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Autore: Saruwatari_Asuka    08/09/2020    4 recensioni
[SPOILER CAPITOLO 282]
[SPOILER VOLUME 9 DI VIGILANT - insomma spoiler su tutta la linea su Aizawa]
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"Ad Aizawa non è mai importato essere famoso. Non gli è mai, mai importato farsi ben vedere dalle telecamere.
Nessuno lo conosce, se non i suoi colleghi a scuola o alla polizia.
Ma è giusto così.
Non ha mai voluto splendere, Aizawa.
Non è nel suo destino, splendere. Non da solo, non più ormai.
Ma se potrà aiutare a nascere degli eroi che potranno farlo, allora andrà bene."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: All Might, Eri, Present Mic, Shōta Aizawa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Light throught the shadows

 

 

 

 

 

 

 

La pezza bagnata sulla fronte bollente da un pizzico di sollievo. Appena, ma gli permette di aprire gli occhi che ancora bruciano.

Ormai c’è abituato, a quello, bruciano di continuo e per quante volte possa usare le goccine idratanti a volte gli sembra che proprio non facciano effetto. Tanto da aver pensato, a volte, che forse la Yuuei non è per lui.

Forse, tutto sommato, lui non è adatto per fare l’eroe.

Insomma, il suo potere non lo è di certo.

La loro è un’epoca in cui gli eroi sono all’ordine del giorno, tutti li rispettano, tutti vorrebbero essere come loro. Alcuni per reale spirito di sacrificio o di generosità, altri solo per soldi.

Yamada vuole diventare famoso, potrebbe fare lo speaker ma ha deciso che se può anche rendersi utile col suo potere, perché non farlo? In realtà, anche se non lo dice e non lo dirà mai, Shota lo stima. Insomma, Yamada è sicuramente una persona particolare, quando si sono conosciuti il primo giorno lì alla Yuuei ha pensato che uno come lui non potesse avere niente a che fare con lui.

Ma poi Hizashi ha fatto amicizia con Shirakumo. E allora ha pensato che forse, forse, oltre che un gran confusionario non dovesse essere una persona così male.

Shirakumo, dopotutto, è il suo migliore amico fin dalle medie.

Il suo opposto, eppure gli vuole bene come a un fratello.

Se è lì alla Yuuei è colpa sua.

Se è su quel letto d’infermeria con la febbre alta è colpa sua.

Aizawa Shota ha sempre cercato un modo per non essere inferiore ai suoi compagni, ha un quirk definito raro, ma è inutile in quasi ogni aspetto quotidiano che gli viene in mente. Non ha mai saputo che farsene, per quel che lo usava si è sempre considerato al pari di un quirkless.

E’ stato Shirakumo a dargli l’idea. Lui voleva essere un Hero, un vero Hero. Ha sempre avuto tutte le qualità per farcela, quirk in primis. Quando gli ha detto di iscriversi alla Yuuei, Aizawa ha scrollato le spalle.

“Se lo dici tu,” gli ha detto quella volta.

Shirakumo è stato felice come se gli avesse fatto un regalo, quindi Aizawa si è sempre impegnato a fondo per stare al suo passo.

Ma non ci è mai riuscito.

Ha passato il test d’ammissione solo perché Shirakumo era con lui e lo ha aiutato.

Non ha le capacità fisiche degli altri.

Forse non ha neanche la determinazione degli altri.

E il suo quirk non serve assolutamente a nulla.

Che ci sta a fare, lì? Shirakumo insieme ad Hizashi potrebbe diventare un eroe molto migliore che stando dietro a lui, che non riesce a tenere il loro ritmo.

Forse dovrebbe arrendersi.

Sì. Forse dovrebbe proprio.

Shota! Come ti senti, oggi?!”

Aizawa alza gli occhi. Shirakumo è seduto sul letto, lo fissa con quei capelli voluminosi e soffici che lo caratterizzano, che gli somigliano.

Chiyo, l’infermiera, non c’è.

La pezza dovrebbe avergliela cambiata lei. O è stato lui? Non lo sa. Le mani di Shirakumo sono bagnate, in effetti.

