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Autore: Serpentina    17/09/2020    3 recensioni
Londra, 2037
Il verdetto sulla morte di Aisling Carter, giudicata come tragico incidente, non convince Frida Weil, che nei misteri ci sguazza per passione e sospetta possa trattarsi di omicidio. Decide quindi di "ficcanasare", trascinando nella sua indagine non ufficiale William Wollestonecraft, forse perchè le piace più di quanto non voglia ammettere...
Un giallo con la nuova generazione dell'Irvingverse. 😉
Dal capitolo 5:
"–È vero che sei la figlia di Faith Irving, la patologa forense?
–Così è scritto sul mio certificato di nascita- fu la secca risposta di Frida, che storse il naso, a far intendere che quelle domande insulse la stavano indisponendo, e fece segno ad Andrew di risedersi.
–Ho voluto questo incontro perché, se ho ben capito, sostieni che tua madre abbia liquidato un po’ troppo frettolosamente la morte di mia sorella. Che razza di figlia non si fa scrupoli a sputtanare sua madre?
–Una dotata di un cervello funzionante. Meine liebe Mutter è fallace come qualunque essere umano, e i vincoli parentali sono nulla, in confronto al superiore interesse della giustizia. Ma non siamo qui per parlare di me. Se avete finito con le domande stupide, ne avrei una io. Una intelligente, tanto per cambiare: perché siete qui?"
Genere: Mistero, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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 Di solito inserisco le note alla fine, ma stavolta è necessaria una piccola premessa: consiglio di leggere il capitolo ascoltando “Lullaby” dei Nickelback, il brano che mi ha ispirato nella scrittura. Buona lettura!
 
Tre tipi di lacrime
 
“Non dovremmo mai vergognarci delle nostre lacrime, perché sono pioggia sulla polvere accecante della terra che ricopre i nostri cuori induriti.”
Charles Dickens
 
Mettere piede al Tipsy Crow fu per William un’esperienza mistica, al pari di varcare il passaggio per un’altra dimensione: abituato com’era al silenzio e all’asetticità dei locali notturni australiani, i suoi sensi vennero travolti da un tripudio di stimoli tale da stordirlo. Quel luogo pulsante di vita e di musica appagò le sue aspettative abbastanza da non fargli rimpiangere la possibilità di personalizzare l’ambiente e la musica.
Come ogni volta in cui metteva piede in un posto nuovo, chiuse gli occhi e inalò a pieni polmoni l’aria circostante, lasciando che le porzioni più primitive del suo encefalo, senza l’ingombrante interferenza degli stimoli visivi, elaborassero la complessa mescolanza di suoni e odori, trasformandolo in emozioni.
Dopo un po’ riaprì gli occhi e si guardò intorno, in attesa che si abituassero alle luci stroboscopiche. I movimenti sinuosi e cadenzati del carnaio che gli si parava davanti avevano un che di ipnotico, ma la sua attenzione venne rapidamente catturata dal punto più luminoso della stanza, dove stazionava un personaggio piuttosto singolare.
–Chi è quel tipo conciato come un black bloc?- chiese a Frida, ma rispondergli fu la ragazza di Ernst, che poco prima si era presentata come Emma James.
–Mio fratello. Il DJ. Di nome e di fatto.
–Ti prego, Emma, non la battutaccia su tuo fratello! Lascia che Liam si illuda ancora per un po’ di essere in mezzo a gente sana di mente!- gnaulò Frida.
–Perché? A me fa ridere!- replicò l’altra, cercando conforto in Ernst, che però sembrava più interessato a ricambiare lo sguardo minaccioso del dj con uno di sfida. –Mio fratello si chiama Derek James. Capito? Derek… James… D… J…
–L’abbiamo capita. Non fa ridere- soffiò Frida, prima di addentrarsi nel groviglio di gente che si dimenava sulla pista da ballo per raggiungere Aidan, abbandonando William al suo destino senza tante cerimonie.
“Non si può dire che non sia di parola”, pensò l’australiano, stranito dal constatare che stava provando un inspiegabile senso di fastidio.
–Come mai tiene il volto coperto?- chiese poi ad Emma, nella speranza che smettesse di guardarlo con espressione compassionevole, neanche fosse un cucciolino di foca abbandonato dalla mamma.
Sia lei che Ernst scoppiarono a ridere sguaiatamente.
