Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: summers001    07/09/2020    1 recensioni
BriennexJaime | Fix-it | Multichapter breve
Dal testo:
“Oh, cammini di nuovo.”
“Ne sembrano tutti così sorpresi.”
E rubò un sorriso da Brienne. Jaime la guardava sorridere e ne rimase incantato. Non se la ricordava sorridere. O forse sì, in una di quelle tante notti a Grande Inverno, quando aveva scoperto che la barba sul collo le faceva il solletico, così tanto da farla contorcere prima di scoppiare a ridere a crepapelle.
“Siamo abituati a pensarti morto.” Brienne rispose acida con una frecciatina, lanciata apposta perché ferisse, ma non in profondità. Dopo un lungo silenzio alzò persino gli occhi per controllarlo.
“E tu hai visto anche i morti camminare, di cosa ti stupisci?”
Brienne rise di nuovo involontariamente. Si coprì la bocca per nasconderlo, ma Jaime pareva attendere proprio quella reazione con gli occhi che non la lasciavano un secondo e la controllavano. “Smettila!” lo supplicò.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Jaime Lannister
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From beginning to the end'
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Capitolo 7
 
 
Le onde avevano un effetto calmante per Brienne. Sin da piccola si era rifugiata nel mare per superare i suoi momenti difficili. Raggiungeva la spiaggia, guardava le onde ed a volte si immergeva quando il mare era in tempesta, per sentire il panico di essere schiantata a fondo e l’adrenalina quando si riusciva a rialzare. Era un modo come un altro di sentirsi forte e coraggiosa, come sapeva di essere, nonostante la realtà cercasse di convincerla costantemente del contrario.

Era nata donna e non l’aveva mai considerato uno svantaggio. Brienne cercava le sfide, le affrontava e le vinceva e quella era sicuramente la più grande di tutte. All’inizio, quando aveva conosciuto Jaime era costantemente irritata dal fatto che lui avesse ragione, che in fondo in fondo era una donna come le altre, nonostante il coraggio, il valore, l’armatura e la spada. Voleva essere amata ed amare come chiunque altro. Aveva amato Renly e si era dedicata a lui. Per anni era rimasta convinta che quel sentimento platonico fosse sufficiente. Poi era arrivato Jaime, così brutalmente onesto, così vicino. Jaime aveva così tanta fame di un contatto fisico da contagiare chiunque attorno. Un tocco dopo l’altro, Brienne aveva cominciato a farci l’abitudine, diventando però poi a mano a mano sempre più bramosa. Il sentimento platonico era allora cambiato, era diventato più maturo, quasi completo. Rivedersi ogni volta aveva creato un impulso, un’energia rimasta in sospeso più e più volte, fino a Grande Inverno e poi ad Approdo del Re.

Se doveva pensare a sé stessa, Brienne si vedeva come un cavaliere. Vedeva la sua armatura, la spada, tutte le imprese eroiche compiute e quelle ancora in sospeso. Vedeva il suo coraggio, la sua lealtà ed il suo coraggio, più che il suo sesso o il suo aspetto fisico. Non aveva mai neanche considerato l’ipotesi di poter condividere un destino diverso accanto ad un uomo.

Il fatto era che Brienne ad un futuro con Jaime non aveva mai pensato per due ragioni. La prima era che Jaime rimaneva comunque un cavaliere, esattamente come di recente anche lei, quindi non avrebbe mai potuto avere figli o sposarsi. Poteva solo brulicare nell’ombra. La seconda ragione invece, più articolata, era che tutto era stato sempre così fugace, così breve da non darle modo neanche di pensare ad un futuro. Riusciva ad immaginare ed accettare che Jaime volesse baciarla, che lui provasse una certa forma di affetto nei suoi riguardi, forse persino una strana attrazione che non si sapeva spiegare, ma mai che lui potesse volerla sposare. Credeva che prima o poi sarebbe tornata a camminare da sola.

Le passò per la testa persino il pensiero che come al solito, Jaime si stesse sottovalutando o svalutando addirittura, fino a punirsi. Da qui la sua decisione di incatenarsi a lei. Sebbene fosse fin troppo contorto, macchinoso ed inverosimile, aveva provato una fitta di rabbia nei suoi confronti. L’aveva fatta cavaliere, portando a compimento un suo sogno e poi glielo disfaceva davanti agli occhi di tutti. L’aveva fatta apparire una donna debole, indecisa. Ed in effetti lo era e lo detestava.

