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Autore: Crepuscolina13    16/09/2020    1 recensioni
Il gioco era semplice. Lei non avrebbe parlato finchè qualcuno non le avesse chiesto perché non stesse parlando. Se glielo chiedevano il gioco finiva e lei aveva perso, se non lo facevano lei aveva vinto.
Il problema era che Vanya vinceva sempre.
Sempre.
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FANFICTION TRADOTTA
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Five, Vanya Hargreeves / Violino Bianco / Numero 7
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Storia originale: https://www.fanfiction.net/s/13618644/1/The-Quiet-Game

Autrice: Too Young To Feel This Tired

Tradotto: crepuscolina13

 

Il gioco del Silenzio-The Quiet Game

Se scomparissi qualcuno noterebbe almeno la mia scomparsa?

Alcuni pensieri terribilmente cupi passarono nella mente di Sette quando si svegliò a tarda sera.

Aveva sofferto di mal di testa durante la giornata e aveva ottenuto il permesso di mettere in pausa il suo studio finché non si fosse sentita meglio anche se il padre aveva sottolineato come fosse più debole rispetto agli altri per aver avuto un mal di testa in primo luogo.

La Mamma le portò qualche medicina e lei si addormentò subito dopo averle prese. Forse aveva solo bisogno di qualche ora in più per riposarsi.

Finalmente la sua testa smise di pulsare e scese così al piano di sotto solo per poi scoprire che tutti avevano ormai finito di cenare e adesso erano già passati a intrattenersi con altre attività mentre la Mamma riuscì a rimediarle qualcosa da mangiare.

Restò così in cucina tutta da sola cercando di masticare la cena.

Di solito le piaceva ciò che la Mamma cucinava ma oggi non ricavò gran gioia da quel pasto, rimase solamente a guardare le scale domandandosi se gli altri fossero a conoscenza che aveva avuto mal di testa e in quel caso perché nessuno era venuto ad avvertirla che la cena era pronta.

Sette parlò un po’ con la Mamma, finì di mangiare e poi tornò al piano di sopra .

Tutte le porte erano chiuse anche se riusciva a sentire i suoi fratelli ridere e parlare attraverso di esse.

Fissò ogni singola porta sperando che una di quelle si aprisse e che qualcuno la invitasse dentro per fare quattro chiacchiere o per giocare ma tutte le porte rimasero chiuse.

Non sapeva chi fosse con chi ma immaginò che nessuno volesse essere disturbato visto che le porte erano tutte chiuse.

Ancora ricordava tutte le volte in cui aveva provato a intromettersi nelle loro conversazioni o nei giochi solo per poi sentirsi dire di andare via.

Questa volta non si disturbò neanche a provarci.

Sette ritornò nella sua camera lasciando però la sua porta accostata in caso qualcuno fosse venuto a vedere come stesse.

Non c’era bisogno che parlassero o giocassero, bastava semplicemente che qualcuno le facesse compagnia così che non dovesse sentirsi così sola.

Nessuno lo fece.

Fu la mattina dopo che iniziò per la prima volta a escogitare il suo piccolo gioco. Era Semplice.

Ogni qual volta in cui si sentiva particolarmente sola avrebbe iniziato dal giorno dopo a giocare con se stessa per un personale semplice passatempo.

Era un gioco un po’ strano, Sette lo sapeva ma non c’erano molte cose in cui lei era brava.

Lei era brava a stare in silenzio no? Papà le diceva sempre di stare zitta ogni qual volta Quattro stuzzicava lei e Sei quando erano piccoli, ma forse era tutta una sua invenzione. Alcune volte non ne era sicura.

Era un gioco sciocco ma lei vinceva sempre.

A tutti i suoi fratelli piaceva vincere durante gli allenamenti, amavano battersi a vicenda per essere i primi o i migliori. Vincere era divertente e anche a lei sarebbe piaciuto vincere.

Il gioco era semplice.

Lei non avrebbe parlato finché qualcuno non le avesse chiesto perché non stava parlando.

Semplice, no?

Si sarebbe svegliata e avrebbe passato tutto il giorno senza dire una parola finché qualcuno non fosse venuto da lei a chiederle perché non stava parlando.