“Bene,” mormora. Non è vero. Si sente fiacco e sicuramente ha ancora la febbre alta.

Chiyo ha detto che sta esagerando, s’è stancato troppo.

Lo sa, è vero.

Il tirocinio è stato una perdita di tempo per lui, ma non perché ha scelto l’eroe sbagliato da seguire o perché non è successo mai nulla. E’ stato lui il problema. Non ha mai saputo rendersi utile.

Però ha cercato di non rendere Yamada e Shirakumo troppo partecipi di quello. Loro credono in lui.

Non vuole deluderli.

Non vuole deludere Shirakumo.

Spesso non si sente degno di essere suo amico, spesso tutto ciò che vuole è rimanere al suo fianco senza avere realmente un piano per riuscirci.

Per questo si è dato da fare due volte più degli altri, in quel breve periodo.

Finché il suo corpo non ha ceduto.

“Sei un pessimo bugiardo, Shota.”

“No. Sto bene davvero.”

“Invece no!” ride Shirakumo, “Hai ancora la febbre alta. Sai, Shota, non dovresti sforzarti così tanto. Tu vai bene così come sei.”

“Ma di che parli?”

Shirakumo si rialza, allungando le braccia verso il cielo come se dovesse prendere da lì le nuvole che controlla.

“Ultimamente ho visto che sei nervoso.”

“Non è vero.”

Ah-ah, Shota!” lo ammonisce, muovendogli un dito davanti al naso, “Ti ho detto che sei un pessimo bugiardo!”

Aizawa mette il broncio, sporge il labbro inferiore e volta lo sguardo altrove rispetto all’amico, “Non so mentendo.”

“Stai omettendo, è uguale.”

“Ti dico che non...-”

“Lo sai, Shota?” Aizawa si gira di nuovo, quando lo chiama con quel tono. D’improvviso ha perso l’allegria, s’è fatto serio.

Shirakumo non è quasi mai serio. E’ successo pochissime volte, sempre in situazioni particolari.

Adesso non gli sembra il caso, invece.

“Io vorrei diventare uno splendido eroe insieme a te. Perché so che anche tu hai il talento per diventarlo. Sei una persona fantastica, Shota, solo che non lo riesci a vedere! Ti fissi di non essere all’altezza, di non essere degno, di non avere il quirk giusto. Rilassati, amico mio! Diventerai un eroe prezioso, io ne sono certo!”

Aizawa, a quelle parole, per un attimo rimane perplesso. Gli zigomi sono caldi, ma è sicuramente colpa della febbre e quindi va tutto bene.

Gli occhi, però, svicolano da quelli splendenti di Shirakumo.

Lui non sa quello che dice.

E’ il primo, lui, che non riesce a vedere. A non vedere quanto è lui, a splendere.

Aizawa può solo sforzarsi per stargli dietro.

Ma gli sta anche bene così. Perché Shirakumo se lo merita.

Se può anche solo un po’, anche solo una volta, rendersi utile, allora tutta quella fatica non sarà stata vana.

Se un giorno, in futuro, riuscirà a fare qualcosa che possa rendere orgoglioso Shirakumo anche solo un po’, allora ne sarà valsa la pena.

Se da adulti potrà guardare il suo migliore amico, suo fratello, negli occhi, e sorridere con serenità, allora tutta quella fatica avrà avuto un significato.

 

Ad Aizawa non è mai importato essere famoso. Non gli è mai, mai importato farsi ben vedere dalle telecamere.

Nessuno lo conosce, se non i suoi colleghi a scuola o alla polizia.

Ma è giusto così.

Perché quello che ha fatto ha salvato delle vite, ha aiutato delle persone. Ha aiutato a far tornare il sorriso alla piccola Eri, e questo è sufficiente.

Non ha mai voluto splendere, Aizawa.

Non è nel suo destino, splendere. Non da solo, non più ormai.

Ma se potrà aiutare a nascere degli eroi che potranno farlo, allora andrà bene.