Era a tutte queste cose che aveva pensato quella notte, dopo il suo commento davanti al re, prima di incontrare Jaime ed anche dopo, al mattino successivo, quando tra una mansione e l’altra si ritagliava un momento di pausa.
Jaime aveva ragione, era debole, ma non per le ragioni che lui le aveva elencato. Lo era perché voleva quelle cose: sposarlo, avere dei figli ed invecchiare a Castel Granito. Ormai la sua vita e la sua carriera era avviata, rinunciarci sarebbe stato da vigliacchi, deboli, persino pensarlo lo era. Ricostruire l’immagine che aveva di sé stessa poi era da folli.

Nonostante tutti gli impegni era tornata là, sul mare. Il rumore delle onde che si infrangevano contro le alte mura del castello le regalava un senso di temporanea pace. Perdeva persino il conto delle ore. Non riuscivano nemmeno a deconcentrarla quei passi goffi e pesanti che si avvicinavano. Una presenza poi la raggiunse e le si mise a fianco. Brienne alzò gli occhi curiosa e vide Pod, il suo scudiero. Era cresciuto, davvero tanto, come si conviene per un adolescente. Aveva la barba, decisamente più peli, capelli più ordinati, vestiti più lussuosi e quasi sempre puliti. Era diventato anche alto. Con la punta dei capelli le arrivava al naso ormai. “Ma guardati.” Fece lei con voce malinconica “Sei diventato grande, ormai sei quasi un vero cavaliere.” Disse strizzando l’occhio alla spada che gli vedeva appesa alla cintola. Provò persino la tentazione di chiedergli perché non fosse col re, ad ottemperare ai suoi doveri.

“Oh, no, Ser.” Rispose subito lui con riverenza “Mai.” Aggiunse.

La donna prese un respiro profondo, guardò di nuovo il mare. Era libero. E proprio come il mare anche il mondo stava aspettando l’arrivo di un’onda di novità, di libertà ed uguaglianza. La gente sembrava più attenta ai temi sociali. Parole come quelle si sentivano spesso per le strade a svantaggio di altre come “rango”, “titolo” e “servitù”.
“Chiamami Brienne.” Fece lei adeguandosi “Sembra che Lord Tyrion stia diffondendo queste nuove idee di uguaglianza. Siamo uguali io e te. Respiriamo la stessa aria, beviamo la stessa acqua.”

“Abbiamo gli stessi diritti.” Continuò Pod per lei.

“Già. Immaginavo simpatizzassi per le sue idee.” Non che lei non lo facesse, anzi, sembrava proprio il corso naturale delle cose.

Pod scrollò le spalle e seguì gli occhi della sua Lady Comandante, persi nel blu dell’orizzonte. Cercò la stessa bellezza che stava guardando lei, senza però riuscire a coglierla. Avrebbe voluto parlarle, anche se ormai era abituato ai suoi silenzi. Sentiva che in quel caso potesse essere almeno un po’ d’aiuto, che la sua visione semplicistica delle cose potesse darle una mano. Sapeva che la sua Lady tendeva sempre ad ingigantire i suoi problemi, ma non trovò mai il coraggio di parlare e di dirle la sua.

Fu Brienne poi a rompere il silenzio, come al solito. “Prenderai mai moglie, Pod?” lo spiazzò con la stessa calma ed imperturbabilità della voce.

“C-cosa?”

Brienne sorrise. Ecco, era esattamente quello che stava provando anche lei “Vorresti sposarti? Avere dei figli?” chiese piatta.

Per Pod, quella monotonia della voce era sbagliata. Era cresciuto in una famiglia umile, dove ogni nascita o unione erano vissuta come una festa. Avrebbe voluto spiegarle tutto a parole, ma era difficile raccontare un concetto così difficile ad una persona che aveva sempre considerato più saggia di lui, come tenere una lezione ad un maestro. Persino quello era sbagliato ed il ragazzo suppose che proprio questo suo senso di inadeguatezza avesse consentito alle idee di Tyrion di attecchire “Io non…”

“Già, neanch’io ci avevo mai pensato.” Disse lei, ignorando quel processo interiore che lui stava vivendo “Non di recente. Non mi ci vedo più ora. Forse è più corretto dire che ci avevo rinunciato.”

