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Autore: AlexSupertramp    03/09/2020    7 recensioni
Un tassista, durante il turno di notte, avrà la possibilità di scoprire chi è veramente, grazie ad una persona davvero speciale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Taxi Driver


Il turno di notte era iniziato da venti minuti e aveva già fatto un rapido calcolo del tempo ancora da trascorrere prima che finisse. Mancavano ancora sette ore e quaranta minuti, ore da passare nello stretto abitacolo di quell’auto, a scarrozzare persone a destra e a manca.
A lui non dispiaceva andare in giro di notte. In realtà era sempre il primo a farsi avanti quando c’era la possibilità di scambiarsi turno con qualcuno e sceglieva sempre quello notturno. Le strade erano più libere, soprattutto dopo le due, il buio gli piaceva e la gente, in genere, aveva meno voglia di intrattenere conversazioni.
Tuttavia, quello era anche l’unico punto negativo della faccenda, quello che gli faceva contare le ore alla fine della giornata di lavoro: la gente.
Nonostante fosse decisamente meglio rispetto al turno di giorno, in cui spesso gli era capitato di dover stare a sentire valanghe di parole a caso, pronunciate da una variabilità di persone alta come una sequoia secolare, restava comunque un problema. Tokyo era piena di nottambuli, di gente che dormiva di giorno e lavorava di notte, per cui non era inusuale dover trasportare qualcuno nel pieno delle sue facoltà mentali e della sua voglia di parlare. Gli andava decisamente meglio quando lo chiamavano dall’aeroporto. Spesso si trattava di gente in pieno jet-leg, che faticava non poco perfino a tenere gli occhi aperti.
«Chiamata dal 35 di Namiki Dori.» una voce gracchiante stava reclutando la vettura più vicina a quell’indirizzo.
«Qui 893, ricevuto. Ci vado io, sono vicino.»
Mise la prima e partì alla volta di quella prima chiamata della notte.
 
Ore 22:45, Namiki Dori street
 
Con un dito indice si posizionò meglio i grossi occhiali da vista che il suo oculista gli aveva raccomandato di tenere perennemente su, fin dalla tenera età di undici anni. L’altro braccio stringeva al petto una cartellina sottile in tessuto blu notte, come se dentro vi fosse custodito chissà quale segreto.
Aveva chiamato il proprio taxi da ormai cinque minuti e la solitudine di quella strada lo rendeva particolarmente nervoso. Di solito faceva quella chiamata quando era ancora nel suo ufficio, al sicuro da qualsiasi pericolo ma, quella sera, non era riuscito in tempo a causa dell’enorme mole di lavoro che i suoi colleghi gli avevano gentilmente chiesto di portare a termine al loro posto.
Quando vide due fari lampeggianti connessi alla carcassa meccanica di uno dei tanti taxi cittadini, sentì il cuore battere ad una velocità adeguata per quella circostanza, e gli venne su un sorriso isterico.
Entrò rapidamente nell’abitacolo sentendosi finalmente al sicuro.
«Salve, devo andare al 15 di Kyu Nikko Kaido per favore.»
Il tassista lo vide aggiustarsi gli occhiali spessi e rotondi dallo specchietto retrovisore, mentre gli comunicava l’indirizzo d’arrivo. Digitò quel nome sul navigatore e azionò il tassametro. Ci sarebbero voluti circa venti minuti, se tutto andava bene.
Il passeggero si lasciò andare ad un sospiro poggiando poi la schiena alla parete morbida del sedile retrostante, guardando distrattamente la strada dal finestrino.
«Stasera le strada sono affollate, eh?»
Dal punto di vista dell’autista, c’era stato di molto peggio. Tuttavia il fatto che avesse fatto quella constatazione gli permise di capire che forse il suo primo cliente apparteneva alla categoria di chi voleva intrattenere una conversazione non troppo impegnativa.
«Già.»
«Di solito torno prima a casa. A volte mi capita anche di prendere la metro ma sa, di questi tempi e a quest’ora, è meglio non rischiare. Non trova?»
«È probabile.»
«Mh, chiamo spesso la sua ditta ma non l’ho mai vista. È nuovo?»
«Più o meno.»
In realtà non era affatto nuovo. Faceva quel mestiere da circa sei anni, tre dei quali proprio con quella ditta. Ma si risparmiò dal fargli presente che, proprio la sua agenzia, contava circa mille vetture, e incontrare lo stesso autista ogni sera era pressoché impossibile.
