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Autore: crazy lion    04/09/2020    3 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti che Demi e la sua famiglia hanno vissuto, raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
A quasi quindici anni, Demi lotta ancora in silenzio contro i suoi demoni, tenendosi dentro un dolore indicibile che sfoga con comportamenti che sembrano farla stare meglio, ma che in realtà la distruggono pian piano. In un pomeriggio di luglio la sorellina Madison, di soli cinque anni, le propone di guardare i cartoni con lei e Dallas per passare un po' di tempo insieme. Che avrà in mente la piccola? E Demi riuscirà a distrarsi e a non pensare, anche solo per un momento, al tormento che ha dentro?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare veritiera rappresentazione del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Demi Lovato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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LA MAGIA DELL’ARCOBALENO

 

INTRODUZIONE

 
Dedico questa storia alla mia amica Emmastory. Altre volte abbiamo collaborato insieme, anche con fanfiction non ancora pubblicate su EFP.
In questa ciò non è avvenuto, però in parte è stata lei a darmi l'idea, molto generale, della storia, e mi sembrava corretto attribuirgliene il merito.
Ultimamente da me è piovuto molto, ha anche grandinato una volta e le ho domandato se avrebbe potuto trovarmi qualche prompt sulla pioggia o sul temporale. Volevo scrivere qualcosa a riguardo, ma non avevo un'idea precisa e, per quanto i prompt mi piacciano ma non alla follia, perché preferisco inventare trame mie, certe volte usarli è divertente. Non avendone trovati, Emmastory ha fatto per me una cosa bellissima: li ha inventati lei stessa ed è riuscita, con questo gesto, a farmi sorridere. Uno di essi era caratterizzato da una sola frase, da cui sono partita per creare una storia aggiungendo scene e dettagli.
 
Ci tengo a precisare fin dall'inizio che, anche se questa fanfiction è un po' più leggera delle altre, le tematiche delicate riferite ai problemi di Demi ci sono. Non costituiscono la trama principale, ma ci ho comunque dato importanza.
 
Mi sono concentrata un po’ più su Madison, che qui ha cinque anni, che sugli altri personaggi. Ci sarà anche il punto di vista di Demi, ma ho cercato di dare più importanza alla sua sorellina e a quello che prova e a ciò che, vista l’età, non capisce. Proprio dato che la bambina ha cinque anni, ci saranno alcuni errori nell’uso dei verbi (qualche congiuntivo e condizionale sbagliato). Saranno rari, ma li ho inseriti perché è normale che a volte i bambini commettano questi errori, per quanto possano essere bravi a parlare. Lo specifico, così quando noterete lo sbaglio saprete che è voluto.
 
Questa storia è ambientata a Los Angeles. Demi è andata ad abitarci con la sua famiglia nel 2007, a quanto scrive Dianna nel memoir Falling With Wings: A Mother’s Story, perché la mamma di Selena, Mandy, le ha chiesto di vivere insieme in un loft, dato che sua figlia era lì per recitare in Wizards of Waverly Place. Nel mese in cui la mia fanfiction è ambientata, luglio, era già tornata a casa in una città del Texas, ma, come sa bene chi mi legge da tempo, ho ambientato tutte le mie storie a Los Angeles per comodità. L’ho fatto anche perché, quando ho iniziato a scrivere, ancora non sapevo che Demi avesse vissuto anche a Colleyville, quindi poi ho proseguito su questa linea. Non che nella seguente storia una città o l’altra faccia la differenza, ma ci tenevo comunque a precisarlo.
 
E un'altra cosa importante: mi serviva un cartone animato in cui, a un certo punto, uscisse un arcobaleno, o comunque piovesse. Ma non me ne veniva in mente nessuno, così la mia amica Emmastory mi ha dato il permesso di utilizzare quello che lei ha inventato per la sua saga fantasy Luce e ombra, in cui lo fa vedere ai personaggi dei suoi libri. Il cartone si intitola Pixie Club. È stata lei a suggerirmi di utilizzarlo ed era molto felice quando ho accettato. I nomi delle pixie sono anche opera mia: li abbiamo inventati io e lei per un altro progetto che pubblicheremo in futuro. Il cartone mostra anche tre razze di animaletti magici inventati dalla mia amica.
Preciso anche che non ho riportato nessun dialogo appartenente alla saga, soltanto i nomi delle creature, animali e pixie, del cartone e i loro poteri. I dialoghi delle fatine che ho inserito, riguardanti l’episodio che Madison vedrà in televisione, sono stati inventati da me con il consenso di Emmastory.
Vi consiglio di andare a leggere la sua saga, è bellissima, profonda e appassionante.
 
 
 
Seduta in salotto, Madison si godeva l’aria del ventilatore che rinfrescava la stanza. Le sarebbe piaciuto tanto correre fuori a giocare, ma era un pomeriggio di metà luglio, il sole splendeva alto nel cielo e l’aria era irrespirabile. Poteva solo guardare la televisione con accanto Buddy, il Cocker Spaniel bianco che i genitori avevano regalato a Demi quando aveva cinque anni. Pur essendo un po’ vecchio, il cane le saltò in braccio dimostrando una discreta agilità e iniziò a leccarle la faccia.
“Buddy, no! Mi piacciono i tuoi bacini, ma mi fai caldo, smettila” pregò, accarezzandogli la testolina.
Per tutta risposta, lui smise di leccarla, ma rimase seduto sulle sue gambe a farsi coccolare.
“Ti adora proprio, eh?”
Una voce conosciuta la raggiunse dalla cucina. Era Dallas, che si diresse verso di lei con due bicchieri di latte al cioccolato. Madison sorrise, fece scendere il cane e accettò quella delizia. Subito Buddy iniziò a mendicare, ma le due gli fecero capire che non c’era niente per lui.
“È dolce, non ti piace” gli ripeté Madison, quando riprovò con lei, così il Cocker si allontanò e andò a dormire nella sua cuccia. “Sì, ma vuole bene a tutti” continuò la bambina, rispondendo alla domanda.
“Già. Che ti va di fare, oggi? Mamma sta riposando e Eddie è al lavoro, ma io e Demi siamo a casa, potremmo passare qualche ora tutte e tre insieme.”
Un pomeriggio tra sorelle? L’idea le piaceva tantissimo.
“Vorrei uscire a giocare, ma fa caldo e la mamma dice che se vado fuori mi sento male.”
“Stiamo dentro, allora. Vai a chiamare Demi, dai. Sono sicura che le farà piacere stare con noi.”
Madison abbassò lo sguardo.
“Devo proprio?” chiese, sospirando.
“Che ti succede?”
Quando le raccontò ogni cosa, la più grande sorrise.
"Va' tu a chiamarla. Sono sicura che sarà tutto a posto."
Le poggiò una mano su una spalla per incoraggiarla. Madison si alzò piano, tremando, e una volta arrivata alle scale si strinse le gambe con le mani, temendo che le prime si stessero sciogliendo. E se Demi ce l'avesse avuta ancora con lei? E se Dallas le avesse detto quelle cose solo per parlare, e non perché ci credeva davvero? Non capì come riuscì ad arrivare in cima. Inspirò a fondo, cercando di calmare il battito impazzito del suo cuore che le rimbombava nelle orecchie.


 
 
Demi se ne stava piegata in avanti, con la testa appoggiata alla scrivania. Allungò le mani, raccolse le cartacce e le gettò nel cestino, sperando che la mamma non si accorgesse di quante merendine erano sparite negli ultimi giorni. Magari avrebbe pensato che anche Dallas e Madison ne avessero mangiate, lo sperò con tutto il cuore. Dianna non le aveva mai chiesto niente, ma per quanto Demi avesse nascosto i suoi disturbi alimentari e gli altri problemi, il fatto che potesse porle qualche domanda non la faceva stare tranquilla. Schiacciò il più possibile le cartacce, in modo che sembrassero di meno, e spinse ancora di più il cestino sotto il tavolo.
Ma perché l’ho fatto? Perché continuo a comportarmi così? Io devo essere magra e perfetta, mentre così ingrasserò e diventerò una balena, come dicevano i bulli a scuola. Avevano ragione. Devo liberarmi subito di questo schifo.
In realtà conosceva alla perfezione i motivi che la portavano ad atteggiamenti del genere, e se mangiava con rapidità, di nascosto, come accade sempre ai bulimici, era perché si sentiva investita da mille emozioni negative, ma dopo ogni abbuffata si sentiva sempre in colpa. Non avrebbe dovuto, adesso aveva rovinato tutto.
“Se ingrassi forse nessuno ti vorrà più per fare audizioni. E il tuo sogno è cantare, giusto? Beh, così non ci riuscirai. E la tua famiglia? Pensi che vorrà bene a una grassona orrenda?”
La sua voce interna rifletteva i commenti dei bulli di qualche anno prima. Demi lasciò che qualche lacrima le rigasse il volto, mentre veniva colta da un’emicrania terribile. Era come se tanti martelli le stessero colpendo le tempie, dall’interno e dall’esterno, fracassandole e schiacciandole. Stava per urlare, ma poi quel dolore orribile, che non aveva mai provato prima e che non avrebbe nemmeno saputo descrivere, scemò.
Sospirò, ma il sollievo durò pochissimo. La voce aveva ragione, doveva vergognarsi di ciò che era, di quello che aveva fatto.
Si precipitò in bagno, si guardò allo specchio e si schiaffeggiò i fianchi e le gambe, per lei troppo larghi. In realtà era leggermente sottopeso per la sua età, ma non se ne rendeva conto. La malattia le rimandava una percezione distorta del proprio fisico.
“Ti odio” sputò. “Dovrei tagliarmi dappertutto. Anzi, non so nemmeno perché non l’ho ancora fatto.”
Ma ora non ne sentiva il bisogno, perciò non perse il controllo. Aprì l’acqua della vasca al massimo, poi il water e si infilò due dita in gola. Aveva appena ingerito una grande quantità di cibo, il vomito sarebbe arrivato presto. Fu così, infatti. Prima sentì un gusto acido in bocca, poi buttò fuori tutto. Si risciacquò la bocca, si lavò i denti per non farsi scoprire e tornò in camera.
Si pulì di nuovo, con un fazzoletto, per maggior sicurezza, poi si alzò in piedi e iniziò a cantare.
 