Sarebbe stato divertente vedere quanto tempo sarebbe passato prima che qualcuno venisse a farle la fatidica domanda una volta realizzato ciò che stava facendo.

Non avrebbe richiesto troppo tempo, giusto?

Come potrebbe essere altrimenti? Qualcuno doveva pur notare che lei non stava parlando no? Come potevano non accorgersene?

La colazione fu un po’ deludente anche se cercò di non farci troppo caso.

I suoi fratelli come al solito stavano combattendo contro la mancanza di sonno o chiacchierando a proposito di qualche missione passata mentre lei stava silenziosamente mangiando i suoi cereali evitando di non guardare nessuno mentre provava a non piangere così da non interrompere il suo gioco.

Non sarebbe stato divertente scoprire quanto avrebbe potuto resisteresenza parlare? Senza che nessuno notasse che non stava parlando? Senza che a nessuno importasse?

Dopo colazione andarono tutti a studiare, lei doveva esercitarsi al suo violino mentre gli altri erano impegnati in palestra.

Nessuno venne a disturbarla, non che fosse mai successo.

Rimase nella sua stanza tutta da sola a suonare finché le sue dita non iniziarono a farle male ma non poteva smettere.

Suonare era l’unica cosa che aveva, l’unica cosa in cui era brava.

Se lei non si esercitava regolarmente Papà le avrebbe portato via il violino e lei sarebbe rimasta senza niente.

Così suonò per ore finché non arrivò il momento del pranzo, spaventata che se si fosse fermata anche solo un momento il violino le sarebbe stato portato via.

Consumarono il pranzo con il loro Padre e in quelle occasioni non avevano il permesso di parlare quindi nessuno notò il suo silenzio.

Come potevano? Tutti restarono in silenzio durante il pranzo ascoltando la trasmissione che il Padre permetteva loro di ascoltare quel giorno.

Lei masticava il suo cibo facendo meno rumore possibile chiedendosi quanto tempo sarebbe passato prima che qualcuno notasse il fatto che lei non stava parlando. Qualcuno doveva pur rendersene conto giusto?

Dopo pranzo ebbero un’altra sessione di studi, questa volta tutti insieme.

Pogo trattò prima la chimica e poi si spostò sulla fisica.

Le fece una domanda solo una volta. Non era molto difficile infatti Sette aveva già scritto la risposta sul proprio quaderno ma non poteva rispondere ad alta voce così si limitò semplicemente a scuotere la testa e Pogo passò a porre il quesito a Luther.

Non poteva infrangere le regole del gioco.

Si domandò se qualcuno avesse iniziato a notare che non stava parlando sin da ieri, quando osò guardarsi intorno scoprì che nessuno la stava guardando.

Nessuno la guardava mai comunque.

Dopo ciò era di nuovo ora di cena, di nuovo con il loro Padre e quindi parlare non era permesso. Non finì tutto il suo pasto e lasciò un po’ di cibo nel piatto

-Oh non hai fame Sette?- le chiese la madre.

-Magari la prossima volta posso cucinare una delle tue pietanze preferite mh?-.

La Madre le tolse il piatto da davanti ma non aspettò una sua risposta e Sette non ne diede una, semplicemente si alzò dalla sedia camminando fino alla sua stanza lasciando però la porta aperta in caso qualcuno avesse voluto entrare.

Nessuno lo fece.

Aspetto per ore e ore e nessuno lo fece, solo quando sentì la voce della madre provenire dal corridoio informando che era ora di andare a dormire lei chiuse la porta, si cambiò per la notte e spense la luce consapevole che tanto nessuno sarebbe venuto a farle una visita né a parlarle e che nessuno le avrebbe chiesto perché non stava parlando perché nessuno se ne era accorto, perché a nessuno importava.

Quando le lacrime solcarono il suo volto e la sua mano tremante aprì il contenitore delle pillole Sette farfugliò a se stesse la prima frase della giornata.

Ho vinto”.

Non era bello vincere? Non era un gioco divertente? Non ci si sentiva bene a vincere?

A tutti piaceva vincere e lei aveva vinto! Aveva vinto! Aveva vinto il suo stupido gioco! Non ci si sentiva grandiosi ad essere dei vincitori?

