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Autore: Giuda_Ballerino    08/09/2020    1 recensioni
Salve a tutti, è da un po' che non aggiornavo questa storia. Il tempo non mi è amico. Ho apportato delle modifiche a tutti i capitoli, sia per ragioni di sintassi che di contenuto. La storia ora è completa, ma nel caso la gradiste, fatemi sapere se avreste piacere ad un possibile continuo.
"...lo avrebbe distrutto, spogliandolo di tutto ciò di cui fosse certo. Gli avrebbe dimostrato che neanche lui era in grado di amare nessuno...", "...Cuore e mente. Di Edward non doveva restare più nulla."
Ciao a tutti! Sono una vecchissima lettrice di fanfiction ma è la prima volta che mi cimento nello scriverne una. Anzi è la prima volta che scrivo una storia in generale. I primi capitoli saranno incentrati su quanto accaduto nella serie sviluppando la parte introspettiva dei personaggi. Dal terzo capitolo parte l'idea partorita da me. Chiedo a tutti i lettori, gentilmente, di lasciare commenti che possano aiutarmi a capire se c'è qualcosa che non funziona, se la storia è noiosa o qualsiasi altro suggerimento.
Vi ringrazio in anticipo e vi auguro una buona lettura!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Nygma, Oswald Cobblepot
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Si dice che quando stai per morire ripercorri a ritroso tutti i momenti più significativi della tua vita.
 
In realtà non c’era niente di romantico nella morte; questo percorso a ritroso non era mai avvenuto.
 
L’unica cosa di cui Oswald era conscio al suo risveglio erano le intense e dolorose fitte che gli avvolgevano il capo ed il torace. Dov’era non lo sapeva. Neanche il quando ed il come gli sembravano essere chiari.
 
L’unica cosa che gli era limpida come l’acqua era il “cosa”.
 
Cosa gli era accaduto, era una domanda alla quale sapeva rispondere perfettamente.
 
Difatti, il primo ricordo, non appena fu capace di formulare un pensiero consapevole, fu la frase di Edward:
 
<< Hai ucciso Isabella, quindi tu muori! >>
 
Il rumore di uno sparo. Oswald che porta le mani legate in una corda all’altezza della ferita, non tanto al fine di arginarla nella speranza di rimediare alla morte, quanto più per verificare se ciò che i suoi occhi avevano visto e le sue orecchie udito corrispondesse al vero. La mano di Edward che lo strattona per la cravatta e lo spinge giù, in fondo alle acque. Un ultimo sguardo intenso tra i due: “cosa hai fatto, Ed? Come hai potuto farlo veramente?” suggeriscono i suoi occhi.
 
<< Vendetta! >> invece, era la prima parola che riusciva a formulare ad alta voce mentre riapriva di scatto gli occhi iniettati di sangue.
 
<< Vendettaaaa! >> strillava agitandosi rumorosamente nel letto, con la fronte madida di sudore
 
<< Ridurrò quella patetica simulazione di essere umano in poltiglia! Gli strapperò il cuore dal petto con le mie stesse mani e lo darò in pasto ai cani! >>
 
Sollevò in aria un pugno stretto come a voler rafforzare il concetto appena espresso e lo sbatté sul letto con la tipica teatralità che lo contraddistingueva da sempre. Subito lo colpì una fitta alla bocca dello stomaco e dovette prendere, amaramente, consapevolezza della condizione fisica in cui versava.
 
Ora lo raggiungevano le domande più classiche che una persona dotata di senno poteva porsi nella situazione in cui si ritrovava: “dove sono? Come sono arrivato qui?”.
 
Portandosi la mano destra alla tempia, scrollò leggermente il capo e cercò, facendo perno sul materasso con il braccio opposto, di rialzare il busto per poggiarlo alla tastiera del letto. Il tutto avvenne non senza dolore. Ogni movimento che faceva era una piccola stilettata nel cuore e nell’anima che andava a ricordargli quanto accaduto, come il gioco perverso di un sadico che va a stuzzicare una ferita non ancora rimarginata.
 