 
Sunshine breakin’ through the rain
I know I’m gonna be okay
But sometimes, it feels like this pain
Is never gonna go away.
Gotta tell my heart not to fall apart
When the teardrops start to fall
Somehow I’ll get through find a sky of blue
I’ll be fine when you don’t call
I’m talkin’ to the sky—hope he’ll tell me why
You didn’t say goodbye at all
You didn’t say goodbye
 
 
Si trattava di Pennies In a Jar, una canzone che la bambina aveva scritto qualche anno prima, quando aveva imparato a suonare il piano. Era stata molto brava fin da subito: ancora adesso, dopo aver ascoltato un pezzo un paio di volte, riusciva a riprodurlo nota per nota andando a memoria e a orecchio, senza bisogno di utilizzare uno spartito. Era stata la sua insegnante, Karen Jeter, a incoraggiarla a scrivere canzoni. E lei l'aveva fatto. Dopo Pennies In a Jar, la prima, aveva cominciato a non dormire per comporre e scrivere, e in un mese aveva composto e scritto più di cinquanta canzoni tutte sue.
Sospirò. Quando cantava quel brano, si ricordava ancora meglio tutto il dolore che aveva provato e che ancora sentiva gravarle sul cuore, e i ricordi e la paura si facevano più vividi e intensi, come se stesse rivivendo tutto anche se ora era più grande. Non avere una figura paterna accanto le era sempre pesato tantissimo, anche se con la mamma non ne aveva mai parlato. Eddie la amava come una figlia, ma non era Patrick, che, per quanto avesse fatto degli errori madornali, l’aveva messa al mondo e le aveva fatto trascorrere anche dei momenti felici. A suo modo, voleva bene a lei e a Dallas. Ma l’aveva sempre fatto nel modo sbagliato, scorretto, mostrando il suo lato violento, facendole chiudere in loro stesse sull’argomento anche se le ferite, sotto sotto, in loro erano ancora aperte e non smettevano di sanguinare e di bruciare. In seguito, l’uomo non era stato molto presente, anche perché la mamma per un periodo le aveva tenute lontane da lui affinché si disintossicasse. Demi la ringraziò mentalmente per questo. Quei pensieri le fecero tornare il bisogno di ingozzarsi, abbuffarsi e poi vomitare – lo faceva anche quattro volte a settimana –, ma non poteva, sarebbe stata vista. Si ricordò che avrebbe dovuto fare esercizio fisico, quella sera, per non ingrassare e rimanere in un range di peso normale. Avrebbe fatto flessioni, piccole corse e salti tutta la notte, pur di non mettere su nemmeno un grammo. Era già capitato che, sempre di nascosto, si allenasse anche per dieci ore, e non solo durante la fase di bulimia. Non sapeva nemmeno come ci riuscisse, tutto ciò la sfiniva oltre ogni dire e a volte era difficile non far notare la stanchezza, o inventare scuse, per cui spesso dopo gli allenamenti e quel paio di docce che faceva usciva e rimaneva fuori per un po’. Si sedeva su una panchina in un parco, oppure passeggiava con molta calma, tutto pur di star lontana da casa sua e non essere bombardata di domande, per poi tornare quando si sentiva meglio.
“Sai benissimo che lo vuoi, avanti” le disse la voce della malattia nella sua testa, carezzevole come sempre.
“Non posso, lo sai. Dopo, forse.”
L’anoressia, la bulimia e, da piccola, il binge eating si erano alternati, andando a fasi per alcuni anni, ma adesso era la seconda a farla da padrona nella sua vita. I disturbi alimentari esprimevano il suo dolore, la tristezza, ma anche altre mille emozioni negative. Quando, da più piccola, aveva lavorato per Barney And Friends, aveva iniziato a mangiare troppo, di nascosto, per calmare l’ansia. Si era sentita sotto pressione fin da subito. Nessuno le aveva mai detto come avrebbe dovuto apparire, ma quello che la Disney le aveva, inconsapevolmente, trasmesso era che bisognava comportarsi, essere in un certo modo: belli e perfetti. Da allora, il tutto era peggiorato anche a causa del bullismo. Se si tagliava, infatti, era a causa dei bulli, delle parole che le avevano sputato in faccia come veleno.
Tirò indietro, sul braccio, alcuni bracciali che si era legata, che andavano dal polso al gomito. Diceva alla mamma che lo faceva per moda, ma anche perché le piaceva, e lei non aveva mai posto domande né, grazie a Dio, visto niente. Per nascondere meglio, comunque, spesso indossava maglie a maniche lunghe leggerissime anche d'estate. Anche sua madre era freddolosa, lo era sempre stata, e Demi l'aveva vista mettere vestiti lunghi, in casa, anche quando fuori faceva caldo. Sotto uno dei bracciali, un paio di tagli erano ancora rossi, ferite fresche, procurate qualche giorno prima. Le aveva coperte con un cerotto dicendo che il cane l’aveva graffiata – non erano tanto profonde da richiedere una fasciatura, per fortuna, come invece era successo altre volte. Si guardò le braccia. In totale le cicatrici erano una trentina, alcune più piccole, altre più lunghe, sempre orizzontali, e le teneva coperte con del trucco durante il giorno, perché non si poteva mai sapere, anche se si ingegnava per non farle vedere era possibile che qualcuno notasse qualcosa. Le due fatte recentemente ancora tiravano e bruciavano, e il prurito era insopportabile. Si grattò forte, tanto non c’era nessuno, pur sapendo che non avrebbe dovuto farlo. Quando avrebbero fatto le croste, poi, sarebbe stato peggio. Solo il suo migliore amico, Andrew, era consapevole del fatto che si facesse male e spesso l’aveva aiutata a curarsi. Nessuno dei due aveva ancora capito che la cosa migliore era chiedere una mano, lui aveva provato a convincerla, ma alla fine si era arreso e lei gliene era grata. Nessuno avrebbe potuto salvarla dai suoi demoni, nemmeno lei stessa. Sapeva che tutto ciò che faceva non era giusto, che alla fine non la aiutava, che non parlare non le dava una mano, ma non riusciva a uscirne.
"Demi?"
La voce di Madison fu accompagnata da un leggero bussare alla porta.
La ragazza si tirò giù le maniche. Controllò che non si vedesse nulla, in allerta, con il cuore che le scalpitava nella cassa toracica, poi fece un respiro profondo.
Andrà tutto bene. Lei è piccola, non lo sa, non lo capisce. Non noterà niente, apri.
Quando Madison aveva due anni, le aveva spostato un braccialetto e aveva visto una piccola cicatrice, ma non aveva compreso vista l’età. Demi, tuttavia, ricordava quel momento come se fosse avvenuto il giorno precedente, si era spaventata da morire. Ma stavolta non sarebbe accaduto.
Controllò venti volte che i polsini fossero abbastanza stretti da far rimanere le maniche giù, o quantomeno da permettere loro meno movimento, si osservò ancora, come ossessionata, e con la testa che vorticava andò ad aprire. Si aggrappò alla maniglia per non cadere.
 
 
 
"Demi, ciao" la salutò Madison, in tono pacato.
Non voleva essere troppo espansiva. Visto quanto accaduto il giorno prima, non sapeva quale sarebbe stata la reazione della più grande.
"Se sei venuta a chiedermi se sono ancora arrabbiata con te, la risposta è no, anche se mi hai fatta stare male, all'inizio."
La piccina sospirò.
"Mi dispiace."
Non aveva trovato fogli da disegno in casa, la mamma in quel momento stava riposando, papà era al lavoro, e così era andata in camera della sorella e ne aveva strappato malamente uno da un suo quaderno. Peccato che, sul davanti, ci fosse scritta una nuova canzone, e che Madison ci avesse disegnato sopra rovinando tutto.
"Che cos'hai fatto?" le aveva urlato battendo un pugno sul tavolo e un piede a terra, quando se n'era accorta. "Eh? Come ti è saltato in testa? Lavoravo a quella canzone da giorni, era importantissima per me e tu l'hai distrutta! Hai rovinato tutto e adesso dovrò riscriverla, chissà se me la ricorderò perfettamente."
Demi si era trattenuta dal dire parolacce, ma accidenti, quanto avrebbe voluto sfogarsi buttandone fuori un paio. E poi, cosa che aveva fatto più male alla piccola, le aveva detto di andarsene spingendola via. Non era la prima volta che si comportava così con lei, ma nessun altro episodio era stato tanto brutto.
"Davvero non lo sei? Scusami, Dem, non ho fatto apposta. Cioè, avevo visto le parole, ma non so ancora leggere e non pensavo fosse una cosa così importante, anche se dovevo."
Demetria rimase in silenzio mentre la bambina se ne stava immobile, con le mani intrecciate in grembo e poi strette in pugno. Quasi non respirava e lo stomaco le doleva, ma quando la sorella sorrise tornò a stare meglio.
"Me la ricordavo a memoria, l'ho già riscritta e il pentagramma con le note era da un'altra parte, se avessi disegnato su quello sarebbe stato più difficile. Scusa se ho urlato tanto, ma sai quanto ci tengo alle mie creazioni."
"La prossima volta chiedo prima di prendere, la mamma ha detto che devo fare così."
"Esatto, ha ragione."
Demi la strinse forte a sé, rivolgendole un sorriso ancora più luminoso che scaldò il cuore della piccola, e Madison si sentì al sicuro, protetta fra quelle braccia.
"Per me sei la sorella più brava, bella e forte del mondo, e sei anche coraggiosa e sempre felice!" esclamò, eccitata.
La ragazza abbassò lo sguardo e Madison cercò i suoi occhi, trovandoli pieni di tristezza.
"Ho detto qualcosa di brutto?"
"No. No, non preoccuparti. Avevi bisogno di qualcosa?"
Parlava più piano, ora, e Madison si domandò perché.
"Io e Dallas vorremmo guardare la televisione insieme e passare un pomeriggio fra sorelle. Vuoi venire anche tu?"
"Volentieri."
"Yay, staremo tutte insieme! Staremo tutte insieme!" trillò la bambina, saltellando in corridoio e correndo giù per le scale. "Vieni, Demi, dai."
Lei seguì la sorella sentendosi come se una corda le stringesse lo stomaco in una morsa. E se Dallas si fosse accorta di qualcosa? Non poteva mai stare del tutto tranquilla, soprattutto d'estate, a causa dell'autolesionismo e delle possibili domande dei familiari.
Non può chiederti nulla, non si vede niente, hai controllato. Ma se, invece, si notasse qualcosa? Allora che farei?
La sua testa continuava a rimbalzare tra questi pensieri, da una parte all'altra, non dandole mai un secondo di pace.
"Signore," pregò, così piano che nessuno la udì, "fa' che viva qualche ora di tranquillità. Non ti chiedo molto, nemmeno la felicità. Vorrei solo un po' di pace. Ma sia fatta la tua volontà, come dico sempre. Amen."
Giunse le mani arrivata in fondo alle scale e si sedette sul divano. Dallas la salutò e Madison si piazzò in mezzo a loro. Per un po' le tre rimasero in silenzio, poi cominciarono a parlare del tempo, dell'afa e del caldo.
 