Il cliente strinse al petto la sua cartellina blu notte. Aveva lo strano atteggiamento di chi sta proteggendo qualcosa di veramente importante. Per un attimo, incontrò lo sguardo dell’autista attraverso lo specchietto.
«E per questi che oggi ho fatto così tardi. Sa, mi hanno incaricato di finire il lavoro entro oggi siccome mi hanno eletto impiegato del mese. In verità, dopo la nomina, pensavo avrei lavorato di meno, invece…» disse con un tono rammaricato, scarsamente nascosto da un sorriso isterico.
L’autista gli rivolse una rapida occhiata prima di tornare alla strada.
Non proferì parola.
«Mi hanno sempre detto che ero il migliore insomma. Sa, quando riesci veramente bene in qualcosa. A lei è mai capitato di essere particolarmente bravo?»
«Qualche volta.»
«Quindi mi può capire. Io mi dedico davvero con tutto me stesso a questo lavoro, però ecco, certe volte proprio non capisco gli atteggiamenti dei miei colleghi. Loro non capiscono, quanto questo lavoro sia importante.»
Ora, probabilmente, chiunque altro si sarebbe incuriosito abbastanza da chiedere al passeggero quale fosse questo fantomatico lavoro importante di cui parlava e di cui tanto tesseva le lodi. Lui però, il tassista, non rientrava in nessuna cerchia, in nessun cluster delle numerose umanità con cui lui stesso entrava in contatto ad ogni turno di lavoro.
Diede un’occhiata al navigatore: mancavano ancora dieci minuti.
«Ad ogni modo, nonostante io sia il più bravo in assoluto, mi hanno fatto restare in ufficio fino a tardi. Ho finito il lavoro di tutti e nessuno mi ha ringraziato. Certo, oltre la nomina ad impiegato del mese.»
«Certo.» replicò l’altro distrattamente, svoltando con l’auto a destra, in una strada semi deserta.
«Sa, ad un certo punto ho anche pensato che mi stessero prendendo in giro. La settimana scorsa ho avuto un problema con il mio computer, non so perché ma mi si aprivano costantemente pop-up e siti pornografici, non può capire l’imbarazzo. Ho addirittura pensato ad uno scherzo di qualcuno. Poi mi son detto: andiamo, ma chi farebbe una cosa simile?»
«Certo, chi lo farebbe?»
«E quindi ho chiamato il tecnico aziendale che lo ha riparato in meno di un’ora. Forte, vero? Ad ogni modo, credo che gli altri non mi considerino realmente un bravo rappresentante.»
Il tassista continuava ad essere concentrato sulla strada. Aveva imboccato una delle arterie principali di Tokyo e, improvvisamente, l’intensità della forza del suo piede sull’acceleratore si era dimezzata a causa della quantità di auto che andavano a passo d’uomo. A volte, detestava il turno di notte.
«Credo che sia a causa del fatto che vivo ancora a casa di mia madre. Ma sa, perché mai dovrei trasferirmi altrove? Mi sentirei così solo. Forse mi servirebbe una ragazza.»
«Probabilmente.»
«Due mesi fa ho preso un caffè con la signorina Shoko Ishida. Ad essere sincero le ho offerto un caffè dal distributore del nostro ufficio ma, sa cosa le dico? A me quel caffè piace anche più di quello del bar all’angolo. È stata una bella cosa da parte mia, non trova?»
«Assolutamente.»
Il navigatore segnava quattro minuti e il tassametro circa 1000 yen da pagare, ai quali si sarebbero aggiunti quelli calcolati a rilento per via del traffico.
«Beh, ad ogni modo, dopo quel caffè ho cercato molte volte di trovare il momento opportuno per chiederle di uscire ma, non ci sono mai riuscito. Con la storia dei siti porno poi, addio opportunità. Ora credo che mi veda come una specie di pervertito.»
Il navigatore annunciava gli ultimi due minuti e, per fortuna, la strada aveva ripreso ad essere più libera.
«Pensavo di farle trovare un buono sconto per il bar all’angolo nel suo ufficio, sulla sua scrivania. Lei cosa ne pensa?»
«Perché non delle rose?»
«Lei pensa che delle rose potrebbero piacerle? In effetti, tutte le donne amano i fiori.»
Il tassista alzò le spalle, come per confermargli quella constatazione.
Il navigatore segnava un minuto.
