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Autore: Luinloth    06/09/2020    8 recensioni
Gli angeli sono scesi sulla terra e hanno soverchiato l’umanità, regredendola ad uno stato quasi medievale. Gli umani lavorano come schiavi alla costruzione di una torre, di diverse torri sparse intorno al globo, ma nessuno sa cosa succederà una volta che il loro lavoro sarà concluso. John Winchester è a capo di una delle cellule della Resistenza e Dean nei confronti degli angeli non ha mai provato altro che odio, per ciò che hanno fatto alla sua famiglia, per ciò che hanno fatto a Sam. Finché, un giorno, Castiel non viene assegnato al suo cantiere e tutte le certezze che aveva iniziano a sgretolarsi. Ma come gli ripete spesso suo padre, un umano non dovrebbe mai fidarsi di un angelo.
80% AU, 20% what if (vi assicuro che non è così complicato come sembra)
Dal testo:
«Perché?» […]
«Perché ho sempre creduto che non mi importasse» […] «Ma mi sbagliavo»
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene






21. Spegnere la luce




4 maggio 2009

Jack approfittò del momento di sbigottimento generale che seguì per scivolare giù dalle ginocchia di Sam e caracollare verso le armi smontate sulla scrivania dell’Occulto, che ai suoi occhi dovevano apparire come graziose cianfrusaglie luccicanti.

Dean allungò istintivamente le braccia in avanti per afferrarlo prima che si schiantasse sul pavimento — era inciampato nei suoi stessi piedi dopo neanche tre passi — e il bambino, per non cadere, si aggrappò ai suoi polsi legati tirando involontariamente le manette verso il basso e strappandogli un sibilo di dolore.

Charlie storse la bocca «E’ stato Rufus ad ammanettarti?»

«No» lui strinse le palpebre, mentre suo fratello rimetteva diritto il mostriciattolo, staccandolo dalle sue braccia.

Mosse il capo in direzione di Crowley «E’ stato questo bastardo qui»

L’uomo alzò le spalle.

«Era una pura questione personale, signorina Charlie» si giustificò, con la massima innocenza «Lei come si comporterebbe nei confronti di qualcuno che le dà del ‘culo grasso’?»

Dean balzò in piedi «Dio, quanto sei esasperante!»

Se non avesse avuto le mani bloccate — ne era certo — in quell’istante il naso del Collaborazionista avrebbe finalmente ricevuto il meritatissimo cazzotto che era riuscito a scampare tanto a lungo.

«Uomini!»

L’Occulto piazzò davanti alla faccia di Crowley il palmo aperto «La chiave prego, signor McLeod» ordinò, prima di interpellare di nuovo Dean.

«E tu incolla immediatamente quelle chiappe alla sedia se non vuoi che ti prenda a sculacciate»

Sam soffocò nel gomito la più grassa risata ghignante della sua vita.

Quando Dean — le cui guance ormai stavano andando a fuoco — si rimise seduto, la ragazza gli tolse le manette e scrutò le ecchimosi rosse e nere che si avviluppavano intorno ai suoi polsi.

«Dopo ti farò avere qualcosa per quelli» sospirò.

Una rapida bussata di cortesia, poi la porta della stanza si aprì e Rufus comparve sulla soglia, seguito da una figura femminile.

«Grazie Rufus» gli sorrise Charlie «Jody è già partita?»

«Ha detto che preferiva rimanere un altro po’, in caso ti servisse una mano con i nuovi arrivati»

Accennò a Dean e al resto del gruppetto seduto.

«Siano benedette le sue camicie a quadri!» esclamò l’Occulto «Porta il signor McLeod di sotto, e dille chi ci pensi lei. Un solo completo azzurro in questa stanza è già molto più di quanto io possa tollerare»

Rufus annuì risoluto e uscì trascinandosi appresso Crowley, il quale, stavolta, si guardò bene dal far innervosire chicchessia.

«Charlene…» la figura femminile sulla soglia si avvicinò «Mi hai fatto chiamare?»

«Anna, amore, sì»

Anna era un’alba in giugno.

Dean non sarebbe riuscito a trovare alcun difetto nei suoi lineamenti, né sul suo corpo. I suoi enormi occhi nocciola, quasi dorati, illuminavano un volto chiaro, senza rughe né ombre, e a dire il vero tutto in lei sembrava emanare una strana, ma morbida radiosità.

