ancora, per... per... – mi morsi con forza le labbra, incapace di dire quelle parole e distolsi lo sguardo, non riuscendo più a sostenere il suo. Morire... se tu finissi per morire...

– Hastings, guardami. –

Scossi la testa. – La prego, solo per questa volta... –

Mormorò qualcosa, ma non compresi, poi mi costrinse a sollevare il viso verso di lui, proprio come aveva fatto in passato al Four Seasons Hotel. – Ti è così difficile guardarmi in faccia mentre parliamo? –

Deglutii, sentendo la bocca secca.

– Non posso farlo. Non stavolta. Tu avevi ragione, sono stato affrettato. E non è per un discorso di carriera o perché non tenga alla mia vita, anzi: ho tutto l'interesse a rimanere vivo a lungo e a continuare a fare questo lavoro perché ho intenzione di catturare l'assassino di mia figlia ed avere il piacere di vederlo marcire in una prigione di massima sicurezza. –

Quel tono mi colse di sorpresa, più di quanto volessi. E sebbene le sue parole mi rinfrancassero, almeno temporaneamente, non potevo non pensare che quella volta non avrebbe soprasseduto.

– Alexis è sotto copertura. Tu sei stata presente, ma data la sua area di competenza, Petrov non sa che anche tu eri con lei ieri. Ora come ora, se dovessi attendere un mandato, quantomeno per un colloquio con la Cruise, non otterrei nulla. La conversazione di prima me ne ha dato conferma: quella famiglia ha a che fare con l'omicidio di Karina Razinova e sembra ben intenzionata a difendere quella verità anche a costo di avere improbabili alleati in questo. Motivo per cui dobbiamo aggirare il problema. –

– In che modo? Lei diceva di far visita alla Cruise... –

– Alla Cruise Pharma. –

Aggrottai le sopracciglia. – Vuole introdursi? –

Scosse appena la testa. – Solo a dare un'occhiata. Se davvero non hanno scheletri nell'armadio, me la caverò con una denuncia. –

– No. –

– Kate. –

Mi resi conto che tentare di farlo ragionare sarebbe stato impossibile. E così, tentai almeno di arginare i danni. – Verrò con lei. –

– Puoi scordartelo. – rispose, senza batter ciglio.

– Molto bene, allora le metterò i bastoni tra le ruote. La farò esautorare. –

Stavolta lo sorpresi. – Eh? –

– Scriverò immediatamente un report formale al dottor Howell in cui dirò che la sua condotta durante l'operazione non è consona al suo ruolo. Come psicologa, mi darà retta. –

– Credi ancora che mi spaventi una cosa del genere? –

– No, ma mi spaventa sapere che lei sarà fuori a rischiare mentre io non potrò proteggerla. –

Non rispose subito, ma dalla sua postura tesa, notai come stesse cercando di studiarmi. Se voleva pane per i suoi denti, l'aveva trovato.

– È la prima volta che sento che qualcuno vuole proteggermi. – rispose, inaspettatamente.

Istintivamente, nel sentire quelle parole, fui sopraffatta da un'ondata di dolore. La verità era che non volevo che gli accadesse nulla di male e perciò, sentii il bisogno di farglielo capire. Senza indugio, ma col cuore che aveva preso a batter forte nel mio petto, sollevai una mano, posandola sulla sua guancia, trovandola lievemente ruvida e calda. I suoi occhi si spalancarono, ma quella fu la sua unica reazione.

– La prego... ne ho bisogno... – sussurrai soltanto.

Non mi persi in ulteriori giustificazioni né furono necessarie. Per un istante appena, chiuse gli occhi abbandonandosi al tocco della mia mano, poi li riaprì e annuì, posando la mano sulla mia. Il mio cuore saltò un battito. Forse se ne rese conto, perché sciolse la presa dal suo viso e rimise a posto le nostre mani. Quell'attimo di abbandono era stato sufficiente.

– Promettimi solo che farai attenzione. –

Sorrisi. – Disse quello che ne ignorava il significato. –

Sorrise anche lui e inarcò il sopracciglio. – E che ne è giustificato. –

Quel suo avere la battuta pronta era davvero tremendo. Eppure, quel dolore in fondo al cuore era sempre lì. – Dovremmo andare. –

– Sì. – rispose, riportando la conversazione su un tono più neutro che servì, probabilmente, a entrambi. Quello che non avevamo notato, ma di cui ci accorgemmo che dopo esser sceso dall'auto, qualche passo più in là, Jace si era accasciato a terra.

– Oh cielo, Jace!! – esclami, affrettandomi a correre da lui. Era stramazzato.

– Sul serio? Davvero è stato il colpo di frusta? – borbottò Graham.

– No, è colpa del tuo modo barbaro di frenare! – sbottai. Graham fu sorpreso, poi sospirò e si avvicinò all'orecchio di Jace.

– So come finisce Game of Thrones. –

Lo guardai incredula. – Sta scherzando?! –

– Di nuovo del lei. –

Arrossii. – Aaaaargh, al diavolo! –

– A sedere sul trono è... –

Nemmeno il tempo di concludere e Jace riaprì gli occhi.

– Zitto capo! Non girare il coltello nella piaga! Ahi... oh... gira tutto... che bello... – disse, con voce impastata, guardando in alto. – Oh... ma è Drogon quello lassù? Draca--

– Oh mio Dio, ma è impazzito? – domanda sconvolta, guardando in alto. L'unica cosa che vedevo era una rondine in cielo. – Dovremmo portarlo in ospedale... –

– Niente ospedale... non ci tengo a vedere mio padre. – protestò Jace, cercando di tirarsi su, subito aiutato da Graham.

– Tuo padre sarebbe ben felice di rimetterti in sesto. – commentò il capo, sollevandosi insieme a lui. – Ce la fai a camminare? –

Jace si dette alla respirazione. – Se mi aiuti sì. –

– Aspettate, vi aiuto anch'io! – esclamai.

– No, tu vai da Alexis e recupera sia lei che Vaughn. Ci penso io a lui. Ci vediamo nella mia stanza. – disse il capo.

– Nostra... ci sono anch'io! Ciao Katie... ci vediamo dopo... ooooh... mi viene da vomitare. – borbottò, portando la mano alla bocca.

– Non osare nemmeno! – protestò Graham, affrettandosi a trascinarlo nell'albergo.

– E quando mai... – sospirai, per poi entrare a mia volta, per raggiungere la stanza che dividevo con Alexis. Tuttavia, ad aggiungere la beffa al danno, quando mi apprestai ad aprire, sentii un singolare vociare dall'interno dai toni inequivocabili. Cercando di non far rumore, sebbene i presenti all'interno fossero piuttosto impegnati tanto da non accorgersi nemmeno che qualcuno fosse fuori, tornai indietro. Se non altro, immaginai, Alexis e Vaughn avevano superato, almeno per quel momento, le loro divergenze. Non avendo altro posto dove andare, decisi di raggiungere il capo e Jace. Quando bussai, mi ritrovai ad attendere qualche minuto prima che Graham aprisse la porta.

– Sola? Alexis e Vaughn? –

Alzai le sopracciglia. – Ehm... credo ci raggiungeranno non appena avranno terminato il loro... rendez-vous? –

Graham mi guardò perplesso, poi collegò. – Un modo elegante per dire che sono alle prese con una sveltina? Che ragazza a modo. –

Arrossii. – Jace? – domandai, sviando.

– In bagno a vomitare l'anima. Non era solo il colpo di frusta, ha scoperto di essere allergico ai mirtilli. –

– Ai mirtilli? Oh... – realizzai in quel momento che i deliziosi muffin che ci avevano servito a colazione, ma che Jace aveva mangiato solo poco prima, avevano una farcitura ai mirtilli blu. E l'avevano letteralmente steso. Un conato in lontananza ci fece scambiare un'occhiata disgustata.

– Forse è meglio spostarci di qui... – propose.

– E se avesse bisogno d'aiuto? –

– Chiamerà il 911. –

Quel commento mi fece ridere. Inaspettatamente, lo fece anche lui.

– Jace, riposati. Vado a prenderti qualcosa, ma tu non allontanarti! – esclamò, a voce più alta.