Iniziò a guardarsi intorno. Si trovava in una specie di capannone composto da diverse aree separate tra loro da sottilissime mura a soffietto. Tavole di legno consumato riversate per terra, fogli ingialliti sparsi ovunque e cianfrusaglie; tante cianfrusaglie. Poco più avanti, alla destra del suo letto, v’era un vecchio ed arrugginito laboratorio ricoperto da piante rampicanti. Strane ampolle ribollivano liquidi dai colori evanescenti esalando fumi che riproducevano giochi psichedelici. Seguì con lo sguardo quei fumi che si muovevano verso l’alto e trovò sopra di sé un tetto in vetro a quadri dal quale era possibile osservare il cielo stellato. Era buio, non sapeva che orario fosse precisamente, ma fuori impazzava la notte.
 
Ciò che osservava gli suggeriva di trovarsi all’interno di una vecchia serra abbandonata in un mondo post-apocalittico, dove la natura, con tutta la tavola dei suoi colori, pareva sovrastare l’opera dell’uomo, vincendo finalmente l’eterno duello
 
Si bloccò al centro del letto muovendo lentamente le iridi a destra e sinistra. Socchiuse leggermente la bocca:
 
 << Non può essere! >> sussurrò.
 
<< Che sia stato quel maledetto Hugo Strange a farmi qualche brutto scherzo ed a risvegliarmi in un futuro dopoguerra? >> come era suo solito fare, scosse la testa roteando gli occhi al cielo, come per scacciare via un pensiero folle e poco probabile.
 
<< Hey, ti sei svegliato, finalmente! >> affermò con fare malizioso una voce femminile nella stanza. Si materializzò dinnanzi a lui una donna che portava su di sé i colori di quella stanza. Folta chioma rossa, occhi verdi…
 
<< C<< chi sei? >> domandò un Oswald confuso e leggermente sollevato rispetto alle sconcertanti deduzioni che pochi secondi prima aveva fatto e che adesso lo facevano sentire addirittura un po' ridicolo.
 
<< Ivy, Ivy Pepper! >> rispose la ragazza con tono quasi sorpreso, come a dire “possibile che tu non mi abbia riconosciuta?” << la persona che ti ha salvato la vita e ti sta curando da ben due settimane >> continuò.
 
<< Oh, impressionante! E dimmi un po’, di grazia, con quale interesse lo staresti facendo? >> rispose subito dubbioso Oswald. Di certo le esperienze che aveva vissuto, compresa quest’ultima, lo avevano reso riluttante alle manifestazioni di altruismo gratuito.
 
Egli stesso si sarebbe ripromesso di non fare più niente per niente. Il suo prodigarsi a favore di qualcuno, in passato, nasceva da un profondo desiderio di essere amato. Solo che non gli era ben chiaro come funzionasse il meccanismo. Aveva fatto tanto per Edward e lui non lo aveva ricambiato, anzi; quell’insulso ed asettico fascio di nervi aveva osato addirittura sparargli col chiaro intento di ucciderlo.
<< Nessuno >> la voce della donna di fronte a lui lo distolse dai suoi pensieri << Sono rimasta sola ed abbandonata da tutti, proprio come te. Vorrei solo essere tua amica >> continuò, semplicemente.
<< mpf! >> fu l’unico suono che Oswald fu capace di emettere.
 
 
La superficialità con la quale questa sconosciuta aveva pronunciato la parola “amica” dopo tutto ciò che lui si era trovato a vivere lo disgustò quasi. “Amicizia” che diavolo significava questa parola? Era da tempo che al caro poliziotto di quartiere Jim Gordon ed al capo del suo staff ed amico fidato Edward Nygma cercava di offrire favori in cambio di un’alleanza. E cosa aveva ottenuto? Uno lo sbatteva ripetutamente nel manicomio criminale di Arkam e l’altro gli piantava una pallottola nel petto.
E per cosa, poi? Al primo lo aveva “semplicemente” aiutato a ripulire la città da criminali incalliti. Certo, i suoi metodi erano poco ortodossi, ma sicuramente più efficaci.
 
