Fanfic su artisti musicali > Chicago
Ricorda la storia  |      
Autore: evelyn80    11/09/2020    5 recensioni
Al termine di un concerto, i Chicago si trovano letteralmente assediati dai fan. Per uscire dal teatro e raggiungere il loro albergo dovranno ricorrere a un escamotage. Racconto tragicomico di una nottata un po' particolare.
Quinta classificata al Contest "Folclore d'Italia" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Danny Seraphine, Peter Cetera, Terry Kath
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il grande assedio del Music Center

 

 

Al termine dell'esecuzione di “I'm a man”, i Chicago salutarono il pubblico con ampi cenni delle braccia e, chi portando il proprio strumento e chi no, si avviarono per lasciare il palco. James, il campanaccio da mucca che aveva suonato durante l'ultimo brano ancora stretto tra le dita, si avvicinò a uno dei microfoni e ringraziò i presenti con entusiasmo, come suo solito. Subito dopo raggiunse i suoi compagni che erano già spariti dietro le quinte. *1
Nonostante fossero ormai ben lontani dallo stage, le voci del pubblico che gridava: «Ancora! Ancora!», giunsero loro chiarissime, sovrastando persino il rintocco delle campane dell'orologio del vicino municipio che suonavano la mezzanotte.
«Che facciamo?», chiese Robert, sgranchendosi le dita anchilosate dopo aver suonato la tastiera dell'organo elettronico per più di un'ora e mezzo. «Li facciamo contenti?».
Walter, la cinghia del sassofono che gli segava il collo sudato, scosse la testa facendo ondeggiare i lunghi capelli castano scuro.
«Non possiamo, abbiamo già sforato con l'orario. Ricordate? Non dovevamo andare oltre le 23:30 e siamo arrivati a mezzanotte».
«Almeno torniamo cinque minuti là fuori a salutarli di nuovo», si intromise Terry. «Gli diciamo buonanotte e gli auguriamo buon rientro a casa».
James annuì: «Mi sembra un'ottima idea, almeno mi riprendo anche il trombone che è rimasto sul palco».
«E io la tromba», aggiunse Lee facendo scrocchiare la schiena. «Non mi fido dei roadies, va a finire che me la riempiono tutta di ditate!».
Terry roteò gli occhi verso l'alto con un sospiro prima di guidare il resto dei suoi compagni. Non appena di nuovo sul palco, vennero accolti da un'ovazione, mentre i cori di: «Ancora! Ancora!», crescevano di intensità.
Il chitarrista si avvicinò al microfono che era stato di Peter e si rivolse al pubblico: «Ehm... vi ringraziamo per il vostro entusiasmo ma... davvero non possiamo suonare altro. Guidate con prudenza mentre tornate a casa, e buonanotte!».
Le sue parole vennero accolte da un coro di dissenso generale. La massa di gente davanti allo stage ondeggiò selvaggiamente, come un mare in burrasca, mentre quelli in prima fila venivano quasi spinti oltre le transenne che li separavano dal palco. Qualcuno gridò per il dolore e, alla seconda ondata, alcune delle barriere cedettero e caddero a terra, permettendo alle persone lì ammassate di riversarsi sullo stage. Una ragazza fu fatta cadere a terra e calpestata senza pietà prima che uno dei bodyguard riuscisse a rimetterla in piedi, malconcia. Subito dopo, però, i responsabili della sicurezza si diedero alla fuga: erano troppo pochi per riuscire, da soli, a contenere quella fiumana di gente.
«Ragazzi, è meglio se filiamo», disse Peter, la tastiera del basso stretta nel pugno, fissando la folla impazzita e in preda al delirio che si arrampicava sul palco dalla parte opposta alla loro posizione. «Se quelli ci raggiungono e ci prendono, ci fanno secchi!».
Gli altri annuirono e imboccarono di corsa il corridoio verso i camerini. Terry e Danny, le bacchette della batteria infilate nella tasca posteriore dei pantaloni bianchi a zampa di elefante, fecero appena in tempo a calare la sbarra per bloccare la porta di accesso che la massa di gente vi si infranse contro, facendola ondeggiare pericolosamente.