Se c’era un’altra cosa che Pod stava imparando per le strade, dopo aver visto due draghi crollare, era che chiunque era in potere di fare qualsiasi cosa. Era assurdo poi credere che proprio Ser Brienne questo non l’avesse capito. “Tu puoi fare quello che vuoi, Ser…” disse “Brienne.” Aggiunse correggendosi.

Abbassa la maschera, Lord Tyrion! Pensò Brienne e sorrise di nuovo. “Grazie Pod, lo terrò a mente.” Non faceva che provare tenerezza di fronte a quel ragazzo. Prese un respiro profondo e decise che era ora di andare.
Avrebbe lasciato che il mare e le onde facessero il loro corso. Li avrebbe affrontati con coraggio, come faceva da bambina. Sarebbe caduta e si sarebbe rialzata, un po’ ferita, ma più forte di prima.
 
***
 
“Ti posso parlare?” chiese Jaime a cena.

L’ampio salone, gli ampi tavoli, la stessa cena servita a tutti alla stessa ora creava confusione. Si era sempre circondati da persone a cena. Le voci degli altri coprivano sempre la propria, rendendo difficile farsi sentire. Si era costretti ad urlare per parlare persino con il proprio vicino. Era difficile persino estraniarsi, qualche orecchio troppo curioso rimaneva sempre nel proprio raggio. Jaime fece cenno con un dito di raggiungerlo fuori. Neanche lui sapeva cosa intendesse per fuori. Persino fuori c’era troppa gente, la stessa che poi entrava ed usciva dal grande salone.

“Non puoi aspettare?” chiese Brienne, guardandosi nel piatto, invitando anche lui a notare che non avesse ancora finito di mangiare. Era solo un pezzo di carne maciullata ed appallottolata, cotta sopra olio e condita con una purea di patate, eppure pareva il pasto più importante della sua vita.

“No, davvero.” Rispose lui con impertinenza. Eppure, non ci poteva fare niente, di certo non costringerla a parole, né tanto meno strascinarla fuori con la forza. Prese un respiro profondo spazientito, come se l’atteggiamento evitante che Brienne stava perseguendo gli toccasse una qualche corda. “Ti aspetto su.” Disse alla fine, senza necessità di puntualizzare quale posto intendesse.

Si allontanò e qualcuno fischiò nella sua direzione. “Sei andato in bianco, Jaime Lannister!” disse quello per attirare la sua attenzione.

Jaime ci fece appena caso, come ad un rumore di fondo. Si fermò, guardò quel mezzo cavaliere, bardato del mantello bianco e dell’armatura luccicante. Gli spinse la testa nel piatto, portandolo ad imbrattarsi di patate ed olio. “Fottiti.” Bisbigliò solo e se andò.

Brienne lo seguì con lo sguardo. Pareva triste, disperato, malconcio dentro. Trattenne un pugno, stringendo le dita al tavolo e finse di continuare a mangiare indifferente. Era ormai arrivata ad una conclusione, che sperava arrivasse quanto più tardi possibile. Le faceva paura confrontarsi con Jaime. La cosa sarebbe potuta andare solo in due modi, nessuno dei due gradevole.

Batteva i piedi sotto al tavolo della mensa facendo tremare la sua sedia e quella affianco nervosamente. Un nodo le aveva definitivamente chiuso lo stomaco e si disse che se l’avesse raggiunto sarebbe definitivamente cambiato tutto di nuovo. Sentiva le viscere contorcersi e se non le avesse fermate presto avrebbe vomitato.
Non voleva perderlo.

Si ritrovò a camminare per i corridoi e su per le scale, senza neanche sentire i suoi piedi che la stavano portando da lui. Quando raggiunse i balconi, l’aria fresca così innaturale per l’estate la colpì in pieno viso come un vento. Eccolo il vento, quei cambiamenti, le onde che stava ormai aspettando. Raggiunse Jaime con rinnovato coraggio e si portò accanto a lui, come aveva fatto lui stesso una sera prima.