 
 
"Uno di questi giorni mi piacerebbe fare i gavettoni e tirarveli tutti addosso!" esclamò Madison.
"Ma sentila. Anch'io e Demi siamo brave, sai?"
"Esatto, da piccole colpivamo sempre la mamma e Eddie, mentre noi riuscivamo a evitarli, molte volte."
O forse erano i genitori che, avendo due bambine, le lasciavano vincere. Quale che fosse il motivo, la cosa importante era che si erano sempre divertite come matte.
"Allora li facciamo presto? Eh? Li facciamo?"
Madison si dimenava e alzava le braccia in aria e le sorelle non resistettero. Scoppiarono a ridere e Demi si lasciò andare così tanto che si piegò in avanti e si mise le mani sulla pancia per provare a darsi un contegno, fallendo. Madison le imitò e, non riuscendo a smettere, le tre iniziarono a gettarsi di qua e di là, anche le une addosso alle altre, cosa che aumentava le loro risate. Demi disse che non si era mai sentita così libera e leggera da anni. Il Signore doveva averla ascoltata.
“Siamo proprio sceme, ragazze” dichiarò Dallas.
“Beh,” aggiunse Demetria, “è bello esserlo ogni tanto.”
Quando si calmarono, Dallas andò a prendere qualche snack e le altre due accesero la televisione e cercarono qualcosa da guardare. Possibilmente un cartone animato, vista l'età di Madison.
"Sapete cosa? Ho sempre e solo visto l'arcobaleno in televisione, nei cartoni animati, mai dal vivo. Secondo voi succederà?" domandò Madison.
Gli occhi le brillavano e non faceva altro che sfregarsi le mani sui pantaloncini.
"Sono sicura di sì, ma nemmeno a me e a Demi è capitato molto spesso, purtroppo."
"Io sogno di vederlo" riprese, con la voce di chi lo fa a occhi aperti. “Demi, mi racconti la storia dell’arcobaleno e della pentola d’oro?”
“Sì, ma non la ricordo a memoria.”
“Non importa, dimmela come ti viene.”
La ragazza si sistemò meglio sul divano, con la schiena ben appoggiata e le mani sulle gambe, in una posa rilassata.
"Il 17 marzo, in Irlanda, è festa nazionale per San Patrizio, che ne è il patrono. A lui sono legate molte leggende, tra le quali quella dell'arcobaleno e della pentola d'oro. La gente la racconta in maniera diversa. La prima che ti dirò, in realtà, non è una vera e propria storia. C’è un leprecauno che custodisce il tesoro delle fate. All'arrivo dell'arcobaleno, questo va a nasconderlo. Ce n'è anche un'altra versione: alla fine di un arcobaleno si trova una pentola piena d'oro alla quale fa guardia uno gnomo. Si narra che un contadino, di nome Berry, avesse grossi problemi con la sua fattoria. Un giorno incontrò uno gnomo che esclamava:
"Ahi, sono troppo vecchio per salire sul monte dove si trova la pentola d'oro, non è giusto!"
E così…"
Madison la interruppe scoppiando a ridere e tenendosi il petto. Demetria aveva modificato la sua voce per farla diventare un po' più grave e curvato le labbra in giù per sembrare triste.
"Sei così buffa, Dem!" ridacchiò ancora la piccola.
Del resto, la ragazza aveva recitato e fatto audizioni per anni, era normale che riuscisse a essere molto realistica nelle sue espressioni. Madison, comunque, non smetteva di divertirsi. Non aveva mai riso tanto durante una giornata in cui non aveva niente da fare e non poteva giocare.
"Comunque," riprese Demetria con un sorriso, "il contadino lo aiutò e, dopo tanta fatica, trovarono la pentola piena d'oro.
Per ricompensarlo, lo gnomo divise il tesoro con lui. Berry raccontò al vicino di casa quanto accaduto e questi andò sulla montagna per prendere un po' di denaro. Quando lo gnomo scoprì tutto, si arrabbiò tantissimo e fece crollare la casa del contadino."
"Ma non è giusto!" protestò la bambina, come accadeva ogni volta. "Lo gnomo non gli aveva detto di non raccontare nulla a nessuno."
"Eh, lo so," rispose Dallas, "ma la leggenda dice così, non l'abbiamo scritta noi."
"Secondo voi Berry è morto?"
"No," riprese Demi, "sono sicura che fosse fuori quando è accaduto e ne avrà costruita una ancora più bella con l'aiuto dei suoi vicini. E sicuramente avrà imparato la lezione."
Le tre si concentrarono sulla televisione.
"Questo!" strillò a un certo punto Maddie, alzandosi in piedi.
"Non urlare."
"Scusa, Dallas, ma sai che mi piace tanto."
"Va bene, guardiamo Pixie Club, allora."
La piccola ne fu catturata fin dalla sigla che ormai conosceva a memoria: una canzoncina cantata dalle sette fatine di quel cartone, che dicevano che ogni giorno imparavano cose nuove durante la loro vita nel bosco. Sullo schermo si vedevano tutte insieme. Madison sapeva tutto di ognuna, così cominciò a snocciolare nomi e abilità. C'era Emery, che aveva i poteri della natura, Ada controllava il vento, Alisha l'acqua e indossava un vestitino azzurro lungo fino ai piedi, Ember, il cui potere era quello del fuoco e aveva i capelli rossi, Tesia, legata al potere della terra e con la chioma bruna e, infine, Atlas e Daria, due gemelle identiche. La prima utilizzava l'energia della luna e l'altra quella del sole. Le due sorelle non fermarono Madison, era tanto felice e con il viso aperto in un sorriso così grande, che interromperla sarebbe stato un peccato.
"Sembra molto interessante" considerò Demi.
"Lo è, vedrete."
 
 
 
"Stai bene?" chiese Dallas alla sorella.
La vedeva strana, silenziosa, ogni tanto fissava nel vuoto.
Bene era una parola grossa, meglio di sicuro. Raccontare la favola l’aveva distratta. Ma che avrebbe dovuto dire?
“Sto bene, ma il mio passato mi perseguita, spesso sogno papà o i bulli, ho paura del futuro, anche se desideravo tantissimo recitare per Sonny with a Chance e Camp Rock, mi taglio e a volte mi abbuffo e vomito e altre mi nutro pochissimo e rimetto perché questo mi aiuta a sentirmi meglio per un po’?”
No, era fuori questione. Optò per una via di mezzo.
"Sì, abbastanza. È solo che prima Madison mi ha detto che sono forte e coraggiosa. Mi fa piacere che mi veda così, ma io non lo sono."
Dallas le prese la mano. Demi tremava appena e ce l’aveva fredda. A volte le capitava nei momenti in cui era tesa, anche se in realtà da quando aveva iniziato a soffrire di disturbi alimentari, soprattutto di anoressia, si era fatta più pallida e aveva spesso freddo, perciò si copriva di più durante quelle fasi, anche per nascondere in parte la magrezza. Si godette il calore dell’altra stringendogliela più forte.
“Come fai ad avere freddo d’estate?”
“Sono come la mamma.”
Che scusa del cazzo!
"Perché dici che non sei forte?"
La ragazza aveva sperato che la sorella si fosse dimenticata delle sue parole, invece no.
Se sapessi tutto, anche tu la penseresti come me rifletté, poi mormorò soltanto:
"Perché è vero. Non lo so, okay? Forse sono solo nervosa, agitata. Ad agosto inizierò a recitare per Sonny with a Chance e a settembre partirò con mamma e Madison per il Canada per cominciare le riprese di Camp Rock. Sono cambiamenti importanti."
"Sì, posso immaginarlo."
Lo immaginava, eh? Ma perché la gente diceva di immaginare o di capire, quando in realtà non era vero perché non aveva vissuto le stesse esperienze dell’altra persona, o magari sì, ma di sicuro non provato i medesimi sentimenti? Neanche Demi, a volte, capiva cosa ci fosse nella sua testa quando le voci dell’anoressia, dell’autolesionismo o della bulimia si impossessavano di lei, le facevano bene e male al contempo e l’ansia di certo non aiutava. Come sarebbero riusciti, tutti gli altri, a comprendere ciò?
"Che significa? Mica ci vai tu in Canada, lontano dalla tua famiglia" replicò l'altra, stizzita.
"Beh, scusa."
Dallas si alzò di scatto, ma l'altra la prese piano per il polso.
"Non litigate! Dai, dobbiamo guardare il cartone!" esclamò Madison.
La più grande si risedette.
"Perdonami. È che anch'io recito, a volte, e faccio audizioni, anche la mia vita è diversa rispetto a quando eravamo bambine. Però sì, per te dev'essere ancora più difficile. Forse non lo riesco a immaginare, né a capire, ma ci sono se vuoi parlare."
Demi le sorrise.
"Grazie, e perdonami se sono stata brusca. A volte non me ne rendo nemmeno conto. Neanche io riesco a capirmi."
“Nessuno lo fa del tutto, con se stesso.”
“Già, ma io sono un po’ strana, ecco.”
Ridacchiò e sdrammatizzò, altrimenti Dallas avrebbe compreso che qualcosa non andava, iniziato a fare domande e scoperto tutto, oppure sarebbero arrivate a litigare e lei non voleva nessuna delle due cose. No, si disse, nessuno poteva immaginare, né comprendere ciò che stava passando. Ogni giorno sentiva su di sé un senso di oppressione sempre più grande, come una mano enorme che la spingeva sempre più giù. Lei sapeva solo una cosa: che voleva cantare. Le piaceva anche recitare, ma il canto era la sua strada, ne aveva già parlato con sua madre tempo prima e lei aveva capito che era quella la sua vera passione. Desiderava recitare per quegli show, ma per una ragazza di quasi quindici anni rendersi conto che la propria vita sarebbe cambiata, e parecchio, non era facile. Per questo aveva iniziato ad avere più attacchi di bulimia. Nel water, in quel modo, finivano per un po' tutte le sue preoccupazioni, le tensioni, le paure. E con i tagli, oltre a mitigare il dolore per il proprio passato, cercava sollievo dall'ansia persistente che provava, notte e giorno.
"Va bene," disse sospirando, "ora concentriamoci sul cartone."
Non seppe se lo mormorò a lei e a Dallas o soltanto a se stessa, ma doveva distrarsi, o sarebbe impazzita. Il cuore martellava così forte che pareva scoppiare e sudava tantissimo. Faticava un po' a respirare e per questo prendeva respiri profondi per provare a calmarsi. In più, se avesse ascoltato il suo corpo, non avrebbe fatto altro che continuare a camminare, perché l'ansia le impediva di stare ferma. Ma quel giorno se lo impose: non voleva spaventare nessuno, soprattutto non una bambina. Si aggrappò al divano, iniziò a contare e rimase immobile. I secondi le parvero minuti, i minuti ore, il cuore non si calmava e il respiro non si regolarizzava, così iniziò a canticchiare nella testa una delle altre canzoni che aveva scritto, immaginando di suonarla al pianoforte. Funzionò, perché più andava avanti più il respiro era calmo, i muscoli si rilassavano, il cuore rallentava i battiti. Sì, stava meglio. Non era stato un attacco di panico molto forte, alcuni duravano mezzora o più e la lasciavano svuotata di ogni energia fisica e mentale per ore, adesso invece si sentiva solo un po’ stanca. Fece ricadere le braccia lungo i fianchi e appoggiò le mani sulle ginocchia.
 