La voce di Jace, al contrario, ci raggiunse flebile dal bagno. – Come se potessi!! –

Graham fece spallucce, poi chiuse la porta dietro di sé. – Hai un'aspirina? –

– Sì, ma non è una sbronza... –

– E cosa potrebbe andar bene? –

Ci pensai su. – Secondo me dovremmo lasciare che faccia il suo corso. –

– Sei sicura? –

Assentii. – Al momento non possiamo fare altro. Se dovesse assumere qualcosa di sbagliato, rischieremmo di peggiorare la situazione... –

Qualcosa nelle mie parole dovette averlo impensierito. – Detective Graham? –

– Stavo pensando... Karina Razinova faceva uso di droghe, giusto? –

Annuii. – Sul report si faceva riferimento a una overdose. Perché questa domanda? –

– Trovare spacciatori in giro è abbastanza semplice oggigiorno, ma data l'assenza di precedenti penali e di denaro, quella ragazza non avrebbe potuto permettersi una dose letale... –

– Sta dimenticando che non era la prima volta che usava il suo corpo come merce di scambio... –

– No, non lo dimentico. Ma Petrov diceva che questo accadeva sotto il giogo di Zlatko e per di più, nella loro terra. Che se ne dica, ma qui non c'è traccia di un precedente simile. Ciò che sappiamo deriva dalle dichiarazioni dei Reyes e dall'autopsia. Quella ragazza è semplicemente scomparsa, per poi ricomparire un anno più tardi, morta. Per di più, Petrov affermava che Karina era combattuta circa la separazione dal figlio. –

– Pensa che in realtà lei non sia mai fuggita? Ma che sia stata soltanto tenuta da qualche altra parte? –

– Sarebbe logico da pensare, data la situazione. Se dipendeva dalle droghe, cosa meglio di un'azienda farmaceutica per ottenere del metadone? Ma perché dichiararne la scomparsa? Cos'aveva fatto? –

– Petrov ha detto che i Reyes l'adoravano, a discapito della figlia Sarah... e ho potuto verificare direttamente come quest'ultima conosca il bulgaro. Se Karina fosse diventata scomoda per Sarah... e lei, data la sua posizione, avesse inscenato la sua fuga, come vendetta verso i genitori e al tempo stesso, verso Karina, privandola di suo figlio, ma tenendola nascosta e dopo, una volta che le cose fossero peggiorate, l'avesse uccisa con una dose letale? –

– O magari, questo è accaduto per errore... perché le ha somministrato qualcosa che non avrebbe dovuto. Dopotutto, se Sarah non ha le competenze farmacologiche del padre, potrebbe aver sbagliato. –

– Ma questo significa che Petrov ne era a conoscenza. Se quei due condividono la stessa mansione, allora, Petrov potrebbe essere un suo complice. –

– Eppure c'è qualcosa che non mi quadra... è impossibile che la Cruise o Reyes non si siano mai accorti di un ammanco o della sparizione di un certo tipo di farmaci... –

– Non se i registri sono contraffatti. Stando alle informazioni in nostro possesso, Sarah Reyes è laureata in Economia, dunque sa come manipolare quel tipo di documenti. –

– Allora sappiamo cosa cercare. –

Fui d'accordo. Graham guardò verso la porta della sua stanza, poi si sporse verso il corridoio.

– La prossima volta che mi viene in mente di coinvolgere altra gente, ricordami di oggi. –

Sorrisi. – Il detective Wheeler aveva detto lo stesso a lei, una volta... –

Lui annuì. – Sono recidivo, che vuoi farci. – commentò, guardando più in là nel corridoio.

– È ora di richiamare i due piccioncini. –

– Cosa? Non può farlo... insomma, è... imbarazzante! Anche per uno come lei! –

– Prego? –

– Se lei fosse nella loro situazione, gradirebbe essere... interrotto? – domandai, facendo uno sforzo assurdo per dissimulare l'imbarazzo che stavo provando dall'immaginare, contestualmente, la scena.

Graham fece per dire qualcosa, ma ci ripensò e si limitò ad agitare la mano a mezz'aria.

– Ecco, appunto... –

– Lasciamo perdere. Ma non intendo aspettare i loro comodi. – disse, tuttavia, optando per un messaggio scritto.

– Già meglio... –

– Sì. –

Rimanemmo così a guardarci, fino a che Jace non riaprì la porta. Aveva la faccia sbattuta.

– J-Jace? –

– Il vostro modo di aiutarmi consisteva nel rimanere qua fuori a chiacchierare? Begli amici che siete... –

– Ehm... –

Graham gli rivolse un'occhiata torva. – Cominciamo noi, quei due ci raggiungeranno. –

E così, nonostante i mugugni di Jace, ci mettemmo all'opera per cercare di collegare i pezzi e per stabilire quale fosse il modo migliore per scoprire cosa celassero i Reyes.

Alexis e Vaughn ci raggiunsero circa mezz'ora più tardi e il capo non mancò di lanciare qualche frecciatina sarcastica delle sue, più diretta a Vaughn che ad Alexis, a dire il vero. Alla luce delle parole di quest'ultima e grazie agli sforzi del nostro sofferente hacker preferito, elaborammo la mappa della Cruise Pharma, che ci servì come base per portare avanti l'operazione. Jace, inoltre, riuscì a farci avere l'elenco del personale, in cui figuravano anche i nomi delle donne riabilitate dalla Cruise, ma tra di essi, non vi era il nome di Karina. A quanto pareva, erano state impiegate perlopiù come donne delle pulizie, ma niente di più. Vaughn, intanto, ci rivelò che in virtù degli ammanchi della Hope and Charity House e della morte di Karina, che si reggeva sull'ospitalità a stranieri in situazione di bisogno, il suo Ufficio aveva richiesto delle indagini, motivo per cui si era impegnato in prima persona in questo caso. La sua risoluzione, data la risonanza mediatica, avrebbe significato non soltanto il successo di Vaughn, ma anche, e questa fu la vera sorpresa, la sua eventuale nomina a direttore, cosa che gli avrebbe permesso di rinunciare alla diplomazia internazionale e di rimanere ancora a Boston, vicino ad Alexis.

Quando arrivarono le 23:15, dopo aver lasciato Jace, nel frattempo rimessosi grazie a qualche ora di sonno e a una provvidenziale compressa di cortisone somministrata dalla nostra collega per evitare complicazioni, con tanto di rimbrotto alla nostra superficialità, in auto insieme ad Alexis e a Vaughn, appostati, Graham e io ci preparammo a infiltrarci.

Jace si era premurato di disattivare il sistema d'allarme con una copertura di quarantacinque minuti al massimo, momento dopo il quale sarebbero cominciate le ronde di sorveglianza notturna, cosa che ci aveva permesso di entrare indisturbati nella struttura. Grazie al suo intervento, poi, avevamo tracciato il percorso adatto a raggiungere il livello interrato evitando le videocamere interne, che non era ancora riuscito a disattivare. Ci saremmo resi conto della riuscita se gli schermi si fossero spenti, ma per il momento, continuavano a mandare in loop il savescreen con il logo dell'azienda. Facendo attenzione, percorremmo i corridoi indicati dalla mappa che Jace aveva inviato sull'iPhone di Graham, scendendo fino a raggiungere il piano indicato. Se fino a quel momento, tutto era andato bene, davanti al portone chiuso, incontrammo il primo problema.

– Come facciamo? C'è la chiusura automatica? – domandai.

Il capo osservò il portone in acciaio. – Jace, puoi fare qualcosa? C'è una sicura da sbloccare. Servirà una password. –

« Vedo subito. »

– E se servissero dei dati biometrici? –

– In quel caso dovrei chiedere la mano della Cruise, probabilmente. – rispose di rimando.

Sgranai gli occhi. L'immagine della mano di Trevor mi fece trasalire al ricordo e mi ritrovai a guardarlo sconvolta. Graham se ne rese conto e la sua espressione si fece colpevole.

– Scusa... non volevo. –

Scossi la testa. – Tutto ok... –

Lui annuì, poi sviò il discorso. – Jace, allora? Non abbiamo tutta la notte. –

« Capo, aspetta un attimo, voglio provare una cosa. »

– Sbrigati. –

« Credo di esser riuscito a bypassare il sistema. Così facendo, entrerete utilizzando quel codice e non quello utilizzato di solito. Trovare quella giusta richiederebbe troppo tempo. »

– Grazie Jace. –

– Sei sempre il migliore! – esclamai.

