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Autore: Luinloth    12/09/2020    8 recensioni
Gli angeli sono scesi sulla terra e hanno soverchiato l’umanità, regredendola ad uno stato quasi medievale. Gli umani lavorano come schiavi alla costruzione di una torre, di diverse torri sparse intorno al globo, ma nessuno sa cosa succederà una volta che il loro lavoro sarà concluso. John Winchester è a capo di una delle cellule della Resistenza e Dean nei confronti degli angeli non ha mai provato altro che odio, per ciò che hanno fatto alla sua famiglia, per ciò che hanno fatto a Sam. Finché, un giorno, Castiel non viene assegnato al suo cantiere e tutte le certezze che aveva iniziano a sgretolarsi. Ma come gli ripete spesso suo padre, un umano non dovrebbe mai fidarsi di un angelo.
80% AU, 20% what if (vi assicuro che non è così complicato come sembra)
Dal testo:
«Perché?» […]
«Perché ho sempre creduto che non mi importasse» […] «Ma mi sbagliavo»
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessuna stagione
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Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene






22. La calma prima della tempesta




12 maggio 2009

Una settimana intera trascorsa a mangiare, dormire e bighellonare pigramente all’interno del bunker — senza avere realmente nulla da fare — aveva dato i suoi frutti.

Dean poteva ormai affermare, con assoluta certezza, di non essersi mai sentito meglio in vita sua.

Fisicamente almeno, perché il ricordo di Castiel arrivava con la violenza della risacca.

Quando meno se lo aspettava, mentre le sue dita scivolavano lungo il corrimano gelato della scala metallica che collegava il secondo e il terzo livello, o mentre Jack — logorroico come solo gli undicenni di tre settimane di vita potevano essere — puntava il dito contro qualsiasi oggetto, dall’apriscatole ai calzini, chiedendo ‘Cos’è?’, il suo campo visivo si riduceva al fondo blu di due iridi lunari, e lui smetteva di respirare.

Castiel che gli chiedeva se volesse rimanere a dormire sul suo divano affacciato sopra uno stagno di ninfee. Che gli allungava la sua giacca bianca — ‘Per il momento, ma ora vado a cercarti una coperta’. ’Non serve’. ‘Certo che serve: la temperatura corporea degli umani durante la notte si abbassa’. Il suo sorriso chiaro. ‘Oh, d’accordo. Sia mai dovessi finire congelato’. Aveva sognato un oceano che non sapeva nemmeno se fosse mai esistito.

«Pianeta Terra chiama Dean Winchester»

Terra.

Il suo ancoraggio. L’autunno reale, verde e marrone, del parco pubblico di Lawrence.

«Ehi…» suo fratello richiuse il libro con estrema cautela — le pagine ingiallite crepitarono, sfregando una contro l’altra — e lo posò alla sua destra, sopra il letto «Sono qui Dean, guardami»

Il colore pacifico degli occhi di Sam.

I suoi polmoni si riempirono di nuovo d’aria.

«Sto bene» gracchiò.

Suo fratello alzò un sopracciglio, ma non infierì.

«Perché non chiedi anche tu un libro a Charlie?» propose invece «Avresti un ottimo modo per occupare il tempo, e ti aiuterebbe a svuotare un po’ la mente, leggere qualcosa» sorrise affettuosamente.

Ecco, se Dean si sentiva — tutto sommato — abbastanza bene, la serenità e la quiete che si riflettevano nello sguardo del più piccolo erano a tutt’altro livello.

Ogni volta che ci pensava, ogni volta che lo sbirciava di sottecchi mentre suo fratello si lanciava entusiasta sul pranzo, si radeva di fronte allo specchio scheggiato del bagno o sprimacciava appena il cuscino prima di adagiarci sopra la testa, lui rischiava quasi di commuoversi.

Sam era letteralmente rinato.

Trascorreva le sue giornate a leggere — aveva già divorato metà della biblioteca del bunker, Dean una mattina l’aveva addirittura sorpreso con uno spaventoso tomo rilegato in rosso che riportava la minacciosa dicitura ‘Manuale di diritto privato’ — e a tenere d’occhio Jack, per assicurarsi che non uscisse dalla loro camera. Finché non avesse smesso di crescere, aveva concordato con Anna, era meglio che non se ne andasse in giro con un’età diversa a seconda della giornata.