 
 
Le due sorelle si riscossero con un leggero tremore quando Madison le interruppe. Avevano parlato da sole, isolandola un momento, e per quanto a volte capitasse, si sentirono un po’ in colpa per questo.
"È finita la prima puntata” si lamentò la piccola. “Uffa, ma perché non siete state attente?”
Come mai non le avevano dato retta, prima, quando aveva detto loro di ascoltare e guardare? Okay, a volte i grandi devono parlare di cose importanti, lo sapeva, ma non avrebbero potuto aspettare?
"Hai ragione, piccola, ti prometto che da adesso in poi saremo tutte per te e guarderemo assieme l'episodio" le disse Demi.
Dopo il motivetto allegro della sigla, il sole sorse su un bosco in quella che doveva essere la primavera o l'estate, dato che tutte videro alberi con foglie verdi, fiori colorati e insetti che svolazzavano qua e là. In quell'episodio, al bosco pioveva. Tuttavia, alle bambine non sembrava importare e se ne stavano tranquille all'aperto. Ogni pixie aveva con sé un cucciolo, un animale da compagnia.
"Perché il cane di Alisha ha le focature azzurre?" chiese Demi, incuriosita.
"Perché ha i poteri del ghiaccio. Guarda!"
Alisha non era l'unica ad avere un Arylu – ognuno era nero, solo le focature cambiavano colore in base al potere che possedeva –, ne aveva uno anche Ada il quale, come lei, aveva il potere dell'aria.
Madison indicò lo schermo in quanto il primo Arylu, Ice, saltellò e creò un turbine di fiocchi di neve.
"Gli Arylu usano i loro poteri quando sono felici o emozionati" cantilenarono Emery e Alisha in coro, come se avessero recitato quella formula decine di altre volte.
L'altro cagnolino, un maschietto di nome Burian, girò su se stesso più volte, fino a barcollare e quasi a cadere, producendo una folata di vento.
"Wow, che figata allucinante!" esclamò Dallas, agitando braccia e gambe. "Anch'io voglio un Arylu."
Non riusciva a contenere la sua gioia. Il cuore faceva le capriole e avrebbe voluto entrare nella televisione e prendersene uno come quando, da piccola, credeva che facendolo avrebbe potuto prendere in braccio un bambino di un film o un cartone, o accarezzare un animale selvatico di qualche documentario. Non poté tenersi tutto dentro e lo raccontò alle sorelle. Demi sorrise e Madison scoppiò a ridere.
“Ma sei scema? Non si può” la prese in giro, ma sorrideva in modo gentile.
“Maddie, non si dicono queste cose a nessuno” la rimbrottò Demi.
“Scusa, Dallas. Pensavo che ti avvicinavi allo schermo, ci mettevi sopra le manine e rimanevi delusa e… ero triste per te e divertita.”
Dallas rimase zitta.
“È una bambina, dai, non lo fa apposta.”
“La difendi troppo spesso, tu, ma va bene.”
"Secondo me vuoi un Pyrados, sorellona" riprese Madison.
La maggiore la guardò intensamente.
"Un cosa, Maddie?"
Fu solo allora che lei e Demetria si accorsero del fatto che Tesia aveva, accanto a sé, un draghetto grande come un gattino di sei mesi, tutto rosso, con una lunga coda fiammeggiante e una specie di uovo fra le zampe.
"Questo è il mio Pyrados, si chiama Rojo. I draghetti come lui possono essere tutti di un colore, ma sempre delle sfumature del tramonto. Quello che vedete fra le sue zampette è un resto del suo uovo, che tiene per ricordarsi della mamma anche quando cresce. Tutti fanno così."
“Che tenerezza!” esclamò Demi con una vocina dolcissima.
Il piccolo sputò fuoco spaventando gli Arylu. Anche Daria ne aveva uno, con i poteri del sole e delle focature di un giallo intenso che colpirono molto Demi e Dallas. Tutte le altre pixie avevano una ranocchietta a testa. Dissero che la razza si chiamava Slimius.
In seguito, i cuccioli cominciarono a giocare facendosi piccoli agguati e producendo ognuno il proprio verso, mentre le bambine li inseguivano e si rincorrevano a vicenda.
"Dai, facciamolo anche noi."
Madison esortò le più grandi a divertirsi, anziché rimanersene sedute sul divano.
"In casa? Ma la mamma si arrabbia" puntualizzò Dallas, guardandola seria.
"Andiamo, Dallas, giochiamo con lei."
Adesso che si era distratta, Demi capì che le aveva fatto bene raggiungerle per quel pomeriggio fra sorelle. Non vedeva l’ora di alzarsi, giocare, fare qualcosa, muoversi, ma si stupì quando si rese conto che il suo fine non era rimanere nel giusto peso per nascondere il suo disturbo alimentare. Voleva divertirsi per il puro gusto di farlo e ciò le aprì il viso in un sorriso sincero.
"E va bene."
Dallas finse che tutto ciò le desse fastidio, ma in realtà stava ridendo.
Quando le tre si alzarono lo fece anche Buddy, che, nel momento in cui le vide rincorrersi piano per il salotto, iniziò a inseguirle e a fare loro le feste saltando addosso a ognuna. Abbaiava quando non riusciva a prenderle, mentre cercava di saltare più in alto per leccare loro la faccia quando si gettava addosso alle tre.
"Sono una pixie, posso volare!" Madison non gridava, ma alzava la voce più del normale e, convinta di ciò che diceva, apriva le braccia e saltava in lungo come se riuscisse a fare dei piccolissimi voli. "Non lo fate anche voi?"
Pur di vederla felice, le due obbedirono. Demi ci riuscì anche se in modo goffo, Dallas, invece, perse l'equilibrio e cadde a terra. Per fortuna c'era il tappeto e fu in grado di proteggersi la testa.
"Ti sei fatta male?" le domandò Demi.
"No, ma," e poi sussurrò, "mi sento una scema a fare queste cose."
L’altra ridacchiò.
"Anch'io, ma sono giochi da bambini, accontentiamola."
Demetria faceva audizioni o recitava per entrare a far parte del cast di film o show e spesso era via, a volte doveva anche spostarsi con la famiglia per questo. Per Dallas valeva lo stesso, in più lei stava lavorando da Buckle, un negozio di vestiti lì in città, perciò non potevano stare con Madison quando lei tornava da scuola, non tutti i pomeriggi, almeno, e la sera erano troppo stanche per giocare.
"Vi ho sentite, non serve che parlate piano" fece loro notare, poi abbassò lo sguardo. "Sto male quando vi vedo poco."
Il suo cuore perse un battito e cercò di non piangere, ma una singola lacrima solcò la sua guancia destra. Gli occhi le bruciavano, ma li chiuse per impedirsi di scoppiare.
"Anche noi, tesoro" ammisero insieme le due sorelle, poi sospirarono, mentre il loro corpo diventava all’improvviso troppo pesante.
"Ma cerchiamo di stare con te il più possibile, non lo facciamo apposta" le spiegò Dallas, provando a mettere un po’ di brio nella voce.
Lei e Demi si guardarono: la seconda nascose qualche lacrima che le rigò il volto e che bruciò come fuoco vivo che le ustionava la pelle e la carne, mentre la prima strinse i denti fino a farsi male per non scoppiare in pianto. Quando non erano a casa per tante ore, per un motivo o per l’altro, a entrambe mancava la loro sorellina. Glielo dissero.
“Insomma, tu sei quella bambina che noi abbiamo coccolato, cullato, calmato mentre piangeva, abbiamo aiutato la mamma a prendersi cura di te e giocato con te, quando sei diventata più grande. Ti abbiamo voluto bene fin dal primo istante. Eravamo così eccitate, quando sei nata, che ci è mancato poco ci mettessimo a urlare” continuò Demi con voce rotta, mentre la mente e il cuore viaggiavano fra quei ricordi felici.
“Ha ragione.” Dallas dovette schiarirsi la voce. Le parole della sorella erano state tanto belle da farle mancare il respiro e rinsecchirle la gola. Non riusciva nemmeno a pensare a cosa dire, ma era giusto che facesse capire alcune cose importanti a Madison. “Tu sei fondamentale per noi, piccola, e anche se a volte non ci vediamo o ci incontriamo poco, non smetteremo mai di volerti bene.”
Madison sorrise.
“Davvero?”
“Ma certo!” risposero le due in coro.
"Però lavorate sempre così tanto."
Dai loro sospiri e sguardi pieni di dolore capì di aver fatto loro male e si scusò con un "Mi dispiace" appena udibile, ma non era stata in grado di nascondere la verità.
"Non scusarti, Madison, fai bene a parlarci di come ti senti” la rassicurò Demi. “Non smettere mai di farlo. Almeno tu. Non commettere i miei stessi errori."