«Andiamo, non perdiamo tempo!», esclamò Robert, fissando gli stipiti di alluminio anodizzato che vibravano sotto il ritmo dei colpi inferti dall'altra parte. «Questa cazzo di porta non reggerà a lungo!».
I sette ragazzi percorsero correndo il lungo corridoio dritto, diretti verso l'uscita di emergenza che dava sul retro del Music Center. Il primo a raggiungerla fu Terry che, buttandosi sul maniglione antipanico con tutto il suo peso, spalancò il grosso uscio nero. L'anta si scontrò contro un muro di persone, principalmente ragazze, che gridavano il nome dei loro beniamini. Robert, che seguiva il chitarrista nella corsa, non appena fece l'atto di oltrepassare la soglia si ritrovò abbrancato da due ragazze contemporaneamente.
«Bobby! Bobby, scegli me!», gridavano ripetutamente mentre lo strattonavano a destra e a sinistra, contendendoselo come si potrebbe fare con un abito in saldo ai grandi magazzini.
Il tastierista voltò la testa, disperato, per chiedere l'aiuto dei suoi compagni di band. Walter e Lee lo afferrarono ognuno per una spalla e lo trascinarono di nuovo dentro il corridoio, strappandolo dalle grinfie delle ragazze. Terry, ancora aggrappato al maniglione antipanico dell'uscita di emergenza, tirò a sé il pesante uscio per richiuderlo e lasciare fuori la marea urlante che bloccava la loro fuga. Alcuni fan serrarono le dita sul bordo esterno dell'anta, per trattenerla e non permetterle di richiudersi, e il chitarrista fu costretto a gridare per richiamare l'attenzione dei suoi amici che già retrocedevano lungo il corridoio. Danny, James e Peter accorsero al suo appello e, in quattro, riuscirono a richiudere la porta con molta fatica.
Di nuovo la gente da fuori prese a tempestarla di pugni, ma per fortuna quell'uscita non aveva una maniglia all'esterno quindi, una volta chiusa, la porta non poteva essere riaperta se non da dentro.
«Cosa facciamo?», chiese Peter, guardandosi attorno nel corridoio male illuminato dalle scarse luci al neon. «Tutte le uscite sono bloccate!».
«Potremmo provare a uscire da una finestra, magari da una di quelle dei camerini», propose Danny.
Si spostarono all'interno del primo che trovarono alla loro sinistra. La finestra era posta molto in alto, ed era piuttosto stretta, ma potevano comunque raggiungerla arrampicandosi su un paio di sedie.
«Io non passerò mai da lì», esalò Terry fissando prima la finestra e poi il proprio corpo. «Sono troppo... ingombrante».
«Temo che non ci passerà nessuno di noi», replicò James. Il trombonista aveva messo due poltroncine una sopra l'altra e si era arrampicato, in equilibrio precario, per affacciarsi. «Tutto l'edificio è circondato da una marea di gente!». Qualcuno dal basso gridò il suo nome. «Cazzo, mi hanno visto!», esclamò, abbassandosi d'istinto e chiudendo la finestra. Il tipo che lo aveva riconosciuto aveva spiccato un salto e si era aggrappato al bordo, ma James non esitò a schiacciargli le dita. Il grido, seguito subito dopo da un tonfo pesante, fece capire ai membri dei Chicago che il tizio si era lasciato ricadere giù.
«Cristo, siamo sotto assedio!», gridò Peter, le mani sulle guance. «Dovremo chiamare la polizia per uscire!».
«Non dire scemenze», replicò Terry, mettendosi seduto su un divanetto e incrociando le braccia dietro la testa. «Vedrai che tra poco, non vedendoci uscire da nessuna parte, si stuferanno e si toglieranno dai coglioni».


Le campane dell'orologio del municipio batterono le una, le due, le tre... e la gente ammassata fuori dal Music Center non accennava a volersene andare. Di tanto in tanto James era tornato ad arrampicarsi sulla piramide precaria di poltroncine per affacciarsi e, ogni volta, aveva visto un mare di teste accalcate attorno all'edificio. Molti gridavano il nome dei loro beniamini, mentre altri semplicemente chiacchieravano tra loro o stavano in silenzio a fissare le uscite, in attesa che i musicisti lasciassero il teatro. In un'occasione rischiò persino di venire colpito da una bottiglia di birra: uno degli assedianti sistemato proprio sotto la finestra lo aveva riconosciuto e gli aveva lanciato la sua bevanda, forse nella speranza di stimolarli a uscire. Per fortuna l'alcol che aveva già ingerito aveva peggiorato la sua mira, e la bottiglia era andata a infrangersi a lato dell'apertura, a una decina di centimetri dalla faccia del trombonista.