« Però, sei bravo... dovresti farti prendere dalla CIA, ragazzo. » la voce in sottofondo di Vaughn.

« Oh, mi prenderanno per davvero se continuo a bazzicare con il capitano Graham. » rise Jace.

– Piantatela entrambi. – bofonchiò Graham, quando la porta automatica si aprì davanti a noi.

Un altro corridoio ci attendeva, stavolta in discesa. Io mi irrigidii nel vedere tutto quel buio di fronte a noi.

– Tutto bene? –

– S-Sì... – risposi, ma si rese conto della mia incertezza.

– Ci sono io. Non avere paura. – mi rassicurò, poi riaprì la mappa fornita da Jace. – Il percorso arriva soltanto fino a questo punto. Riesci a mandarci altro? –

« Fammi provare, intanto voi procedete con cautela. Non posso fare altrimenti, anche perché il tempo scorre. »

– Ok. Andiamo. – ordinò e io annuii, seguendolo. Utilizzando la torcia del mio smartphone, ci inoltrammo nel corridoio scarno, sebbene piastrellato allo stesso modo del resto dello stabile. Camminammo per interminabili minuti alla ricerca dell'archivio e mi sorprese il caldo soffuso presente. Pensai che dipendesse dalla tensione, ma quando notai che anche Graham sembrava accaldato, mi resi conto che non doveva trattarsi solo di quello.

– La presenza di umidità non dovrebbe essere negativa? – chiesi, e la mia voce rimbombò nel corridoio vuoto.

– Dipende. Sembra che ci sia un microclima particolare, qua sotto. – mi rispose. Il motivo apparve lampante quando arrivammo verso il termine del corridoio, sui cui lati si aprivano tre porte. Su una di esse vi era la scritta “ARCHIVIO”, mentre la seconda e la terza non recavano nessuna iscrizione.

– Bene. Eccoci arrivati. Jace? –

Stavolta, nessuna risposta. Il segnale era pari a zero là sotto. Dovevamo essere scesi un bel po', se persino la rete dell'iPhone non era agganciata. Controllai anche il mio smartphone, ottenendo in risposta un muto silenzio.

– Quantomeno stavolta la porta dell'archivio è normale. – commentò Graham, mettendosi all'opera per aprirla.

La sua abilità di scassinatore aveva dell'incredibile. Mentre facevo luce, mi chiesi cosa celassero le due porte circostanti, ma, secondo il capo, si dovevano trattare di altre stanze in cui stipare i documenti e che, eventualmente, avremmo controllato dopo. Dopo aver aperto, Graham dette una veloce occhiata al timer in funzione ed entrò. Lo seguii poco dopo, cercando di scacciare la sensazione di inquietudine. Cercammo subito i registri e i libri mastri, ma apparentemente, non c'era nulla di strano. Graham l'aveva preventivato, motivo per cui si limitò a esaminare e a fotografare i registri dell'ultimo anno, che doveva essere il periodo di cui sospettavamo. Ciò che ci colpì fu anche la presenza di cartelle cliniche, che riguardavano senza dubbio Karina, Mirena e altre donne, non soltanto la terza di cui avevamo traccia, e tutte avevano in comune l'esser state ospiti presso la Hope and Charity House. Presi in particolare il fascicolo di Karina, su cui era indicato tutto, a cominciare dalla sua situazione all'arrivo e alla nascita del suo bambino. Guardai il capo, poi presi anche il fascicolo che riguardava il piccolo. Stando ad esso, aveva compiuto sei anni a febbraio. Graham mi guardò, poi, leggendo anche gli altri documenti, si rese conto, con orrore, che Nicholas era stato l'unico nato sano, mentre tutte le altre donatrici, come venivano chiamate le donne presenti nella Hope and Charity House, avevano avuto parti non andati a buon fine oppure i bambini erano sopravvissuti soltanto per poco tempo. In più, tutti quei documenti recavano la firma di Alphonse Reyes. Ci rendemmo conto che la prima idea del detective Graham era fondata e anche peggiore di quanto avesse teorizzato: in quella struttura si compivano esperimenti di ricerca illeciti su donne e sui feti. Non avendo nulla da perdere, probabilmente sotto ricatto da parte della Cruise e del dottor Reyes, erano costrette ad affrontare gravidanze forzate e a subire esperimenti, magari senza esserne informate. E tutto accadeva senza che nessuno, ai piani alti, se ne rendesse conto. Anche Karina aveva subito una sorte simile, ma soltanto Nicholas era sopravvissuto, mostrando una sorta di immunità naturale. Da che dipendesse, non potevamo saperlo. Ciò che era certo era che, nella cartella clinica della madre, si leggeva che dopo la nascita del figlio, non aveva avuto altre gravidanze e, a causa degli effetti della droga, era stata tenuta lontana dal suo stesso bambino negli ultimi tre anni, periodo in cui le sue condizioni avevano finito col peggiorare, sino all'anno precedente, data della la sua presunta fuga.

– Dunque è fuggita davvero... – commentai.

– Potrebbe essere... magari è stata aiutata a scappare e a disintossicarsi. Una volta riuscitaci, ha cercato di riprendersi il bambino, ma non è stato possibile. –

Guardai ancora i fascicoli, poi li misi nella mia borsa.

– Che stai facendo? Non possiamo portarli via. –

– Al diavolo le regole. Questa è una prova più che sufficiente per mettere i Reyes alle strette, no? –

Le mie parole lo sorpresero, poi sorrise nervosamente. – Benvenuta nel mio mondo, ti direi. Ma non è così che otterremo qualcosa adesso. Alla luce di queste novità, non possiamo rischiare di bruciare tutto con la fretta. A questo punto, abbiamo bisogno sia di Vaughn che dei federali. –

– Però... –

– Però devi fidarti di me. Li fermeremo. – disse, tendendomi la mano. Razionalmente sapevo che era nel giusto, ma il pensiero di avere la possibilità di incastrare quelle persone e dare giustizia non soltanto a Karina, ma anche alle altre donne coinvolte e ai bambini mai nati o morti troppo presto era un'alternativa molto allettante. Tuttavia, ero stata io stessa a chiedere al detective Graham di essere più prudente e in quel momento, ero un pessimo esempio di coerenza. Sospirai, poi gli riconsegnai a malincuore i fascicoli che avevo messo in borsa. Dopo aver fotografato accuratamente ogni pagina, ripose tutto a posto. Non potevamo rischiare che si accorgessero della nostra presenza lì.

– Andiamo. Ci restano venti minuti prima che subentri il controllo notturno. –

Annuii, poi lasciammo l'archivio. – Detective Graham? – la mia voce fece eco.

– Che c'è? – mi chiese, mentre richiudeva la porta dietro di noi.

– Riesce ad aprire quelle porte? –

–Sì, ma non abbiamo molto tempo a disposizione. –

– Ok, ma... vorrei verificare. Dove sono stati condotti secondo lei quegli esperimenti? –

Il suo sguardo si fece più attento, poi realizzò il senso delle mie parole e si dette da fare per aprire le due porte laterali. La sensazione di inquietudine che stavo provando si fece più intensa ed ebbi conferma ai miei timori quando, superata la prima porta, ci ritrovammo in un'asettica sala operatoria. Erano presenti sia un tavolo che una sedia da parto, insieme a tutti gli strumenti del caso, ma tutto era visibilmente lasciato in stato di abbandono.

– Mio Dio... – mormorai, pensando a quanto quel luogo che rappresentava per una donna il momento più difficile e al tempo stesso bello della vita, aveva costituito un luogo di infinito dolore per Karina e per le altre. Il detective Graham osservava tutto con un'espressione piena di rabbia e disgusto.