 
Al secondo aveva solo fatto fuori una sconosciuta che credeva di amare da poco più di una settimana, evitandogli il dolore che avrebbe provato quando, in un futuro prossimo, si fosse trovato nuovamente a mettere le mani al collo della donna amata.
 
Doveva ammettere che forse non era andata proprio così nel secondo caso.
 
Dopo essersi erroneamente convito di essere innamorato di Edward Nygma, aveva fatto di tutto per evitare di perderlo. Persino uccidere la donna di cui quest’ultimo s’era innamorato, inscenando un incidente. Ma l’astuto Edward, fanatico risolutore di enigmi, era riuscito a fiutare l’inganno architettando in risposta una vendetta crudele: depredarlo del suo impero da Sindaco di Gotham fino alla morte.
 
Neanche quel “ti amo” sussurrato tra le lacrime era riuscito a distogliere l’ormai vecchio amico dalla volontà di porre fine alla sua vita. Probabilmente, a quell’amore Edward non ci aveva mai creduto. E a giusta ragione. Oswald si trovò a riflettere sulle parole vecchio amico “Non sei capace di amare. Se davvero tu mi amassi, avresti sacrificato la tua felicità per la mia”.
 
Era così. Non l’aveva fatto.
 
<< E dimmi un po', dov’è che siamo? >> ritornò alla realtà Oswald.
 
<<  Siamo nella mia casa, una vecchia serra abbandonata nella periferia ovest di Gotham, che ho arredato con le mie amate creature terrene >> rispose con un’espressione ovvia la sconosciuta, mentre gli offriva una tazza contenete un maleodorante liquido caldo di colore verdastro. << Bevi! Ti aiuterà a rimetterti in sesto >> gli disse dolcemente mentre portava la mistura sotto il naso di Oswald.
 
<< Cos’è? Ha un odore tremendo! Starai mica tentando di drogarmi? >> domandò scettico quest’ultimo, mentre con la mano allontanava la tazza da sé.
 
I suoi modi di fare erano sempre così aciduli e dubbiosi. Anche quando si sforzava di essere gentile non riusciva a celare lo scherno insito nelle sue azioni.
 
<< È soltanto una miscela ricavata da una sapiente combinazione dei principi attivi delle mie adorate piante. E poi se avessi voluto drogarti o ucciderti non avrei fatto meglio a somministrartelo nel sonno? Che sciocco! >> prese a ridere la ragazza ingenuamente.
 
<< Dà qua! >> Oswald le strappò la tazza dalle mani e, guardandola di sbieco con un sopracciglio alzato e la bocca ricurva in un ghigno di disgusto, riversò lentamente il contenuto della tazza per terra.
 
Capriccioso, dispettoso, permaloso, dubbioso. Questi erano sicuramente gli aggettivi che meglio di altri avrebbero potuto descrivere la sua personalità.
 
 
Tirò un lungo respiro dalle sue larghe narici per recuperare una parvenza di dignità e si rivolse con fare tronfio in direzione della ragazza:
 
 
<< Ti ringrazio per le tue cure >> disse falsamente gentile <<  ma adesso sparisci! Nel caso in cui non te ne fossi ancora accorta, io sono Oswald Cobblepot, ex sindaco e re della malavita a Gotham. Di recente, sono stato spogliato di tutto quanto avevo magistralmente realizzato ed ora ho da organizzare la mia vendetta. Il responsabile di ciò non può credere di poter tranquillamente continuare a passeggiare per le strade di Gotham rimanendo impunito. Sono spiacente ma non posso perdere tempo dietro i tuoi esperimenti omeopatici >>.
 
Con l’indice della mano destra indicò alla ragazza la direzione che avrebbe voluto farle prendere.
 
 
Ivy si limitò a fare spallucce continuando a mantenere sul suo volto uno sguardo alquanto stupido e, senza protestare, s’incamminò al di là della porta a soffietto, lasciandolo solo con le sue paturnie.
 