L’uomo si voltò verso di lei e si poggiò coi gomiti sulla balconata di pietra. I vestiti gli si incollarono addosso, spinti dal vento, disegnandone la figura longilinea che stava riprendendo il tono di un tempo. Indossava abiti da camera, che Brienne non aveva notato prima. Erano dei semplici pantaloni, una semplice casacca e degli stivali infilati di corsa “Ci ho pensato molto.” Cominciò lui subito, come se non aspettasse altro che parlare. Giocava con le dita nervoso, tamburellandole sulla pietra che gli lasciava una sottile polvere bianca sotto i polpastrelli. Le guardava una spalla, la bocca, la fronte, ma non gli occhi, come se la stesse evitando, quasi non avesse il coraggio.

Eccolo, il momento in cui sarebbe tutto finito. C’era quel suo modo premuroso di parlare, di accoglierla, di confrontarsi con lei che non avrebbe mai voluto perdere. Se l’avesse lasciato continuare, se avesse lasciato le cose come stavano, gli avrebbe chiesto un altro abbraccio e non l’avrebbe mai più lasciato. “No.” Lo fermò allora subito.

Il viso di Jaime si corrucciò. Non era così che si era immaginato sarebbe andata e tutto quello che voleva era che lei lo lasciasse parlare. “Posso andare avanti?” chiese sperando di poter virare sull’ironia, senza lasciarsi preoccupare da quel broncio che ormai portava da tutto il giorno. Il viso di Brienne era diventato paonazzo. Gli occhi si erano cominciati a bagnare di lacrime ed aveva chiuso le labbra perché non le uscisse alcun singhiozzo dalla bocca. Faceva solo segno di no con la testa e Jaime si chiede a cosa stesse rispondendo di no.

“Non sai neanche cosa voglio chiederti.”

Brienne si strinse la pancia con le braccia. Cominciava a sentire un dolore irradiarle da dentro, dal centro del cuore, fin dentro allo stomaco. “Jaime, non posso.” Cominciò a biascicare, riuscendo a malapena a guardarlo in viso. Cercò di riprendere fiato, ricacciò dentro le lacrime, si poggiò al muretto e tirò su quanto più aria poteva. “Io sono questo.” Disse indicandosi l’armatura, ricordandogli ancora una volta che era quella strada che aveva deciso di seguire da anni.

Jaime non ci riusciva a credere. Neanche aveva avuto modo di parlare. La sua domanda rimase sospesa tra loro. Non le aveva ancora chiesto niente, non aveva ancora sentito tutto quello che aveva in mente, quindi cosa stava rifiutando esattamente? Le avrebbe detto tutto il suo piano e solo così, dopo aver sentito tutto, avrebbe accettato il suo rifiuto. Quel barlume di speranza provato da quando Tyrion gli aveva illuminato la via non se ne sarebbe andato così facilmente. “Vuoi essere un fottuto cavaliere?” chiese preso dal fervore, puntandogli il dito contro l’armatura “Bene, vieni ad essere un cavaliere con me, ad ovest, a Castel Granito. Anche là la gente muore di fame ed ha bisogno di aiuto.” Disse poi indicando il mare.

Quell’attacco spiazzò Brienne. “Che cazzo significa?” chiese brusca.

Jaime avrebbe voluto essere calmo, avrebbe voluto ignorare la sua inutile cocciutaggine, l’armatura che indossava sempre, i vestiti dietro a cui si nascondeva persino da lui. Glielo voleva chiedere là, in quel posto tanto speciale per lei, sotto la luna. Una cosa che neanche con Cercei si era mai immaginato di fare. Aveva persino pensato di fare l’amore là, come una coppia di novelli promessi, teneri, caldi, così presi l’uno dall’altra. La rabbia di lei, il suo continuo temporeggiare, il modo in cui l’aveva evitato apposta, le voci di tutta quella gente che neanche gli aveva mai rivolto la parola, tutto fece scattare anche la rabbia di lui. “Che ho smesso di prendere decisioni per compiacere qualcun altro.” ringhiò “Non rimarrò qua perché un altro Re me lo chiede o per un’altra donna che ha tutta l’intenzione di preservare il mio celibato alla luce del sole e venire a letto con me di nascosto.” Le disse indicandola. E già, era proprio così. Si stava comportando proprio come Cercei. “E che cazzo succederà quando non sarò abbastanza attento e ti renderò gravida?” e preso dal ricordo di quel che era successo nelle ultime quattro volte, della promessa neanche alla fine mantenuta da Cercei, diede un calcio ad una di quelle stupide colonnine di marmo, che cadde e si frantumò. Brienne indietreggiò, sorpresa dal suo scatto di rabbia.