«E meno male che avrebbero dovuto stufarsi presto!», esclamò Peter, dando un calcio alla chitarra di Terry. «Si toglieranno dai coglioni», aggiunse, scimmiottando il vocione del chitarrista, che si era addormentato sul divanetto e russava come un sousafono. *2
«Calmati, Peter», cercò di rabbonirlo Walter, alzandosi dalla poltroncina su cui aveva sistemato a fatica le lunghe gambe e raccogliendo lo strumento del compagno, poggiandolo contro il muro al suo fianco. «Incazzarsi non serve a niente, dobbiamo solo aspettare».
«Dovremmo chiamare la polizia!», ribadì il bassista dopo l'ennesima giravolta su se stesso. Mentre tutti gli altri si erano accomodati in qualche modo, Peter era l'unico che non riusciva a trovare pace.
Lee, che si era messo a fare un cruciverba trovato su un giornale abbandonato in un angolo del camerino per ingannare il tempo, alzò gli occhi dalla pagina e puntò la penna contro il bassista.
«Avresti potuto chiamarla subito. Perché non l'hai ancora fatto? A quest'ora potremmo essere tranquilli in albergo!».
«Devo farlo per forza io?!», replicò Peter, scuotendo il capo con tanta violenza da scompigliarsi il caschetto di capelli biondi. «Tu non ce le hai, le mani?», aggiunse, sarcastico.
Lee fece per alzarsi in piedi ma Robert intervenne, piazzandosi tra i due. «Smettetela di litigare. Andiamo piuttosto a controllare la porta che dà sullo stage. Magari da quella parte la marea potrebbe essere scemata».
«Niente da fare», rispose Danny appena rientrato nel camerino, nell'udire le parole del tastierista. «Sono andato a dare un'occhiata laggiù proprio adesso. All'inizio era tutto silenzio, ma non appena ho bussato alla porta e ho detto: “Ehilà?”, si è scatenato l'inferno. Devono essersi costruiti una specie di ariete, perché ho iniziato a sentire un sacco di colpi e l'uscio ha vibrato come non mai!».
Tutti – tranne Terry, che dormiva ancora della grossa – alzarono il capo per fissare il batterista, tremando alle sue parole.
«Dobbiamo asserragliarci!», decretò Walter, alzando il braccio verso il soffitto. «Se sfondano la porta e invadono il teatro non avremo più via di scampo. Dobbiamo prepararci a ogni evenienza!».
I suoi amici annuirono e iniziarono ad accatastare sedie e pezzi di mobilia contro la porta del camerino. Senza tanti complimenti, James e Robert sollevarono il divanetto da un lato, facendo scivolare il chitarrista giù dalla seduta.
«Ehi, ma che cazzo state facendo?», chiese, sfregandosi gli occhi cisposi per il sonno bruscamente interrotto e mettendosi in piedi a fatica. «Dormivo così bene!».
«Ci stiamo organizzando per resistere all'assedio!», rispose Danny, aiutando il trombonista e il tastierista a raddrizzare il divano e a spingerlo contro l'uscio della stanza.
Terry si guardò attorno, smarrito. «Cioè... mi volete dire che quegli scalmanati là fuori non se ne sono ancora andati?».
«No!», rispose secco Peter, guardandolo storto.
Il chitarrista si scostò la lunga frangia dagli occhi e fissò perplesso la barricata che i suoi compagni di band avevano appena finito di approntare.
«Ma a me scappa da pisciare! Ora come cazzo faccio ad andare al cesso?».
«Falla qui dentro», rispose Walter, mettendogli davanti un vaso in cui una spatifillo languiva miseramente. «Almeno darai un po' di concime a questa povera pianta». *3
Senza lasciarsi pregare, Terry fece come gli era stato chiesto, poi il vaso andò a finire in cima alla catasta di mobili.