Dean era abbastanza sicuro — per quanto non riuscisse ancora a capirne il motivo e anzi, in certi momenti ne fosse quasi geloso — che all’insperato benessere psicologico di Sam contribuisse anche il mostriciattolo.

In realtà, il maggiore lo aveva sentito agitarsi di nuovo nel sonno, un paio di volte — una notte era stato quasi sul punto di infilarsi di nuovo nel suo letto e abbracciarlo — ma dopo qualche minuto gli incubi gli avevano già dato tregua e il respiro di suo fratello era tornato regolare.

Ragionando con un certo, seppur cauto ottimismo, probabilmente nel tempo si sarebbero diradati fino a sparire quasi del tutto, come era accaduto anche a lui qualche mese prima.

Castiel?

Te li sei tenuti tu i miei incubi?

Sono rimasti a farti compagnia durante le tue notti insonni?

«Cosa significa ‘au-to-stop-pi-sti’?»

Jack, seduto sul pavimento a gambe incrociate, intento a smontare una vecchia sveglia a molla, aveva appena sollevato la testa oltre il bordo del letto di Sam per sbirciare il titolo del libro.

«Oh, immagino che gli autostoppisti siano delle persone che fanno l’autostop»

«E che cos’è l’autostop?»

«Fare l’autostop vuol dire mettersi sulla strada, stendere il braccio…» Sam allungò la mano davanti a sé e chiuse le dita a pugno, ad eccezione del pollice «…così»

Soltanto che il suo pollice, anziché puntare verso il soffitto, era rivolto verso il pavimento.

«E poi aspettare che arrivi una macchina» spiegò «Credo. Non ne sono molto sicuro però. Non l’ho mai visto fare, l’ho solo letto in un altro libro»

Gli occhi dorati di Jack luccicavano di curiosità.

«E bisogna stare tutto il tempo col braccio alzato?» chiese.

Sam ci pensò un po’ su «Immagino di sì, altrimenti la macchina non arriverebbe» ponderò.

«Certo, come no» Dean scavalcò, sbuffando, i pezzi della sveglia a molla — della mezza dozzina di sveglie a molla — che il ragazzino aveva seminato in giro e aprì la porta della stanza.

Stanza da Jack affettuosamente ribattezzata ‘gattabuia’ appena qualche ora prima, alla fine della lettura di chissà quale romanzetto per ragazzi e dell’ennesima ramanzina di Sam sul fatto che dovesse starsene lì, buono, e che non fosse ancora arrivato il momento di uscire ed esplorare il resto del bunker.

«Io vado a farmi un giro» annunciò il maggiore, tirando uno scappellotto alla mano di suo fratello per fargli abbassare il braccio che teneva ancora teso davanti al viso e che, nella sua mente ingenua, avrebbe dovuto fungere da magico richiamo per autovetture.

«Poi, al mio ritorno, mi toccherà spiegare a entrambi come funzionano le autostrade e le automobili»

Sam gli lanciò uno sguardo che voleva passare per offeso e si rituffò nel suo libro.

Mentre usciva, Dean sentì la vocina acuta dell’undicenne che domandava ancora: «Sam, che cosa significa ‘galattica’?»




Il terzo livello del bunker, quello più elevato, dove si trovava la sala principale attraverso la quale dove Rufus e Kevin li avevano scortati al loro arrivo, era tutto un fermento di adulti e bambini.

Persino durante la notte — quando l’intensità della luce dei tubi fluorescenti attaccati al soffitto diminuiva leggermente — c’era sempre qualcuno di guardia ad aggirarsi tra i container metallici, i mucchi di abiti da rammendare e gli scatoloni in attesa di essere sistemati. E chi non riusciva a dormire, in quello stanzone dal pavimento grigio trovava sempre qualcosa da fare.

«Dean!»

Sulla soglia della stanzetta che il ragazzo aveva messo a soqquadro appena una settimana prima, Charlie lo salutò allegramente e gli fece segno di avvicinarsi.

Oltre ad Anna, all’interno, una ragazzina e una donna — forse una zia o comunque una parente di qualche tipo, a giudicare dal taglio e dal colore dei loro occhi e dalla linea altera della mandibola — parlottavano tra loro con aria concitata.

S’interruppero non appena lui entrò.