–Ufficialmente per non essere riconosciuto dalle fan sfegatate- gli rispose infine, scossa da risatine. –Secondo me, invece, si vergogna di mostrare in pubblico il suo brutto muso.
William avrebbe voluto farle notare che non era carino parlare in quel modo di suo fratello, ma lei era già sparita tra la folla.
Dopo quella che gli parve un’eternità, Kevin si materializzò alla sua sinistra, distogliendolo dai suoi pensieri.
–Non prendertela, amico.
“Perché Frida mi ha scaricato come un sacchetto di spazzatura in un posto a me sconosciuto, in mezzo a perfetti estranei? Cosa vuoi che sia! Quisquilie!”
–Se ti riferisci alla maleducazione della Weil, non me la sono presa- mentì. –Davvero!
In realtà, la cosa lo infastidiva eccome, sebbene non ne capisse la ragione: Frida aveva promesso di lasciarlo libero di “razzolare in giro” e rimorchiare a tutto spiano, se avesse voluto, ed era normale che preferisse dedicare tempo ed attenzione ad Aidan, che conosceva da quando era nata e non vedeva da parecchio, a causa dei suoi impegni da universitario, piuttosto che a lui.
“Allora perché mi fa incazzare che mi abbia scaricato come un deficiente per scodinzolare dietro a quel Cartridge?”
Si convinse che ad irritarlo fosse stato l’abbandono in sé e realizzò in quel momento quanto la tecnologia lo avesse influenzato a sua insaputa, disabituandolo al rifiuto e alla solitudine, che nel mondo virtuale, semplicemente, non esistevano: si era sempre collegati, circondati da altri utenti o avatar creati appositamente per far sì che nessuno si sentisse solo; era impossibile venire rifiutati o, appunto, mollati in un angolino. Ogni utente era il Dio del proprio Eden virtuale, che aveva la facoltà di plasmare a suo uso e consumo. Stare in disparte era sempre stata una sua scelta, prima che la Weil gli facesse sbattere il muso contro la dura realtà, ben diversa da quella fatta di pixel.
–Sarà. Ad ogni modo, ti vieto di fare il tristo eremita per tutta la sera. Coraggio, vieni a ballare!- lo esortò l’amico, tentando di trascinarlo in pista.
William diede una rapida occhiata alla giungla umana compressa in quello spazio ristretto; la debole tentazione di gettarsi nella mischia svanì non appena DJ il dj mise su un lento. Storse le labbra: decisamente, l’universo stava congiurando per non fargli muovere un muscolo. Nella confusione riuscì a scorgere Kimberly e Nathaniel, avvinti come due polpi in calore (–Per pietà, prendetevi una camera!- sbottò Kevin), Ernst ed Emma, che si limitavano a dondolare sul posto, incollati per le labbra (immaginò che il fratello di lei si stesse pentendo amaramente di non aver scelto un brano più movimentato), e Aidan e Frida.
Gli venne da ridere: era chiaro come il sole che la Weil avesse una “cotta ridicola” per quel tipo; ne era prova il modo in cui lo guardava e cercava di attirare la sua attenzione (per non parlare delle risatine di Nate e dei gemelli quando era corsa ad abbracciarlo). Eppure, a differenza delle altre coppie, ballavano mantenendo una minima distanza tra loro.
“Non è poi tutto questo genio, se non le riesce di sfruttare a suo vantaggio una situazione del genere. Nemmeno ci prova!”, pensò, scuotendo il capo. “Razza di idiota! Nella remota eventualità che Aidan ricambi - molto remota: nessuno sano di mente tratta da sorellina scema una ragazza, se spera che diventi la sua ragazza - come potrebbe rendersi conto di avere una possibilità con lei? Non lo sfiora manco per sbaglio! Qualche lezione di seduzione dalla sorella di Kev le farebbe bene.”
Si accorse che Kevin lo stava fissando, in attesa di una sua decisione; si schiarì la voce e rispose –Ehm… Magari dopo. Preferisco bere qualcosa, prima.
–Ti offendi se non vengo con te? Chiedi a Ernst o AJ di accompagnarti.
William, accortosi che lo sguardo dell’amico si era posato su un branco di ragazze, una delle quali lo stava praticamente spogliando con lo sguardo, esclamò –Non preoccuparti per me. Vai e colpisci, degno nipote di Brian Cartridge, così Kim la pianterà di dire che dovresti donare il cazzo alla scienza, per quanto lo usi!- facendolo arrossire. –E grazie, ma non ho bisogno di un babysitter, so badare a me stesso.