Jack trillò uno strano versetto eccitato quando la vide entrare, e la donna rimase immobile a guardarlo per qualche secondo — come assorta in un pensiero malinconico — prima di raggiungere Charlie e sfiorarle teneramente la guancia con le labbra.

«Sostengono che un angelo li abbia fatti fuggire dalla Corte» spiegò lei, agitando una mano verso Dean.

Anna socchiuse leggermente gli occhi «Lo escludo» mormorò «Una mossa del genere sarebbe troppo rischiosa anche per lui, e negli ultimi mesi si è già esposto troppo»

Dean aggrottò la fronte. Non era affatto sicuro che le due donne si stessero riferendo a Castiel.

«Nessuna variazione dei piani dell’ultim’ora, quindi?»

«L’ultima volta che ha provato a cambiare i piani di sua iniziativa mi sono assicurata che non gli tornasse la voglia di rifarlo»

Charlie rise.

«Oh, è stata quella volta che gli è rimasto moscio per una settimana intera?»

No, decisamente non stavano parlando del suo angelo dallo sguardo blu.

«Castiel»

L’attenzione delle due donne venne immediatamente dirottata verso Dean.

«E’ il suo nome. Il nome dell’angelo che ci ha aiutati» precisò il ragazzo.

E’ ancora il tuo nome, Castiel?

O ti stanno strappando via anche quello, tra le urla?

Anna mise su un’espressione a metà tra l’affranto e il rassegnato, e lei e l’Occulto si scambiarono un cenno che lui non seppe decifrare.

«Castiel, eh?» Charlie sospirò «D’accordo…»

Si massaggiò le tempie con la punta delle dita.

«Vi troverò una stanza, o perlomeno un letto» stabilì infine, dopo qualche secondo di silenzio «Per voi e il piccolo…»

«C’è qualcosa che dovete sapere, a proposito del bambino» la interruppe Sam.

Dean lo fulminò con lo sguardo. Rivelare a un Occulto che quel frugoletto biondo sulle sue ginocchia era nientemeno che il figlio di un Arcangelo sarebbe stato il modo migliore per farli sgozzare seduta stante tutti e tre.

«Ci penso io Charlene» s’intromise inaspettatamente Anna «Chiederò a Missouri. Ci saranno sicuramente delle stanze ancora vuote al secondo livello»

«Vieni» si rivolse al minore «Porta il bambino con te»

Prima di seguire Anna fuori dalla stanzetta tenendo Jack per mano, Sam strinse la spalla di suo fratello in un muto ‘non preoccuparti, andrà tutto bene’ al quale Dean si aggrappò con tutte le sue forze, non avendo alcuna migliore alternativa.

Adesso erano rimasti solo lui e Charlene.

«Kevin ti troverà degli altri vestiti» dichiarò l’Occulto, girando intorno alla scrivania e rimettendosi a sedere «A meno che tu non voglia finire brutalmente malmenato anche dalle ragazzine»

Ricominciò a smontare metodicamente la calibro 22.

«Poi, quando tu e Sam vi sarete sistemati, mi spiegherai meglio cosa è successo, da quando…»

S’interruppe, e la molla argentata del percussore quasi le volò via dalle mani.

«Da quando mio padre si è ammazzato» puntualizzò Dean, sibilando.

Charlie posò la pistola e si lasciò andare contro lo schienale della sedia.

«Non posso negare di averlo immaginato»

«E…?»

Dean si stava sforzando di stare fermo.

L’impulso rabbioso di spazzare via con un braccio tutto quel ciarpame disordinatamente abbandonato sopra il tavolo si faceva sempre più pressante.

«E cosa, Dean?»

«E’ tutto quello che hai da dire?»

La donna si sporse in avanti, piantando i gomiti sulla scrivania.

«Vuoi davvero che ti racconti di quella notte?»

No.

No, cazzo, non voleva. Non se lo meritava, di ripescare dal fondo dei suoi ricordi altro dolore.

Qualsiasi versione degli accadimenti del 25 dicembre 2008 non avrebbe comunque avuto nessuna speranza di placarlo, e a giudicare dalla fermezza rassegnata delle sue iridi verdazzurre anche l’Occulto ne era perfettamente consapevole.

Eppure, una parte di lui — una parte che in quel momento odiava con tutto il resto di se stesso — desiderava, pretendeva quelle spiegazioni.

Charlie interpretò la sua assenza di reazione come un assenso. Probabilmente avrebbe tradotto allo stesso modo qualunque risposta diversa da un secco ‘no’.