Pronunciò quelle parole con un filo di voce. Dallas non sembrò udirle, ma Maddie sì. Le si avvicinò e le prese la mano, così Demi si abbassò alla sua altezza.
"Che vuoi dire?"
"Niente, niente. Nulla di importante."
Ma dal modo in cui si tirò indietro, con uno strattone, la bambina capì che la sorella aveva qualcosa che non andava. Che avesse fatto uno sbaglio e non fosse riuscita a dirlo? Ben presto, però, quel pensiero fu sostituito da un abbraccio di gruppo che le unì in un momento pieno di calore e affetto.
Dopodiché, si concentrarono sulla televisione e la prosecuzione dell'episodio.
Animaletti e pixie saltavano nelle pozzanghere, ci si buttavano dentro riempiendosi di fango e le piccole ridevano come pazze.
"Anch'io voglio tuffarmi in una pozzanghera!" trillò Madison. "Posso, Dallas?"
"No."
"Dai! Demi, posso?"
Era lei quella un po’ più buona, che l’aveva sempre viziata di più.
"Per me una volta potresti anche farlo," ridacchiò, "ma poi ti ci vorrebbe un bel bagno, dovrei lavare i tuoi vestiti e la mamma non sarebbe molto contenta di tutto ciò."
"Comunque sì, raga, il mio animale preferito di quelli che ho visto è il Pyrados!" esclamò Dallas e batté forte le mani.
"Il mio l'Arylu" disse Demi, mentre Madison preferiva lo Slimius.
Atlas scivolò sull'erba bagnata e, finendo con il ginocchio su un sasso, se lo sbucciò. La gemella fu lì per lei. Corse subito nella casetta lì vicina, che tutte abitavano, per prendere un cerotto con sopra uno sticker con una faccina sorridente e glielo applicò dopo averla disinfettata. Il dettaglio della medicazione non sfuggì a nessuna delle tre.
"Simpatico" commentò Dallas.
"Grazie" mormorò la pixie alla gemella.
"Ci si aiuta sempre, fra sorelle, e anche fra amiche" disse Daria.
"È una lezione che hanno imparato tempo fa in un'altra puntata, e ogni tanto ripetono quello che sanno" spiegò Maddie, tanto concentrata che aveva parlato con un tono di voce strano, come se pensasse davvero di trovarsi in quel mondo e non a casa propria.
Forse vedendo quanto le sorelle fossero unite, o magari a causa del gioco con gli altri animaletti, l'Arylu di Daria prese a saltellare in giro, abbaiando felice, e la pioggia smise di scrosciare. Proprio mentre l'arcobaleno stava spuntando, nella realtà ci fu un tuono fortissimo e la corrente saltò.
Un rombo fece tremare i vetri delle finestre e Madison giurò di aver sentito muovere anche il pavimento.
"Ragazze, tutto bene?"
Era la mamma, che parlava loro dalle scale.
Le tre risposero di sì e, assieme a lei, fecero il giro della casa per chiudere le imposte. Madison volle inginocchiarsi su una sedia e provare a farlo come le sorelle, e subito un soffio di vento freddo le sferzò il viso, tanto che si portò una mano alla guancia per diminuire il leggero dolore che sentiva. Il cielo si era oscurato, nuvole grigie e nere lo solcavano portate dall’aria. La bambina riuscì ad avvicinare le imposte, e ascoltò il vento che, fuori, fischiava e ululava, ma non fu in grado di chiuderle. Bisognava girare un paio di maniglie, ma per lei erano dure. Provò e riprovò senza successo, le muoveva di poco, eppure le altre ci erano riuscite con facilità.
"Ti aiuto io" si offrì Demi.
"Grazie." Una volta fatto, la bambina scese con attenzione. "Hai paura? Sei pallida."
Demi sospirò.
“No, sono solo stanca.”
Forse, pensò, se vado ad aiutarla con Buddy, la farò sentire meglio.
Il cane era nascosto sotto il divano, appiattito contro il pavimento. Demi cercava di farlo uscire muovendo una pallina e chiamandolo, quando Madison le si avvicinò.
"Potremmo provare con una crocchetta," sussurrò, come se il cane avesse potuto sentirla o capirla,
"oppure con un biscottino."
"Vi porto entrambi" disse Dianna. "Li apprezzerà di sicuro."
Buddy non ringhiava, ma uggiolava fortissimo spezzando il cuore di tutte in quella stanza.
Madison gli allungò la crocchetta. Il cane allungò piano il muso, ma la mangiò e fece lo stesso con il biscotto che gli diede Demi. Non uscì dal suo nascondiglio.
"Lasciamolo stare" suggerì Dianna. "Andiamo in cucina, così resterà da solo e uscirà quando se la sentirà. Non c'è molto altro da fare in questi casi."
Per quanto dispiacesse a tutte, le tre figlie obbedirono.
Dallas aprì appena una finestra. Il cielo era ormai pieno di nuvole scure ed era incredibile che il tempo fosse cambiato in così poco, o forse erano state loro che, concentrate sul cartone, non se n'erano accorte prima. Il vento fischiava trasportando nuvole e fredde gocce che finirono sui visi di tutte, tanto che la ragazza chiuse in fretta. I tuoni bombardavano la volta celeste, ma non facevano paura a nessuna di loro. Le quattro rimanevano in silenzio ad ascoltare, godendosi le gocce di pioggia che, come tanti campanelli, cadevano da lassù e tintinnavano sul tetto. Ma, poco dopo, qualcosa cambiò. Si sentirono dei forti colpi che si abbattevano sul tetto e, ben presto, le orecchie di ognuna di loro furono piene soltanto di quel rumore forte e secco.
"Che cos'è, mamma?"
"Si chiama grandine, tesoro. Sono dei pezzi di ghiaccio che scendono dal cielo."
Madison non se ne accorse, troppo interessata a quella nuova scoperta – infatti aveva gli occhi sbarrati e pieni di meraviglia e curiosità –, ma Demi e Dallas percepirono il tremore nella sua voce.
"Per fortuna le nostre macchine sono in garage, mamma" rifletté Dallas.
"Sì, spero solo che vostro padre… insomma, Eddie sia riuscito a mettere la sua al sicuro."
"Non preoccuparti, puoi chiamarlo così. Anche se Patrick è il nostro padre biologico, per me e Dallas Eddie è comunque un papà."
"Infatti, lo sarà sempre."
Dianna sorrise.
"Dovreste dirglielo qualche volta in più, sapete? Lui lo capisce, ma ogni tanto sentirlo fa piacere."
Ha ragione pensarono entrambe all'unisono.
Non ci pensavano perché gli volevano bene e sapevano che lui ne era consapevole, ma si dissero che gesti come quello erano importanti e avrebbero reso felici sia loro che lui.
"Posso vedere la grandine?"
Madison insistette fino a quando sua madre si decise ad aprire una finestra più riparata rispetto alle altre, quella del bagno, dalla quale la pioggia non entrava quasi mai, nemmeno se cadeva controvento. I chicchi, alcuni piccolissimi, altri grandi come palline da Ping Pong, si abbattevano su tetti, giardini, sopra ogni cosa con violenza, producendo schiocchi non proprio rassicuranti, eppure Madison li guardava e non vedeva l'ora di toccarli. Non rifletteva sul fatto che, come stavano dicendo le sue sorelle dietro di lei, le piante del giardino, e non solo del loro, avrebbero perso tantissime foglie, sarebbero state piegate, forse alcune non ce l'avrebbero fatta e i raccolti, in campagna, in parte sarebbero stati distrutti o rovinati.
"E per fortuna non è ancora tempo di vendemmia, altrimenti sai che disgrazia!" esclamò Dallas.
"Già, poveri contadini" sospirò Demi.
Un anno di lavoro e poi questo? Assurdo. Eppure, anche loro rimasero in parte affascinate da quello spettacolo, per quanto sotto certi punti di vista potesse risultare una cosa brutta. Buddy, intanto, si era rannicchiato ancora di più sotto il divano e restava immobile, non piangeva nemmeno più e a volte qualcuno andava a vedere che respirasse ancora. Un lampo fortissimo illuminò il cielo e il tuono che lo seguì fu altrettanto violento, sembrò squarciarlo a metà. Fece tremare i vetri, come prima, e saltare madre e figlie per aria, urlando, stavolta.
"Ho paura! Ci sono dei mostri che mi vogliono mangiare, adesso entrano, lo so."
Madison lo gridò come nessuno l'aveva mai sentita fare e, tremando senza quasi riuscire a reggersi in piedi, si rifugiò fra le braccia della mamma che la strinse forte e le accarezzò i capelli. Il cuore della piccola batteva a mille, lei sudava e non riusciva a controllare i movimenti dei suoi muscoli che parevano avere vita propria. Si muovevano a scatti, preda di un violento un tremore incessante.
Demi le portò un bicchier d’acqua, poi un altro e, dopo averla fatta sedere, mentre Dallas le teneva le mani, Dianna le asciugò il sudore sul collo.
"Calmati, piccola. È solo un tuono e ci sono vento e grandine, ma nessun mostro, te lo assicuro."