–Lo so!- replicò Kevin, spazientito. –Ma sei minorenne, quindi privo di pass per gli alcolici, A.P. per gli amici, e niente pass, niente roba buona. Ergo, hai bisogno di un babysitter… a meno che tu non voglia un analcolico. Vuoi un analcolico?
–Cielo, no! Per chi mi hai preso?
–Non è un crimine essere astemi!
–In Australia sì- ridacchiò William. –Chi non beve finisce rinchiuso nei campi di detenzione. Non lo sapevi?
Kevin boccheggiò, sconcertato –Cosa? Ma è una violazione dei diritti umani!
–Sto scherzando- lo tranquillizzò William, prima che scoppiasse l’incidente diplomatico. –Noi aussie non siamo dei barbari. Quand’è che voi inglesi la smetterete di considerarci tali?
–Non barbari… sudditi- lo corresse Kevin, per poi cambiare subito argomento. –Ehm… ma… tu non volevi bere?
–Bere, sì! Idea grandiosa!- gridò Kimberly, sudata ed euforica, facendosi largo verso di loro. –Devo idratarmi, dopo tutta questa attività fisica- Nathaniel sbuffò una risatina –E tu, Will, devi assolutamente provare la specialità della casa.
–Ah, è Will adesso?- le sussurrò suo fratello direttamente nell’orecchio. –Non è più il Maori biondo?

 
***
 
–Carino il vestito. Un po’ corto, forse, ma ti sta molto bene. Vuoi fare colpo, eh?- Frida divenne color pomodoro, ma al solito Aidan, nella sua ingenuità, male interpretò quella reazione, e aggiunse –Ah, che tenera! Sei proprio cotta!
–C-Chi, io? D-da c-cosa l’hai capito? C-Cioè, voglio dire… ecco… non avresti dovuto scoprirlo così- balbettò la ragazza. –Avrei voluto dirtelo al momento giusto, nel modo giusto, non in mezzo al frastuono!
–Il momento giusto per qualcosa è quando accade- asserì Aidan, aggiustandosi gli occhiali, scivolati sul naso. –E così, la mia piccola Frida è innamorata. Lui lo sa?
–Voglio sperare che, a questo punto, sospetti qualcosa- pigolò lei, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo. Anche solo pensare ad Aidan le mandava in pappa il cervello, figurarsi averlo a pochi centimetri di distanza: i suoi neuroni entravano in sciopero e si trasformava nella protagonista demente di un romanzetto rosa confetto tutto arcobaleni, unicorni e zuccherini. –Credo sia intelligente abbastanza da aver colto i miei segnali.
–Ovvio! Non avresti mai degnato di attenzione uno stupido. Beh, sappi che approvo.
“Pessima scelta di parole. In che senso, approva? Non ho bisogno di approvazione, ho bisogno che mi baci e mi dica che prova lo stesso!”
–Approvi?
–Non dovrei?- rispose Aidan, scrutandola con affettuosa apprensione. –Una parte di me penserà sempre a te come alla piccola Frida, ma so bene che non sei più la bambina che si divertiva a osservare il cielo insieme a me. Sei cresciuta, è naturale che…  
Ja! Du hast Recht!1 Sono cresciuta!- lo interruppe lei, annuendo vigorosamente, illuminata da un barlume di speranza: che finalmente il corso degli eventi avesse imboccato la giusta direzione? –Non sono più una bambina. Sono lieta che tu l’abbia notato.
–Difficile non notarlo. Voglio dire, guardati: eri una palletta cicciottella, e adesso hai bicipiti più grossi dei miei!- Frida, mortificata, si toccò nervosamente le braccia muscolose. –Ok, torno serio. Mettendo da parte, un po’ a fatica, il mio istinto protettivo da fratello maggiore, ammetto che hai scelto bene: sembra un bravo ragazzo.
Alla giovane Weil mancò un battito: solo gli stupidi parlavano di sé in terza persona, e Aidan era tutto fuorché stupido. Possibile l’avesse fraintesa per l’ennesima volta?
“Cosa devo fare perché capisca, ballare davanti a lui coperta solo da un cartello con scritto ‘Ti amo, AJ’?” 