«Quella notte vi abbiamo aspettato per ore, allo snodo prestabilito. La torre era caduta e i più spavaldi, tra noi, avevano già cominciato a festeggiare»

La sedia sopra la quale l’Occulto l’aveva tanto gentilmente costretto era già diventata incandescente.

Dean si alzò, la fissò intensamente per qualche attimo — come se potesse improvvisamente cominciare a muoversi da sola — e con un calcio la spedì dall’altra parte della stanza.

«Poi abbiamo visto le rune luccicare lungo le pareti del condotto, e gli uomini che si sono offerti volontari per andare in avanscoperta non sono più tornati»

La seconda sedia si schiantò contro la porta lasciando un piccolo bozzo nella parete, appena sotto lo stipite.

«E CREDI CHE MI BASTI?»

Le gambe della terza sedia s’incrinarono e infine si ruppero con uno schiocco sordo, sotto la terrificante sequenza di calci con la quale Dean l’aveva appena torturata.

«Che questo mi basti, a ripagarmi della sua morte?» continuò a strepitare, alla ricerca quasi disperata di qualcosa da distruggere che non fosse la donna rossa dietro la scrivania.

«Del suo sangue schizzato sui miei vestiti, del suo cadavere, del suo-»

Fu costretto a interrompersi soltanto perché, adesso, l’unica sedia rimasta integra era quella che Charlie aveva appena mandato a gambe all’aria, scattando in piedi e facendo quasi rovesciare anche la scrivania.

«Credi di essere l’unico ad aver perso qualcuno, quella notte?» lo infilzò con uno sguardo gelido, ancora più terrificante del suo timbro di pietra.

«La mia coscienza fa già attualmente i conti con molti più cadaveri di quanto immagini perciò, se pensi che addossarmi anche la morte di John ti farà stare meglio, accomodati» lo invitò «Ma sappi che non lo farà»

«Io… io non…»

Le ginocchia di Dean quasi vennero meno, ma Charlie non ammorbidì d’un muscolo la durezza di quel contatto visivo.

«Abbiamo aspettato. Abbiamo aspettato ancora per ore, in quel condotto» proseguì, implacabile «Eravamo sufficientemente protetti, dopotutto. E mentre noi aspettavamo, gli angeli hanno attaccato l’avamposto di Avondale, quello al quale avremmo dovuto condurvi, una volta incontrati. Introvabile per chiunque non sapesse dove trovarlo, sopra quella cartina»

Il ragazzo gemette. Era sicuro che prima della fine della conversazione avrebbe rimesso anche l’anima.

«Hanno distrutto i depositi di munizioni, le scorte di viveri e gli accumulatori di elettricità: al nostro ritorno abbiamo trovato soltanto fumo. E morte»

Poi, la donna si fece improvvisamente da parte lasciandogli campo libero.

I fogli, i pezzi della calibro 22 e i proiettili spuntati sulla scrivania tracciarono un perfetto arco di parabola prima di rovinare sul pavimento, sparpagliandosi in tutte le direzioni.

Charlie non sobbalzò nemmeno.

Neanche se la prevedibile esplosione di Dean fosse stata - fin da subito - lo scopo principale di quella avvilente conversazione, aspettò pazientemente che lui finisse di sfogarsi.

Che finisse di sfogare la rabbia, il dolore, persino il sollievo: tutto ciò che aveva dovuto spingere sempre più giù, sempre più dolorosamente in fondo allo stomaco negli ultimi cinque mesi, a partire da quel 25 dicembre.

Perché, dopo quella notte — dopo quella morte — c’era stata la Corte.

La cravatta azzurra che lo soffocava nel sonno, che si attorcigliava intorno al suo collo fino a spezzarglielo, il compromesso che l’aveva portato sull’orlo della pazzia — sissignore — Metatron, i suoi registri che gli facevano bruciare gli occhi — sissignore — Lucifer, la moquette nera e insanguinata dell’ottantaquattresimo piano. Kelly che sorrideva ad un bambino che non sarebbe mai stato amato da nessuno, Crowley, il suo sorriso sghembo e — sissignore — l’abominio che si sarebbe consumato all’interno delle torri, la sua stessa morte programmata, di lì a una manciata d’anni e poi di nuovo Lucifer, suo fratello che lo implorava di abbandonarlo, lì, sotto quel bacio osceno, — sissignore — che non era mai stato saggio mostrarsi insolenti, aggressivi o arrabbiati dentro quel grattacielo, davanti a un angelo, davanti a un demonio, davanti al proprio riflesso nello specchio, erano state le prime parole che Castiel gli aveva rivolto una volta entrati in ascensore ‘evita i colpi di testa’ gli aveva detto, che gliel’aveva chiesto per favore e lui gli aveva sputato addosso tutto il suo disprezzo. Castiel che se la prendeva con i suoi pantaloni stropicciati, che rischiarava il buio della sua stanza senza finestre e che si era portato via i suoi incubi risucchiandoglieli direttamente dalle labbra, Castiel che si era schierato (per lui), che aveva tradito (per lui), e che adesso Michael-

Dean si accasciò con la schiena contro la parete.