Il rumore e la confusione attutirono la collera ed il dolore che Jaime provava al piede. Chiuse gli occhi, strinse il pugno. Nella sua mente riusciva a stringere anche l’altro. Poi sospirò, una calma strana lo prese, come se avesse finalmente preso una decisione. “Io torno a Castel Granito.” Disse, formalizzando l’impulsiva decisione. “E ti chiedo di venire con me e sposarmi.”

Brienne si portò una mano davanti alla bocca. L’aveva detto. Jaime le aveva davvero chiesto di sposarla. Stava piangendo come una donna qualunque. L’armatura le si fece troppo grande e troppo pesante addosso, così tanto che provò l’impulso di accucciarsi a terra e nascondercisi dentro come una tartaruga. E piangere, piangere e piangere. Si interrogò su quanto fosse ironico il destino, pensò a quanto in ritardo avesse sentito quelle parole, sul fatto che fosse stato un uomo di cui era effettivamente innamorata a pronunciarle. Pianse perché non era più quella ragazzina che stava aspettando quella domanda. Continuava solo a piangere ed a fare di no col capo. Nel frattempo, Jaime l’aveva raggiunta, l’aveva presa per le spalle e la guardava col suo solito modo amorevole, con quegli occhi carichi di sentimento e di speranza. “Non sono tagliata per questo.” Trovò solo il coraggio di dirgli, perché se lo meritava. Cominciava a credere di essere lei quella sbagliata, che si stava invece sopravvalutando di continuo, al contrario dell’altro.

Jaime sorrideva guardandola. Le lacrime di lei e quella reazione così forte l’avevano convinto che alla fine Brienne sarebbe capitolata, come quel giorno nella sua stanza. “Ti ci sembro io?” ironizzò puntandosi la mano al petto. La vide crogiolarsi nei suoi pensieri, in tutti i suoi dubbi, le sue incertezze. “Puoi essere sia forte che una donna.” Le disse tenendole stretto il viso, guardandola negli occhi con fare rassicurante. “Guarda la tua Lady Sansa, per la miseria!” sbraitò, indicando col naso per aria, dove presumeva si trovasse il Nord.

Brienne fece di nuovo di no col capo. Non voleva che lui pensasse di poterla avere vinta ancora una volta. “Lo sono già.” Rispose, forte del fatto di essersi sempre definita una donna e sempre forte. Si rassicurò però, forse era stato il suo abbraccio ed il suo calore a farle pensare che le sarebbe stato comunque sempre vicino.

Jaime sembrò ingoiare un groppo di saliva. “No, stai facendo finta da tutta la vita.” Le disse solo, confermando quelle che erano sempre state le sue impressioni su di lei: faceva tanto la forte, tanto la spadaccina, ma quello che il suo cuore dentro voleva era sentirsi una donna, come era appena stato. E per questo s’era spaventata. “Aspetterò che tu prenda una decisione, fino ad allora sarò qui.”

Brienne sembrò realizzare una parola alla volta quello che le aveva appena detto. Desiderò che persino le onde si zittissero per farla concentrare. La paura la prese all’improvviso. Significava che nel momento in cui avrebbe rifiutato la sua proposta non sarebbe più rimasto? “Jaime, vuoi andartene di nuovo.” Constatò a voce alta.

“No, questa volta sei tu ad essere andata via.” La baciò “Ci vediamo domani sera. Qua. Ti prego pensaci.” Le disse e la lasciò.
 