– Bastardi... facevano tutto questo... senza nemmeno una licenza medica decente?! –

Scossi la testa, potendo quasi sentire le urla di quelle donne. E quasi, mi sembrava di vedere Reyes nel suo delirio di onnipotenza, compiere le sue sperimentazioni. Un dolore alla bocca dello stomaco mi fece sentir male, ma fu niente rispetto al momento in cui ci recammo nella seconda stanza. Stavolta, persino il detective Graham dovette fare un passo indietro e ansimare, in preda all'orrore. Un deposito, sì, ma di feti tenuti sotto formaldeide. Tanti feti. L'odore di morte misto alle miscele chimiche era forte e mi ricordò l'odore presente nel soggiorno della casa di Trevor, la notte in cui l'avevamo trovato. Fu così violento che mi venne da vomitare, ma Graham fu tempestivo a trascinarmi fuori di lì, nel corridoio oscuro che in quel momento, si rivelò una migliore alternativa. Prendemmo fiato entrambi.

– È ancora dell'idea di non agire ora? – domandai, rantolando.

Graham strinse i pugni con forza. Il suo volto era contratto in una smorfia di assoluta rabbia. Era la prima volta che lo vedevo così fuori di sé e non era difficile intuirne il motivo. Stava vagliando il modo più efficace di intervenire, alla luce di quella macabra scoperta.

– Detective Graham... – mormorai, preoccupata, nel vedere che non mi rispondeva.

– Andiamo via. – disse all'improvviso.

– Eh? –

– Ho bisogno di fare un paio di telefonate e dopodichè, ti giuro che non mi fermerò fino a che non li avrò distrutti. –

Mi morsi le labbra al pensiero di cosa potesse fare, ma annuii ugualmente. Così, ci incamminammo per tornare al piano terra, arrivando sani e salvi alla porta che separava quell'ala maledetta dal resto del luogo. Presi un lungo respiro, mentre lui richiudeva il passaggio dietro di noi. Avevamo soltanto dieci minuti per uscire ormai.

– Dobbiamo sbrigarci. – dissi, notando che i nostri telefoni ancora non avevano recuperato il segnale. Graham dette un ultimo sguardo iracondo alla porta nuovamente chiusa, poi ci affrettammo a riprendere la strada, ma una volta giunti nella hall, fummo momentaneamente accecati dalle intense luci. Istintivamente, ci riparammo gli occhi con le braccia. Ci avevano beccato. Quando potei rimettere a fuoco, a sbarrarci la strada c'erano i coniugi Reyes e Varban Petrov, quest'ultimo con una pistola puntata contro di noi.

– No... – mormorai, mentre il detective Graham mi spinse dietro di sé.

Avevo solo visto una volta Alphonse Reyes, ma di lui mi aveva colpito l'aria boriosa. Stavolta sorrideva come se avesse colto dei topi in trappola, sotto dei baffetti corvini. La moglie, Harriet Cruise, ci fissava senza proferire espressione di sorta. Quanto a Petrov, avevamo avuto conferma ai nostri sospetti: era complice fin dall'inizio.

– Ma guarda... dunque ci rivediamo, Alexander Graham. La sua passione per le operazioni in incognito l'ha tradita. – disse Reyes, riferendosi a quanto accaduto al Four Seasons Hotel.

– Per lei sono il capitano Graham, Reyes. E sembra che non sia l'unico ad avere questa passione. – rispose il capo, con un evidente sforzo stavolta, di mantenere la sua proverbiale poker face.

Reyes si mise a ridere. – Sapevo che era un tipo divertente. Ma non la facevo così incauto. Sa cosa significa questo, vero? Vi siete introdotti furtivamente nella nostra proprietà... sarebbe stato sufficiente un mandato della Polizia locale, dal momento che siamo piuttosto lontani dalla vostra giurisdizione, se proprio volevate parlarci. Che peccato dover rovinare così le vostre carriere... –

Sobbalzai nel sentirlo parlare così. – Non è la nostra carriera ad essere a rischio, ma al contrario, mi preoccuperei delle vostre, dopo che ciò che nascondete qua sotto verrà alla luce insieme alle prove dell'omicidio di Karina Razinova! – dissi, affiancando il detective Graham, che continuò a parare il braccio davanti a me, protettivo.

Reyes arricciò il labbro, ma fu la Cruise a rispondermi. – Ancora questa storia... non avete prove di ciò che dite. Karina era una povera sventurata che ha scelto la morte deliberatamente. Noi abbiamo fatto tutto ciò che era in nostro potere per salvarla, ma lei ha preferito altro. E alla fine, ne ha pagato le conseguenze. Ma ora sta a voi scegliere. –

Sia il detective Graham che io eravamo in allerta.

– Consegnatevi spontaneamente. Non credo che vi sia giovamento sia per noi che per voi se questa storia dovesse finire male. Siamo disposti a pagare il vostro silenzio. Dopotutto, detective Graham, lei è abituato a certi metodi, non è così? –

Graham mostrò i denti e la sua voce uscì come se stesse a stento trattenendo la rabbia. – No. Non so che razza di idea si sia fatta su di me, ma sta sbagliando strada. Non accetto ricatti. –

La Cruise si mostrò sorpresa. – Io credo che le convenga. O preferirebbe mettere nei guai la sua collega? –

– Sta scherzando, spero! E lei, signor Petrov... lei che ci ha mentito fino a questo momento... è tutto questo l'amore che provava per Karina e per Nicholas?! –

Petrov non battè ciglio, ma i Reyes lo guardarono.

– Che schifo... davvero... non era lei quello che voleva giustizia? O magari... è stato lei stesso a porre fine alla sua vita... –

Ne! Non dire assurdità! – esclamò, a quell'accusa, rompendo la compostezza.

Qualcosa in quel momento dovette aver sorpreso i coniugi, che si guardarono tra loro. C'era del non detto tra loro e questo era un elemento a nostro favore.

– Quando te le dico, corri a nasconderti da qualche parte. – bisbigliò appena il detective Graham, in quello stesso istante.

– Cosa? – domandai, presa contropiede, incontrandone lo sguardo.

– Questi non ci lasceranno andare. –

– Ma... –

– Fidati di me. – mi disse, soltanto, poi fece qualche passo avanti, richiamando l'attenzione. Ero terrorizzata, soprattutto dal momento che ci trovavamo ancora sotto tiro.

– Ho io un accordo da proporvi. – disse.

La Cruise si mise a ridere. – Lei? Davvero? E di che si tratterebbe? –

– Preferirei parlarne in un posto più riservato. Voi due e io. Lasciamo fuori da questa storia la mia collega e il vostro tirapiedi, che ne dite? –

Reyes picchettò la tempia. – Ah-Ah, detective, davvero ci fa così stupidi? Sappiamo bene che tipo di persona è lei. Richard Kenner, che ha ben pensato di spedire in cella, mi aveva messo in guardia sulla sua capacità di bluffare. E, a dirla tutta, mi sembra che il suo tentativo di prenderci in giro sia piuttosto... insignificante... –

Guardai Graham, che mi dava le spalle e sentii il cuore in gola al pensiero di cosa sarebbe accaduto se non avesse catturato la loro attenzione. Per di più, il fatto di essere entrati in contatto con Kenner rendeva l'impresa ancora più difficile da realizzare.

– Oh, il caro Richard... lasciate che vi dica una cosa: è un idiota. Ha sempre cercato di essere come me, ma in realtà, non vale un soldo bucato. – disse, poi alzò le mani, come se si arrendesse.

– Petrov, può per favore prendere il mio telefono? È nella tasca destra della mia giacca. – continuò.

Petrov si rivolse ai Reyes, visibilmente sospettoso, ma il capofamiglia non abboccò. – Faccio io. – disse, avvicinandosi al capo, che attese. Pensai che se Petrov avesse accettato, l'avrebbe disarmato in qualche modo, ma l'uomo continuava a tenerlo sotto tiro, mentre Reyes raccoglieva il suo iPhone.

– Il codice di sblocco è 180210. Vada nella galleria. Ci sono delle foto interessanti. –

Perplessa, non riuscii a capire cosa avesse in mente. Dare il suo iPhone in mano a quel criminale, su cui, per giunta, vi erano le prove di ciò che stavamo cercando... Reyes fece così, sotto gli occhi pensierosi della moglie e di Petrov. Tirò una specie di sospiro di sollievo quando, nel vedere le foto, le eliminò una dietro l'altra. Il capo attese pazientemente, poi, quando Reyes ebbe finito, parlò.