Castiel?

Charlie gli fu accanto in un battito di ciglia.

Se ti pregassi, Castiel, riusciresti a sentirmi?

Sopravvivi.

Ti prego, sopravvivi.

«E’ finita, Dean»

Il ragazzo lasciò che la sua fronte si adagiasse senza remore sulla spalla della donna.

«Non permetterò che venga fatto altro male a te o a Sam» gli assicurò Charlie, riuscendo a estorcergli il primo respiro davvero sollevato da quando il ragazzo aveva varcato la soglia, ancora in manette «Siete al sicuro, adesso»

Lui si sentì stranamente ed improvvisamente calmo.

Svuotato, sarebbe stata la parola adatta.

Charlie lo aiutò a rimettersi in piedi. Lanciò un’occhiata distratta al caos nel quale era precipitata la sua stanzetta, ma non parve badare più di tanto alle sedie sfasciate e ai documenti ridotti a brandelli.

Dean immaginò dovesse essere abituata alle escandescenze dei suoi uomini, di tanto in tanto.

Infatti, mentre la sua mano sinistra — saldamente avvolta intorno al suo gomito — scongiurava qualsiasi possibilità di un repentino crollo del ragazzo sul pavimento, la destra era già abilmente scivolata a carezzargli le scapole.

«Va un po’ meglio ora?» chiese.

Dean accettò di buon grado quel contatto — che in condizioni normali avrebbe scansato, con un moto di fastidio misto a imbarazzo — e quasi si pentì di averle distrutto quel poco di arredamento, che la Resistenza aveva certamente impiegato tempo ed energie per procurarsi.

Ma non poteva negare che quella esplosione così violenta sembrava avergli restituito una lucidità introvabile fino a qualche minuto prima: si schiarì la voce.

«Non è stato mio padre a tradirvi»

Charlie non mollò la presa sul suo gomito ma la tensione del suo braccio diminuì un poco.

«Lo so»

Il ragazzo sbatté le palpebre, interdetto.

«Ad Avondale, gli angeli erano rimasti ad aspettarci» spiegò «Quando mi hanno regalato questa…»

Tracciò lentamente, con la punta dell’indice, i contorni della cicatrice irregolare che le sfregiava il sopracciglio.

«Ho capito che non avevano idea di chi fossi realmente. Nessun angelo avrebbe mai corso il rischio di ammazzare un Occulto»

«E non vi hanno…» Dean chiamò a raccolta le ultime energie «Non vi hanno catturato?»

«Sono arrivati i rinforzi, nel frattempo. Anna, e gli altri» anche Charlie appariva stanca, ora «Qualcuno aveva lanciato una richiesta di soccorso, prima che gli angeli facessero irruzione»

L’Occulto si assicurò che il ragazzo fosse ben stabile sulle proprie gambe, prima di lasciarlo andare definitivamente.

«Posso…» lui tirò su col naso «Potrei avere un po’ d’acqua perfavore?»

Charlie sorrise.

«Certo»

Scavalcò i resti della seconda sedia, quella scaraventata contro la porta, e lo esortò a seguirla fuori dalla stanzetta.

«Anzi, io direi proprio che tutto ciò di cui tu e Sam abbiate bisogno, adesso, è di farvi una bella doccia, mettere qualcosa di caldo in pancia e dormire almeno fino a domani mattina»

Di nuovo nell’enorme spazio aperto del bunker, più d’un paio d’occhi saettarono minacciosi in direzione di Dean, e del suo spiegazzato completo azzurrino.

«E a te occorrono altri vestiti, certo» la donna gli fece l’occhiolino, scortandolo fino alla rampa di scale che dalla sala principale del bunker sembrava snodarsi all’infinito nel sottosuolo.