–Sì, lui è… il migliore.
–Addirittura?- ridacchiò lui, strizzandole amorevolmente le guance. –Scusa, non ho resistito. È una fortuna che queste guanciotte adorabili non siano andate perse con la crescita! Comunque, sono felice di sapere che ti lascio in buone mani.
–L-Lasciarmi?
–È il motivo per cui stasera voglio festeggiare. Vedi…
La frase venne troncata sul più bello dall’arrivo degli altri quattro; in particolare, Kimberly, barcollante sui tacchi, si gettò addosso al cugino urlando –Urge il tuo A.P., AJ, sono le undici e non ho ancora un goccio d’alcol in corpo!
Frida si lasciò sfuggire sottovoce un’imprecazione.
 
***
 
–Un attimo che mi concentro… Ok, sono pronto. Charme Cartridge, compi la tua magia!- esclamò Aidan, prima di avvicinarsi al bar e salutare allegramente la barista. –Ehi, Becky. Quanto tempo! Come te la passi?
–AJ! In effetti, non ti si vedeva da parecchio. Come stai? Io sono tornata da poco single. Allora, cosa posso darti?- celiò lei, lasciando chiaramente intendere che gli avrebbe dato volentieri ben più di qualche drink.
Alle spalle di Aidan, Frida emise un ringhio sommesso, conficcandosi le unghie nella carne per trattenersi dal pestarla a sangue, mentre Kevin mormorò, deluso –Anch’io sono un Cartridge. Com’è che a me questo giochetto non riesce?
–Sarai stato adottato, sfigatello verginello- rispose perfidamente Kimberly, scrollando le spalle.
–Siamo gemelli, deficiente- ribatté Kevin con calma innaturale, prima di venire azzittito da Frida, Nathaniel e William in perfetto sincrono.
–Sei Vaporwave, di cui uno analcolico, per favore- ordinò Aidan, sfoderando l’Alcohol Pass e tutto il fascino ereditato dal padre, l’incallito playboy Brian Cartridge, nella speranza che Becky non gli facesse questioni.
Divenuto padre suo malgrado, Brian si era impegnato affinché il figlio (che di secondo nome faceva James, in onore del nonno paterno, da qui AJ) - frutto della relazione clandestina con Crystal Ryan, allora moglie di Carter Ryan - gli somigliasse soltanto nell’aspetto. A giudicare dai risultati, era riuscito nel suo intento (forse anche troppo): Aidan era un nerd con la testa tra le nuvole, generoso e altruista, che di rado ricorreva allo charme e al cognome di famiglia per fini personali (quasi sempre pressato dai cugini, bramosi di sfruttare i suoi privilegi da maggiorenne); quando lo faceva, tuttavia, colpiva immancabilmente nel segno.
–Arrivano subito.
William trasalì nel ricevere per primo il cocktail: quel ributtante liquido azzurro fluo, rigurgitato direttamente da un incubo anni ’80, era la specialità della casa? Represse l’istinto di buttar via l’intruglio e, per non risultare scortese, ne assaggiò un sorso: tutto sommato bevibile, ma niente di speciale; sempre per non risultare scortese, millantò la bontà della bevanda, asserendo fosse migliore di qualsiasi altra avesse mai provato.
–Bene, ora possiamo brindare- trillò Aidan, sollevando il proprio bicchiere, ancora pieno. –Direi… alla prossima bevuta tutti insieme! Non so quando potrete approfittare di nuovo del mio Alcohol Pass, ragazzi: la mia domanda di dottorato… è stata accettata! MIT, aspettami, sto arrivando!
–I-Il M-MIT di Boston?- pigolò Frida, con gli occhi lucidi e le guance rosate dallo sforzo di mantenere un contegno dignitoso.
Aveva progettato di aspettare il suo diciottesimo compleanno per dichiararsi, convinta che Aidan ricambiasse i suoi sentimenti, e l’unico freno al loro amore fosse il suo essere minorenne. Per un glorioso minuto, aveva creduto che, finalmente, si fosse accorto che ormai era cresciuta, che aveva davanti una donna, invece si era illusa. Stupida, stupida, stupida. E ora le carte in tavola erano cambiate prima ancora che potesse anche solo pensare di puntare. Il briciolo di raziocinio che aveva conservato le permise di evitare una sicura figuraccia: realizzò che non avrebbe avuto senso, a quel punto, rischiare il tutto per tutto e rendere noti i suoi sentimenti, tanto lo aveva perso per sempre. Aidan sarebbe volato via da lei, al di là dell’oceano, a sei ore di fuso orario di distanza, e lei non poteva farci nulla. Si sentì soffocare. Dov’era finito tutto l’ossigeno? Ne aveva bisogno!