«Questa corsa è stata illuminante. La ringrazio molto, signore.»
La vettura era giunta alla destinazione impostata sul navigatore e quando il cliente si sporse per conoscere il costo del servizio, il tassista girò il monitor del tassametro nella sua direzione.
«Bene, pensavo peggio. Sa, la metro sarebbe stata più economica ma, a dirla tutta, non mi sarei sentito al sicuro. E poi non avrei avuto i suoi preziosi consigli.»
Il tassista non rispose e osservò la mano magra e bianchiccia del suo primo cliente allungargli le banconote necessarie a pagare il servizio.
Sorrise, finalmente sarebbe rimasto nuovamente solo.
«Domani sera credo che prenderò di nuovo un taxi. Se ci rincontreremo, le racconterò come andrà domani con la signorina Shoko Ishida.»
Ma l’occhialuto cliente non ricevette nessuna risposta da parte del tassista, così decise semplicemente di lasciare l’auto e posizionarsi accanto al finestrino del conducente.
«Allora, buona serata e buon lavoro. La mamma sarà così contenta di sapere delle rose.»
Mise la prima e partì, noncurante della mano che si agitava senza un vero ritmo, alle sue spalle. Erano le 23:22 quando azzerò nuovamente il tassametro.
 
Ore 23:24 Kiu Nikko Kaido
 
Il tempo da trascorrere fino alla fine del turno era ancora molto. Si guardò fugacemente allo specchietto, constatando il fatto che le profonde occhiaie che spesso lo contraddistinguevano erano magicamente sparite. Forse quella crema all’aloe vera che sua sorella gli aveva raccomandato non era poi così inutile, così come tutta una serie di cianfrusaglie biologiche che lei gli aveva imposto di comprare, quando aveva saputo dei suoi frequenti turni di notte.
L’aloe vera per le occhiaie, la melatonina per dormire una volta rincasato, la pappa reale per le energie spese a guidare tutta la notte. Insomma, l’armadietto del bagno era diventato una specie di erboristeria e l’odore che quelle cose emanavano a volte gli dava la nausea.
Continuò a guidare lungo quella strada affollata quando notò la chiamata a braccio di una donna a bordo marciapiede. Era giovane, probabilmente aveva la sua stessa età, se non di meno. Portava una gonna a vita alta stretta fino alle ginocchia e, lui ne era sicuro, un lungo spacco nella parte posteriore. Avrebbe verificato in seguito, quando la seconda cliente del suo turno di notte avrebbe lasciato la vettura e si sarebbe mostrata di spalle.
Mise la freccia e accostò sulla sinistra.
«Salve, è libero vero?»
Il tono della donna era seccato, quasi arrabbiato.
Il tassista annuì con un cenno del capo.
«Mi porti al 70 di Kishu street per favore. E faccia in fretta!»
Quando la donna gli comunicò l’indirizzo d’arrivo, il tassista notò un leggero rigonfiamento in corrispondenza della fronte. Gli sembrò una vena, anche se la frangetta scura le nascondeva parzialmente quella parte del viso. Poi lei si voltò di scatto verso il ristorante situato proprio sul marciapiede dove lui l’aveva raccolta e anche lui notò un ragazzo che scendeva le scale di scorsa, sbracciandosi e correndo verso il taxi.
«Cosa aspetta? Parta, no?»
Il tassista sbuffò e partì con uno scatto troppo brusco, generando un rumore fastidioso all’altezza degli pneumatici.
«Oh, grazie al cielo. C’è mancato poco.»
Il tassista guardò la donna rilassarsi attraverso lo specchietto e notò anche che aveva uno strano accento. Non riuscì a capire da dove provenisse, vista la scarsa conoscenza che aveva del suo stesso Paese al di fuori di Tokyo, ma gli ricordò tremendamente una sua compagna d’asilo. Si stupì di quanto fosse ancora vivido quel ricordo.
«Stupido! Dio, che stupido.»
Il navigatore segnalava circa quindici minuti di tragitto. La seconda cliente sembrava avere voglia di parlare e il tassista si sentì sollevato al pensiero di doverla scarrozzare solo per un quarto d’ora.
«Lei, mi dica, avrebbe mai proposto alla sua ragazza di sposarlo e di andare a vivere a casa dei suoi genitori? No, sul serio, l’avrebbe mai fatto?»
«Mh, non credo…»
«Naturalmente. Nessuno lo farebbe, nessuno a parte il mio, di fidanzato.»
