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Autore: Koa__    11/09/2020    6 recensioni
Questa sarà una raccolta di One Shot incentrate su Joe e Nicky, e sull'evoluzione del loro rapporto da nemici, ad amici sino all'innamorarsi perdutamente l'uno dell'altro. Ogni One Shot sarà collocata in un momento preciso della storia.
La quarta storia di questa raccolta, Seduti all'ombra di un sicomoro, partecipa al contest "Storie Alfabetiche" indetto da Lady.Palma sul forum di Efp.
"La storia: Mangiando datteri in un albero cavo è candidata agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce più la penna"
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Joe / Yusuf Al-Kaysani, Nicky / Nicolò di Genova
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Seduti all'ombra di un
sicomoro







Mangiando datteri in un albero cavo






 

Da qualche parte fuori Gerusalemme,
30 agosto 1099








Alla fine della battaglia, quando l'arrendersi a un'eterna non morte pareva ormai inevitabile, il cristiano lo invitò a condividere l'ombra di un sicomoro. Yusuf capiva poco di quel che diceva, ma l’evidenza dei gesti della sua mano, così come le intenzioni che gli dimoravano nello sguardo (e nel cuore), erano difficilmente equivocabili. Naturalmente aveva studiato il latino, ma quel soldato ne parlava uno che non aveva mai sentito prima. Era infarcito di termini a lui sconosciuti e inoltre aveva una fastidiosissima cantilena con la quale ritmava ogni frase. Ancor meno, Yusuf riusciva ad apprezzare il suo sorriso furbo e a un tempo pacifico, che non una volta si era piegato di tristezza. A quelle labbra, poi, mai avrebbe fatto l’abitudine. Erano sottili, ma stranamente attraenti. Così come era gradevole il semplice osservarlo e quindi perdersi in quegli occhi del colore dell’acqua marina; quello in effetti era un aspetto della propria nuova esistenza che Yusuf trovava fin tanto esagerato, al punto che gli dava fastidio il semplice pensare alla sua figura così come alla sua presenza accanto. Spesso, durante le settimane che avevano trascorso insieme da dopo la fine della battaglia per la presa di Gerusalemme,[1] Yusuf si era ritrovato a distogliere le intenzioni da quel cristiano, poiché consapevole che avrebbe finito col perdersi in tragitti a cui non avrebbe dovuto neppure pensare. Non lo sopportava, questa era la verità ed era arrivato quasi al punto di odiarlo per il suo essere gentile e anche, che Allah lo perdonasse per averci anche solo pensato, per il suo essere attraente. Era bello, lo era per davvero. Lo era in una maniera fastidiosamente vera. Ed era anche forte e agile, sapeva combattere come una belva feroce ed era anche stupidamente coraggioso. Anche questo era piuttosto detestabile, in effetti. Yusuf aveva istruito il proprio corpo a sopportare ogni pena: durante la guerra aveva patito la fame e la sete, aveva perduto ore di sonno e compagni d’arme e con il trascorrere degli anni si era assuefatto persino al dolore fisico. Ma durante il tempo in cui aveva lottato contro quell’italico, non era riuscito mai davvero ad abituarsi a lui. 