Ha pensato per anni, da quando Shirakumo è morto, che quella fosse la sua unica aspirazione, adesso. Aiutare a crescere e formarsi gli eroi del domani.

Eroi che possono splendere davvero, per capacità, spirito e morale.

Quando i suoi occhi si chiudono sulla schiena di Midoriya, Aizawa sorride.

Forse, c’è riuscito.

No, non lui.

Midoriya c’è riuscito. E lui è fiero.

Non ha potuto aiutare Shirakumo a diventare il grande eroe che sognava d’essere, non ha fatto in tempo, non ha saputo aiutarlo. E’ morto, e ormai è troppo tardi per lui, probabilmente.

Anche se lo spera, lo spera ancora con tutto se stesso.

Spera ancora di poter tornare a combattere, e sorridere, con lui.

Ma a prescindere da questo, forse Shirakumo non potrà più diventare un brillante eroe, no. Ma Midoriya sì.

Midoriya ha tutte le caratteristiche per farcela.

Ora lo vede. Lo vede chiaramente.

 

Gli andrebbe bene anche così, la sua vita è servita a qualcosa, è stato utile e gli andrebbe bene così.

Ma non può.

Ha un altro eroe da aiutare. Un’altra bambina da far crescere.

Non può abbandonare Shinsou.
E, ancora di più, non vuole abbandonare Eri.

 

Sembra sciocco, forse lo è, ma è il suo l’ultimo volto a cui pensa.

Midorya maturerà anche senza di lui.

E Shinsou, lui ha potenziale e l’ha dimostrato.

Così come i suoi studenti, tutti.

Ma quella bambina, quella bambina ha bisogno di lui.

Si è sempre reso utile, sempre impegnato, in ombra, ma sempre presente.

E adesso, a trentatre anni, qualcuno ha bisogno davvero di lui. O chissà, forse è solo lui a sperarlo.

Forse gli piacerebbe e basta, che quella bambina avesse davvero bisogno di lui, nonostante Mirio, Midoriya e All Might.

Perché le vuole bene. Ha di nuovo chinato la testa a quel sentimento, anche se non avrebbe voluto.

Non serve, è deleterio.

Ma lei è entrata a gamba tesa. Piccola, spaurita, ma ben tesa.

 

Signor Aizawa...”

 

Se non altro, perché lui è l’unico a poterla aiutare a controllare il suo potere.

Doveva imparare, è l’unico  modo, l’unica speranza per ridare il quirk a Mirio. E in generale, è meglio che lo controlli piuttosto che rischiare di perdere il controllo e fare del male a qualcuno.

Non se lo sarebbe mai perdonata.

E quella bambina ne ha già passate troppe.

Gli piacerebbe...che non perda più il suo sorriso. Merita di essere felice.

E lui vorrebbe essere ancora presente, per lei.

Ed in fondo è merito suo se è riuscito ad affrontare quella situazione con freddezza e compostezza.

 

“...non muoia, per favore, signor Aizawa.”

 

 

 

--

 

 

 

“Andiamo, Erichan,” mormora All Might, prendendo la mano della bambina.

Eri, però, stringe un’ultima volta quella di Aizawa, per salutarlo.

Chiyo ha detto che non è in pericolo di vita, ma le sue condizioni non sono buonissime. Non è Aizawa l’unico ritornato in fin di vita, quella guerra ha causato perdite e sofferenze inaudite nelle fila degli hero.

E l’idea che possa non aver portato a nulla lo uccide più della consapevolezza che non ha potuto fare niente, che se ne è dovuto rimanere al sicuro sotto il tetto della Yuuei mentre gli altri combattevano.

Mentre Aizawa dava ogni energia per i suoi studenti, quasi perdendo un occhio, arrivando a tagliarsi un piede.

E’ stima profonda quella che prova per lui.

Aizawa è un grande eroe, immenso.

“Signor All Might, guardi!”

Toshinori riabbassa gli occhi sulla bambina, a quel richiamo, “Che succede, piccolina?”

“Si è mosso! Ha stretto la mia mano! Ha visto? Perché non si sveglia?”