Man mano che parlava, il suo strano accento prendeva il sopravvento e il tassista continuava a domandarsi di quale regione del Giappone fosse tipico. Proprio non riusciva a collegarlo.
«Io gliel’ho sempre detto, sempre. Quando ci sposeremo, voglio andare a vivere in un attico, all’ultimo piano di un grattacielo e avere la mia privacy. La nostra… lei non vorrebbe avere una casa tutta per sé e poter fare sesso ovunque ne abbia voglia?»
«Immagino di sì.»
Tuttavia, l’ultimo piano di un grattacielo non lo allettava affatto.
«Certo, tutti lo vorrebbero. E invece lui mi propone la catapecchia dei suoi genitori. Uno squallido appartamento in un comprensorio popolare. Dico, ma mi ha guardata?»
Il tassista avrebbe voluto rispondere che sì, l’aveva guardata. Ma aveva anche l’impressione che lei non stesse affatto aspettando una vera risposta.
«Io non sono una da appartamento.»
E al tassista venne immediatamente in mente l’immagine di un chiwawa.
«Io sono una da attico! Sono una da tacchi a spillo vertiginosi e da cene in ristoranti di lusso. E invece quell’imbecille mi ha portata in quello squallido posto da quattro soldi, a mangiare gamberi fritti e ravioli alla griglia. Io, che i fritti non so nemmeno cosa siano. Ah, se lo venisse a sapere il mio personal trainer. Lei li mangia i fritti?»
Il navigatore segnava meno dodici minuti.
«Di tanto in tanto.»
«Ovvio. E si vede sa? Ha veramente un fisico invidiabile.»
Il tassista alzò le spalle fermando l’auto ad un semaforo rosso.
«E comunque, sa cosa le dico? A me non interessa sposare quel buono a nulla. Io merito di meglio, non crede anche lei?»
«Penso di sì…»
«Ecco, quindi questa sera sarà l’ultima volta che gli do il permesso di trattarmi così. Da domani, inizierà una nuova vita.»
Il tono della sua voce si era abbassato notevolmente e, dallo specchietto retrovisore, il tassista riuscì a scorgere una lacrima rigare il viso della donna. D’un tratto gli sembrò che stesse perdendo qualche pezzo.
«Da domani, niente più messaggio del buongiorno appena sveglia. Niente più colazione a letto e, soprattutto, niente più progetti di vita insieme. Sarò solo io, sola e basta.»
Le parole si alternavano a leggeri singhiozzi e il tassista sospirò, nel constatare che il navigatore segnava ancora sette minuti da percorrere.
«Oh mio Dio, come faccio a stare senza di lui? Ma lei ci pensa? Lei ha mai amato qualcuno così tanto da pensare di non riuscire a sopravvivere senza?»
«Non saprei…»
«Ecco perché non mangia fritti e non chiederebbe mai alla sua fidanzata di andare a vivere con i suoi genitori!»
«È probabile, sì» disse lui distrattamente, imboccando un’arteria secondaria che gli avrebbe permesso di accorciare il tragitto di qualche secondo.
Poi squillò un telefono e la donna rispose.
«Pronto?»
Il tassista sbirciò il suo viso dallo specchietto e si rilassò, felice del fatto di non dover più prestare attenzione a quegli inutili discorsi.
«Oh cielo, sì. Scusami amore, non volevo reagire così. Sai che ti seguirei ovunque.»
Il tassista roteò gli occhi al cielo, pensando di essere fortunato a non dover condividere la vita con una donna simile. Lui, probabilmente, l’avrebbe lasciata lì al ristorante, a mangiare gamberi fritti e ravioli alla griglia.
«Dove? Ma sei qui dietro… Oh Dio.»
E di colpo lei si sporse verso il tassista, agitandogli il cellulare in faccia.
«Si fermi qui, presto. Fermi questo maledetto taxi le ho detto!»
«Ma cosa fa? Si calmi…»
«Fermati mannaggia, qui vedi? Accosta e lasciami andare.»
«Ma vede che non posso accostare? Dove la lascio, in autostrada?»
«Oh Signore, se non mi lascia andare chiamo la polizia.»
«E va bene.» maledetta rompipalle!
Il tassista accostò nei pressi di un’area di sosta azionando le quattro frecce. La donna, quella maledetta pazza, gli lanciò una banconota da 1000 yen che finì dritta sul cambio e lasciò il taxi.