Era come se qualcosa in quell'uomo sfuggisse alla sua comprensione, dalla radice dei suoi ragionamenti sino al mistero dei concetti che di tanto in tanto esprimeva, e che lasciava cadere in discorsi mai conclusi. Delle volte aveva la sensazione che non parlasse neppure direttamente con lui, ma che pregasse a voce alta, declamando invocazioni alla terra brulla così come alla volta celeste trapunta di stelle. Parlava con quel suo Dio e nel farlo spesso urlava, arrabbiandosi e quindi s’interrompeva, cadendo in un malinconico mutismo. Stringeva una croce in legno tra le dita sottili e piangeva, e poi alla fine rideva. Neanche quelli erano comportamenti che tollerava e, a dire il vero, Yusuf non riusciva a comprenderli appieno, probabilmente perché del dialetto che parlava non ci capiva un accidenti di niente. Col passare dei giorni si era convinto che non era tanto per le differenze che chiaramente esistevano tra di loro, a iniziare dal fatto che non pregavano lo stesso Dio, c'entrava più che altro con la profondità dei concetti che, tra una lotta e l'altra, quel crociato esprimeva, ogni volta con fare pacato e fin tanto cortese. Era il senso di tanta gentilezza a sfuggirgli e a innervosirlo ulteriormente. Inoltre, quel cristiano aveva un modo di osservarlo da dietro l'elmo o ancora attraverso le braci di un fuoco acceso per la notte, che gli faceva venire i brividi. Era vero che Yusuf non amava nessuno straniero in modo particolare e altrettanto vero era che, da quando i crociati avevano iniziato quelle guerre, aveva iniziato a detestarli senza distinzioni, ma quel prete… lui lo odiava in modo particolare. A ben pensarci era il più sordido, feroce e subdolo nemico contro al quale si fosse mai battuto. La sua arma più terrificante non era quella lunga spada che brandiva senza alcuna difficoltà, ma era invece la gentilezza che mostrava con chiunque, persino con lui e addirittura intanto che lo uccideva per l’ennesima volta. “Mi dispiace”, gli aveva detto in un’occasione prima di frantumargli il cranio con una pietra. [2] Subdoli, poi, erano anche i suoi sorrisi colmi di serena quietudine. Yusuf lo odiava e la drammatica realtà nella quale viveva aveva fatto sì che fosse ormai legato a doppio filo a un uomo accanto al quale non desiderava stare. Il tempo, affatto galantuomo, non aveva lenito ciò che provava, al contrario aveva acceso dentro di lui un fuoco inestinguibile. Lottavano l’uno contro l’altro da settimane e nonostante gli sforzi ancora quel prete si ostinava a non volersi arrendere, né a lasciarlo in pace. [3] E pensare che come lui ne aveva uccisi a centinaia; di soldati nemici ne erano caduti a frotte davanti ai suoi occhi assetati di giustizia e vendetta. A un certo punto però la situazione era drasticamente mutata. E con Gerusalemme sotto il controllo delle armate occidentali, lui, unico superstite di un esercito svanito nelle sabbie del tempo, aveva iniziato a non morire. Del tutto inaspettatamente, quell’uomo dagli occhi chiari come acqua marina aveva resistito altrettanto saldamente ai suoi colpi di scimitarra. E ora, un mese dopo la fine guerra, accampati appena fuori dalla città, dopo aver trascorso gli ultimi scampoli d’estate a rincorrersi e a uccidersi, pareva che ogni traccia di rabbia se ne fosse andata. Nonostante gli sforzi di detestarlo, Yusuf non riusciva più a provare nulla del genere. Era come se combattessero perché altro non sapevano fare e perché quella loro immortalità stava diventando uno scomodo giaciglio, troppo spoglio e triste per non dividerlo con qualcuno. E quindi si azzuffavano, spesso anche per ore. Mai davvero stanchi di provare a uccidersi. Mai fermandosi a riflettere sul fatto che, sì, era proprio strano che il desiderio di stare insieme fosse diventato ancora più forte. 

 
Parlare, lo avevano fatto poco. Sino ad allora, il loro era stato rapporto molto più fisico. Laddove con “fisico” s’intendeva il trafiggersi il petto a colpi di lama e finire puntualmente col fare a pugni tra l’arida terra del deserto, fermandosi soltanto per il fiato che s’ingrossava e lo stomaco che brontolava in maniera fastidiosa. Non avevano chiacchierato di nulla, a malapena avevano ammesso di aver dedicato all’altro più di un’occhiata. Yusuf conosceva il suono della sua voce soltanto per via delle poche parole scambiate nei momenti di riposo, quelli che si concedevano tra uno scontro e l’altro. Stilare tregue per bere o dormire, ogni notte sotto le stelle, osservando la volta celeste e rendendosi conto al contempo d’esser lì per puro volere divino. Fermarsi unicamente per pregare, cinque volte al giorno. Non lottare la domenica. Rispettando ogni fede in maniera rigorosa, dannatamente rispettosa. Dormire e farlo vicini, pur a debita distanza. Spiando il suo giaciglio, con la scusa di dover controllare che non riprendesse le ostilità all’improvviso. E quindi soffermarsi per un istante di troppo a osservare il suo petto alzarsi e abbassarsi, le palpebre rapite dal sonno. I sogni ad agitarsi e poi a placarsi. Il fuoco a spegnersi alle prime luci dell’alba. Rubare alla morte un attimo per poter guardare il sole che sorgeva dietro la linea dell’orizzonte e in quei momenti sentirsi davvero felici. Questo erano stati, lui e l’invasore crociato. Parlandosi con cenni d’assenso, talvolta persino d’intesa. Perché era come se con lui ogni spiegazione fosse superflua, quasi le barriere linguistiche non esistessero e si fosse creata una strana forma di tacita alleanza. Che fossero destinati a combattere in eterno e a non morire, questo era al di fuori di ogni ragionevole dubbio. L’idea che fossero uno il nemico dell’altro, orma traballava minando ogni sua certezza.
 