“Non è così semplice.”

“Ma la signora col bastone l’ha curato, vero? Ha detto che non morirà.”

“Non morirà senz’altro, Erichan.”

“E allora perché non si sveglia?”

Toshinori si abbassa sulle ginocchia, un po’ a fatica, per essere alla sua altezza.

Gli occhioni scarlatti di Eri sono carichi di lacrime, rossi per quelle versate anche nei giorni passati.

Ha pianto tanto, fin da quando li ha visti combattere in televisione, al telegiornale. E’ scoppiata in lacrime, preoccupata e spaventata per Midoriya e Aizawa.

Quando sono tornati entrambi feriti, in un primo momento è corsa da Midoriya, abbracciandolo stretto.

Ma si sarebbe ripreso, il ragazzo. Per lo meno fisicamente.

Avventato e folle, era stato, ma coraggioso, eroico e fortunato, senz’altro.

Quando aveva capito che Midoriya sarebbe stato benone –anche se All Might è ancora preoccupato per lui-, si era piazzata al capezzale di Aizawa e se non fosse stato per lui, Deku e Mirio che la portavano via a turno, pur di non farla stare tutto il giorno in ospedale, non si sarebbe più mossa.

Si è davvero affezionata, ad Aizawa. Innegabile e impossibile dire il contrario.

Dopotutto, è normale sia così.

Da quando vive al dormitorio degli insegnanti, è con Aizawa che ha più contatti. Ci sono anche gli altri, ma è Aizawa che si è preso a carico la bambina.

Per via del suo quirk, certo.

Ma ha preso la cosa molto, molto seriamente.

Le sta insegnando a leggere e a scrivere. Si è vestito da Babbo Natale per lei, a Natale. Ogni sera la accompagna in stanza, le rimbocca le coperte e lascia sempre la porta socchiusa cosicché, dice lui, in caso di incubi può sentirla, avendo la camera di fianco.

E anche per far entrare il gatto, Sushi, se avesse voluto andare a farle compagnia, visto che la bambina si divertiva molto, in sua presenza.

Col passare dei giorni, dei mesi, Aizawa ha iniziato a comportarsi sempre di più come un padre, con lei.

Un padre protettivo ed estremamente orgoglioso.

“Lasciamolo riposare, Erichan. Sono sicuro che domani sarà sveglio.”

Eri sospira, si allunga come può come a volergli rimboccare le coperte, anche se non ci arriva, “Lo ha detto anche ieri...”

“Domani forse è il giorno buono.”

Eri annuisce, seppur sembra tutt’altro che convinta, prende di nuovo la mano di All Might per seguirlo e lascia andare Aizawa con un’ultima occhiata.

“Il suo piede non tornerà, vero?”

“Temo di no, piccolina.”
“Ma camminerà, vero? Camminerà di nuovo?”

“Certo che sì. Ci sono molte tecnologie che lo permettono.”

“Se solo sapessi usare meglio il mio potere...”

“Non pensare a queste cose, giovane Eri. Un giorno imparerai, e il tuo potere sarà di grande aiuto.”

“Anche Deku-san lo dice sempre.”

“E sarà così, vedrai.”

Eri annuisce di nuovo, più sicura di prima, attaccandosi per un attimo al braccio di Toshinori, “Sì, e quando ci riuscirò la prima persona che voglio aiutare è il signor Aizawa!”

Yagi non risponde, si limita a sorriderle teneramente e carezzarle i capelli, mentre raggiungono la macchina per lasciare l’ospedale.

Giustamente, la piccola si preoccupa solo di quello che vede. Delle braccia di Midoriya, della gamba di Aizawa. Forse, effettivamente, è abbastanza empatica da aver capito che Deku non sta bene neanche emotivamente, ancora scosso da quella guerra, quanto e più di tutti gli altri.

Quello che di Aizawa preoccupa All Might, però, non è affatto quel piede che non c’è più, ma che può essere rimpiazzato.

Sono gli occhi.

Non sanno neanche come stanno, gli occhi di Aizawa.