La vide correre verso un altro taxi appena parcheggiato proprio dietro di lui, dal quale uscì un uomo. Probabilmente si trattava di quel povero ragazzo che l’aveva chiesta in moglie. Notò lo spacco vertiginoso arrivare quasi fin su al sedere e si complimentò con se stesso, per averci azzeccato.
 
Ore 00:12 – nel mezzo di un’autostrada
 
Il tassista riprese la sua marcia e si sentì già stanco. Aveva raccolto solo due clienti, una dei quali si era rivelata una pazza completa. Si domandò quante persone sarebbero salite sul suo taxi fino alla fine di quel turno estenuante.
Alzò il viso verso il parasole posto in corrispondenza del volante e lo abbassò. Osservò attentamente la cartolina che raffigurava una spiaggia di Sydney, la accarezzò sentendo le pieghe sotto le dita. Quello era il suo paradiso personale, era il posto in cui si rifugiava ogni volta che pensava di mollare per sempre quel dannato lavoro. Purtroppo, era proprio quel lavoro il suo lasciapassare verso la spiaggia di Sydney.
Accostò l’auto in corrispondenza di un parcheggio riservato ai taxi e scartò un panino che si era portato dietro, in previdenza di un attacco di fame.
«È libero?»
Lui nemmeno si voltò.
«Mh…»
La voce oltrepassò il suo taxi per raggiungerne un altro, parcheggiato ad un paio di metri dietro di lui.
Ripensò alla spiaggia di Sydney.
«Ehi, aspetti. Sì, è libero.»
La figura esile tornò sui suoi passi.
«Mi scusi, non l’avevo sentita.»
La donna non disse nulla, aprì la porta del passeggero e si sedette dietro di lui.
«12 di Taito Ku Ueno.»
Guardò la donna dallo specchietto, suo fedele amico, e notò che lei non aveva nemmeno alzato la testa dal suo tablet. Lo schermo le illuminava il viso e notò che il colore dei suoi capelli era decisamente inconsueto e quel castano ramato la distingueva da qualsiasi altra ragazza avesse conosciuto negli ultimi tempi.
Digitò l’indirizzo sul navigatore: otto minuti.
Rilassò le spalle e partì.
La strada era sgombra, forse ci avrebbe messo anche meno ma considerando il silenzio tombale della passeggera, farli tutti quegli otto minuti non si sarebbe rivelato un problema.
Oltrepassò un grande centro commerciale le cui illuminazioni bastavano e avanzavano per irradiare le strade circostanti. Lanciò un’occhiata alla donna e notò una serie di piccole lentiggini che le riempivano il viso, all’altezza del naso e degli zigomi. Indossava una camicetta di raso rosa cipria e una collanina, d’oro probabilmente, contribuiva a dar luce ad un viso piccolo e ovale.
Non aveva alzato lo sguardo dal tablet nemmeno una volta, e il tassista riusciva a vedere solo le lunghe ciglia e il piccolo naso lentigginoso, dallo specchietto retrovisore.
Poi le squillò il telefono.
«Sì?» Rispose corrugando la fronte.
«Sono appena salita sul taxi… credo una decina di minuti al massimo.»
Otto, avrebbe voluto correggerla.
«No, non devi fare niente fino al mio arrivo.» e attaccò, senza salutare l’interlocutore all’altro capo.
Il tassista sbirciò dallo specchietto e notò finalmente che aveva smesso di guardare il tablet. Ora la sua attenzione era stata catturata dalla strada e alle luci della città.
Poi il suo sguardo incrociò quello del tassista e gli rivolse un sorriso tranquillo, di cortesia.
Lui ebbe una sensazione strana di déjà vu.
Gli otto minuti erano finiti, stando al navigatore, e il tassista parcheggiò in corrispondenza del numero dodici, tenendo il motore dell’auto acceso. Spostò il monitor per informare la cliente di quanto avrebbe dovuto pagare.
Lei si sporse verso di lui.
«Senta, vorrei proporle un affare.»
Lui di colpo voltò la testa verso di lei.
«Questa è solo la prima di tre tappe, stanotte. Che ne dice di accompagnarmi? Così non dovrò chiamare un altro taxi ogni volta.»
«Mi dispiace, ma è contro il regolamento.»
«Oh su, andiamo. La pagherò il doppio.»
Il tassista guardò il parasole sigillato e ripensò alla spiaggia di Sydney.