«Il figlio maggiore di John Winchester» fu Anna ad occuparsi delle presentazioni «Dean, loro sono Patience e Missouri»

«Era Missouri a mandare avanti la baracca qui a New York» precisò Charlie, prima di lanciarsi alla ricerca di qualcosa di non ben precisato in mezzo al caos di fogli, libri e armi smontate che a quanto pare era un’imprescindibile caratteristica della sua scrivania.

«Almeno, prima che io ritornassi a seminare scompiglio e… ecco qua!» esclamò trionfante, sventolando in aria un paio di pagine fitte di numeri e sigle.

«L’elenco aggiornato» porse i documenti alla ragazzina più piccola, che quasi glieli strappò dalle mani «Scusami Patience, lo sai che non sono tagliata per la contabilità» provò poi a giustificarsi, con una timida alzata di spalle.

Dean aggrottò la fronte, sorpreso dall’improvvisa insicurezza dell’Occulto di fronte a quella ragazzetta dagli occhi scuri.

«Patience è mia nipote» Missouri, la donna più anziana, gli sorrise amabilmente «E sarà lei a prendere il mio posto quando…»

Patience la fulminò con un’occhiataccia.

«Beh, quando sarà il momento» intervenne Anna, posando una mano sulla spalla della ragazzina «Anche se, della terza generazione di Occulti, speriamo davvero che non ci sia bisogno»

Dean sobbalzò.

Anche Missouri era un Occulto, quindi.

«Ah, peccato che Jody se ne sia già andata, ti sarebbe sicuramente piaciuta» mormorò distrattamente Charlie, tentando di mettere in ordine il resto delle scartoffie sul tavolo «Ma ad est le cose si stanno complicando troppo in fretta, a quanto pare la torre in Oregon sarà finita prima di giugno»

E così anche Jody, ne dedusse lui.

Il ragazzo sbatté la palpebre, incerto «Ma siete…» c’era qualcosa — nella stanza e tra le parole di quelle donne — di talmente evidente e inaspettato che ci mise qualche secondo a capirlo «Siete tutte…»

«Femmine?»

Patience aveva una voce stranamente bassa, ma limpida come uno specchio d’acqua.

Dean annuì, ancora troppo stupito per riuscire a rispondere a parole.

«Hanno tutti la stessa reazione, eh?» ridacchiò Charlie «Beh, sappi che all’inizio si è trattato praticamente di un caso…» mormorò pensierosa «Gli unici sensitivi ad aver previsto la venuta degli angeli erano stati quelli del gentil sesso. Certo, con un anticipo pressoché sufficiente appena a tirar fuori un paio di vecchi tomi sull’enochiano dalla libreria» constatò tristemente.

Missouri sospirò.

«Ma in ogni caso… Durante la notte di sangue quel paio di libri riuscì a salvare molte più vite di quanto avessimo potuto sperare»

Dean continuava a tenere gli occhi sgranati.

«Cosa c’è, Winchester, non sei ancora convinto?» una scintilla maliziosa scoppiettò allegra, dietro le iridi verdazzurre di Charlie.

«Avanti allora» propose, invitandolo ad uscire dalla stanzetta «Fammi vedere tu cosa sai fare. O hai paura di prenderle da una ragazza?»

«Io cos… Che

Patience e Missouri si scambiarono un’occhiata divertita.

«Oh, sono solo curiosa» ripeté Charlie, solo fintamente noncurante «Non dirmi che non lo sei anche tu…»

Lui la seguì all’esterno, più per educazione che per la reale intenzione di battersi con lei. Non si era mai confrontato con una ragazza in quei termini e poi — poteva anche conoscere l’enochiano, maneggiare una pistola e andarsene in giro tenendo su quell’aria da dura — ma Charlie non gli arrivava nemmeno al mento ed era così magrolina che…

Qualcuno ridacchiò.

Dopodiché, lui si ritrovò a fissare il reticolato fosforescente sul soffitto prima ancora di realizzare che ad averlo investito e sbatacchiato sul pavimento era stata invece proprio Charlie, e non un treno merci in canotta nera e jeans.

«Va bene, facciamo che ti ho preso un po’ troppo alla sprovvista»

La ragazza gli tese la mano sorridendo e lo aiutò a rimettersi in piedi.

«Seconda possibilità» dichiarò, schioccando la lingua contro il palato.