Su di essi, Chiyo non ha avuto coraggio di pronunciarsi.

Se avesse perso la vista, chi potrebbe aiutare Eri col suo potere? In generale, se fosse rimasto cieco Aizawa ne morirebbe.

Se c’è una cosa che ha capito di lui, nel poco tempo in cui lo ha conosciuto, è che Aizawa non ama sentirsi inutile. Tanto quanto non ama stare al centro dell’attenzione e delle telecamere.

 

Per questo motivo, quando finalmente Aizawa si sveglia, la prima cosa di cui si preoccupa Hizashi è quella.

I suoi occhi.

Deve guardarlo. Deve vedere.

E quasi cade sulle ginocchia nello scorgere le iridi nere fissarlo, sfibrate, sì, ma ben vigili, vive.

Ci vede.

Oh, ci vede, grazie al cielo.

Yo, Shota...”

E Aizawa alza un sopracciglio, “Che fai lì per terra?”

Ah, è caduto davvero sulle ginocchia, allora. Beh, poco male.

Con tutta la pena che gli ha fatto prendere, quando se l’è visto sfilare sotto gli occhi sulla barella diretto in ospedale, quello è il minimo.

“Niente, è che da qui ho una visuale migliore...”

“Ma di che stai parlando?”

“Certo che sei bello vigile per avermi quasi spezzato il cuore, Shota! Pensavo che fossi morto!”

Aizawa volta il capo e fissa il soffitto, “Ah, per quello. Anche io pensavo di essere morto.”

“Accidenti a te, Shota!” si alza in piedi e lo raggiunge in un lampo.

Però non aggiunge niente, Yamada.

Non c’è granché da aggiungere, allo sguardo cupo di Aizawa. Chissà che passa per quel cervello incasinato.

“I ragazzi stanno tutti quanti bene. Sono stati davvero in gamba. E anche Midoriya, Bakugou e Todoroki stanno bene. Li hai salvati, Shota.”

Aizawa chiude gli occhi, “Loro hanno salvato me.”

“Sì. Me lo hanno raccontato. E sono felice che lo abbiano fatto.”

Aizawa sospira, poi si gira di nuovo verso di lui, “Dov’è finito il tuo inglese?”

Yamada per un attimo sbatte le palpebre, poi, dopo un secondo di silenzio, scoppia a ridere. “E tu di questo ti preoccupi?!”

Piangerebbe volentieri, Hizashi, ma sa che se lo facesse davanti ad Aizawa finirebbe per farlo preoccupare e rattristarlo anche se non lo vuole dare a vedere.

E’ felice, che sia vivo.

Ha avuto paura. Paura davvero.

Paura di dover rivivere di nuovo il dolore provato con Shirakumo.

Ha avuto paura anche quando Recovery Girl gli ha detto che no, non rischiava più la vita.

Ha avuto paura finché non ha rivisto quegli occhi neri, e se ne accorge solamente adesso.

E’ felice, che sia vivo.

Dio, quant’è felice.

Così tanto che non gli viene neanche una parola in inglese.

 

Papà!”

Aizawa sgrana gli occhi, fissa la figurina di Eri dietro le spalle di Yamada e per un attimo gli manca il fiato.

Non l’ha chiamato davvero così. Ha sentito male.

Deve esserserlo immaginato. La bambina è sempre stata molto educata e accorta, non si è mai presa certe libertà, neanche con Midoriya e Mirio.

Però, forse proprio per questo, a una parte di sé che non vuole ascoltare perché va completamente contro il suo carattere, essere chiamato così piacerebbe.

Chissà se è così, che si sente davvero un padre.

In grado di fare qualunque cosa, anche amputarsi un arto, per un figlio. Lui l’ha fatto per i suoi studenti, sì, per il suo essere un eroe, sì.

Ma è stata Eri ha dargli la forza.
Solo lei.

“Signor Aizawa! E’ sveglio!”

Aizawa si rilassa sul cuscino, vorrebbe lanciare una delle sue emblematiche occhiatacce a Yamada, che se la sta ridendo, o a All Might, che sorride intenerito sull’uscio della porta.