Del loro non esser più dei mortali non discutevano mai, non apertamente almeno. Era come se entrambi avessero paura di ammetterlo ad alta voce, quasi il discuterne lo rendesse reale. Ne erano entrambi terrorizzati e avevano sin troppe domande che però non avevano mai trovato una risposta, quelle di Yusuf poi lo tormentavano ogni giorno con un po’ più di forza. Ciò che era ormai drammaticamente ovvio era che avessero ricevuto il dono, o per meglio dire la disgrazia, di non poter mai guadagnarsi il paradiso. Yusuf aveva capito di essere immortale nel bel mezzo del campo di battaglia, nella strenue difesa della città. A un certo punto era certo che una lama gli avesse trafitto il petto, aveva sentito le carni lacerarsi e un dolore lancinante diffondersi in tutto il corpo. A infliggergli il colpo letale era stato un soldato dagli occhi d’acqua marina, con un sorriso stranamente piacevole a illuminargli il volto. Questi aveva lunghi capelli e una barba irsuta, [4] Yusuf ne ricordava bene i tratti perché lo aveva già notato in sella a un magnifico destriero, sopra al quale aveva ucciso decine di uomini mostrando un’abilità incredibile. Il come erano arrivati ad ammazzarsi a vicenda era nato forse da un errore o magari dal semplice destino, in effetti era difficile dirlo, dato che era successo tutto in un attimo. Aveva appena trafitto due crociati con la propria scimitarra quando, voltandosi, aveva notato un’enorme bestia galoppare in sua direzione. A montare il cavallo c’era proprio il soldato dagli occhi d’acqua marina, che brandiva una spada gridando “morte ai saraceni”. Non sapeva com’era successo, ma il cavaliere era stato disarcionato, dopodiché era finito a terra. Era stato allora che Yusuf lo aveva colpito, approfittando del momento in cui il suo fianco era scoperto. Ed era stato dopo un istante che la spada di quel cristiano gli aveva trafitto il cuore. Erano morti allora, insieme. Loro, preda di un fato dalle trame misteriose, erano spirati nello stesso istante. Il mondo era diventato buio e ogni traccia di sentimento, paura e dolore era sparita. Poi, miracolosamente, i loro cuori avevano ripreso a battere all’unisono, come se le loro vite ora fossero drasticamente intrecciate. Yusuf, di quei momenti non ricordava poi molto se non il sangue in bocca e il caldo che gli appiccava le vesti. Il cuore a fermarsi, la vita che gli scivolava dalle dita come ali di una farfalla. E alla fine il buio lo aveva avvolto. Non avrebbe mai saputo spiegare che cosa aveva provato quando era nato per la seconda volta. Tutto ciò che ricordava era il dolore e poi la sensazione del cuore che tornava a battere, e quindi grida indistinte e colpi di fendente attorno a lui. Ricordava il sole ad accecargli nuovamente la vista e il sangue a scorrergli sotto la pelle. Le ferite che si rimarginavano rapidamente. Si era alzato barcollando, confuso, guardandosi attorno come se cercasse in quella battaglia la risposta a tutte le sue domande. Era morto, ne era sicuro. Era spirato dopo aver trafitto il crociato dagli occhi d’acqua marina. Eppure ora respirava di nuovo e il suo nemico era vivo tanto quanto lui. Aveva giaciuto a pochi respiri da lui per tutto il tempo, senza vita mentre ora si rialzava e intanto che anche le sue, di ferite, si stavano rimarginando. Per un istante lungo un secolo, o forse di più, Yusuf e quel soldato si guardarono. Nelle loro menti, a risuonare, gli stessi dubbi. Come mai a loro e non a tutti gli altri uomini che, tutt’attorno, stavano cadendo uno dopo l’altro? Erano stati condannati o benedetti? Yusuf non aveva trovato alcuna risposta e quindi aveva ripreso a combattere, forse perché era la sola cosa che desiderava fare davvero. 