«Sembra immenso, all’inizio. Ma in tutto ci sono soltanto tre livelli, ed è piuttosto facile orientarsi» lo incoraggiò «Vi ambienterete in un paio di giorni, te lo assicuro»

Dean le regalò il miglior sorriso esausto che la sua spossatezza riuscì a produrre.




Sam si era già cambiato. Aveva sostituito i jeans logori e la maglia scura con un altro paio di jeans logori e un’altra maglietta, ma bastava il pensiero che quegli abiti non gli fossero stati procurati da Lucifer per farlo assomigliare a un altra persona.

Dean aveva lanciato nell’angolo più lontano della camera ogni singolo pezzo del suo vestiario azzurro, soltanto per poi ricordarsi di quella notte in cui Castiel, in un momento di distrazione, aveva iniziato a infilarsi per sbaglio la sua camicia, e per finire quindi ad appallottolare quest’ultima sotto il materasso.

«Anna che cosa sa di Jack?»

Suo fratello scrollò le spalle.

«Che è un nephilim. Che è il figlio di un Arcangelo e che forse sarebbe il caso di tenerlo nascosto al resto degli uomini, almeno finché non raggiungerà la sua forma stabile»

Jack si era appena addormentato, nel lettino dalle lenzuola verdoline ai piedi di quello, più grande, di Sam.

«Cioè quello che intendi…» Dean non credeva alle sue orecchie «Anna ha accettato la cosa senza dire niente?»

Il minore fece oscillare la testa a destra e a sinistra.

«Non ha detto granché» mormorò «Non sembrava nemmeno particolarmente stupita: era soltanto molto triste»

Il ragazzo aggrottò la fronte, incredulo, ma Sam non fu in grado di fornire altre spiegazioni a quella strana indulgenza nei confronti di Jack, così lui dovette accontentarsi del fruscio invitante che produssero le coperte del suo letto, quando ci si infilò dentro.

Aveva la pancia piena, i polsi fasciati, vestiti puliti.

In verità, era da molto tempo che non si sentiva anche lui così pulito. Ed era piuttosto sicuro che una sensazione del genere non avesse poi tanto a che fare con la doccia bollente che gli era stata concessa — si consumava fin troppa energia per riscaldare così tanta acqua — un paio d’ore prima.

Il suo cuscino aveva un buon odore. La camera che Anna era riuscita ad arrangiare per tutti e tre era davvero piccola — Dean sospettava fosse stata una specie di sgabuzzino con servizi, un tempo — e anche quella non aveva finestre ma aveva due letti quasi appiccicati l’uno all’altro, e in quello alla sua destra c’era Sam.

«Qualcuno dovrà andare a spegnere la luce» constatò il minore, girando pigramente la testa verso di lui.

A Dean venne quasi da ridere.

«Sì» ribadì «Qualcuno dovrà andare a spegnere la luce»




Avrebbe dovuto prevederlo.

Inconsciamente in verità, se lo aspettava.

Dei suoi cinque sensi infatti, soltanto quattro si erano veramente assopiti, dopo che — tra innumerevoli sbuffi e contrattazioni — Dean aveva momentaneamente abbandonato le coperte e si era alzato per abbassare il famigerato interruttore che aveva fatto precipitare la camera nel buio.

Al primo gemito era già completamente sveglio.

Al secondo, benché abilmente soffocato dal cuscino, i suoi piedi nudi si posavano sul pavimento di cemento grigio.

«Sam?»

Suo fratello non deflagrava sfasciando sedie.

Al massimo pestava i piedi, lanciava qualcosa in giro — qualcosa che non si rompesse, possibilmente — e poi andava a rintanarsi in un angolo a smaltire la bile. La prima volta che al cantiere gli angeli lo avevano punito sul serio — aveva quindici anni, ed era stata davvero una pessima giornata — Sam non aveva parlato per tre giorni. Nemmeno Dean, con le sue infinite provocazioni, era stato in grado di scucirgli un solo ‘vaffanculo’.

Alla fine, alla terza notte, quando lo aveva sentito piangere con la faccia tra le mani, aveva afferrato una delle più marcate e fondamentali differenze tra lui e l’adolescente raggomitolato sul materasso accanto.

Se Dean esplodeva — in una furia incontrollata che arrivava a rasentare il grottesco ma che aveva il grandioso vantaggio di rimetterlo, più o meno, in pace con quel mondo schifoso — Sam implodeva. E a volte il maggiore aveva l’impressione che, nel tenersi dentro tutto quel male silenzioso, suo fratello si stesse consumando come una candela.

«Sam?»

Oh, al diavolo.