– Ora, se ne non le dispiace, selezioni il primo numero del registro chiamate. Si tratta del nostro analista, il dottor Norton. –

– Sta scherzando? Perché dovrei chiamarlo? – domandò Reyes, eseguendo, ma fermandosi prima di far partire la telefonata.

– Vuole la prova della mia buona fede, no? Il dottor Norton ci aspetta. Se non ci vedrà arrivare entro due minuti, capirà che ci è successo qualcosa e provvederà ad allertare il procuratore Howell. In quel caso non so quanto andrà bene... per noi e per voi. Sapete come la pensa circa i tentativi di corruzione. –

Reyes storse il labbro, poi fece come Graham gli aveva detto e mise in viva voce. – Spero per lei che non faccia scherzi o la prima a fare una brutta fine sarà la qui presente sua collega. –

Deglutii. Pochi istanti e Jace rispose.

« Capo! Finalmente! Che succede?! Perché non siete fuori?! »

Dannazione, non si erano accorti di nulla. Pensai che se avessi urlato qualcosa, Jace avrebbe capito, ma Graham mi aveva chiesto di fidarmi di lui.

– Abbiamo ancora due minuti di copertura. Avevamo perso la strada, a causa della mancanza di segnale. –

« Allora muovetevi! A breve partirà il controllo di sicurezza e dovrete essere fuori! »

Oh Jace... mi si strinse il cuore al pensiero di lui che ci attendeva invano.

Il capo fece silenzio per qualche istante, momento in cui sia la Cruise che Petrov si allertarono. Reyes li guardò e aggrottò le folte sopracciglia nere, sgranando poi gli occhi. Fu questione di un attimo. Graham voltò appena la testa e potei incrociare appena il suo sguardo.

– Allora vai. Vi raggiungeremo non appena i Reyes saranno neutralizzati. –

Sobbalzai, nello stesso istante in cui Reyes si affrettò a chiudere imprecando e Graham, approfittando della distrazione, lo afferrò per il braccio, intrappolandolo a mo' di scudo umano. Usando la mano libera, invece, tirò fuori la sua pistola d'ordinanza e puntò i due. La Cruise strillò il nome del marito, mentre Petrov si lasciò andare a un impropero in bulgaro.

– Ora, Kate! – urlò Graham con voce secca e imperativa che tradiva, però, tutta la sua tensione. Quel tono mi dette una sorta di scossa e mi misi a correre lungo il corridoio che avevo percorso il giorno prima, più veloce che potevo. In lontananza, sentii urla concitate e, improvvisamente, degli spari. Mi bloccai di colpo, combattendo l'impulso di tornare indietro. Fidati di me... mi aveva detto. Dovevo farlo. Il detective Graham sapeva il fatto suo. Dovevo credergli. Col cuore in gola, mi inoltrai correndo nei corridoi bianchi e impersonali dell'azienda. Scesi le scale che conducevano al piano seminterrato, alla ricerca di un posto in cui nascondermi e contattare Jace. Quando riuscii a trovare riparo, in un magazzino, mi nascosi sotto a un tavolo e presi il mio smartphone, tremando. Mi detti alla respirazione, poi finalmente riuscii a chiamare Jace. O almeno ci provai, dato che, anche là sotto, non c'era campo.

– Dannazione... – sbottai, continuando a tremare, così tanto che il telefono mi cadde di mano.

Avrei dovuto trovare un altro posto, più adatto, e questo significava risalire. Cercai di calmare il mio cuore impazzito e mi sporsi appena per prendere il mio smartphone, poi, mi rialzai, raggiungendo la porta del magazzino. Cercai di riprendere quanto più fiato possibile e di ricordare le parole di Alexis, che aveva avuto modo di vedere di più di noi, durante quei due giorni. Mi accertai di non sentire passi nelle vicinanze e poi imboccai la strada all'inverso, nascondendomi ogni qualvolta sentissi rumori sospetti. Non so quanto tempo trascorse, ma più ne passava, più il pensiero di non aver ancora incrociato il detective Graham mi spaventava sempre più. Se quei colpi di pistola l'avessero raggiunto? Ricacciai il nodo in gola, scacciando quel pensiero, quando finalmente potei raggiungere le scale che conducevano al primo piano. Fu allora che sentii rumore di passi e mi nascosi nel sottoscala, cercando di rimanere in silenzio il più possibile, trattenendo il fiato. Chiusi gli occhi, nascosta nell'oscurità. I passi erano felpati, prudenti, ma non riuscii a comprendere se si trattasse di scarpe da donna o da uomo. Attesi che chiunque fosse si allontanasse e soltanto dopo che mi fui accertata del passaggio mi riaffacciai, affrettandomi a salire, sperando di non imbattermi in nessuno. Il piano superiore, diversamente dal piano terra, comprendeva laboratori a vista, con ambienti separati da larghe porte in vetro, ovviamente, tutte chiuse. Realizzai di essermi fregata da sola, dal momento che non avrei potuto nascondermi neanche se avessi voluto. Mi guardai intorno, pensando che non sarebbe nemmeno stato il caso di scendere. Tanto valeva fare del mio meglio da lì. Camminai per l'ampio corridoio, il cuore più pesante a ogni passo che facevo, alla ricerca di un anfratto. Le porte recavano tutte dei numeri e mi sovvenne che i contenitori dei feti che avevo visto al piano interrato avevano la stessa numerazione: troppo macabro perchè si trattasse di una coincidenza. All'improvviso, udii in lontananza un rumore crescente di passi. Qualcuno stava salendo le scale in fretta. Accelerai il passo e raggiunsi la fine del corridoio, entrando nell'unica stanza con una porta normale, un ripostiglio non più grande delle mie braccia aperte insieme, richiudendola dietro di me. La stanzetta era buia e l'aria viziata. Pensai che non avrei potuto resistere a lungo e ne approfittai per riprendere il mio smartphone, che finalmente aveva di nuovo campo. Fortunatamente, avendo impostato la modalità audio sul silenzioso, non aveva squillato alle ripetute chiamate di Jace. Non appena cercai di richiamarlo, facendo un passo indietro, però, inciampai in quelle che speravo fossero delle scope, ma che invece, non appena feci luce, si rivelarono gambe. Il telefono mi volò di mano e feci un enorme sforzo per non urlare, tappandomi la bocca. La cosa più inquietante fu il fatto che quelle gambe, che avevo erroneamente stimato a causa della presenza di altri oggetti, si mossero, ritraendosi piccole strette in altre piccole braccia. Un sinistro presentimento mi attraversò la mente e mi accovacciai, scostando gli stracci che camuffavano malamente chiunque fosse davanti a me. Fu allora che lo vidi. Un bambino, raggomitolato su se stesso, avvolto in un giubbino scuro decisamente più grande di lui. Le guance rosse, forse accaldate dalla permanenza in quel luogo, seminascoste dal collo alto dell'indumento. Una cascata di disordinati ciuffi neri incorniciava quel visetto e gli occhi azzurri spaventati, identici a quelli della sua mamma, lo rendevano inconfondibile. Non c'erano foto sul suo fascicolo, ma data la situazione, era impossibile sbagliarsi.

– Nicholas? Sei tu Nicholas? – domandai, ottenendo in risposta un'espressione incerta, ma eloquente. Che diavolo ci faceva lì quel bambino? – I-Io sono Kate... – dissi, sperando di riuscire a tranquillizzarlo, ma lui si chiuse ancor di più nel suo abbraccio. In quel momento, mi accorsi, dalla luminosità del mio smartphone, di star ricevendo una chiamata e mi affrettai a riprenderlo. Sul display era comparso il nome del detective Graham e tirai un sospiro di sollievo. Il bambino, Nicholas, mi fissava. Gli sorrisi. – Va tutto bene... siamo al sicuro ora... – mormorai e risposi.

– Detective Graham? – la mia voce uscì in un sussurro, ma nulla fu rispetto alla sua, quando mi dette risposta.