A onor del vero, come gli avrebbe raccontato Kevin più tardi, Dean era stato in grado di schivare ben due affondi dell’Occulto, non aveva evitato il terzo — quello che l’aveva quasi rimandato di nuovo a gambe all’aria — soltanto per un pelo, ed era persino riuscito a colpire di striscio — ma quello se lo ricordava bene anche lui — la spalla esile della ragazza.

Certo, a onor del vero, Charlie l’aveva anche rispedito col sedere per terra cinque minuti dopo averlo aiutato a rialzarsi. E stavolta gli aveva dato tutto il tempo per alzare la guardia, rallentare il ritmo del respiro e studiare per qualche istante le sue movenze flessuose da gatta, prima di lanciarsi di nuovo all’attacco.

«E’ quello nuovo eh, Charlie?» esclamò una voce maschile poco distante, cui fecero coro un paio d’altri commenti sornioni e uno scroscio di risatine infantili in lontananza «Devi proprio volergli un gran bene, con me non hai avuto tutto questo riguardo!»

«Tu eri decisamente andato a cercartela Ash!» ribatté lei allargando le braccia e le labbra in un risolino gongolante «Mi avevi appena dato della ‘deboluccia’!»

La voce maschile si dissolse in una risata lontana.

«Lezione numero uno per i nuovi arrivati» Anna gli offrì una mano che lui rifiutò con un cenno imbarazzato, puntellandosi sui gomiti «Non stuzzicare l’orgoglio di Charlie in merito a ciò che una donna può o non può fare»

«Beh, complimenti allora» Dean si spazzolò via la polvere dai pantaloni «Per esserti trovata la ragazza più modesta di tutto il bunker»

«Oh…» Anna sorrise «In fondo non è così orgogliosa come vorrebbe far credere» gli confidò, lanciando alla compagna uno sguardo carico di tenerezza. E di un sentimento molto meno casto, ma a quel punto qualcosa dentro il petto del ragazzo ricominciò a far male e lui preferì guardare da un’altra parte.

«Se può consolarti, tuo padre è riuscito a mettermi al tappeto una volta sola»

Charlie aveva salutato Patience e Missouri ed era tornata a rivolgersi a Dean. C’era ancora luce, dietro le sue pupille, ma non era fierezza o compiacimento quello: assomigliava di più ad una sorta di tremolante nostalgia.

«Anche se lui aveva a disposizione solo la mano sinistra quindi… dovrai impegnarti un bel po’ temo»

Dean aggrottò la fronte.

«Vorrei potervi concedere qualche altra settimana di riposo» proseguì l’Occulto, mestamente «Ma non abbiamo molto tempo a disposizione, purtroppo, perciò è ora che tu e Sam iniziate a darvi da fare»

«Cosa vuoi che facciamo?»

«Che impariate a difendervi come si deve, per cominciare» la cicatrice irregolare sul suo sopracciglio sinistro — che le regalava, di solito, una perenne espressione di ironico scetticismo — ora rendeva lo sguardo di Charlie cupo e duro, come una maschera di pietra.

«Sarà l’Empire State Building la prossima torre che crollerà. E quando succederà, una calibro 22 e sei pallottole anti-angelo non basteranno a fronteggiare ciò che pioverà dal cielo»

Il ragazzo impallidì.

Charlie si avvicinò e gli strinse, piano, un braccio «La guerra è ormai prossima, Dean» mormorò, e i suoi lineamenti si ammorbidirono appena «Tu e Sam fareste meglio ad approfittare di questo momento di calma, prima che la vera tempesta arrivi»




Dean rimase per un po’ a osservarle, lei e Anna, mentre si allontanavano verso le scale che portavano al secondo livello del bunker. Camminavano abbastanza vicine da toccarsi le mani quasi a ogni passo e, se Anna era un’alba in giugno, Charlie era un tramonto.

Tanto una era pallida, gentile ed eterea, tanto l’altra bruciava di vita.

La chioma rossa di Charlie le ricadeva sulle spalle come una cascata di fuoco e dondolava e fremeva al mimino movimento del suo collo, esattamente al pari di una fiamma viva. La sua compagna, invece, sembrava galleggiare senza peso a una spanna dal pavimento; la sua andatura fluida, la sua compostezza elegante, la facevano assomigliare a una regina delle fiabe.

Le vide sfiorarsi le labbra di sfuggita prima che l’Occulto fosse costretto a correre via, richiamato a gran voce da chissà quali problemi al piano di sotto.