Se lo è immaginato, forse, sì.

Ma chissà che faccia ha fatto quando ha sentito la voce della bambina.

Che sciocco.

Eri corre verso di lui, è pronto a metterle una mano fra i capelli e dirle di stare tranquillo ma lei lo stupisce di nuovo.

Usa la sedia come perno per salire sul letto e lì si sbilancia verso di lui e lo abbraccia, stretto. Ha le lacrime agli occhi e trema.

Anche ad Aizawa trema la mano, che è rimasta sospesa a mezz’aria.

“Sono contenta! Pensavo che non si sarebbe più svegliato, anche se la signora col bastone aveva detto di sì!” pigola, stringendo nei pugnetti il camice che indossa, “Non ho capito bene tutto quello che è successo durante la battaglia in televisione, ma ho avuto paura che non sareste più tornati! Lei aveva detto...che sarebbe stato via poco,” mormora ancora, strofinando il visino sul suo petto, “Sono contenta.”

E Aizawa abbassa la mano, finalmente. Gliela poggia sul capo e, anche se normalmente avrebbe agito in maniera diversa, si limita a carezzarle i capelli, senza allontanarla da sé.

“Sta tranquilla. Per ora è tutto passato.”

“Per ora?” Eri si stacca da lui, continuando però a stringergli fra le mani la casacca. Lo sguardo scarlatto, lucido e tremolante, si posa sul moncherino.

Su quello che non c’è più, lì sotto quelle lenzuola.

“Deve andare di nuovo a fare qualcosa di pericoloso?”

“E’ il mio lavoro.”

“Però,” soffia, chinando il capo, “Si è già fatto tanto male...”

“Guarirò.”

Eri annuisce, allenta i pugni lasciando andare la stoffa ma, al suo posto, afferra una delle mani di Aizawa e la stringe.

“Mi dispiace.”

Aizawa inarca un sopracciglio, perplesso. Il suo corpo si muove in automatico, non riesce più a controllarlo, ormai. Non sa che cosa gli prende.

Che effetto gli fa Eri.

Forse tirava fuori il meglio di lui. Forse il peggio.

Un lato che comunque non riconosceva da tempo, in sé.

Sta di fatto che ricambia piano la stretta della piccola, carezzandogli la manina col pollice e alzandole il volto con l’altra mano per potersi specchiare in quegli occhi così grandi, puri e amorevoli come solo un bambino sa essere.

“Di cosa ti dispiace, Eri?”

“Di non poter aiutare.”

Aizawa sospira, ha la decenza di fare un cenno a quei due impiccioni di sparire dalla sua vista appannata e torna a concentrarsi sulla bambina, che prende da sotto le ascelle e si fa sedere sulle gambe.

Il moncone pulsa.

Lo ignora.

Eri è più importante.

“Non è tuo compito aiutare su queste cose, Eri. Tu hai già fatto troppo, e visto troppo.”

“Ma se sapessi controllare il mio potere, potrei aiutare. Potrei...curare del tutto le braccia di Deku-san e...il suo piede.”

“Il mio piede sta benissimo.”

“Non c’è più...”

“Non importa,” sospira Aizawa, carezzandole i capelli proprio vicino al corno. Si sta facendo di nuovo più grande.

Per fortuna non ha perso la vista, né il quirk, o è lui quello che non avrebbe potuto aiutare lei. Lei che è ancora una bambina, già così cosciente delle crudeltà del mondo, che già ne ha viste troppe. E loro continuano a farle vedere troppo.

Come è venuto in mente a All Might di guardare il telegiornale con lei accanto?

Come potranno cancellare ancora una volta quella paura e quella preoccupazione profonda e cupa che di nuovo le oscurano lo sguardo?

Dovrebbe sentirsi protetta, con loro. Al sicuro e forse, sperava, anche felice.

Invece no.

Tanto da desiderare di agire anche lei.

E non è ammissibile. Ha solo sette anni.