« Grazie al cielo, Kate! Dove sei? »

Mi imposi di non piangere in quel momento, al sol suono della sua voce, poi guardai Nicholas, che continuava a osservarmi, mentre la voce mi uscì rotta. – Siamo al piano superiore... mi sono nascosta in un ripostiglio, alla fine del corridoio... la prego, venga a prenderci... –

« A prenderci? Con chi... ok, sto arrivando. Resta lì, non muoverti per alcun motivo! » ordinò e per la prima volta, mi venne di buon grado eseguire il suo ordine. Quando ebbe chiuso, guardai nuovamente Nicholas e presi fiato. – Scusa... –

Il bambino non mi rispose, forse ancora scettico. Mi chiesi se capisse quello che gli stavo dicendo. Stando a Petrov, doveva esser cresciuto con i Reyes, ma non sembrava che fosse abituato agli agi. – Hai fame, piccolino? Vedrai, tra poco saremo fuori e... –

Nicholas sgranò gli occhi, poi nascose la testa tra le braccia, facendosi piccolo piccolo. Non ne compresi subito il motivo, perché non avevo sentito i passi sostenuti che si avvicinavano. Mi voltai soltanto nel sentire aprire la porta e inizialmente mi ci volle un po' per mettere a fuoco, dato che nello sgabuzzino la sola luce presente era quella del mio telefono. Ma avrei riconosciuto la sua figura tra mille. Aveva segni di lotta e di sangue addosso. Scarruffato, esausto, con un rivolo di sangue a lato delle labbra, ma il suo sguardo in quel momento esprimeva sollievo, prima di tutto. Mi rivolse un sorriso e questo mi fu sufficiente per lasciare andare la paura di non vederlo più.

– Kate... – mormorò.

– A-Alexander... – sussurrai il suo nome, sentendo gli occhi pungere.

Mi tese la mano e la presi, ringraziando il cielo di aver potuto farlo ancora una volta. Quando mi tirò su, rimanemmo così per qualche istante, in silenzio, a fissarci l'un l'altra, consapevoli di essere scampati a una sorte che poteva rivelarsi fatale. Poi, un movimento dietro di me lo fece balzare in difesa e mi attirò a sé. Arrossii, nel sentirmi così vicina a lui, ma mi scostai, per spiegargli la situazione. Le luci del corridoio erano accese e nel muovermi, filtrarono invadendo il ripostiglio e rendendo visibile il piccolo Nicholas.

– L-Lui è... – la voce di Graham era incerta.

– Non ci sono dubbi... è Nicholas, il figlio di Karina Razinova. – spiegai.

Il bambino sollevò lo sguardo verso di noi nel sentire il nome della sua mamma e i lacrimoni gli imperlarono gli occhi.

– Oh mio Dio... – fu il primo commento di Graham, che mise la mano in faccia. – Di tutti i posti in cui mi aspettavo di trovarlo, questo è semplicemente il più... improbabile... e tu l'hai trovato... che ci fa qui lui? –

Sorrisi appena, non sapendo se le sue parole fossero un complimento o qualcos'altro. – Mi ci sono imbattuta... mi stavo nascondendo. Prima sono scesa nel piano seminterrato, raggiungendo un magazzino, ma dato che nemmeno là sotto c'era campo, sono tornata su e sono arrivata qui... –

– Avresti dovuto trovare l'uscita di sicurezza! – protestò.

– Volevo contattare Jace per mandare rinforzi, quindi ho pensato fosse la soluzione più conveniente! Solo che... mi sono imbattuta in qualcuno... non l'ho visto, perché mi sono nascosta... e dopo che è andato via, sono salita e mi sono nascosta qui, trovando Nicholas. –

La sua espressione si fece perplessa. – Hai incrociato qualcuno? –

Annuii, preoccupata. – Devo preoccuparmi? Cosa ne è stato dei Reyes e di Petrov? –

Graham sospirò. – Dopo che sei scappata, ho cercato di prendere tempo tenendo in ostaggio Reyes, ma quel bastardo di Petrov e la Cruise avevano già un piano in mente... piano che prevedeva far fuori lo stesso Reyes. –

– D-Dunque quegli spari che ho sentito... –

Graham annuì, poi guardò verso Nicholas, prima di darmi conferma, solo con un cenno del capo, della sorte di Alphonse Reyes.

– Mio Dio... –

– In quel momento, ho capito che dovevo giocarmi il tutto per tutto con Petrov. Sapevo che Jace, Alexis e Vaughn sarebbero arrivati da un momento all'altro, per cui ho lasciato andare la Cruise e sono rimasto con lui e... –

– Ha lasciato andare la Cruise? Quindi i passi che ho sentito erano i suoi? –

– Quand'è accaduto? Poco prima che arrivassi qui, saranno stati una decina di minuti... –

Graham scosse la testa. – Non è possibile. Alexis l'ha bloccata mentre tentava di scappare. E Vaughn e io abbiamo neutralizzato Petrov. –

– Quindi c'è qualcun altro qui? – domandai, allertata.

– Magari era lui... – commentò Graham, chinandosi verso Nicholas. Il suo sguardo si fece serio, a tratti triste, nel guardare il bambino, che lo stava osservando a sua volta. Compresi immediatamente cosa stesse passando per la sua mente. Sul fascicolo che riguardava il figlio di Karina, c'era scritto che Nicholas era nato il 18 febbraio. Per una fortuita coincidenza, anche se a distanza di qualche anno, si trattava della stessa data di nascita della sua Lily.

– Nicholas... sei stato tu a nasconderti qui? – gli chiese, con un tono che non avevo ancora sentito in lui, ma incredibilmente comprensivo e dolce, da papà.

Nicholas sostenne il suo sguardo, poi fece cenno di no. Quantomeno avevamo la prova che capiva ciò che dicevamo.

– Ti andrebbe di farci vedere da dove sei venuto? –

Il piccolo scosse ancora la testa e si rifugiò nelle braccia. Si era messo di nuovo in posizione di difesa. Quanta paura aveva quel bambino? Quanto doveva avere sofferto là dentro? Mi chinai nuovamente anch'io, sollevando cautamente la mano e accarezzandogli piano piano la testolina folta. Le sue guance diventarono più rosse al contatto, ma non si scansò. Sorrisi e lui mi guardò.

– Non c'è bisogno di parlare, piccolo... basta solo che tu faccia un cenno e capiremo. Eri da solo prima? –

I suoi occhioni si fecero più attenti nel guardare sia me che Graham. Probabilmente stava cercando di capire se potesse fidarsi o meno.

– Ascolta... so che questo signore qui può incutere timore, ma posso garantirti che non permetterà a nessuno di farti del male... e nemmeno io. –

Questo signore qui? – mi fece eco il detective Graham, un po' seccato.

Ridacchiai, poi tornai a rivolgermi a Nicholas. – Abbiamo bisogno anche del tuo aiuto, però... quando sono salita, ho sentito dei passi. Era la dottoressa Cruise? –

Stavolta i suoi occhi si fecero nuovamente spaventati. Quella donna doveva averlo terrorizzato. Scosse la testa e si alzò di colpo, gettandosi tra le mie braccia. Quell'inaspettato gesto sconvolse sia me che il detective Graham. Nicholas mi strinse forte, cercando rifugio. Non sapendo cosa fare, guardai il capo, che si lasciò andare a un lungo sospiro. – A quanto pare dovremo indagare da soli... – commentò, mentre io annuii, dubbiosa.

– Oppure potreste semplicemente chiedere scusa per esservi intromessi. –

Sobbalzammo entrambi nel sentire una voce femminile piuttosto infastidita alle nostre spalle. Strinsi più forte Nicholas, mentre Graham ci passò di fronte. Deglutii quando riconobbi nella persona davanti a noi Sarah Reyes, che ci puntava contro una pistola.

– Sarah Reyes?! – esclamai.

Il detective Graham aggrottò le sopracciglia, poi si rialzò, sotto tiro per la seconda volta. Avevamo tralasciato la sua presenza, ma d'altra parte, era lei il pezzo mancante. La persona che avevamo supposto avesse ucciso Karina. E ora, mirava a noi. Nicholas mi abbracciò più forte, ma il suo sguardo puntava Sarah.

