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Autore: SkyDream    09/09/2020    0 recensioni
Ai membri della squadra di pallavolo della Karasuno quello era sembrato il solito battibecco.
Shoyo seduto a terra con il suo sguardo esilarante e Kageyama con i pugni stretti, pronto a colpirlo in testa.
Eppure vi era qualcosa di diverso nell'aria, come una nuova consapevolezza che presto avrebbe preso forma nelle loro vite.
Perchè le parole dettate dalla rabbia, quelle pungenti, possono anche essere le ultime. Tornare indietro, spesso, è più difficile di quanto sembri.
Dal testo: «Aspetta, Sho, aspetta! Andiamo con la mia auto!» Suga non fece in tempo nemmeno a finire la frase.
Sho sentì il vento fresco sbattergli in viso ed entrargli fin dentro i vestiti, facendolo rabbrividire, ma non importava.
Pedalava come un matto anche se era in discesa, nella speranza di far prima. Avrebbe tagliato per le scorciatoie, in meno di mezz’ora sarebbe sicuramente arrivato.
«E se si fosse ferito?» No, non poteva nemmeno pensarci. Aveva la nausea alla sola idea.
Peggio di quella, poteva essercene solo un’altra.
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Scritta per Sasa, la mia parabatai
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Karasuno Volleyball Club, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ Che sia promesso ~

«Idiota, idiota, idiota! Shoyo, sei un idiota!» Le parole di Kageyama rimbombarono per tutta la palestra. I membri della squadra si avvicinarono di soppiatto all’entrata, primo fra tutti Tanaka che ebbe il coraggio di aprire appena la porta di ferro.
Sbirciarono all’interno, ma non videro altro che uno Sho seduto a gambe incrociate e un Kageyama in piedi che sventolava una mano contro di lui.
«Neeh, ti ho già detto che non l’ho fatto apposta! E poi non è mica ingessato, con questa fasciatura riuscirò comunque a giocare!» Sho aveva portato un braccio verso l’alto dove spiccava una benda bianca avvolta attorno al polso.
I ragazzi, senza intervenire, deglutirono ulteriormente e cominciarono a sudare freddo.
Cominciavano a spiegarsi le urla del loro compagno.
«Come no! - urlò ancora il moro gesticolando verso l’altro - Come pensi di poter schiacciare una palla con il polso che ti fa male? Perderemmo sia il punto che un giocatore!».
«Vedrò di rimettermi in sesto prima della partita di dopodomani, forse se mettessi un po’ di ghiaccio e della pomata…» Sho si interruppe. Kageyama gli aveva voltato le spalle e stringeva i pugni come se pensasse di prendere a cazzotti il muro.
Era arrabbiato, no, era furioso! Era furioso con Hinata, ma era ancora più furioso con se stesso perché non riusciva davvero ad odiarlo per quel comportamento.
Come poteva essergli venuto in mente di soccorrere un gattino ferito senza guardare dove mettesse i piedi per poi finire dentro una buca?! Anziché venire in bici non poteva prendere un autobus come chiunque altro?
Portò una mano sul volto per cercare di calmarsi, quel ragazzo sarebbe rimasto per sempre troppo ingenuo per capire cosa andava fatto e cosa evitato.
E ne ebbe la dimostrazione solo qualche secondo dopo.
«Sei ammattito? Finirai per farti seriamente male così!» Urlò Suga aprendo di botto la porta della palestra. Kageyama si voltò appena in tempo per notare come Sho avesse cominciato a palleggiare contro il muro.
Niente da fare, era troppo ostinato.
«Ho promesso a Kageyama che mi sarei ripreso entro dopodomani, ma non posso mica riposarmi tutto il giorno.» Sho portò la palla contro il petto quasi in un tenero abbraccio. Sospirò rumorosamente.
«Asahi colpirà e segnerà punti anche per te, anzi tutti noi lo faremo! Ma adesso devi riposare, non puoi certo giocare in queste condizioni. Può capitare a tutti un infortunio.» Suga provò a convincerlo perfino con qualche pacca sulla spalla. Nishinoya lo raggiunse promettendo di insegnargli uno dei suoi attacchi “Super Wow!” quando si sarebbe ripreso, perfino Asahi e Tanaka pronunciarono parole di supporto e incoraggiamento.
Kageyama no. Lui no.
Era rimasto lì a stringere i pugni, quasi sentiva un magone salirgli dallo stomaco. Era una realtà dura da accettare per lui d’altronde.
«Dai, dì qualcosa anche tu per lui.» Lo incoraggiò Suga per farli riappacificare. Ebbe però la sensazione che ci fosse qualcosa di diverso, di più profondo in quella litigata.
«No, non dirò nulla per consolare quell’idiota! Che se ne rimanga in panchina se è quello a cui aspira, di certo non potrò continuare ad alzare per lui se continua a cadere dentro le buche!» Le urla rimbombarono per l’ennesima volta, tutti i presenti non emisero il minimo sospiro, tanto erano rimasti stupiti.
Sì, Kageyama era ostile e spesso freddo, ma non era da lui dire certe cose, ben che meno a Hinata.
Tobio uscì dalla palestra, sbattè la porta dietro di sé e prese la strada di casa.
«Se non alzerai per me, io non schiaccerò più per te e potrai dimenticarti il sogno di diventare l’alzatore migliore del mondo!» Sho lo aveva raggiunto sulle scale, proprio come quella volta dopo la partita delle medie.
Se ne stava lì, con gli occhi lucidi e i capelli rossicci spettinati. Sembrava un bambino capriccioso.
Kageyama non rispose, si limitò a dargli le spalle e scomparire all’orizzonte.
Non riusciva a credere a quello che aveva visto, Sho si era davvero ferito e non avrebbe potuto giocare al suo fianco. Certo, era felice del fatto che non si fosse fatto nulla di grave, ma l’idea di non averlo sul campo lo aveva gettato nella più totale angoscia.
Non che lo avrebbe mai ammesso.
Si grattò la testa in un moto di nervosismo, ormai era abituato alla presenza di Sho e alla sua innata abilità di uniformarsi alle sue alzate dando vita a degli spettacoli che nemmeno lui riusciva a spiegarsi.
Ogni volta sembrava pura magia, forse non avrebbero sempre ribaltato i risultati di qualunque partita, ma quantomeno avrebbero sempre strappato un urlo di terrore e stupore ai loro avversari.
E, in un qual senso, gli andava bene anche così. Voleva terrorizzare chiunque si sovrapponesse al suo obiettivo.
Avrebbero potuto rallentarlo, ma non arrestarlo.
E, soprattutto, non avrebbero di certo fermato Sho.
«Quell’idiota di Sho!» Si corresse prendendo a calci una lattina. Sospirò rumorosamente ripensando a quella mano fasciata e alla sua ostinazione per la pallavolo. Lo aveva visto palleggiare anche da ferito, non voleva crederci.
Sorrise appena a quel pensiero, totalmente distratto da ciò che lo circondava.
Così distratto che udì solo il rumore della frenata sull’asfalto.
Kageyama non si accorse nemmeno del sangue sulle strisce pedonali, né della gente accorsa in suo aiuto, non riuscì nemmeno a focalizzare dove e come fosse messo il suo corpo.
L’unica cosa che avvertì prima di perdere i sensi fu il rumore di una palla sul parquet della palestra.
Rimbalzava, ritmica, come fosse il battito di un cuore. Chiuse gli occhi e la vide, la sollevò in aria e si voltò.
Sho non c’era. La palla sarebbe caduta a terra, proprio come nelle sue alzate alle medie.
La cosa lo gettò nel terrore più assoluto.
 