«Vorrei tanto scarrozzarla in giro per tutta la notte, ma se mi beccano mi licenziano.»
«Mh.»
Lei sembrò riflettere.
«Ma chi verrà a saperlo? È davvero importante per me, arrivare in tempo.»
«E per me è davvero importante continuare ad avere un lavoro.»
«Ma non lo perderà, glielo assicuro.»
Così disse e si allontanò, lasciando poi definitivamente il taxi. Lui si domandò se avesse fatto bene ad accettare, più o meno, quella proposta.
Certo, se considerava il doppio di circa 5000 yen – se aveva fatto bene i suoi calcoli – si sarebbe portato a casa un bel gruzzolo. Insomma, alla fin fine che differenza faceva aspettare una chiamata o essere ingaggiato per tutta la notte? Certo, per quello c’erano gli auto noleggi ma, in fin dei conti, chi se ne importava.
Dopo circa un quarto d’ora, la sua rossa cliente tornò in sella al taxi.
«Visto? Sono stata veloce ecco.»
Lui alzò le spalle e mise in moto la vettura.
«E ora, dove si va?»
«Dunque, mi faccia controllare…»
Digitò qualcosa sul suo tablet e poi gli rivolse un sorriso.
«23 Yaesu, Chuo-ku.»
Il navigatore gli rivelò il tempo di percorrenza: dodici minuti.
«È stato gentile. Ad accettare, intendo.»
«Non l’ho fatto per gentilezza.»
«Immagino. I soldi…»
«Già.»
Lei guardò il tablet e si rabbuiò all’istante. Poi il suo cellulare squillò, interrompendo ogni pensiero all’interno della vettura.
«Ciao.»
Il tassista notò il tono confidenziale con il quale, stavolta, aveva risposto.
«Non ancora, ho appena iniziato. Tu?»
La vide passarsi una mano tra i lunghi capelli lisci.
«Ma certo che no. Prima è stato facile, spero che sia lo stesso anche con questa.»
Il tassista aggrottò le sopracciglia perplesso. Si domandò se non si fosse cacciato in qualche situazione strana.
«Ti chiamo dopo, quando avrò finito.» e riagganciò. Subito dopo rivolse un sorriso al tassista per poi tornare a guardare la strada.
Lui si domandò cosa dovesse fare di così importante da ingaggiarlo per tutta la notte. Ma quella domanda restò nella sua testa.
Dopo esattamente dodici minuti la destinazione si palesò davanti ai loro occhi. Si trattava di un immenso palazzo grigio e malandato in un quartiere popolare, tristemente noto per l’alto tasso di criminalità presente.
«Torno subito.» e si congedò.
Dal suo punto di vista, il tassista non riusciva a capire quale delle due donne salite sul suo taxi quella notte fosse più strana. Forse l’ultima batteva la precedente.
Osservò la strada deserta intorno a sé e si domandò quanto tempo ci avrebbe messo a fare ciò che doveva fare. Chissà cosa doveva fare, poi. Si sentì stranamente curioso.
Gli sembrava una donna raffinata e di classe, che stonava maledettamente con quel postaccio in cui lo aveva condotto. Forse era invischiata in qualche affare losco. Decise di non pensarci troppo e di aspettarla ancora qualche minuto. In fondo, cosa gli costava.
Eppure quel suo sorriso, gli ricordava qualcosa.
Tornò dopo poco, così come aveva promesso. Tuttavia lui notò la sua faccia sconvolta.
«Andiamo via.» disse a stento.
«Tutto bene?»
«No, ma sono cose che accadono. Purtroppo.»
Il tassista mise in moto, ancora allo scuro della prossima destinazione. La sua passeggera sbuffò, come a voler trattenere le lacrime.
Di nuovo, il suo cellulare si fece sentire.
«Ehi… sono arrivata tardi. No no, non ce l’avrei fatta comunque, era troppo devastata.»
Si asciugò il naso con il dorso dell’indice. Poi rivolse al tassista un debole sorriso.
«Ti aggiorno più tardi. Comincio ad essere stanca, sai.» e riagganciò.
«Vuole fermarsi?»
La donna guardò oltre il suo naso, cercando i suoi occhi nello specchietto retrovisore.
«No affatto. Ho bisogno di un po’ di gioia stanotte.»
«Spero che la trovi. Non è molto facile credo.»