 
Aveva riflettuto per molte notti sulla propria morte e su quella del prete, ancora suo acerrimo nemico, ma dopo un mese non aveva trovato un senso. Aveva però capito che morire non serviva a niente. In qualsiasi modo ci provassero, sia lui che il cristiano tornavano comunque alla vita dopo qualche istante e se si ferivano o rompevano un osso, le ferite si rimarginavano come per un miracolo. Pensandoci, Yusuf era arrivato alla conclusione che non erano sopravvissuti soltanto per lottare fra di loro, sebbene stentasse ad ammetterlo con se stesso. Era assurdo che la ragione della loro immortalità fosse legata alla battaglia appena conclusasi. Ormai non aveva più senso, Gerusalemme era caduta e prima di lei altre roccaforti erano finite in mano agli invasori occidentali. Forse ciò che doveva fare era allearsi con quell’uomo e usare la propria immortalità per qualcosa che fosse veramente utile. Era ridicolo, già. Eppure, per un istante di troppo in quel giorno sul finire dell’estate, Yusuf si era soffermato a riflettere su quello che sarebbe stato il suo futuro intanto che i passi seguivano quelli del cristiano. Il crociato aveva una risposta a tutte le sue domande? Sapeva cos’avrebbero dovuto fare ora? Il suo Dio, o comunque si chiamasse, aveva una risposta?