-
 
«Sei sicuro di riuscire a tornare in bici? Non è un problema darti un passaggio.» Suga entrò nell’auto senza distaccare gli occhi dalla mano bendata del suo amico.
«Sì, non devo far peso sul polso, non avrò alcun problema. Domani però voglio assistere agli allenamenti, giuro che non farò pazzie!» Sho portò le mani al viso in posizione di preghiera con un’espressione che aveva dell’esilarante.
Suga lo guardò senza credergli nemmeno per un momento. Quel ragazzo non sarebbe cambiato mai.
«Piuttosto, domani vedi di chiarire con Kageyama, lo sai che certe discussioni non fanno bene all’atmosfera della squadra.
Sho sospirò grattandosi la nuca pensieroso, non poteva che dargli ragione.
In quel momento il telefono di Suga cominciò a squillare. Il ragazzo allungò un braccio cominciando a frugare nella borsa della palestra, trovandolo solo tra il quarto e il quinto squillo.
«Nishinoya?» Rispose sollevando un sopracciglio con sguardo confuso. Che avesse dimenticato qualcosa in palestra?
Suga cambiò totalmente espressione passando dall’accigliato al sorpreso al terrorizzato nel giro di una manciata di secondi.
Hinata riuscì a sentire una cosa soltanto:«Perché Sho non risponde al telefono? E’ già tornato a casa?».
Il diretto interessato urlò qualcosa per testimoniare la sua presenza, ma senza ottenere alcuno sguardo.
«Dove hai detto che lo stanno portando?» Chiese Suga continuando ad ignorarlo e totalmente preso dalla conversazione.
«Al Central Hospital da quanto ho capito, la strada è ancora chiusa e c’è una confusione pazzesca, non so quando si libererà.» Si udì dall’altro capo del telefono.
Sho cominciò ad intuire qualcosa, aspettò che Suga staccasse la chiamata e spegnesse il motore della macchina.
«C’è stato qualche incidente sulla Provinciale?» Chiese incuriosito. Suga non sembrava altrettanto tranquillo.
«Sho, non so come dirtelo, quindi evita di dare di matto.»
«Dirmi che cosa?» Hinata sentì il sangue gelarsi nelle vene. No. Non poteva essere.
«Hanno investito Kageyama, lo stanno portando al Central. Aspetta, Sho, aspetta! Andiamo con la mia auto!» Suga non fece in tempo nemmeno a finire la frase.
Sho sentì il vento fresco sbattergli in viso ed entrargli fin dentro i vestiti, facendolo rabbrividire, ma non importava.
Pedalava come un matto anche se era in discesa, nella speranza di far prima. Avrebbe tagliato per le scorciatoie, in meno di mezz’ora sarebbe sicuramente arrivato.
«Kageyama è stato investito? E se si fosse ferito?» No, non poteva nemmeno pensarci. Aveva la nausea alla sola idea.
Peggio di quella, poteva essercene solo un’altra.
«E se Kageyama fosse morto pensando che davvero non avrei più schiacciato le sue alzate?».
 
   
 
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