Demetria pensò che, in quel periodo, dal lunedì al venerdì, in televisione davano in replica la serie Xena - principessa guerriera. Quando era andata in onda la prima volta, nel 1995, lei era ancora troppo piccola per godersela, anche perché in certi momenti era violenta, ma ne aveva sentito parlare molto bene in seguito da Eddie, che l'aveva seguita, e adesso che era cresciuta la stava apprezzando. I genitori avevano permesso di vederla anche a Madison, facendola voltare durante le scene che ritenevano meno adatte a lei o saltando addirittura interi episodi se Eddie ricordava che non andassero bene vista la sua età. Alla piccola non importava, lo diceva sempre, capiva lo stesso e poi, più che le scene di battaglia, le piacevano quelle tra Xena e Olimpia, la sua compagna di viaggio e amica, perché si vedeva che si volevano bene.
"Maddie, non dici sempre che vuoi essere coraggiosa come Xena? Ecco, adesso tu sei come lei e, anche se ci fosse un mostro, sono sicura che lo combatteresti e vinceresti" la incoraggiò la sorella.
Era quello il modo giusto per farle superare la sua paura? Non lo sapeva, ma ci aveva provato.
La bambina si illuminò, smise pian piano di tremare e, più tranquilla, sciolse l'abbraccio.
"Hai ragione!" esclamò. "Nessuno potrà battermi."
Corse in salotto a prendere il finto arco con le frecce che il padre le aveva comprato e a lanciarle in giro, stando attenta a non colpire qualcosa. Xena usava la spada, ma chi se ne importava? Era una donna che aveva fatto delle cose brutte e nella serie lottava per il bene, per diventare buona, o almeno questo era quello che lei aveva capito.
Si sentiva fortissima, invincibile. Avrebbe sconfitto il mostro, o qualunque altra cosa o creatura ci fosse stata là fuori. Ma, anche se si fosse sbagliata e avesse perso, non sarebbe stato un problema. Sì, ci avrebbe sofferto un po', però la mamma le diceva sempre che l'importante nel gioco e nella vita non è vincere, ma il modo in cui si combatte per arrivare dove si vuole o, e ricordava ancora quelle parole più difficili, raggiungere il proprio obiettivo. Una lezione di vita molto importante, simile a quelle che imparavano le pixie del cartone che le piaceva, ma che non era ancora sicura di aver appreso del tutto. Ne parlò con le altre.
"È bello che tu abbia pensato a ciò che ho detto" rispose Dianna, felice all'idea che la figlia l'avesse ascoltata.
Cercava sempre di farsi capire, quando le parlava di cose di quella portata, spiegandosi nella maniera più semplice e chiara possibile, ma, anche se la figlia annuiva e lei le chiedeva se aveva capito, a volte dubitava che fosse così e si domandava se non avrebbe fatto meglio a rimanere zitta, perché magari i concetti che cercava di metterle in testa erano troppo difficili per una bambina di quell'età.
"Non mi sembra che la situazione sta migliorando" considerò Madison e tornò da madre e sorelle con sguardo triste.
"Magari," propose Dallas, "se proviamo a lanciarle anch'io e Demi, le cose cambieranno."
Con tre sorrisi luminosi, e divertiti da parte delle più grandi, a una a una iniziarono a fare come avevano detto.
"Sto davvero lanciando frecce di plastica con un'estremità coperta da una ventosa e usando un arco finto?" chiese Demi alla sorella maggiore.
"Uhm, direi di sì, e hai appena centrato il divano, brava, bella mira!"
"Grazie. Però, è figo fare questa cosa!"
Le frecce colpivano il tappeto, le poltrone, una finì sul tavolo con disappunto di Dianna, e le sorelle si passavano l'arco tirandone una o due alla volta. Alla fine, Madison le raccolse tutte e le rimise nella piccola faretra che le conteneva, per poi riporre ogni cosa nel cesto dei giochi, che dovevano essere sempre messi via, anche se farlo a volte la stancava e la annoiava.
"Guerriera, ti ricordi cosa si dice nella sigla iniziale?" le domandò Dallas.
"Certo!"
Madison riprese la faretra e la strinse in una mano, nell'altra tenne l'arco e, dopo aver raddrizzato bene la schiena, iniziò con la voce più profonda che le riuscì:
"Al tempo degli dèi dell'Olimpo, dei signori della guerra e dei re che spadroneggiavano su una terra in tumulto, il genere umano invocava il soccorso di un eroe per riconquistare la libertà. Finalmente arrivò Xena, l'invincibile principessa guerriera forgiata dal fuoco di mille battaglie. La lotta per il potere, le sfrenate passioni, gli intrighi, i tradimenti furono affrontati con indomito coraggio da colei che, sola, poteva cambiare il mondo."
Si era già fatta spiegare, in passato, ogni parola difficile di quel brano.
Le capacità recitative di Madison non erano niente male, ma anche se non fosse stato così, per la mamma e le sorelle sarebbe risultata comunque bravissima. La applaudirono, impressionate, dato che era riuscita a dare molta espressività al testo, fermandosi nei giusti punti per poi ricominciare.
Quando la piccola tornò in cucina seguita dalle sorelle, ancora sorridente dopo la breve performance, si accomodarono tutte al tavolo e rimasero in silenzio ad ascoltare il temporale. La grandine aveva smesso di scendere e Madison sosteneva fosse stato tutto merito suo, perché aveva detto quelle frasi. Ascoltare la pioggia era rilassante per tutte, tanto che Dallas e Demi appoggiarono la testa sul tavolo come per addormentarsi. In più, quel continuo battere forse stava ispirando Demetria. Chissà, magari avrebbe scritto una canzone sulla pioggia, quella sera, includendo le emozioni che le trasmetteva, dato che tutto ciò che componeva conteneva una parte di se stessa.
"E il mio sogno?" chiese Madison.
"Quale sogno?"
Dianna non capiva a quale si riferisse. La figlia ne aveva molti, come quello di essere una principessa o di poter volare.
"Mi piaceva vedere l'arcobaleno, ma continua a piovere."
Sbuffò. Era vero, prima si era lamentata a causa del troppo sole, ma anche con la pioggia non si poteva giocare all'aperto e, per quanto si fosse divertita in casa, adesso desiderava che il suo sogno si avverasse. La mamma le aveva sempre detto che, se l'avesse voluto, avrebbe potuto realizzare tutti i suoi sogni. Ma come fare? Come aiutare il sole a uscire e l'arcobaleno ad arrivare?
"In questo caso ho io la soluzione" dichiarò Demi.
Aveva pensato di dire alla sorella che bisognava soltanto aspettare che la pioggia passasse, ma non l'avrebbe fatta sentire meglio. E poi qualcosa si era acceso in lei, una sorta di folgorazione. Come aveva fatto a non pensarci prima?
"E cosa? Cosa?"
Madison le si avvinghiò al braccio.
"Inventare una canzoncina per farlo tornare."
"Giusto!" si eccitò la piccola. "C'è la danza della pioggia, ci può essere anche quella del sole e dell'arcobaleno, no?"
Madre e figlie si misero a lavorare gomito a gomito. Demi spiegò che avrebbero dovuto creare rime armoniose, ma con parole legate le une alle altre e che avessero senso e, tutte assieme, una buona musicalità. Non fu facile, soprattutto perché erano in quattro e dovevano mettersi d’accordo. Capitò più volte che una parola o un verso che una apprezzava non piacesse a un’altra e così dovevano ricominciare. Ci vollero un paio d'ore, anche meno di quanto Dianna, Dallas e Madison si sarebbero aspettate, mentre Demi era abituata a scrivere una canzone anche in meno tempo. Alla fine, verso le cinque, un foglio giaceva di fronte a loro con un testo di pochi ma evocativi versi. Avevano intitolato la poesia Colori nel cielo.
"Per farne una canzone dovrei pensarci un po'. Comporre mi viene leggermente più difficile" disse Demetria, che era abituata a pensare alla musica assieme alle parole, ma quel giorno non c'era stato tempo. "Però possiamo recitarla, come se fosse una poesia. Ad alta voce, così il sole e l'arcobaleno sentiranno ed usciranno."
"S-sei sicura che funzionerà?" le domandò Madison.
E se avessero solo perso tempo? Se la situazione, anziché migliorare, fosse peggiorata?
"Proviamo" le rispose Demetria, che non se la sentì di prometterle nulla.
Tutte si alzarono in piedi, si misero in cerchio e unirono le mani, poi iniziarono a recitare.
 