– È finita, Sarah. La sua famiglia è stata neutralizzata e anche Petrov. I nostri colleghi sono qua sotto. Se ci spara è la fine anche per lei. –

Sarah Reyes inarcò il sopracciglio. – Davvero? E io cos'avrei da perdere? –

Mi stupì la sua totale assenza di reazione per la sorte dei suoi cari, ma avevo capito cosa la animasse. – Per favore! Lo faccia per Nicholas... è stata lei a mettere in salvo il bambino, no? –

– Cosa? – domandò Graham.

Sarah mi guardò, ma io non mi tirai indietro. – Non so quale fosse il legame tra lei e Karina... ma so che tiene a Nicholas... –

Dopo qualche secondo di interminabile silenzio, si decise ad abbassare la pistola, facendoci tirare un sospiro di sollievo. A dispetto di quanto pensavo, però, si mise a ridere.

– Devo ammetterlo... pensavo che sareste stati un guaio, invece siete stati provvidenziali. Ed è stato bello vedere per una volta la tua faccia sconvolta, Alexander Graham. – disse, ottenendo in risposta tutta la nostra perplessità. Graham si alzò e si avvicinò alla donna, che lo guardava. – Non mi dire... tu non sei Sarah Reyes... –

– Eh? – feci eco io, sollevandomi, ma sempre tenendo in braccio Nicholas.

A sorpresa, la nostra interlocutrice mi rivolse un'occhiata. – Un ottimo trucco, tanti mesi di studio e la collaborazione della vera Sarah. Pensavate di essere i soli a poter andare sotto copertura, voi del V Dipartimento della Polizia di Boston? –

Graham fece mente locale, mentre io brancolavo nel buio. La risposta gli sovvenne nel vedere la falsa Sarah, che si era chinata accanto a noi, accarezzare la guanciotta di Nicholas. – Sei un bravo piccolino... –

– Alejandra? Alejandra Ortega? – chiese.

Sarah... Alejandra, arricciò le labbra in un sorrisino. – Mi fa piacere che ti ricordi ancora di me. –

– Scusate, mi spiegate cosa succede? –

Graham fece per spiegare, ma fu anticipato. – Agente speciale Alejandra Ortega, FBI. Ci avete scombinato i piani per bene, voi e Konstantin Vaughn. –

– A quanto pare avevamo obiettivi comuni. Ci avete dato una mano. – ribattè Graham, non senza una punta di sarcasmo.

– Ti brucia perdere, eh? – controbattè Alejandra, punzecchiandolo.

– Scusate, ma voi come vi conoscete? – domandai invece io, che avevo una gran confusione in testa e, dato quello scambio di battute, stavo immaginando qualcosa come una storia tra i due.

I due mi guardarono. – Specializzazione. – dissero insieme.

– Ok... – risposi, sentendo per un attimo il cuore più leggero.

– Che ne dite di andare? C'è ancora molto da fare e, soprattutto, per Nicholas è ora di dormire... non è così, tesoro? – chiese, con il tono gentile di chi si era occupato del piccolo per un po'. Nicholas annuì, ormai visibilmente stanco, forse anche per via del fatto che si era accoccolato su di me. Gli accarezzai la testa e mi aggiustai per consentirgli di avere una posizione più confortevole. A dispetto del fatto che avesse soltanto sei anni, era piuttosto leggero.

– Lo prendo io. – disse Graham, ma dissentii, quando mi resi conto che il bambino si era tranquillizzato e stava per cedere al sonno.

Così, quell'operazione in incognito si era conclusa in modo inaspettato per tutti, ma in qualche modo, la verità doveva ancora emergere. Lo dovevamo a tutte quelle donne e ai loro bambini, a Karina e soprattutto, al suo piccolino che, una volta lasciato quell'insano luogo di morte, dormiva innocentemente, senza aver tuttavia proferito alcuna parola.

 

***


Diversamente da quanto pensavo, non partecipai alla riunione che vide eccezionalmente protagoniste FBI, l'Immigrazione e il V Dipartimento, presso il comando di Polizia locale di Norfolk. Quel che sapevo era che, in seguito a quanto accaduto, erano intervenuti con una certa urgenza sia i due direttori locali che il dottor Howell e Selina, in veste di medico legale. Data la presenza di Nicholas, che era ormai profondamente addormentato quando tornammo in albergo, Graham ritenne fosse meglio che rimanessi con lui e con Jace. Se da una parte non presi di buon grado quella scelta, dall'altra potei aver modo, per quanto possibile, di riposare. Ero davvero esausta, come se tutto il peso di quei due giorni fosse improvvisamente svanito, lasciandomi a fare i conti con la stanchezza, proprio come durante la notte della morte di Trevor. Tuttavia, a causa della troppa adrenalina, non avevo sonno e, dopo aver messo a letto Nicholas, la cui condizione era ancora un mistero per noi, mi ritrovai a parlare con Jace, che mi tenne compagnia fino al rientro di Alexis e del detective Graham. Anche lui, come me, era piuttosto stanco, soprattutto considerando che era abituato a dormire almeno quelle canoniche otto ore, ma era incuriosito dalla presenza del bambino.

– E così Nicholas sarebbe una specie di piccolo prodigio della scienza? – mi domandò, stiracchiando le lunghe braccia.

– Niente affatto... non è una cavia. Almeno, spero non lo sia stato più del dovuto... posso soltanto immaginare quanto sia stato difficile per lui, rinchiuso in quel luogo, privato degli affetti... e dev'essere stato lo stesso per la povera Karina... – risposi, sedendomi accanto a lui sul divanetto biposto color crema e in pelle che troneggiava nell'anticamera.

– E riguardo al fatto che non parli? Potrebbe essere autistico secondo te? –

Scossi la testa. – No. Possiede sia contatto oculare che intento comunicativo, senza contare che le sue interazioni sono relativamente consone. Alejandra ha detto che secondo Sarah Reyes, Nicholas ha smesso di parlare dopo la scomparsa di Karina... potrebbe trattarsi di una chiusura dovuta al dolore per la perdita della sua mamma, alla quale era indubbiamente molto legato. L'ho notato nel momento in cui il capo e io abbiamo fatto il suo nome... per cui propendo più per una forma di mutismo selettivo. –

Jace arricciò le labbra, poi tolse gli occhiali e sfregò leggermente gli occhi.

– Povero piccolo... –

Annuii, appoggiando la testa sulla sua spalla. – Già... a volte penso che nascere in questo nostro mondo sia una vera disgrazia, sai? –

Sentii i riccioli castano chiaro scompigliati di Jace solleticarmi la fronte, mentre accoccolava la sua guancia sulla mia testa. – Puoi dirlo forte, Katie... cerchiamo tanto di contrastare il male eppure questo torna di volta in volta più forte... –

Aveva ragione. C'era un che di disillusione e di amara consapevolezza nelle sue parole. Quello che vedevamo ogni giorno, ciò che avevo vissuto con Trevor, era una prova inconfutabile delle sue parole. Fissai lo sguardo sulle suppellettili di fronte a noi. Un quadro che raffigurava “La notte stellata” di Van Gogh ci restituiva l'immagine di un mondo sereno, pacifico, d'altri tempi. Tutto ciò che sembrava non potessimo trovare. Sapevo che scegliendo quella carriera, avrei dovuto fare i conti con la sofferenza, ma essere in grado di tollerarla su se stessi era ben diverso che vederla e percepirla sugli altri. Non potevo fare a meno di pensare a Karina, che aveva cercato in tutti i modi di salvare suo figlio, a costo di stringere un patto col diavolo.