***
 
La aspettò per davvero là sopra.
Non che avesse molto da fare ancora ad Approdo del Re e quello era parte del problema. Passò il giorno successivo a guardare la gente affaccendarsi per le strade: chi ricostruiva, chi vendeva, chi comprava, chi beveva, chi chiedeva l’elemosina. E poi da un altro lato c’era un anziano, un maestro, uno dei pochi sopravvissuti. Era circondato da una schiera di bambini e leggevano o facevano operazioni di matematica, chi poteva saperlo. Quel gruppo era come un ciuffo d’erba che cresceva sulla cenere. La chiamavano scuola, gli disse Tyrion qualche giorno prima. La presenza di quel ciuffo d’erba l’aveva ispirato.
Il clima stava cambiando, l’estate finiva, lasciando spazio piano piano ancora all’autunno. Il verde in lontananza si stava ingiallendo. Là in fondo, durante l’inverno, un incendio aveva raso al suolo le mura che ancora rimanevano aperte. Era venuta la primavera che Jaime non avevano visto, poi l’estate e la natura era rifiorita dove l’uomo aveva portato distruzione.
Tutto quello che aveva vissuto l’aveva reso saggio. Non si riconosceva più nello Jaime sterminatore di Re, né nel leone dei Lannister. Erano diventate tutte parole vuote, così come anche lui prima era.

Non dovette aspettare molto perché Brienne lo raggiungesse. Di nuovo come la sera prima il vento tirava forte. L’aveva fatto dal pomeriggio, poi il sole aveva cominciato a calare. Il freddo gli schiaffeggiava la pelle, ma non gli importava, significava che era vivo. Sul volto di lei era stampata già la sua risposta.
Prima che lei cominciasse a parlare, volle guardarla e ricordarsela così, con la luce del sole arancione che le illuminava il viso, sotto le nuvole rosa che esaltava la sua pelle, con i capelli appena un po’ più lunghi che si muovevano con i fischi del cielo in ciocche spesse appena arricciate sulle punte. Decise che era così che l’avrebbe ricordata: ancora giovane, ingenua, ostinata, innamorata, forse persino preoccupata di arrecargli altro dolore.

Brienne gli si avvicinò e lui la aspettò come la lama di un boia, ormai arreso. Quando gli fu di fronte cominciò a parlare “Jaime, non posso.” Gli disse. Si teneva ancora un po’ distante. Voleva sentirla un’ultima volta e tenerle la mano. Prese a fissare quelle mentre lei continuava “Devo essere fedele a quello che sono. Se le nostre strade non coincidono la decisione sembra semplice.”

Jaime sorrise amaramente. Credeva si amassero di più. Credeva che tutte quelle chiacchiere, le risate, le carezze valessero più di quella spada. Perché si trattava sempre di spade? Brienne fissata per la propria, Cercei per quelle del suo maledetto trono. Eppure, era giusto. Se Brienne non poteva garantirgli amore, se non poteva nemmeno farlo per sé stessa, se aveva conosciuto il sentimento vero, la condivisione ed aveva declinato, la decisione era semplice. A volte l’amore non basta e per lui non era mai bastato. L’avrebbe pensata negli anni avvenire. L’amore e la stima che nutriva per lei l’avrebbero aiutato ad aiutare il regno, servendolo. Magari un giorno l’avrebbe incontrata di nuovo ed allora l’avrebbe guardata da lontano, pensando a Grande Inverno ed alle notti fredde o all'estate tra quelle mura. Se lo aspettava. Non poteva dire il contrario.
Eppure, era finita troppo presto. Era certo che lei lo amasse fino a quel punto ed anche oltre. Era così che lei l’aveva fatto sentire.
Non gli rimaneva che accettare la sua decisione.  

Poi Brienne cominciò a piangere, di nuovo come la sera precedente. La guardò meglio e notò gli occhi gonfi. Non doveva aver fatto altro durante tutto il giorno. Alzò la mano, le accarezzò la guancia, le asciugò le lacrime, avrebbe fatto di tutto pur di consolarla.
“Io ti amo.” Scoppiò lei, dirompendo come o peggio quella notte in cui l’aveva lasciata sola a Grande Inverno.

Con uno slancio Jaime la raggiunse. Non era così che voleva sentirselo dire. Non era così che doveva andare. Non c’era da piangere. Avrebbe dovuto ridere, emozionarsi, arrossire. Così se l’era immaginata, così doveva andare, ma a volte l’amore non basta e Jaime lo sapeva, lo sapeva bene, fin troppo bene.
La tenne stretta e fu difficile alla fine lasciarla andare, di nuovo nelle sue stanze, dove l’avrebbe attesa un letto freddo, una notte insonne e poi il mattino coi suoi doveri, a cui era tanto devota.
“Vai.” Riuscì a sussurrarle. La baciò sulla guancia e la salutò come se le stesse dicendo arrivederci.
 