Ben presto, i tonfi provenienti dalla porta dello stage giunsero fino a loro. Evidentemente i fan, con il loro ariete improvvisato, erano riusciti a fare breccia. Infatti, ecco che pochi secondi dopo, le grida eccitate del pubblico risuonarono fuori dalla porta, mentre le persone si riversavano nei camerini vuoti, spalancando usci e rovesciando suppellettili.
«Qui non ci sono!», gridò qualcuno al termine della frenetica ricerca.
«Allora devono essere per forza qui dentro!», rispose qualcun altro, proprio fuori della stanza. «È l'unica porta sprangata!».
«Lo sappiamo che siete lì!Venite fuori!», urlò una voce femminile. «Noi vogliamo solo i vostri autografi!».
I ragazzi si fissarono l'un l'altro, sconcertati. Per avere un paio di firme, tutta quella massa di gente aveva organizzato un assedio in piena regola?!
«Neanche fossimo a Gibilterra...», commentò Lee con un'improvvisa riminiscenza scolastica. *4
«Che facciamo, li accontentiamo?», chiese Terry, stringendosi nelle spalle. «Almeno poi ce ne potremo andare a letto».
«Ma sei scemo?!», sibilò Peter, fulminandolo con lo sguardo. «E, secondo te, quei tizi che sono là fuori si metteranno in fila composti in attesa degli autografi? Come apriremo la porta ci salteranno addosso, senza neanche lasciarci il tempo di dire: “Ah”!».
Il chitarrista si strinse di nuovo nelle spalle. «Hai idee migliori, Belli Capelli?», chiese sarcastico, rivolto al bassista.
«Sì! Chiamare la polizia!».
«E poi chi glielo spiega che le tavolette di acido sono solo francobolli? Quelli non sono mica scemi! Non mi va di passare il resto della nottata in guardina!». *5
«Perché, non è come se lo fossimo, adesso?», replicò Peter facendo un gesto col braccio.
Le voci all'esterno della porta interruppero la loro diatriba.
«Va bene, allora se non uscite voi, veniamo noi a prenderci i nostri autografi!», gridò di nuovo la voce femminile. Non fece in tempo a finire di parlare che già l'ariete prendeva a battere sulla porta del camerino, facendo vibrare i mobili che vi erano ammassati contro. Il vaso con la spatifillo, già in equilibrio precario, tremò e cadde, infrangendosi sul pavimento. La terra, ancora bagnata dell'orina del chitarrista, si sparse ovunque.
«Ecco... così l'ho concimata per nulla...», sospirò Terry fissando i cocci.
«E tu ti preoccupi per quello?», replicò Peter, intento a tenere fermo la mobilia e già pronto a riprendere la loro discussione. «Se sfondano la porta...».
«Aspettate!», gridò Danny per sovrastare la confusione e interrompendolo. Il batterista stava fissando un'agendina posata accanto al telefono, vicino a una delle specchiere. «Mi è venuta un'idea!».
Prese la rubrica e si mise a sfogliarla freneticamente, finché non trovò quello che cercava.
«Ecco!», esclamò entusiasta, mostrando l'agendina ai suoi compagni ancora occupati a tenere ferma la catasta di mobilia.
«Vuoi chiamare la lavanderia?! A quest'ora di notte? E per fare che?», chiese Lee, incredulo. Come a sottolineare le sue parole le campane dell'orologio del municipio, a malapena udibili nel frastuono proveniente dal corridoio, suonarono le quattro.
«Per farci portare via di nascosto. E qui c'è scritto che fanno servizio 24 ore su 24», replicò Danny, sollevando la cornetta e componendo il numero. «Pronto? Lavanderia La splendente? Qui è il Music Center, abbiamo bisogno subito di un camioncino per portare via tantissima roba da lavare... Sì, è urgente, grazie! Ah, un'altra cosa», aggiunse, dopo qualche istante di esitazione. «Può avvertire il fattorino che troverà un po di... confusione davanti al teatro? Ci sono un po' di persone qua intorno».
Il batterista rimase in silenzio, ascoltando la risposta e annuendo col capo nel frattempo. Dopo un ultimo: «Grazie!», riattaccò.