“Io però...-”

“Ascolta, Eri,” la interrompe lui, “Ascolta. Ti prometto che troveremo un modo per capire come controllare il tuo potere, e finché io sono qui, non dovrai preoccuparti di nulla. Non sta a te fare queste cose.”

“Voglio rendermi utile!”

Lo sa, Aizawa. Quante volte l’ha pensato, quante volte è stato il suo unico obiettivo, quello.

“Lo farai. Ma non adesso. Adesso il tuo unico compito è imparare.”

“Quando imparerò, aiuterò anche lei, signor Aizawa!”

E Shota abbozza un sorriso, gli angoli della bocca virano appena verso l’alto in maniera quasi impercettibile.

Ma c’è. E Eri lo vede, sorridendo a sua volta.

“Se è così, però, deve stare attento a non farsi troppo male. Perché deve tornare, sempre.”

“Hai ragione,” sospira Aizawa, “Ti chiedo scusa.”

“Perché?”

Aizawa tace. Non ce la fa.

Non ce la fa a dirlo a voce.

La prende di nuovo di peso e la fa scendere dal letto, indicandole il comodino, “Quel confusionario ha portato un cesto di frutta. Dovrebbero esserci anche delle mele.”

“Oh, sì!” si illumina Eri, “Ne mangiamo una? La vuole anche lei?”

“Sì. Prendi anche il coltello, te la sbuccio,” snocciola.

Vorrebbe dirle di smetterla di chiamarlo Signor Aizawa, che può chiamarlo in qualsiasi altro modo le pare, e che anzi, gli farebbe piacere.

Invece si limita a farsela risedere accanto e le sbuccia la mela.

“Le fa male?”

“Cosa?”

“Il piede.”

“No,” mente, passandole uno spicchio, “Smetti di pensarci.”

Eri prende la mela, ma per un attimo si limita a tenerla in mano e fissarla, “Non ci riesco. Non voglio...che lei si faccia male.”

“Non mi farò male.”

“Per ora,” ribatte lei, riprendendo quanto detto prima da Aizawa stesso.

Nel momento in cui Shota fa per ribattere per l’ennesima volta, Eri scuote il capo con forza, come se volesse scacciare un cattivo pensiero.

Si siede sulle ginocchia con ancora la mela in mano e lo guarda.

E’ seria.

Serissima.

“Il signor All Might ha detto che potrebbe farle piacere se la chiamassi in un modo,” dice di punto in bianco, “Io non so bene come sia perché non ne ho mai avuto uno vero, ma voi siete i miei eroi e visto che adesso non posso rendermi utile, se questa cosa può farle piacere la chiamerò così. Se a lei va bene.”

Aizawa inarca le sopracciglia. In cosa si è intromesso, adesso, quell’altro impiccione di Toshinori? Mai nessuno, in quella scuola di pazzi, che si facesse i fatti propri.

In che modo potrebbe volere che la bambina lo chiamasse, secondo lui?

Va benissimo così, in fondo.

Ma non per Eri, che lo abbraccia ancora, ma stavolta senza piangere né tremare.

“Ti voglio bene, papà.”

E Aizawa si blocca di nuovo, fissa il muro davanti a sé e per un lungo, interminabile istante il suo cervello non è in grado di formulare alcun pensiero.

Stavolta non se l’è immaginato.

L’ha detto.

L’ha chiamato papà.

 

 

 

 

 

Angolino Autrice:

Non è detto che la saga finisca bene come l’ho predetta –in verità è una speranza, ma mi sento che sarà molto peggio, molto molto peggio-
Ma già Aizawa ha sofferto tanto, troppo, e volevo tenermi leggera almeno su questo.
Dopo gli ultimi capitoli DOVEVO scrivere qualcosa su di lui, per lui.
Spero che Horikoshi abbia pietà. Lo spero davvero, per lui eh, perché ho già pronti i biglietti di sola andata per il Giappone e ho già messo la mazza chiodata in borsa! *sorriso angelico*
AIZAWA NON SI TOCCA, DANNATO!
Sensei T.T
Me ne vado in lacrime,
Un bacione,
Asu

   
 
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