***
 
Quando era ferito, quando se ne stava comatoso in un letto tra la febbre e l’anemia, quando credeva che non si sarebbe più ripreso e non sarebbe mai stato più quello di prima, annegato nella vergogna e nell’autocommiserazione, Jaime aveva pensato che il tempo fosse un'invenzione. Che non esistesse alcuno scorrere di niente. C’erano solo persone che si muovevano nello spazio e che quel muoversi desse loro l’impressione del tempo. Da fermi il tempo non esisteva. Quando si prova dolore il tempo non esiste e questo l’aveva già imparato negli anni.
In passato aveva incontrato la noia solo di sfuggita. Si era lanciato in guerre, sfide, battaglie, tra le gonne di sua sorella o negli avvincenti discorsi di suo fratello pur di evitarla. Non cogliere lo scorrere del tempo o provare noia l'avrebbe portato a rimanere solo con sé stesso, a scontrarsi faccia a faccia con quello che provava e col dolore che gli lacerava il petto. In passato a quel dolore Jaime non aveva mai dato spazio.
Ad Approdo Del Re, avrebbe voluto tornare ad essere quella persona. Quella infrangibile, quella animata ancora dalla gioventù e dal desiderio di vendetta.  Allora nascondeva il dolore, lo mascherava anzi.
In quei giorni troppo lenti, troppo immobili si trovò a doverlo affrontare, a perdere ed ad accettarlo come compagno. Non poteva combatterlo. Era inutile, senza niente da fare, senza una ragione per respirare. Provava dolore e si sentiva spaesato, mentre gli altri si muovevano attorno a lui, mentre il tempo scorreva per tutti ma non per lui.

Si era innamorato di nuovo di una donna che non lo amava allo stesso modo, non quanto lui amasse lei, non da rinunciare a tutto, non da dedicarglisi a pieno, non come anche lui amava lei.

I giorni passarono veloci, fin troppo. Il dolore divenne cupo, le lacrime più sporadiche, la ferita al cuore una bolla pulsante, colma di sangue pronta a scoppiare da un momento all’altro. La città diventava opprimente, grigia, gialla. E Jaime pungolava quel dolore. Si metteva a spiare Brienne dall’alto, con un velo di malinconia, guardando tutti i suoi sogni infranti che diventavano sempre più distanti. A volte pensava che in suo onore avrebbe dovuto mettersi d’impegno per fare di più, prendere d’esempio da lei e rendersi utile. Cominciare a cogliere di nuovo il tempo.

La lontananza, il dolore, la noia, quella voglia di tornare ad essere il Jaime combattivo che realizzava qualcosa, l’uomo onorevole che lei aveva creduto essere, tutte queste emozioni lo portarono poi davvero a prendere una nave ed a salpare verso Castel Granito, Lannisport e le terre ad Ovest. Avrebbe dato una mano per davvero. Avrebbe aiutato là quella povera gente. Là forse sarebbe diventato tutto più sopportabile, meno reale.

Chissà come l’avrebbero accolto.

“Lord di Castel Granito suona un po’ come un declassamento visti i tuoi precedenti.” Gli disse suo fratello Tyrion all’imbarco, mentre uomini più capaci in un gran baccano fissavano le corde, le vele, controllavano le ancore, il timone, la rotta. Jaime li guardò e pensò che qualche giorno di viaggio così gli avrebbe fatto bene.

“Avrete bisogno di più aiuti.” Disse ormai parlando al plurale “Dorne, Altogiardino e le Isole di Ferro non sono sufficienti. Anche se non sono sicuro sul come.” E forse guardò Tyrion con sguardo supplicante, chiedendogli di spiegargli come si fa a governare addirittura un castello.

“Te la caverai benissimo.”

“Sei tu quello intelligente.”

“Posso condividere il titolo.”

Finito lo scambio di incoraggiamenti, Jaime si perse di nuovo. Guardò ancora la nave, sperando che quella gli regalasse la sensazione di sollievo che tanto sperava. Cominciava a desiderare disperatamente quella lontananza. Prese un respiro profondo e guardò Tyrion, mano ufficiale del Re, con la sua spilla dorata che svolgeva il suo lavoro al meglio; la nave che l’avrebbe portato presto al suo luogo natale dove era sempre destinato a finire. “Siamo esattamente al posto che nostro padre aveva scelto per noi.”