 
Pioggia, pioggia,
che cadi scrosciante,
amo ascoltare il tuo ticchettio incessante.
Ora, però, per favore va’ via,
che splenda il sole sopra casa mia.

 
Voglio i colori dell'arcobaleno,
fra le nubi un sorriso sincero,
giocare nell'erba e alzare lo sguardo,
sentire nel vento un richiamo e un canto.
 
Rosso d'amore, arancio lieto,
verde di speranza e giallo più quieto.
Azzurro cielo, indaco lieve,
prezioso viola quasi evanescente.
 
Colori uniti come in una danza,
che voglio osservare dalla mia stanza.
Disegno divino, o fantasia, in realtà non importa,
voglio solo che ci sia.
 
Ti prego, pioggia, lasciaci stare,
torna in un giorno diverso a scrosciare.
Lascia che l'aria non sia più così fredda,
ma che i colori la scaldino con la loro bellezza.
 
 
La ripetizione della parola colori non era stata casuale, aveva detto Demi mentre ci pensavano e lei scriveva, ma voluta, per rafforzare il concetto che l’arcobaleno fosse colorato. Inoltre, questo e il fatto che il testo fosse corto e semplice avevano aiutato Madison a ricordarla meglio. Dato che a cinque anni non sapeva ancora leggere, aveva dovuto impararla a memoria.
"Ma è bellissima!" esclamò la piccola.
"Già, stupenda" aggiunse Dianna.
"E la cosa più incredibile è che l'abbiamo scritta insieme." Dallas sorrise. "Non avevamo mai lavorato a una canzone come gruppo."
“Avete ragione.”
Demi tirò su col naso e si asciugò gli occhi. Poche volte le capitava di commuoversi o di piangere per la felicità, ma quello fu uno dei rari casi.
Era bello, si dissero. Era meraviglioso avere un obiettivo comune che riguardava qualcosa che tutte amavano, anche se era Demi quella più appassionata al canto, Dallas preferiva recitare, e lavorare per creare qualcosa che appartenesse a tutte loro, spenderci tempo e poi vedere che sì, era un testo corto e semplice, ma che riusciva a evocare emozioni e sensazioni forti.
Pian piano la pioggia smise di scrosciare e, aprendo le finestre e le imposte, Dianna si accorse che la grandine era arrivata a ridosso della porta d'ingresso e di quella che dava sulla parte del giardino che si trovava dietro la casa. Con l'aiuto delle figlie più grandi spazzò i chicchi da una parte e Madison, nonostante l'aria fredda, volle uscire a toccarli. Alcuni erano grandi, ci stavano nel palmo della sua mano, altri più piccoli del suo dito mignolo.
"Cavolo, che freddi! E questa roba è scesa dal cielo?" chiese, pur conoscendo già la risposta, con occhi pieni di stupore.
Il sole fece, con lentezza, capolino fra le nuvole, che il vento, ridotto ormai a una leggera brezza estiva, stava già portando lontano.
"Guardate!" trillò Madison, che si mise una mano sul petto perché era rimasta senza fiato.
Madre e sorelle seguirono il suo sguardo puntato all'insù. Proprio come aveva detto la poesia, o la canzone – non avevano deciso cosa fosse in realtà, alla fine – l'arcobaleno ora riempiva il cielo con sette bande colorate. Iniziava con il rosso e poi, a seguire, c'erano l'arancione, il giallo, il verde, l'azzurro, l'indaco e il viola.
"Mamma, ti ricordi la prima volta che ci avete portate al mare tu e Eddie, quando Demi aveva cinque anni? Ecco, il giallo mi fa venire in mente questo perché è un colore allegro, estivo" disse Dallas, non riuscendo a staccare gli occhi da quello spettacolo della natura.
Sua madre sorrise.
"Il rosso mi fa venire in mente l'amore fra me e Eddie. Siamo insieme da tanti anni e questo sentimento è ancora vivo, nonostante le difficoltà."
La voce le vibrò per l’emozione.
E poi lui era sempre stato buono con lei, l'aveva amata nel modo giusto, come ogni persona a questo mondo meriterebbe. La sua relazione con Patrick, invece, era stata felice per lungo tempo, finché lui a un certo punto era cambiato. Ma ora Dianna non voleva pensarci, né dirlo e rattristare, o far soffrire, o arrabbiare le figlie maggiori. Non desiderava rovinare quel momento, tutte erano calme e serene e voleva godersi quegli attimi con loro.
Leggendo la felicità negli occhi della mamma per quell'amore tanto profondo, Dallas e Demi sentirono il loro cuore scaldarsi.
"Il viola è il mio colore preferito" decretò Madison. "E il verde quello della natura. Mi piace andare a camminare nel bosco tutti insieme."
Capitava che, a volte, nei weekend si dirigessero fuori Los Angeles per stare in tranquillità in mezzo alla natura, per rilassarsi e staccare dalla vita frenetica che conducevano.
"Per me, invece, il verde è simbolo di speranza."
"Speranza in cosa, Demi?" le domandò la mamma.
“In…” Esatto, in cosa sperava? In una vita felice, senza tutto quel dolore? Non era sicura di credere che sarebbe mai accaduto. A volte lo faceva, altre no e si diceva che sarebbe stata male per sempre, o che non ce l'avrebbe fatta. Non che pensasse di volersi uccidere, ma forse la sofferenza l’avrebbe ammazzata. "Spero che oggi passeremo altri bei momenti insieme" concluse.
Non poteva dire altro. Non era un bel discorso profondo, come forse le altre si sarebbero aspettate, ma non se l'era sentita di mentire.
Se ne stavano ancora tutte con il naso all'insù a guardare il cielo come se cercassero chissà cosa e respirando profondamente, quando Madison chiese:
"Ma dove finisce l'arcobaleno?"
"Nessuno lo sa" le rispose la madre, "né dove inizia."
"Allora come si fa a sapere se alla fine c'è lo gnomo con la pentola d'oro? Volevo qualche moneta. Solo un paio, eh, per giocare con questa."
Corse dentro e poi volò di nuovo fuori. Tutte sapevano a cosa si riferiva, ma sorrisero comunque quando notarono che la bambina stringeva fra le mani una scatola. Una volta aperto il coperchio, questa rivelò contenere alcuni dollari, sterline, corone e qualche altra moneta, tutti di varie misure, che i genitori le avevano dato dopo essere tornati da alcuni viaggi fatti in passato. La bambina mise le mani dentro il contenitore e iniziò a mischiare i soldi. Li teneva solo perché le piaceva guardarli e ascoltare il rumore che producevano mentre li muoveva e, per quanto a occhi esterni potesse sembrare stupido, lei si divertiva tantissimo.
"Mi dispiace, tesoro," riprese sua mamma, "ma credo che non troveremo mai quelle monete. L'arcobaleno è in cielo e come sai nessun umano può volare, non senza gli aerei, almeno. Però, chissà, magari nei tuoi sogni riuscirai a trovarla."
Nessuna di loro se la sentì di dirle che quella, come tutte le leggende, raccontava qualcosa che non era mai accaduto e che lo gnomo con quel tesoro non esisteva. Madison era piccola e aveva il diritto di credere in ciò che desiderava.
"Demi, Dallas, voglio fare un disegno! Voglio fare un disegno!" trillò la piccola, saltellando, quando rientrarono.
Buddy la raggiunse e le fece le feste, ora più tranquillo rispetto a prima, e per premiarlo per aver superato quei momenti difficili, Dianna gli diede un altro biscotto.
"Bravo, bravissimo."
Madison si complimentò con lui con dolcezza e lo accarezzò sulla testa e sulla schiena, rimediando qualche leccata.
"Visto? Ti dà i bacini, sa che gli vuoi bene" mormorò Dallas.
Già che c'era, Demi scattò una foto della sorellina e del cane insieme, perché erano troppo teneri, e sorrise nel guardarli. Madison lo abbracciava e lui le si gettava addosso, le strusciava la testa contro le gambe e, a volte, spiccava un salto per arrivarle al petto. Poco dopo, però, la bambina si ricordò di quello che aveva chiesto alle sorelle e, mettendosi in testa alla marcia alla quale partecipò anche Buddy, si diresse con loro nella propria cameretta. Si sedette al tavolino basso che c'era di fronte al suo letto, adatto alla propria altezza, e le sorelle si adeguarono.
"Ah, le mie gambe!" si lamentò Dallas.
"E dai, sempre meglio che rimanere a penzoloni perché la sedia è troppo alta, non credi?"
"Non me ne parlare, Demi! Una volta mi è capitato quando sono andata al ristorante per la cena di classe alla fine delle scuole medie. Non ricordarmelo. Sì, questo è decisamente meglio."
Madison aveva avvicinato a sé un album da disegno che aprì a una pagina bianca. Demi prese la scatola dei pennarelli colorati che si trovava lì accanto.
"Allora," disse, "scegliamo tutti i colori dell'arcobaleno."
"Magari non saranno della stessa sfumatura," proseguì Dallas, per avvertire la sorellina affinché non ci rimanesse male, "ma faremo del nostro meglio per farlo simile a quello che abbiamo visto."
Madison disegnò qualche nuvola qua e là, con forme particolari - una a pallina, l'altra una striscia lunga con due occhi, una terza rotonda, la quarta che sembrava un gattino -, poi si occupò di disegnare la prima banda colorata dell'arcobaleno. Le sorelle se le divisero, cercando di rappresentarlo il più realisticamente possibile e, mentre Madison era concentratissima e non staccava gli occhi dal foglio, le altre due ogni tanto sorridevano dicendosi che, santo cielo, i bambini disegnano proprio in modo buffo ma bellissimo. Arrivate a tre quarti del foglio, le tre si fermarono. L'arcobaleno era terminato.
"Questo ha una fine" osservò Madison.
"Beh, certo, non potevamo proseguirlo all'infinito" ridacchiò Dallas.
"Ti piace, Buddy?"
Demi glielo mostrò dopo averglielo chiesto. Ci teneva alla sua opinione, non si vergognava affatto ad ammettere che in passato, quando aveva ripetuto ciò che aveva studiato, o nel momento in cui aveva composto una nuova canzone, si era sempre rivolta a lui per capire cosa ne pensasse, imparando a interpretarne i versi e i segnali.
Il cane annusò il foglio, poi abbaiò forte tre volte, fece un salto e si sedette.
"Che ha detto?"
"Di sì, Madison, lo trova bellissimo. O, almeno, è così che interpreto quello che fa."
"Secondo me sei tutta strana. O scema, non saprei" rise Dallas, rimediando una gomitata. "Ahi!" Madison gliene diede una seconda. "Ma ce l'avete tutte con me?"
"Così impari a dire queste cose a mia sorella."
"Piccina, ti ricordo che è anche la mia. E stavo scherzando, accidenti" rispose con un gran sorriso.
"No, quando fai la cattiva è solo la mia. E non sono piccina, ho cinque anni e sette mesi, io."
"Okay, basta, basta." Demi rise, interrompendo quel finto litigio. "Sono sorella di entrambe allo stesso modo, e sapevo che si trattava di uno scherzo. A me piace provare a capire cosa mi dicono gli animali, che posso farci?"
Il volto le doleva da quanto aveva riso e sorriso in quel pomeriggio. Le voci della bulimia e dell'autolesionismo c'erano ancora, così come avvertiva il peso al petto dato dal dolore. Non la abbandonavano mai. Già si domandava cosa ci sarebbe stato per cena e si diceva che, forse, più tardi, di notte, si sarebbe abbuffata perché ne aveva bisogno e poi sentita in colpa e vomitato, e chissà quando si sarebbe tagliata. Ma tutto questo, per il momento, era solo un'eco lontana, quasi inudibile, sovrastata da momenti di serenità e di libertà che non avrebbe mai più creduto di poter vivere. E invece eccola lì, con le persone a cui teneva di più al mondo, a giocare, ridere e scherzare, ad accarezzare il cane e a godersi un semplice pomeriggio in famiglia. Eppure quel senso di oppressione, l'oscurità che a volte la avvolgeva e tutto il resto non sparivano, le si erano incollati addosso, le erano penetrati fin nei recessi più profondi, forse un giorno l'avrebbero risucchiata. Ma non voleva pensarci adesso.
"E la pentola d'oro con lo gnomo?" domandò a Madison per distrarsi.
"Ah, giusto, hai ragione."
La bambina disegnò un contenitore alto e grande con alcune monete all’interno, anche se le due cose non si distinguevano bene l'una dall'altra, ma poi si fermò.
"Vuoi che ti aiuti?"
"No, Dallas, sto pensando."
Non sapeva come fossero fatti gli gnomi. A volte, quand'era più piccola, aveva chiesto alla mamma di portarla nel bosco a cercarli, ma non li avevano mai trovati.
"Si nascondono, quando ci sono gli umani. Escono se sono da soli, senza persone accanto" le aveva spiegato la donna più volte.
Ma ancora adesso, anche se era più grande, la bambina credeva che esistessero, che costruissero case negli alberi e che fossero piccoli esserini simpatici. O magari erano grandi come gli umani, solo bassi di statura come certe persone. Come poteva essere sicura dell’una o dell’altra ipotesi? E non sapeva perché, ma quella volta non riuscì a farsi prendere la mano dalla fantasia. Iniziò a disegnare con moltissima attenzione, guardando ogni tanto le sorelle. A lavoro finito, mostrò loro tutta la creazione.
"Madison, tu…"
Demi era senza parole, non riusciva a ricordare come continuare quella frase.
"Tu hai disegnato…" proseguì Dallas, ma anche lei si bloccò.
"Ci siamo noi sei alla fine dell'arcobaleno" riprese Demetria.
Era vero. Accanto alla pentola d'oro, che aveva un cuore sopra, c'erano loro, umani e cane.
"Sì, e il cuore vuol dire che l'oro non sono le monete, ma l'amore, il bene che ci vogliamo"
La voce delicata di Madison riempì la stanza e le sue parole piene di dolcezza commossero nel profondo le due sorelle. Si abbracciarono tutte e tre, con gli occhi pieni di lacrime. Dallas e Demi avrebbero voluto ringraziarla, ma non riuscivano a proferire parola e, ad ogni modo, non ce n'era bisogno. Madison aveva già capito tutto dai loro sguardi pieni d'affetto e dai loro cuori che, come il suo, battevano all'impazzata. Buddy si unì a quelle coccole come se avesse compreso e, poco dopo, tutti tornarono giù per far vedere quel disegno alla mamma, sicure che le sarebbe piaciuto e che anche il papà l'avrebbe apprezzato.
Quella sera, prima di cena, lo appesero tutti insieme a una parete della casa, in modo che chi entrava potesse vederlo bene.
Infine, la notte scese su Los Angeles. Tutti andarono a letto sereni e si addormentarono con l'animo tranquillo, anche Demi che, almeno per quella sera, non fu assalita dai suoi demoni. Nel letto canticchiò una piccola parte di una canzone di Katy Perry che adorava, dal titolo Resilient.
 