Questo pensò mentre piangeva prima che le pillole facessero effetto sopprimendo quel sentimento di tristezza lasciandola intorpidita ancora una volta.

L’Intorpidimento era meglio della solitudine.

Le andava bene tutto finché non avesse più provato la solitudine.

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Il tempo passò e lei continuò a mettere in pratica il suo piccolo gioco.

Non tutti i giorni. Alcuni giorni erano tranquilli, lei salutava tutti al mattino augurandogli buona fortuna quando avevano una missione da compiere.

Rispondeva Sì se qualcuno le chiedeva di prestargli il suo quaderno, i compiti o qualunque cosa volessero da lei.

Alcune volte riusciva anche a fingere che lei fosse felice così, che sentirsi necessaria solo a passare i compiti ai suoi fratelli fosse sufficiente.

Che le bastava solo il fatto che loro sapessero della sua esistenza.

Bastava però che Papà dicesse qualcosa di cattivo o che gli altri la cacciassero via, a volte non era neanche necessario l’intervento di qualcuno, bastava semplicemente che la vocina dentro di lei della quale non aveva il controllo le facesse credere che se fosse scomparsa nessuno se ne sarebbe accorto né gli sarebbe importato.

Le bastava quello e lei decideva che era arrivata l’ora di giocare.

Era ridicolo.

Che divertimento c’era in un gioco nel quale lei vinceva tutte le volte?

Le sarebbe dovuto venire a noia dopo la terza o la quinta volta eppure lei continuava a giocare come se volesse a tutti i costi che qualcun altro vincesse, come se volesse che qualcuno le chiedesse perché non stava parlando.

Non doveva essere poi così competitiva se voleva perdere così disperatamente.

Aveva dato ai suoi fratelli parecchie possibilità di batterla ma nessuno lo fece mai.

Non potevano perché a loro non importava.

Qualcuno noterebbe almeno la tua assenza se tu un giorno scomparissi?
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E quindi Vanya restava nella sua stanza con la porta accostata.

Lei era sempre una giocatrice onesta. I fratelli avevano sempre una possibilità. Lei non barava mai, rispettando così le regole auto inventante del suo auto inventato gioco.

Potevano entrare ogni qual volta desiderassero, semplicemente loro non lo facevano mai e anche se lo facevano non notavano mai che lei restava in silenzio.

Loro non le facevano mai la fatidica domanda continuando così a perdere.

-Vorrei vedere i tuoi appunti di Calcolo- disse Cinque entrando nella sua stanza senza nemmeno bussare.

Cinque non chiedeva mai se poteva entrare in una stanza.

Si atteggiava sempre come una sorta di privilegiato che solo il figlio preferito poteva avere.

Lei vedeva il modo in cui Papà guardava a lui.

Tutti loro cercavano sempre di impressionarlo in qualche modo, di far in modo di farsi piacere, di farsi volere ma nonostante quello c’era sempre un modo diverso con cui il padre guardava Cinque.

Nonostante la sua sfrontatezza e la sua testardaggine il Padre preferiva di più Cinque rispetto a tutti gli altri.

Vanya sapeva che lui non l’aveva salutata questa mattina.

Nessuno lo faceva almeno che non fosse lei la prima a salutarli. Ma oggi stava giocando per cui non disse una parola.

Gli fece segno di andare alla sua scrivania.

Lui annuì in risposta e si diresse al tavolo afferrandoli e iniziando a dargli un’occhiata.

-Quattro...beh Klaus suppongo, ha continuato a colpire il tavolo per tutto il tempo, era impossibile concentrarsi su ciò che diceva Pogo-.

Vanya lo guardò in silenzio.

Non era la prima volta che qualcuno le parlava mentre lei stava giocando ma le regole erano regole e finché qualcuno non glielo avesse chiesto lei doveva continuare a rimanere in silenzio.

Lei voleva vincere dopotutto.

Tutti amano vincere.

-Tuttavia, ho trovato l’intera idea leggermente impraticabile- disse riferendosi alla loro lezione.

Vanya non rispose e Cinque continuò.