Tyrion sorrise. “Non esattamente. Nostro padre aveva scelto una cella per me.”

“Non posso darti torto.” Rispose sorridendo Jaime, ma era un sorriso finto, che calò presto, rivelando quella tristezza ed impotenza che lo pervadeva ormai da giorni.

“Starai bene?” chiese l’altro preoccupato, cercando di consolarlo massaggiandogli la spalla, come se quel gesto avesse davvero potuto fare un qualche effetto.

“Ci proverò.”

“Tienimi aggiornato.”

“Anche tu.” Rispose e si sforzò di sorridere di nuovo. Anche Tyrion sorrise e sotto la barba Jaime riuscì a riconoscere il suo fratellino che tanto aveva amato e protetto, l’ultimo della sua famiglia rimasto, quello con cui scorrazzava nel castello d’infanzia. Lo abbracciò, gli promise che si sarebbero incontrati presto, ancora una volta, come sempre ormai.
Avrebbe voluto dare più spazio alle smancerie, ma si imbarcò e respirò il mare.
 
***
 
Tyrion era rimasto sul molo a guardare la nave andare via. Avrebbe voluto sentirsi solo triste, ma c’erano in più tanta rabbia, delusione ed amarezza. Pensò così tante parole per descrivere quello che stava provando, che se avesse voluto recitarle ad alta voce avrebbe impiegato più di cinque minuti. L’emozione che però più di tutte lo disturbava era la rabbia. Non cercava neanche di nasconderla, anzi voleva che si vedesse da fuori. Voleva che qualcuno notasse gli occhi rossi e le rughe vicino alla cicatrice sul naso.

Una persona più di tutte doveva vederla. Aveva notato la sua ombra alta ed imponente troneggiare sul pavimento di cemento grigio non appena la nave prese largo. Quella persona aveva avuto il coraggio di guardare Jaime andar via da lontano, nonostante sapesse che era lei la causa di quell'abbandono. Si era permessa di buttare via un affetto così grande dopo averlo ritrovato a stento. Di rinunciare ad un’occasione di essere felice da una volta nella vita, magari senza sentirsi neanche in colpa.

“Vuoi sentire da me una cosa che lui non ti avrebbe mai detto?” le disse Tyrion. Non sapeva quanto fosse lontana, se riuscisse a sentirlo, così urlò in modo che il messaggio le arrivasse forte e chiaro “Sei una stronza vigliacca.” Concluse e se ne andò con disprezzo, senza voltarsi, sperando che la fredda uscita ad effetto le avrebbe fatto ancora più male del dovuto.

Brienne rimase là a guardare la nave allontanarsi e diventare piccola. Avrebbe voluto che le parole di Tyrion colpissero tanto a fondo quanto lui sperava. Avrebbe voluto provare più dolore di quanto ne stava provando solo per poter fare ammenda. Lo amava, lo amava da morire e se gliel’avesse chiesto per lui sarebbe morta di nuovo. Lo amava così tanto però che non sarebbe riuscita a vivere invece per lui. Non poteva dare via tutto di nuovo. Non poteva più sentirsi debole un’altra volta. Aveva visto morire Renly e gli dei solo sapevano quanto l’avesse amato. Aveva vissuto l’abbandono e poi la morte di Jaime. Era stata lasciata indietro ogni singola volta. Così tante da non riuscire più ad immaginare di poter essere amata da qualcuno, così tante da non sapere più se avesse potuto reggerle e lo strazio che stava provando ne era la prova. Era andata a fondo e stava ingoiando acqua. Si stava lasciando schiacciare dalle avversità mentre Jaime le stava cavalcando.

Provò rimorso e voglia di rimediare. Riusciva a sentire solo le onde che ancora la tiravano giù.



 


Angolo dell'autrice
Eccolaaa
Ok, questo è il penultimo. Dopo questo c'è solo l'epilogo.
Vi ringrazio nuovamente per la partecipazione. Ringrazio in particolar modo un utente speciale che si sta prendendo la briga di scrivermi volta per volta :) 
Vi lascio con un bacio :* a presto
  
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