 
‘Cause I died every winter
But survived all the weather
Look at me now, look at me now
I’m in full bloom
Yeah, they tried to poison the water
But I was a little stronger
Look at me now, look at me now
I light up the room
 
 
Lei non credeva di essere resiliente, né forte come la protagonista di quel brano. Non aveva la stessa sicurezza che leggeva in quei versi ed era sicura che non l’avrebbe mai avuta. La voce dell’autolesionismo le diceva che era debole e inutile e che era per questo che avrebbe dovuto farsi del male, così come quelle dei disturbi alimentari le urlavano che lo era se non faceva ciò che loro, che erano le sue uniche amiche, le dicevano. Ed era vero, avevano ragione. Lei non sarebbe mai stata abbastanza forte, abbastanza brava, abbastanza tutto. A volte, quando stava male, non si sentiva più Demi Lovato, ma una nullità. Nel suo cuore era ancora inverno, non era morta, ma il dolore a volte la consumava. Tuttavia, il fatto di essere riuscita a sentirsi bene, almeno per qualche ora, le aveva trasmesso la speranza che le cose, anche se non sapeva in che modo, forse sarebbero potute andare meglio. La stessa speranza che aveva visto nel verde dell’arcobaleno.
 
 
 
CREDITS:
Demi Lovato, Pennies In a Jar (nel memoir di sua madre ce n’era un estratto, io ho inserito solo la prima parte).
 
 
Introduzione alla sigla di Xena - Principessa guerriera, recitata da Rita Savagnoni
 
 
Katy Perry, Resilient
 
 
 
NOTE:
1. io ed Emmastory abbiamo inventato il Cocker Spaniel per la nostra fanfiction Cronaca di un felice Natale. Non c’entra niente con il cane, che aveva lo stesso nome, che Demi ha avuto da più grande. Ho scoperto in seguito, leggendo il libro di sua mamma, che da piccola la cantante ne aveva veramente uno, ma era nero e si chiamava Trump.
2. Non so con esattezza se la bulimia di Demi sia iniziata a quasi quindici anni, ma in vari articoli con sue interviste ho letto che ha detto che era bulimica a quell’età. Come sempre, mi sono documentata su questo disturbo e sulle altre tematiche. Tutti i sintomi che ho riportato (abbuffate, condotte compensatorie, cioè vomito o, in altri casi, digiuno e/o uso di lassativi, senso di colpa, bassa autostima, percezione distorta di sé) sono reali. Ho letto vari articoli a riguardo, in particolare me n’è stato utile uno su www.mypersonaltrainer.it.
3. Tutta la questione della canzone, dell’imparare a memoria e dell’insegnante di piano è vera, presa dal memoir di Dianna.
4. Ho cercato di pensare a come dev’essersi sentita Demi riguardo Patrick, ma ovviamente non sto dicendo che quel che ho scritto sia vero. Nel documentario Simply Complicated Dallas ha fatto sapere che sotto la superficie ognuna aveva i suoi segreti (non è la frase letterale, ma il senso è questo) e Dianna, nel memoir, ha scritto che non ha mai parlato con le figlie di quanto successo con il padre, almeno non per tanti anni, e si sentiva in colpa per questo, si capiva benissimo.
5. Per quanto riguarda gli allenamenti di Demi, in un articolo su www.ilgiornale.it, ha rivelato che faceva anche quattordici ore al giorno di allenamento (qui ho scritto dieci perché non so quando abbia iniziato ad allenarsi così tanto, e comunque dieci sono parecchie).
6. Demi ha sofferto di binge eating, mangiava troppo per calmare l’ansia, lo riporta sua madre nel memoir. Mentre è stata la ragazza che ha rivelato, non ricordo dove, che quando lavorava per la Disney si sentiva così come ho scritto, ma che non incolpava nessuno per questo.
7. Andrew non esiste, è un personaggio inventato da me, presente in altre mie storie. È un grandissimo amico di Demi.
8. Dianna ha tenuto davvero le figlie lontane da Patrick per un periodo, scrivendo nel memoir che non le avrebbe mai messe in pericolo.
9. Non so se Demi sentisse le voci nella sua testa quando soffriva di disturbi alimentari e si tagliava, ma queste sono battaglie con se stessi, quindi le ho immaginate così, come dei dialoghi che lei fa con la propria mente.
10. L’episodio di Madison che aveva visto le cicatrici è inventato. L’ho raccontato nella fanfiction La bambina e le cicatrici.
È stata Emmastory a raccontarmi la leggenda dell’arcobaleno e della pentola d’oro. Io non la conoscevo e ringrazio la mia amica anche per questo. 11. Sul sito www.mypersonaltrainer.it ho letto che uno dei tanti sintomi dell’anoressia è quello della sensazione di freddo, ma l’avevo anche fatto con una testimonianza di una ragazza che ci è passata.
12. Il fatto che Demi dovesse andare in Canada per uno show e che l’altro iniziasse ad agosto sono informazioni tratte dal libro di sua madre.
13. Demi ha davvero sofferto d’ansia e ha anche avuto qualche attacco di panico. A volte le capita ancora adesso. In un articolo ’sull’Huffington Post ha dichiarato che, oltre a far fatica a respirare, non riesce a stare ferma e continua a camminare per la stanza.
14. In quel periodo Dallas lavorava davvero in un negozio di vestiti (benché Dianna, nel memoir, ne avesse parlato prima che Demi fosse presa per i due show, per cui non so esattamente quando Dallas abbia iniziato e se, al momento in cui si ambienta la storia, lo stesse ancora facendo).
15. Io ed Emmastory abbiamo inventato la poesia che abbiamo pubblicato anche separatamente, come flashfiction, sempre sul mio profilo. Vorremmo specificare due cose riguardo il testo anche qui, nel caso ci siano lettori che, come immaginiamo, leggono solo la one shot e non la flashfiction. * Il verso fra le nubi un sorriso sincero si riferisce al fatto che, nella Bibbia, c’è scritto che Dio disse a Noè e ai suoi figli che avrebbe creato un’alleanza fra lui e loro (e quindi l’intera umanità) e posto un arcobaleno sopra le nuvole come segno di tale legame. Dato che la famiglia di Demi è religiosa (lo so perché ho letto il libro di Dianna De La Garza, Falling With Wings: A Mother’s Story e ascoltato un’intervista, tempo fa, in cui Demi diceva che prega prima di un concerto), io e la mia amica Emmastory abbiamo pensato che la ragazza potesse immaginare che, in mezzo alle nuvole, ci fossero l’arcobaleno e anche il sorriso sincero di Dio.
* Il viola è il colore della nobiltà (Emmastory mi ha detto che alcune volte ciò è scritto nei libri scolastici di letteratura inglese), per questo nella poesia l’abbiamo definito prezioso. La parola evanescente sta a indicare che di solito, nello spettro dei colori in generale, è quello che si vede di meno.
17. Non c’era bisogno di inserirlo in questa storia, ma anche Dianna aveva diversi problemi che teneva nascosti: anoressia, depressione (prendeva anche farmaci di nascosto in quel periodo) e, negli anni successivi, anche altri.
18. Anch’io avevo una scatola piena di soldi simile a quella di Madison. C’erano lire, dollari, sterline, corone e non ricordo che altro. Non so bene perché, ma mi piaceva un sacco muoverli per sentire che rumore facessero, ci giocavo un sacco!
19. Questa fanfiction è ambientata nel 2007 e la canzone di Katy Perry è uscita da pochi giorni, ma l’ho inserita comunque perché ci stava bene visto il contesto.
   
 
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