 
Erano poche le cose di cui Yusuf Al-Kaysani era ben sicuro, ma del fatto che quella lotta infinita fosse ormai uno spreco di energie non ne era ancora del tutto convinto. Quel pomeriggio, appena fuori dalle mura di Gerusalemme, lui e il prete non si erano rivolti neppure una parola. Avevano tacitamente deciso di darsi un po’ di tregua, trascorrendo la giornata al mercato della città, ritrovandosi soltanto che il sole era già alto. In effetti, sebbene faticasse ad ammetterlo, non aveva perso di vista quel prete neppure per un istante. Lo aveva visto comperare dei datteri e delle noci, si era anche fatto sbarbare e tagliare i capelli e ora mostrava un volto pulito che Yusuf si era ritrovato sin troppo a osservare. Adesso, invece, sostavano entrambi a pochi passi da un gigantesco sicomoro. Il crociato, dopo aver dedicato più di un istante a osservare l’enorme albero, si decise a parlare.
«Fa caldo per combattere» aveva sancito, invitandolo quindi a dividere dei datteri. Una volta detto questo era crollato a peso morto sotto a al gigantesco sicomoro, la cui ombra si estendeva tutt’attorno per molti passi. A segno della sincera volontà di farla finita con ogni ostilità, aveva conficcato la spada nel terreno e gettato a terra l’elmo, togliendosi anche buona parte dell’armatura.
«A che serve tutto questo?» gli aveva chiesto, lasciandosi cadere all’indietro contro il tronco cavo. «Né tu né io possiamo morire, continuare a tenersi addosso quest’armatura è davvero sciocco, non trovi anche tu, saraceno?» A Yusuf non erano servite le nozioni di latino stipate nella memoria per comprendere il vero significato dei suoi intenti, e non gli era servito neppure il pensarci sopra troppo per rendersi conto che aveva ragione. Portarsi appresso quell’armatura serviva davvero a qualcosa? Col caldo che faceva ormai era davvero insensato. Era anche piuttosto certo che il crociato non stesse tentando d’imbrogliarlo, l’onestà che notava su quel volto ora pacifico era la prova che era davvero meglio farla finita.
«Come credi che sia possibile tutto questo, eh? Il tuo prezioso Signore con il quale ti cingi il collo non ti ha dato le risposte che cercavi? Un po’ deludente per essere tanto onnipotente, non trovi?»
«Le vie di Dio sono misteriose, fratello» aveva detto questi, chiudendo gli occhi e raccogliendo dalla bisaccia altri due datteri che s’infilò in bocca, sputando quindi il nocciolo lontano. «Noi due abbiamo percorso strade diverse per ogni giorno della nostra esistenza, ci siamo uccisi a vicenda molte volte, ma mi domando se è davvero questo che il fato vuole per noi. Il mio Dio e il tuo Dio ci hanno uniti in una battaglia della quale non comprendiamo le ragioni né lo scopo finale, non intuiamo quale sarà il nostro nemico da ora in avanti, quel che è certo è che ammazzarci a vicenda non è ciò che siamo destinati a fare.»
«E come dovremmo impegnare il tempo secondo te? No, perché francamente io inizio a non poterne più di tutto questo» tuonò Yusuf, scalpitando. Camminava avanti e indietro, sfuggendo all’ombra dell’albero che non si premurava di rincorrerlo. Borbottando fra sé parole a malapena comprensibili intanto che il prete, furbescamente, lo osservava da dietro una zazzera di capelli che gli oscurava la fronte pallida. Quel cristiano aveva ragione, e lo sapeva e infatti era questo a renderlo tanto nervoso. Eppure era come se un parte di lui non volesse arrendersi all’inevitabile. Lui gli parlava di destino e di Dio, ma Allah non avrebbe mai voluto vederlo allearsi con un crociato e combattere al suo fianco, e poi per che cosa? Contro chi? Forse avrebbero dovuto soltanto smettere con tutto questo e separarsi, per poi non rivedersi mai più.
«Credo che dovremmo aspettarla, tanto per cominciare» gli rispose il cristiano, sollevando all’improvviso il volto in sua direzione e fissandolo con insistenza. Aspettare ch… un momento, pensò, fermando il proprio passo frenetico e ricambiando quello sguardo con fare attonito. Yusuf si ritrovò spiazzato, restando immobile là dove stava. Anche lui la sognava? La donna dai capelli neri che combatteva al pari di una fiera lenonessa e che da settimane popolava insistentemente i suoi sogni? Anche lui la vedeva? E vedeva anche tutti gli altri, l’uomo e la donna orientale? Li vedeva tutti, dunque? Com’era possibile… com… ma non finì il ragionamento, perché un pensiero gli squarciò la mente oberata di ragionamenti: erano davvero destinati a stare insieme.
«Anche tu la vedi nei tuoi sogni? Una donna alta con corti capelli, un uomo e una donna insieme a lei? Vedi questo? Immagini di guerre e battaglie?»
«Vedo tutto questo ogni notte da quando sono tornato in vita, ora però non è tempo di tormentarsi. Ciò che vediamo io ritengo sia reale, è Dio che ci mostra chi siamo destinati a incontrare. Non subito, però. Ora siamo io e te e nessun altro e quindi, siedi, amico mio e mangia dei datteri. Loro ci troveranno.» Yusuf non dovette rifletterci neanche per un istante. Non sapeva nulla di ciò che gli stava accadendo e forse era anche un po’ spaventato, oltre che confuso, ma più osservava quel prete mangiare i suoi datteri, seduto all’ombra del sicomoro e più capiva che era accanto a lui che doveva stare. Completamente conquistato dalla semplicità delle sue parole, dalla verità che i suoi occhi nutrivano e alimentavano, schiaffeggiandolo come il vento secco del deserto faceva sulla sua pelle accaldata, Yusuf obbedì. Scalpitava, certo. E ancora odiava lui e tutti quelli come lui; se ora non poteva morire la colpa era soltanto di quei maledetti crociati. Eppure lasciò cadere la scimitarra, l’elmo e la corazza che indossava, liberandosi al contempo di un peso che durante tutto quel tempo gli aveva gravato sulle spalle. E infine si sedette al suo fianco. Ascoltandolo con fare estasiato. Innamorandosi del suono della sua voce e di quel suo sguardo d’acqua marina. Quel giorno, di lui, Yusuf imparò tutto. Si chiamava Nicolò e lottava per ciò che credeva giusto. Amava i datteri, comperati al mercato di Gerusalemme da un tale che aveva alzato il prezzo in maniera scandalosa, facendogli pagare quasi il triplo del reale valore. Il tutto con sommo divertimento di Yusuf, che non aveva impiegato troppo tempo per capire che quel Nicolò era davvero un’anima candida.
«Sarà meglio che da oggi in avanti vada io a comprare da mangiare, altrimenti finiremo tutti i soldi molto presto» gli aveva risposto, lasciandosi poi andare a una risata sincera, tanto quanto genuina. Gli piaceva, oh, sì gli piaceva eccome. La sua bontà sconfinata, quell’ingenuità un po’ fanciullesca. Il sorriso aperto, gli occhi onesti e dolci. Il cuore grande che mostrava le volte in cui aiutava una donna con i suoi bambini, donando loro da mangiare o mettendosi all’opera in qualche lavoro pesante. Amava il suo grande cuore, così come sarebbe rimasto per ore a sentirlo parlare di quella sua città chiamata Genova, affacciata sul mare e incastrata tra le montagne. Era iniziato proprio allora, in quel pomeriggio della fine d’estate sotto a quel sicomoro dal tronco cavo. Là, Yusuf aveva capito che la guerra era finita e la sua vita era appena cominciata.