Quando le sue braccia si strinsero attorno a quel corpo tremante, — così minuscolo, rannicchiato tra le lenzuola, e che invece era una buona testa più alto di lui — pensò che non avrebbe più avuto il coraggio di lasciarlo andare.

«Ehi, ehi, è tutto ok fratellino» cercò di rincuorarlo, per quanto esigue fossero le sue speranze «Nessun gallinaccio celeste sarà in grado di trovarci, qui: la rossa me l’ha assicurato»

Sam strizzò gli occhi — due schegge di luce tremolante nell’oscurità della stanza — e forse avrebbe anche potuto essere sul punto di farfugliare qualcosa, qualcosa che Dean avrebbe preso come un segnale di ritrovata serenità, al pari della terza notte di silenzio dei suoi quindici anni.

‘Quel tuo braccio sulla mia schiena mi sta torturando, lo sai vero?’ — Era stato quel che gli aveva concesso, in risposta ad un suo molto simile — ‘Se un’altra di quelle galline in giacca e cravatta ti tocca, giuro che la farò allo spiedo’ — ma era bastato.

Ingenuamente, il maggiore sperò che lo facesse.

Che Sam sfuggisse alla sua presa, reagisse alla sua preoccupazione con un orgoglioso broncio contraffatto da un mezzo sorriso, e che poi lo lasciasse comunque dormire con la spalla contro la sua, anche se aveva la schiena che gli andava a fuoco e i contorcimenti notturni di Dean non conciliavano certo il sonno.

Ma adesso Sam non si ritrovava a dover smaltire il dolore e l’umiliazione di una buona dose di frustate.

Adesso aveva il volto di un Arcangelo a bruciargli le retine, le labbra, e ogni singola cellula del suo corpo che si era rigenerata, ancora e ancora, nonostante lui non desiderasse altro che il suo cuore smettesse di battere.

Perciò, quando suo fratello urlò, Dean non ci provò nemmeno a fermarlo. Attirò la sua testa contro il proprio petto e lasciò che si sfogasse, proprio come Charlie aveva fatto con lui, nella stanzetta.

Fece appena in tempo a chiedersi cosa avrebbero pensato gli uomini nelle stanze adiacenti — e come accidenti fosse possibile che Jack non si fosse ancora svegliato, visto che quelle grida disperate lo stavano già assordando — prima che un fiume in piena travolgesse anche la sua gola e straripasse sotto le sue ciglia, nonostante l’argine ostinato delle palpebre che lui continuava a tenere serrate.

Sam continuò a urlare, per dei minuti che si dilatarono in ore nella percezione straziata di Dean.

Urlò e urlò, e alla fine furono le sue corde vocali a cedere perché, dopo che l’ultimo grido si fu stemperato in un basso crepitio, morendo definitivamente poco dopo, il corpo di suo fratello rimase ancora a lungo in tensione tra le sue braccia.

«Mi…»

Era un suono afono, quello che tentava di lasciare le labbra di Sam.

«Mi dispiace, per te e Castiel» esalò «Era… era una persona buona»

Dean tirò su col naso.

Tipico di suo fratello, preoccuparsi delle sorti di un angelo semi-sconosciuto, dopo essere appena scampato all’inferno.

«Adesso dormi, Sam»

Il maggiore allentò un po’ l’abbraccio, giusto perché aveva l’impressione che con la faccia premuta contro il suo torace Sam prima o poi avrebbe finito per soffocare.

«Ma sappi che domani sera sarai tu quello che si alzerà dal letto per andare a spegnere la luce»

Il sorriso di suo fratello — da quanto non lo vedeva sorridere così? A Corte non era mai successo, realizzò in quell’attimo — lo sentì direttamente sulla pelle, attraverso la stoffa liscia della propria maglietta blu.

Una maglietta pulita. Senza toppe, strappi o macchie.

Una banalissima maglia blu.

Non azzurra. Blu.













Buongiorno e buona domenica :)
Ecco, spero mi perdonerete il blocco di cemento, aka il pesantissimo flusso di coscienza di Dean a metà capitolo, ma dopo tutto quello che ha passato penso proprio che avesse il diritto di sfogarsi un po’, così come Sam. ^^’
Grazie per le bellissime recensioni che continuate a regalarmi *si commuove e lancia cioccolatini*, sappiate che ve ne sono sempre immensamente grata e che — come sempre — non vedo l’ora di leggere le vostre opinioni su questo capitolo.
A sabato prossimo ❀*

   
 
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