Dean pensò che — tra la sua camera senza finestre al settantaduesimo piano dell’Empire State Building e quel bunker sotterraneo — cominciava a mancargli sul serio la luce naturale del sole.

Poi pensò che quella non era l’unica cosa che gli mancava.


16 maggio 2009

Fu una sensazione stranissima, all’inizio.

E fu quasi buffo rendersi conto di come — dopo vent’anni a spaccarsi la schiena nella cava e quasi a morire di fame e di freddo — il suo corpo avesse deciso di cedere proprio quando avrebbe dovuto, invece, sentirsi più in forze.

Dean aveva sperimentato diversi tipi di dolore, ma quel martellare costante e ovattato sulle sue tempie non sapeva di preciso come classificarlo. Il torpore diffuso, però, lo rimandava indietro nel tempo, al tocco di dita ruvide sulla sua fronte sudata, al peso caldo delle coperte in più che John gli rimboccava fin sotto il mento.

Inverno.

Pioggia battente che allargava pozzanghere ovunque nella baracca, Sam che non arrivava nemmeno all’altezza del tavolo e che si affannava a svuotare i secchi di zinco che lo sgocciolare impietoso dell’acqua attraverso il soffitto faceva traboccare a velocità insostenibili per un bambino così piccolo.

La sua ultima febbre.

Poteva avere dieci, undici anni.

«Piano…»

Charlie non c’era andata giù nemmeno tanto pesante quella mattina.

Si era accorta che qualcosa non andava quando lui — anziché rialzarsi subito e cercare di capire quale errore avesse commesso da farlo finire di nuovo per terra — era rimasto per un minuto intero sul pavimento, perché le sue gambe sembravano improvvisamente incapaci di reggere il suo peso.

«Ce la faccio»

Dean per poco non si rovesciò addosso il contenuto bollente della ciotola che si ostinava a volere reggere da solo, nonostante i suoi muscoli parevano essersi tramutati in gelatina.

«Sì, sicuro»

Sam lo aiutò a finire di bere il brodo insipido che Anna si era premurata di fargli arrivare direttamente in camera e — solo dopo che lui si fu risistemato per bene sotto le lenzuola — tornò ad occupare il proprio letto, buttando fuori un sospiro preoccupato.

«Ma guarirà, vero Sam?»

Lo sguardo dorato del mostriciattolo era rimasto ad altalenare ansiosamente tra lui e suo fratello per tutto il tempo che Dean aveva impiegato a finire il brodo.

«Ma certo, Jack» Sam gli rivolse un’occhiata incoraggiante «Non preoccuparti, un po’ di riposo e vedrai che tra qualche giorno Dean starà di nuovo bene»

Jack azzardò un sorriso timoroso, mosse qualche passo esitante in direzione del letto del maggiore — i cui occhi già semichiusi non riuscirono a fulminarlo abbastanza in fretta — e gli rincalzò le coperte sotto il materasso con aria tremendamente compita.

Ora che il nephilim aveva l’aspetto di un quindicenne e il lettino per bambini era stato sostituito da un’ingombrante branda che era andata ad occupare il poco spazio ancora disponibile — quello sgabuzzino riadattato che avevano per stanza stava diventando decisamente troppo piccolo.

Dean sentì Jack balbettare qualcosa, suo fratello sbuffare una leggera risata, ma in quel momento non aveva davvero le forze per replicare a tono.

Chiuse gli occhi, sprofondò con la testa nel cuscino, e sognò Castiel.













Buon pomeriggio :)
Spero di non avervi annoiato troppo con questo capitolo, ma era davvero arrivato il momento di concedere un attimo di pace e tranquillità ai Winchester ^^
*Dean: ma se io sto bruciando di febbre!*
*Sam: Fratello non lamentiamoci troppo, che poi magari l’autrice cambia idea e finiamo dritti dritti di nuovo a Corte ç_ç *
*Castiel: A questo proposito, se posso intrometter-*
Ehm, stavo dicendo. Pace e tranquillità. Per ora.
Vi ringrazio di cuore per le splendide recensioni che state lasciando a questa storia, so di avervelo già detto ma siete davvero, davvero delle lettrici meravigliose. (Se poi volesse palesarsi anche qualche lettore, sappia che è sempre il benvenuto :D )
Un grande abbraccio, e a sabato prossimo ❀*

P.S. Chi indovina quale libro sta leggendo Sam all’inizio del capitolo? ;)

   
 
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