 
Fine




 

 

 


[1]Da quello che si sa Nicky e Joe sono nati rispettivamente nel 1066 e nel 1069, il che significa che la crociata a cui si sono conosciuti è la prima, che termina nel luglio del 1099 con la presa di Gerusalemme. Qui è passato soltanto un mese da da che i crociati hanno vinto la guerra. Dalla Graphic novel sappiamo che Andy li ha trovati parecchio tempo dopo, quindi sono rimasti soli per un lungo periodo di tempo. Ciò che hanno fatto nel frattempo è tutto headcanon, ma ho pensato che si fossero isolati da tutti e che, pian piano, si siano innamorati a vicenda.

[2] Citazione alla Graphic Novel: The Old Guard Forced Multiplied, il secondo volume della serie a fumetti. In una scena Nicky chiede perdono all’uomo che sta per uccidere.

[3] Piccola annotazione. Io non lo sapevo, l’ho saputo frequentando il gruppo “He’s all and He’s more” su Facebook e poi ho trovato l’informazione anche sulla pagina ufficiale di The Old Guard, su Instagram, ma Nicolò di Genova viene presentato proprio come un prete. 

[4] Quella di Nicolò con barba folta e capelli lunghi è l’immagine che viene data di lui nella Graphic Novel e che Nicky ha durante le crociate. Per quanto i tratti dei personaggi di Nicky e Joe siano diversi nei fumetti rispetto al film, ho pensato di rifarmi alle caratteristiche principali.
 
Note: In questo articolo, che mi è stato girato da MissAdler (che ringrazio), ho trovato alcune interessanti informazioni che riguardano principalmente il fumetto, ma che ho considerato buone anche per il film, dato che è una trasposizione molto fedele. Viene descritto il primo incontro tra Joe e Nicky per come l’ho descritto io, ovvero lui che arriva a cavallo, cade da cavallo e lui e Joe si trafiggono a vicenda.  

Ho riflettuto a lungo su come impostare questa storia. Mi sono chiesta per giorni se fare una long o una OS, alla fine ho optato per una raccolta che è per me la soluzione più congeniale al momento. Ho tipo milioni di idee su Joe e Nicky, quindi mi rivedrete di sicuro. Quel che è certo è che le prossime storie saranno molto più esplicite di così. Intanto grazie a tutti per essere arrivati a leggere sin qui.
Koa

   
 
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