«Allora?», chiese James, le braccia muscolose tese nello sforzo di trattenere il divano fermo al suo posto. I colpi fuori dall'uscio erano aumentati di intensità, e ogni volta la porta cedeva di qualche millimetro in più per poi tornare a chiudersi di colpo.
«La signora che mi ha risposto mi ha detto che ha capito e che mandano subito qualcuno».
«Speriamo che si sbrighino», ansimò Robert, «oppure troveranno davvero solo dei vestiti, perché noi saremo già stati divorati!».
Mettendosi di vedetta al posto del trombonista, Danny si affacciò alla finestra per controllare la situazione e poter vedere subito il furgone della lavanderia non appena fosse arrivato. La calca di gente era un po' diminuita: in molti di sicuro si erano riversati dal lato dello stage, mentre forse qualcun altro aveva ceduto al sonno e se ne era tornato a casa.
«Non c'è più molta gente da questa parte!», annunciò entusiasta. «Forse, non appena il camioncino sarà arrivato, sarà meglio calarci da qui e andargli incontro. Se corriamo abbastanza veloci dovremmo essere in grado di raggiungerlo senza farci acciuffare dalla folla».
«Ti ho già detto che io da lassù non ci passo! Sono troppo grosso», replicò Terry, il corpo massiccio scosso dall'ennesimo colpo di ariete. «Mi piacerebbe tanto sapere che cosa cazzo stanno usando, per sfondare la porta», aggiunse subito dopo, pensieroso.
«Pensa a spingere, piuttosto! Altrimenti lo scoprirai tutto d'un colpo, cos'hanno usato!», rispose Peter, astioso.
All'interno del camerino cadde il silenzio. Sei ragazzi erano impegnati a trattenere la porta, che a ogni colpo dell'ariete cedeva un poco di più, mentre Danny continuava a tenere d'occhio la situazione guardando fuori dalla finestra. Dopo dieci minuti che parvero a tutti loro un'eternità, il furgoncino della lavanderia La splendente spuntò dall'angolo dell'edificio, parcheggiandosi davanti all'uscita posteriore.
Evidentemente il fattorino doveva essere abituato a questo genere di situazioni, perché scaricò il grosso carrello per la raccolta degli abiti sporchi senza curarsi della folla che gli si ammassava attorno. La sua voce giunse chiaramente ai giovani musicisti attraverso la finestra aperta.
«No, io non so niente dei Chicago. Devo solo ritirare della biancheria da lavare. Vi ho detto che non lo so!», concluse alzando il tono.
Danny lo osservò farsi largo tra la gente e raggiungere sicuro la porta di servizio, aprendola con un passepartout.
Il rumore cigolante e sferragliante delle ruote del carrello si avvicinò lungo il corridoio. I ragazzi dentro il camerino trattennero il fiato mentre il fattorino se la vedeva con la massa di fan accalcati davanti l'uscio.
«Fatemi passare! Sto lavorando, io!».
«Lì dentro ci sono i Chicago e noi vogliamo i loro autografi!», rispose la voce femminile che avevano già sentito in precedenza.
«Sentite, a me non importa un cazzo di quello che volete voi. Io devo ritirare dei vestiti da lavare e devo farlo anche alla svelta, altrimenti non mi pagano gli straordinari! Levatevi dalle palle e fatemi lavorare!».
Mentre parlava, i ragazzi si erano addossati contro la parete di modo che, quando il fattorino avesse spalancato la porta, loro sarebbero rimasti dietro l'anta e – speravano – fuori dalla vista dei fan ancora assatanati. Difatti, con una spinta ben assestata del carrello, il ragazzo della lavanderia fece cadere la mobilia ormai quasi del tutto smossa e non appena l'uscio si aprì indicò, con un cenno della mano, la finestra spalancata alle persone che si accalcavano alle sue spalle.
«Non vedete, idioti, che la finestra è aperta? A quest'ora i vostri Chicago saranno già in albergo a bere alla faccia vostra!». E, senza attendere riposta, fece passare il carrello e richiuse la porta dietro di sé appoggiandocelo contro, smorzando i mugugni delusi dei fan.
Quando vide i membri della band ammassati contro la parete, uno a ridosso dell'altro, strizzò loro l'occhio.