«Oh, per me lo è. Sono circondata da tristezza e il mio compito è proprio quello di portare gioia a chi non ne ha.»
«Cos’è? Una benefattrice?»
«Una cosa del genere. Ora mi porti al 50 di Kyoto avenue, per favore.»
 
Ore 2:30 – Kyoto avenue
 
La ragazza uscì di corsa dal portone del palazzo dove era entrata pochi minuti prima. Teneva stretta a sé un ragazzino magro e pallido. L’unico colore evidente era il rosso del suo sangue che aveva imbrattato anche la camicia rosa cipria della sua cliente.
Il tassista si precipitò all’esterno verso i due e notò che il ragazzino aveva dei rivoli di sangue lungo le braccia e la ragazza gliele teneva strette, avvolte da un panno.
Poi il suono delle sirene in lontananza si fece assordante mascherando i singhiozzi di lei e il tentativo di lui di darle una mano, ad aiutare quel bambino divenuto quasi trasparente.
«Ma che gli è successo?»
«Ha tentato il suicidio, non vedi? Ha solo dodici anni, Dio.»
Lui restò immobile, a guardarla mentre con un’estrema sicurezza affidava il bambino alle cure dei paramedici.
Non dissero una parola, una volta entrati nel taxi. Lei ricevette la solita chiamata post-lavoro e, questa volta, era visibilmente sconvolta.
«Mi dispiace che abbia dovuto assistere al mio lavoro. Ma non ho potuto fare altrimenti.»
«Si figuri… è una cosa, insolita.»
«Cosa? Aiutare le persone?»
«No. Non farsi prendere personalmente da ciò che succede.»
«E qui che si sbaglia. Io lo faccio, eccome. È stato proprio un evento che mi è successo a undici anni che mi ha spinta a dedicare la mia vita ad aiutare le persone.» e gli rivolse l’ennesimo sorriso.
«Oh, capisco.»
«Avevo undici anni, quando ho conosciuto una persona. Aveva uno sguardo duro ma triste, era sempre solo e io, ogni volta che tornavo a casa da scuola, piangevo per delle ore.»
Lui ascoltò senza domandare nulla.
«Era un bambino biondo, con molti più anni sulle spalle di quanti ne avesse realmente vissuto. Era un bullo e, a sua volta, ha fatto piangere molte persone. Ma io sentivo ci fosse dell’altro dietro. Non avevo mai provato niente di simile, guardando negli occhi qualcuno. Aveva bisogno di aiuto, cosìcome le persone che lui stesso tormentava.»
«Ed è riuscita ad aiutarlo?»
«Pensavo di sì. Pensavo di aver alleggerito il suo cuore, standogli vicino e facendogli capire che lui non era il demonio che tutti dicevano che fosse. Poi, all’improvviso, non è più venuto a scuola. E io non l’ho mai più visto.»
Il tassista la guardò, pensando alla sua vita e alle decisioni che aveva preso. Alla sua famiglia e alla sua infanzia perché, improvvisamente, si sentì inspiegabilmente vicino a quella donna seduta sul sedile del passeggero.
Eppure qualcosa di familiare in lei c’era. il suo profumo. Il suo sorriso… perfino quel colore di capelli così inconsueto.
Poi lei si spinse verso di lui.
«Ecco, questi sono 10000 yen. Io sono arrivata.»
E lui si sentì solo di colpo, una sensazione che non provava da tempo.
Quando la donna uscì dal taxi, sentì nuovamente il suono del suo cellulare.
«Kurata.»
E lui, di colpo, ricordò.
I giorni, le ore, passate insieme a quella donna che aveva amato più della sua stessa vita. La sua infanzia e il suo passato, dal quale proprio lei lo aveva salvato. La loro adolescenza, i baci rubati all’ombra dei ciliegi e, infine, l’incidente a diciotto anni.
Poi, il buio. Fino a quella notte.
Di scatto, aprì la portiera del taxi.
«Sana!»
Lei si voltò, in lacrime, ma con il sorriso sule labbra.
«Hayama, ti sei ricordato.»
«Come potrei dimenticarti?»
«Lo fai ogni notte, dall’incidente. Ma ci sono io, a ricordarti di noi.»
E lui si lanciò verso la sua amata.


*Note d'autrice*
Ciao a tutti. Piccola, ma nemmeno tanto, storia ispirata dal film "Collateral". 
Attendo come sempre i vostri commenti, sperando che vi piaccia.
Baci
Alex
   
 
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