Dal racconto di Alejandra Ortega era emersa una storia ancora più drammatica e difficile di quanto avessimo mai potuto credere. Karina non era una prostituta come ci era stato detto. O almeno, non lo era diventata per via della droga. Nella sua terra, era stata oggetto delle attenzioni di Petrov, che se n'era invaghito al punto da diventarne lo stalker. Quell'uomo era sinceramente convinto, nel suo delirio, di esserne innamorato e quando aveva scoperto la sua relazione con Zlatko, aveva cominciato a perseguitare entrambi. Per questo motivo, il gruppo si era allontanato e i due, assieme all'amica di Karina, Mirena, erano fuggiti in America per cercare una nuova vita. Tuttavia, non avendo a disposizione denaro a sufficienza, Zlatko si era dato allo spaccio. Piccole somme, nell'attesa di trovare qualcosa di meglio. Quel qualcosa fu la Hope and Charity House, in cui nacque il piccolo Nicholas. Purtroppo, però, sia la Cruise che Reyes avevano visto in quei poveri redivivi la perfetta carne da macello. Nessuno li avrebbe mai cercati, se avessero fatto come gli veniva chiesto. Offrirono loro protezione, senza sapere che Petrov era sulle loro tracce. Nel tempo, Karina e Nicholas avevano legato con Sarah, che aveva preso a cuore la loro storia, ma ignorava i trascorsi dei genitori. Quando la Reyes cominciò a sospettare, a causa dello stato di salute sempre più debole di Karina, sottoposta alla somministrazione di psicofarmaci e stressata dalle sperimentazioni, la Cruise decise di allontanare la figlia dalla verità, nascondendo sia lei che Nicholas. Tuttavia, non li nascose a Petrov, che era riuscito a trovarli. Pensò che quell'uomo sarebbe stato un ottimo deterrente per impedire a Karina di parlare e, presumibilmente, in virtù di accordi tra i coniugi e Petrov, fu utilizzato sia come donatore, dietro lauto compenso, che come supervisore dell'area interdetta al personale non addetto. La ragione era piuttosto semplice da intuire. In quel modo, non rischiava di passare come presenza immotivata mentre gli ignari ricercatori continuavano il loro lavoro senza avere idea di che razza di scempio e di mostri si celassero pochi piani più sotto. A quel punto, Karina era completamente sotto il giogo di Petrov e dei Reyes, ma Sarah, che era entrata in contatto con Zlatko, aveva scoperto la verità e aveva fatto in modo che i due riuscissero a fuggire con Nicholas. Purtroppo, però, questo non era accaduto, perchè Zlatko era stato catturato prima da Petrov, data la sua ragguardevole forza fisica, e costretto a una overdose letale. La sua fuga si trasformò in una vera e propria tragedia, dal momento che morì prima ancora di essere catturato e balzando agli onori della cronaca come uno spacciatore che aveva tentato di portare via una prostituta generosamente salvata dalla Hope and Charity House. Quanto a Karina, aveva pagato lo scotto. Ormai separata da suo figlio e con l'uomo che amava morto, era dapprima stata rinchiusa nei sotterranei della residenza Reyes, da cui era riuscita a fuggire da sola, recuperando la lucidità grazie alla mancata assunzione dei farmaci che la tenevano stordita. Sapeva che non avrebbe potuto portare con sé Nicholas, ma sapeva anche che non gli avrebbero fatto del male, in virtù della sua presunta rilevanza. Tuttavia, sperava di poter tornare a riprenderlo e a denunciare il male fatto dai Reyes quando fosse stato il momento giusto. Per un anno intero aveva vagato tra gli ultimi, a volte concedendosi in cambio di denaro che cercava di mettere da parte per poter salvare suo figlio. Ma il destino che li aveva separati non era stato clemente. Così, era trascorso un anno, durante il quale Sarah era entrata in contatto con l'FBI, che aveva organizzato l'operazione sotto copertura per smascherare gli illeciti potenzialmente rischiosi per la sicurezza nazionale dei Reyes, ormai sempre più fuori controllo, sia per i risultati negativi che per le spese, che avevano contribuito a mandare in malora la Hope and Charity House. Petrov, intanto, sempre più ossessionato dal ritrovare Karina, faceva buon viso a cattivo gioco con Alphonse Reyes, che continuava a sfruttarlo per i suoi comodi, mentre Harriet Cruise, dopo aver allontanato le donne che avevano conosciuto di persona la stessa Karina e temendo che quest'ultima potesse tornare a riprendersi il bambino, aveva stretto un apparente accordo con Petrov, che prevedeva il ritrovarla e concedere loro la libertà assieme a Nicholas. A quel punto, Petrov, lasciato libero di agire, era stato in grado di braccare Karina, riportandola alla Hope and Charity House sinceramente convinto delle intenzioni della Cruise. Tuttavia, non aveva considerato le reali intenzioni della donna, che si era presentata all'incontro prima di lui, offrendole la libertà in cambio di suo figlio. All'opposizione di Karina, la Cruise l'aveva uccisa, avendo cura di non lasciare impronte e di abbandonarla nei pressi della struttura e, solo in seguito, aveva convinto Petrov della malafede di Karina prima e del fatto che ad ucciderla fosse stato Alphonse, in realtà. Alla fine, in che modo la si vedesse, tutto era stato orchestrato dalla Cruise per far fronte a un gioco malato e perverso in cui la vita umana non aveva alcun valore. Di tutto ciò, rimaneva una figlia che, pur avendo collaborato con l'FBI, aveva fatto in modo di essere protetta e di poter espatriare per ricominciare una vita lontano da quella famiglia e un bambino che aveva perso i suoi genitori, vittime di quel gioco crudele.

Rimuginando su quella storia, non mi ero resa conto che Jace si era addormentato. Facendo attenzione, mi scostai facendogli posto sul divanetto e andai a prendere una coperta, per evitare che prendesse freddo. Nicholas dormiva profondamente e sperai che almeno il suo sonno fosse privo di incubi. Dopo esser tornata e aver coperto Jace, che borbottò qualcosa nel sonno, mi avvicinai alla finestra, nella speranza di veder rientrare le auto del capo e di Vaughn. Erano ormai le 3:50 e dato che tutto taceva, a cominciare dal mio smartphone, ricordai le parole del detective Wheeler riguardo al non spingermi troppo oltre. Cominciavo a pensare di averlo davvero giudicato male, data la sua lungimiranza in materia e così, optai per appoggiarmi un po' sul letto di Alexis, quanto bastava per riposare almeno un po' gli occhi. Di fronte a me, a poca distanza, Nicholas aveva l'espressione più dolce e innocente del mondo. Pensai a Trevor, a quanto avessimo parlato di figli e a quanto ormai non sarebbe più stato possibile. Mordicchiai un'unghia, ricordando le volte in cui mi riprendeva per quella pessima abitudine e il fatto che avrei dovuto smettere. E poi, pensai che almeno stavolta, sarebbe stato felice di sapere che quell'operazione fosse andata a buon fine. Sentii gli occhi gonfiarsi di lacrime, ma non volevo svegliare Nicholas, così soffocai il pianto, affondando il viso nel cuscino. Sapevo bene che quel dolore lancinante che attanagliava il mio cuore non era solo dato dalla sua mancanza, ma la cosa che mi faceva più male in quel momento era il rendermi conto di quanto la sua immagine si facesse di giorno in giorno più evanescente, sempre meno viva. Era trascorso così poco dalla sua morte eppure mi sembrava sempre più distante, come se quell'avvenimento si stesse cristallizzando nella mia memoria, più velocemente di quanto potessi immaginare.

 

 

 

 

 

 

 

 

**************************************

Allora... note doverose:

La questione Cambridge. XD Nello scrivere, ho fatto un po' di ricerca sui quartieri di Boston e ho scoperto che Cambridge è praticamente la Boston bene. Tra l'altro è un quartiere molto elegante e classico. Ho giocato sul fatto che Kate si fosse fatta un'idea del tutto sbagliata riguardo al dove vivesse Alexander. In realtà lui non abita a Cambridge, attualmente. Dove potrà mai risiedere? XD

Ah, invece, il codice sblocco dell'iPhone di Alexander è la data di nascita di Lily. ç_ç<3

Mi son molto divertita a scrivere questa parte, sia perché Jace mi fa letteralmente crepare, sia perché volevo, per una volta, vedere Alexander sudare freddo. XD Avevate intuito il ruolo di Sarah/Alejandra? Stavolta, c'è da dire che Alexander ha ficcato il naso in una vicenda che si è rivelata più grande e scabrosa, trattandosi di esperimenti, tanto più che dietro c'erano, consapevolmente a lui, l'Immigrazione e, inconsapevolmente, l'FBI. Coinvolgere i federali mi ha divertito molto, soprattutto perchè per la prima volta, è stato preso nel sacco lui. E poi... è finalmente arrivato Nicholas. <3 

Alla prossima settimana, con l'inizio del IX capitolo che è probabilmente il mio preferito! <3

 

  
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