«Saltate qui dentro, forza!», sussurrò scostando il pesante telo cerato che copriva il carrello. «Sì, dovrete stringervi un po'», aggiunse nel vedere le occhiate perplesse che i ragazzi si scambiarono l'un altro.
«Noi possiamo anche strizzarci, ma tu poi come farai a spingere il carrello? Solo Terry pesa più di cento chili», chiese Walter, posandogli una mano sulla spalla.
«Tranquilli. Ho... un piccolo aiutante segreto». Il fattorino sollevò il coperchio di un contenitore attaccato a una delle ruote del carrello e rivelò un motorino a batteria. «Sono abituato a portare via degli abiti un po'... particolari», aggiunse con un ghigno nel vedere le facce stupite dei musicisti. «Non siete mica i primi a venire assediati dai fan. Qui succede praticamente quasi tutti i giorni».
Con molta fatica, i Chicago si sistemarono all'interno del carrello: Terry, Lee e Robert, che erano i più pesanti, si rannicchiarono sul fondo; Walter, Peter e James si accoccolarono sopra di loro e Danny, il più leggero di tutti, si mise di traverso sopra gli altri. Il fattorino della lavanderia li coprì col telo cerato, spalancò la porta, accese il motorino con il piede e, fingendo di spingere a fatica il carrello, si fece di nuovo largo tra la folla, fendendola in due ali al suo passaggio.
Una volta davanti al furgone, spense il motorino e aprì le portiere posteriori. Molta della gente ancora presente al teatro lo aveva seguito e qualcuno provò a sollevare, curioso, il telo cerato. Il fattorino gli diede una manata sulle dita e, dopo aver sistemato la pedana di carico, issò il carrello e il suo prezioso contenuto a bordo del camioncino.
Senza dire una parola chiuse le portiere, salì al posto di guida, mise in moto e se ne andò.


«Ok, ragazzi, siete fuori! Scampato pericolo! Tutto bene, la dietro?».
Gli risposero alcuni mugolii sfiatati quindi, dopo essersi allontanato a sufficienza dal Music Center, parcheggiò di nuovo a bordo strada e fece uscire i Chicago dal carrello.
«Aria, aria!», gridò Peter, scendendo dal furgoncino e respirando a grandi boccate.
Il fattorino lo guardò interrogativamente. «Ma... il carrello è forato, non poteva mancarvi l'aria.
«No, ma Terry ne ha sganciata una delle sue!», rispose Lee issandosi fuori a fatica.
Il chitarrista emerse per ultimo, con una risatina stampata in faccia. «Scusate, ma a pranzo ho mangiato il chili», si giustificò, passandosi una mano tra i lunghi capelli castani.
«Tu mangi sempre il chili», replicò Danny, con una risata, «perché le tue scorregge puzzano sempre tutte uguali!».
Cambiata l'aria, i Chicago si risistemarono nel retro del furgone.
«Qual è il vostro albergo?», chiese il fattorino e, dopo che Walter glielo ebbe detto, si diresse in quella direzione.
Quando finalmente i sette musicisti raggiunsero la loro destinazione, le campane dell'orologio del municipio suonavano le cinque del mattino. A est il cielo si stava facendo rosato e gli uccellini stavano cominciando a cantare.
«Grazie, amico. Ci hai salvato la vita!», disse Robert, stringendo la mano al fattorino.
Lui si strinse nelle spalle. «Dovere. Come vi ho già detto prima, succede quasi tutti i giorni».
«Possiamo fare qualcosa per sdebitarci?», chiese Lee.
«Se proprio volete, potete farmi i vostri autografi. Li aggiungerò a quelli di tutte le star a cui ho salvato il culo fino a oggi», rispose il ragazzo della lavanderia con un sorriso.
I Chicago esaudirono volentieri la sua richiesta: in fondo, si erano risparmiati di farne a migliaia, quella sera.
Di nuovo soli, James trasse dalla tasca posteriore dei jeans un quadernino tutto stropicciato e una penna.
«Cosa fai?», chiese Walter, curioso.
«Mi segno il nome di quel cazzo di teatro. Col cavolo, che ci metterò di nuovo piede!».
«Siamo in due», disse Peter.