–L’unico e il solo. Ah, non vi ho detto la parte migliore: lavorerò col professor Gimpsky. È un sogno che si avvera!- ridacchiò Aidan, al settimo cielo, per poi scompigliarle affettuosamente i capelli e aggiungere –Oh, la mia piccola Frida si è commossa! Che cucciola! Sapevo che saresti stata felice per me.
William per poco non si strozzò col cocktail. Strabuzzò gli occhi, allibito da cotanta ingenuità, che dubitava essere autentica.
“O è scemo, oppure il peggior sadico mai esistito: cazzo, persino lo sgabello sotto di me ha capito che la Weil vuole saltargli addosso! E un essere del genere avrebbe ottenuto un dottorato con Albert Gimpsky? La fine del mondo è vicina!”
Frida chiuse gli occhi e si morse la lingua: ancora una volta, Aidan l’aveva fraintesa, scambiando la sua disperazione per gioiosa commozione. Forse, mostrarsi a lui coperta solo da un cartello con scritto ‘Ti amo, AJ’ non era poi una cattiva idea, anche se, al momento, la allettava maggiormente la prospettiva di venire inghiottita dalle acque del Tamigi.
–Beh, wow! Congratulazioni, cugino!- esclamò Kevin, per stemperare la tensione. –Boston non è lontanissima da New York... potresti cogliere l'occasione per rivedere tua madre!
William deglutì a vuoto un paio di volte e fece instintivamente un passo indietro, terrorizzato dall'espressione omicida di Aidan. Non lo avrebbe sorpreso vedere i suoi occhi diventare all'improvviso rossi, e fiamme uscire dalla sua bocca; era furente.
–Io non ho una madre- ringhiò, scosso da lievi tremori, chiaro segno dello sforzo di contenere la rabbia. –Crystal ha smesso di cercarmi non appena ha trovato un nuovo pollo da spennare, e tornerà da me strisciando se e soltanto se dovesse restare a corto di soldi, che ovviamente le rifiuterò: sono suo figlio, non il suo bancomat.
Kevin abbassò lo sguardo, mortificato, imitato dagli altri presenti; William, in particolare, si sentiva in imbarazzo, fuori posto, e anche un po' in colpa per averlo mal giudicato: continuava a considerarlo un bamboccio, ma meno di prima. Quando la cortina di silenzio divenne troppo spessa perfino per lui, si decise a romperla, portando la conversazione su temi più allegri.
–Gimpsky come Albert Gimpsky? Il fisico?
–Proprio lui!- annuì Aidan. –Lo conosci?
–Se lo conosco? Ho letto tutti i suoi libri! L’ultimo, “Filosofia quantistica”, l’ho divorato in un giorno. Quell’uomo è un autentico genio- rispose, stupendo tutti, compreso Aidan, che lo osservò con tanto d’occhi, per poi sbuffare (tradendo una punta d’invidia mista ad incredulità) –Hai letto un libro di 800 pagine in un giorno solo?
–Ho iniziato alle 8 di mattina e finito a mezzanotte… interrompendo all’ora dei pasti, naturalmente. Che posso dire? Io non sfoglio, io leggo senza pietà.
Kimberly, fino a quel momento assorta nella contemplazione dello schermo del cellulare, tornò a prestare attenzione agli altri, e cinguettò –Scusate, stavo rispondendo ai commenti al mio selfie con il mio Natie. Sta avendo un successo strepitoso! HornyHolly chiede se hai un fratello da presentarle, e… se ti imbottisci il pacco o è tutto merito di madre natura. Credo che lascerò un alone di mistero su questo punto.
–Sì, per piacere!- gnaulò Kevin, che desiderava rimanere all’oscuro sulle “caratteristiche tecniche” del ragazzo di sua sorella.
Kimberly degnò il proprio gemello di un’occhiata sprezzante, prima di dirottare la smania social su Aidan.
–Dovresti aprire anche tu un profilo social, AJ; privare l’umanità della possibilità di stellinare e commentare le tue foto in costume da bagno è semplicemente un crimine!