Oswald sollevò la coperta di pile che gli ricopriva, ormai, solo le gambe. Con sofferenza cercò di portare i piedi a terra. Il suo handicap alla caviglia destra cominciava a farsi sentire, probabilmente a causa dell’umidità che aveva preso cadendo nell’acqua del molo. Prese un lungo respiro e si alzò in piedi. Un forte capogiro lo fece ricadere rovinosamente disteso sul letto.
 
Si fermò un minuto per respirare cercando di ricaricare le forze per un secondo tentativo.
 
Con fatica provò a sedersi sul letto sostenendosi con una mano la schiena. Il movimento del braccio fece tendere la camicia del pigiama che gli era stato infilato fino ad aprire un bottone e il suo sguardo si posò sulla fasciatura al petto ben visibile. Una piccola macchia di sangue secco la ricopriva al centro. Fortunatamente, nonostante qualche plausibile fitta, sembrava che la ferita si stesse sanando precocemente e senza infezioni. Il colpo ricevuto al cuore pareva non essere stato mortale per il corpo. Era sulla sua anima che potevano vedersi le ripercussioni.
 
Senza perdersi d’animo, Oswald provò nuovamente a rialzarsi. Una volta in piedi, reggendosi con entrambe le mani al muro, iniziò a muovere i primi passi per prendere di nuovo confidenza con il moto. In fondo, se era vero quello che diceva “la ragazza delle piante”, era stato fermo in quel letto per ben due settimane.
 
Come un bambino che aveva appena imparato a camminare, muoveva i piedi uno davanti l’altro acquistando man mano sempre più equilibrio. Si mosse in direzione della parete a soffietto con l’intento di raggiungere qualche altra area della serra, ma durante il suo cammino s’imbatté in un vecchio specchio sporco e crepato in alcuni punti, appeso alla sinistra del muro. Non riusciva a resistere, doveva specchiarsi.
 
E così si trovò a guardare il suo riflesso: i capelli, che solitamente erano fissati all’insù in un’acconciatura vampiresca che sfidava le leggi gravitazionali, erano arruffati e spalmati in modo irregolare sul suo viso. Gli occhi erano lucidi ed arrossati, probabilmente a causa dell’infiltrazione della luce dopo la lunga degenza. L’unica cosa che gli sembrava essere rimasta la stessa era il pallore cadaverico del suo viso rotto al centro dal suo imponente naso aquilino. Aveva indosso un pigiama ingiallito, più grande di lui di circa due misure che gli ricordava la mise tipica a strisce bianche e nere di Arkam. Si avvicinò di più e con i polpastrelli delle dita toccò delicatamente lo specchio in corrispondenza del riflesso della sua ferita. Lì, proprio in quel punto, nello specchio v’era una crepa.
 
“Con te ho permesso all’amore di rendermi debole”. Questa frase pulsò nella sua testa come un cuore che riprende a battere dopo un arresto cardiaco.
 
Quei pochi affetti che aveva avuto nella sua vita avevano rappresentato per lui solo delle pesanti catene legate ai suoi arti; abbastanza lunghe da regalargli l’illusione di potersi muovere, ma lo spazio, in realtà, era ben circoscritto. Un passo più in là e la morsa delle catene si faceva sentire ben stretta alle caviglie e ai polsi. Esse erano impiantane nel suo corpo come le radici di un albero e si legavano al cuore. Sradicandole avrebbe rischiato di tirar fuori il suo stesso cuore e, purtroppo, è risaputo che senza di esso non è possibile vivere.
Edward aveva rappresentato per lui le catene che non riusciva né a togliere né a spezzare.
 
Questo era quello in cui aveva creduto fino a quel momento. Ma ben presto avrebbe dovuto ravvedersene poiché aveva deciso che senza quelle catene e senza quel cuore sarebbe finalmente riuscito ad essere il Re di Gotham.
 
La luce del mattino con i suoi potenti raggi lo distolse dai suoi pensieri. Era già mattino? Da quanto tempo stava indugiando su quei pensieri? Quanto tempo ancora gli rubava Nygma in inutili riflessioni sentimentali, quando invece dovrebbe star lì a pianificare la sua vendetta?
  
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