«In tre», aggiunse Robert.
«Facciamo in sette, e non ne parliamo più», concluse Danny per tutti, con una risata.
Continuando a ridere, i Chicago entrarono in albergo. Per quella volta ne avevano avuto abbastanza.

 

 

Spazio autrice:

Innanzi tutto voglio ringraziare _Vintage_ per aver indetto questo contest: sono stata proprio fortunata perché, nella scelta delle leggende, me ne è capitata una – quella di Dina e Clarenza – che cadeva proprio a fagiolo. L'obbligo previsto, infatti, era un assedio, e i Chicago molte volte sono stati per davvero assediati dai fan e sono stati costretti a usare escamotage vari, come ricorrere appunto ai furgoni della lavanderia, per lasciare i vari teatri senza essere assaliti. Quindi, la situazione che ho descritto in chiave tragicomica è in qualche modo verosimile.
Per quanto riguarda il bonus – le campane – temo che non siano state inserite al meglio, ma l'unica idea che ho avuto per questo contesto sono state appunto le campane dell'orologio del municipio (e mi sono ispirata al famoso orologio di «Ritorno al futuro») che battono le ore.
In effetti, se devo essere sincera, non sono totalmente soddisfatta del risultato: sono consapevole che i dialoghi sono carenti rispetto alla parte descrittiva, soprattutto nella prima parte della storia, e di aver utilizzato la narrazione esterna senza un briciolo di introspezione. Spero di non essere troppo penalizzata per questo aspetto. Mi sono comunque divertita a scrivere la storia, e spero che possa risultare una lettura piacevole.
Lascio alcune note, sia per la giudice sia per chi non conosce il fandom.
I Chicago (Walter Parazaider al sassofono, Lee Loughnane alla tromba, James Pankow al trombone, Terry Kath alla chitarra, Robert Lamm alle tastiere, Danny Seraphine alla batteria, Peter Cetera al basso – questa la formazione originaria) sono una rock band con i fiati, come si sono loro stessi autodefiniti, nata nel 1967/68 e tuttora in attività, anche se con molti avvicendamenti tra i musicisti. Per questa storia mi sono ispirata alla loro versione dei primi anni settanta e, in particolar modo, al concerto tenuto a Tanglewood nel luglio del 1970 (qui il video: https://www.youtube.com/watch?v=_oAoSZ2y1cw). Non ho usato riferimenti particolari, quindi l'ambientazione può riferirsi a qualsiasi luogo.
Nella mia loro personalissima versione, ho dato ad alcuni di loro delle caratteristiche ricorrenti in tutte (o quasi) le storie che li riguardano: Terry è un gran mangione (lo era anche nella realtà) e adora il chili, con conseguenti emissioni gassose spiacevoli che lui non esita a produrre, anche di fronte agli altri; Lee è uno snob con la puzza sotto al naso, che spesso mal sopporta le bravate dei suoi compagni; Peter è attaccatissimo al proprio caschetto di capelli biondi, fin quasi a rasentare l'isteria; Danny è il migliore amico di Terry ed è un dongiovanni (questo anche nella realtà).
Ecco ora le note numerate.
*1: «I'm a man» è una canzone degli Spencer Davis Group, di cui i Chicago hanno fatto una bellissima cover. Nei primi anni '70 quella era la canzone che, di solito, chiudeva i loro concerti. Poiché non vi sono fiati, Walter, Lee e James durante l'esibizione suonavano rispettivamente il tamburello, i bastoncini di legno e il campanaccio da mucca.
*2: Il sousafono (o susafono) è uno strumento a fiato grave della famiglia degli ottoni, caratterizzato dall'enorme e scenografica campana.
*3: La spatifillo è una comune pianta ornamentale da appartamento.
*4: Il «Grande assedio di Gibilterra» è un evento storico avvenuto dal 1779 al 1783 ed è ricordato come uno dei più lunghi assedi della storia.
*5: LSD, di cui la band faceva largo uso all'epoca, si presenta spesso sotto forma di cartoncini colorati e con disegni appariscenti, imbevuti della sostanza liquida, spesso perforati per indicare le singole dosi. Questo li rende simili a francobolli.

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Chicago / Vai alla pagina dell'autore: evelyn80