Per qualcuno che era stato disturbato per la durata dell’intera lezione sembrava ricordare molti dettagli e continuò a divagare con le sue idee e le sue ipotesi finché non passò dal parlare delle sue personali teorie a qualcosa di completamente diverso.

Non era la prima volta che Vanya notava come lui superasse di gran lunga tutti gli altri fratelli quando si toccavano quegli argomenti.

Era di gran lunga il più intelligente di tutti.

Forse era quello il motivo per cui a Papà piaceva così tanto.

Notò anche che si stava leggermente allontanando dagli altri.

Si chiese se qualche volta anche lui si sentisse solo e se stesse ignorando quella solitudine concentrandosi sulle sue teorie e conoscenze così come lei faceva con il suo violino, con le sue pillole e il suo gioco.

Si domandò se fosse d’aiuto imparare nuove cose mentre lavorava sulle sue idee.

Riusciva a tenere abbastanza impegnata la sua mente tanto da tener lontana la malinconia?

Forse se lo stava solo inventando.

Cinque era amato dai suoi fans, accettato dai suoi fratelli e lodato dal Padre.

Lui era sicuro di sé, intelligente e sapeva di esserlo.

Come poteva sentirsi solo?

-Bene-disse infine mentre Vanya ascoltava le sue sconclusionatezze.

-E’ stato sorprendentemente più produttivo di quello che pensavo sarebbe stato-.

Notò che non aveva preso con sé i suoi appunti come si aspettava che facesse e con cura li ripose invece nel postò in cui li aveva trovati inizialmente sulla sua piccola scrivania.

-Grazie Sette-.

Lei ne fu sorpresa. Cinque non si scusava ne chiedeva mai scusa. A lui non importava essere educato o almeno così Vanya aveva sempre pensato. Forse era semplicemente di buon’umore ma lei non poteva dirlo, lei non lo conosceva. Non conosceva niente dei suoi fratelli così come loro non sapevano niente di lei.

Cinque si girò e fece per andarsene finché non si fermò e si girò di nuovo prima di aggiungere.

-Vanya-.

Avevano i loro nomi solo da un giorno e tutti avevano avuto un po’ di problemi ad accettarli, in particolare Cinque e quello doveva essere il motivo per cui aveva rifiutato il suo chiedendo a Mamma e Papà di poter tenere il suo nome precedente.

Papà mostrò un leggero interesse alla sua provocazione mentre Mamma non era mai disturbata né scossa da niente.

Lo guardò andare via prima di andare a chiudere la porta perché le lacrime stavano iniziando a scivolarle sul volto e lei aveva bisogno di prendere una delle sue pillole.

Cinque aveva parlato per quasi mezz’ora e mai una volta aveva notato che lei era rimasta in silenzio per tutto il tempo.

Vengono da te solo se hanno bisogno di qualcosa.

Deglutì la pillola a secco, riaprì la porta e andò a distendersi sul letto.

Aveva vinto di nuovo. Era la migliore in quel gioco. Tutti perdevano. Lei vinceva. Ormai non piangeva più. La pillola aveva fatto effetto.

Magari la prossima volta che qualcuno le avesse chiesto in cosa fosse brava lei avrebbe potuto rispondere che era brava a rimanere in silenzio per tutto il giorno.

Se qualcuno glielo avesse mai chiesto.

Il giorno dopo ritornò a parlare.

Durante il tragitto verso la biblioteca notò che la porta di Cinque era leggermente aperta ed era strano visto che di solito lui la chiudeva come il resto degli altri fratelli.

Vanya gli andò incontro per poi bussare trovando Cinque intento a lavorare su qualcosa prima che lui la guardasse, sbattendo gli occhi, confuso sul perché lei fosse li’.

-Si? Che cosa vuoi?- le sue parole suonarono sgarbate ma sembrava davvero confuso per cui cercò di non prenderla sul personale.

Lui odiava quando qualcuno lo disturbava.

-Prego- rispose con un sorriso stretto prima di andarsene senza aspettare la sua reazione. Non aveva ancora intenzione di rivelare il suo gioco.

 

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n.d.a: la storia originale è tutta unita ma siccome è molto lunga ho preferito dividerla in due parti così da poter fare una piccola pausa.

  
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