–No, grazie- rispose lui, terrorizzato al pensiero che perfetti estranei potessero invadere la sua privacy e commentare le sue parti intime.
–Credevo che il crimine fosse non stellinare e lasciare commenti alle tue foto, Kimmy. Non è per questo che hai creato un mio profilo Instaface a mia insaputa?- la derise il fratello, che non perdeva occasione per metterla in imbarazzo.
–Chiudi la fogna, Kev!- lo rimbeccò lei, dandogli pure uno scappellotto. –E tu rifatti gli occhi, cugino. Scommetto che, dopo questo, cambierai idea sulla tua asocialità!
–Perché solo lui, scusa?- protestò Kevin, accalcandosi insieme agli altri due ragazzi intorno allo smartphone, per poi commentare –Potrei seriamente rivalutare le tue follower, sorellina. Finalmente una che, pur figa, non sembra fuggita dal pollaio!
–Ma chi la conosce!- sbottò Kimberly, riprendendosi il telefono. –Il tag recita "Jodie Gimpsky". Ehi, non è il cognome del tuo professore adorato, AJ?
–Accidenti! Complimenti a mamma e papà!- esclamò Nate, lieto di essere lui, per una volta, a suscitare la gelosia della sua ragazza, e non viceversa. –Tu che puoi, vedi di darle qualche ripassino di fisica quando papà non c’è, AJ!
William capì subito che doveva averlo pensato anche Aidan: sebbene si fosse avvalso della facoltà di non rispondere, la leggera curvatura verso l’alto degli angoli della bocca e la dilatazione pupillare indicavano chiaramente che quell’idea non gli dispiaceva affatto. Provò un pizzico di pena per Frida, i cui sogni romantici erano, evidentemente, nati sotto una pessima stella. Poteva immaginare cosa stesse provando, ci era passato anche lui; si guardò intorno per osservare la sua reazione, magari provare a tirarla su di morale, ma era scomparsa.
“Dove si è cacciata?”
–Fermi tutti: dove diavolo è la Weil?
Lo sconcertò realizzare che la sua assenza non preoccupava nessuno, a parte lui. Difatti, Nathaniel fu l’unico a rispondergli; scrollò le spalle e disse –So che doveva incontrare delle persone. Sarà con loro.
–Va bene. Chi sono queste persone? Perché doveva incontrarle? Possibile che nessuno di voi se lo sia chiesto? Begli amici, siete, complimenti!- ruggì l’australiano.
–Abbiamo imparato a non farci domande- rispose Kevin. –Frida sa quel che fa.
–Infatti- confermò Kimberly, apparentemente più interessata allo stato delle sue unghie che alla sua amica. –È una tale drama queen. Inutile preoccuparsi, la tua isteria basta e avanza!
“Possibile che a nessuno importi di lei? Potrebbe esserle successo di tutto!”
–Fate cosa vi pare, io vado cercarla.
 
***
 
–Coraggio, Frida, puoi farcela. Il mondo non finirà per questo.
“Il mondo forse no, ma il mio cuore sì. È rotto, lo sento. È rotto e sanguina. È rotto, e non so se e come potrei ripararlo.”
Fick dich, dummes Herz!2- urlò, prima di colpire con violenza la parete di fronte a lei.
Ironia della vita, si era isolata per potersi abbandonare al pianto lontano da occhi indiscreti, ma, una volta da sola, aveva scoperto di aver trattenuto troppo a lungo le lacrime. Proprio non volevano saperne di uscire; stavano lì, inerti, nelle ghiandole lacrimali, per il gusto di darle la sgradevole sensazione di avere gli occhi gonfi da scoppiare.
“Oppure, semplicemente, ho dimenticato come si fa. Ci sono casi di persone che hanno disimparato a guidare o camminare; perché non dovrebbe essere possibile disimparare a piangere?”
–Non so se la tua capacità di svignartela indisturbata sia più ammirevole o inquietante.
“Wollestonecraft! Riconoscerei la sua voce irritante tra mille!”
–Questo è un bagno delle ragazze, Liam. Tu non sei una ragazza- soffiò, sulla difensiva: era convinta fosse venuto a ridere di lei, ma non era dell’umore adatto a discutere; sperava solo che la lasciasse in pace.
–Però, che occhio! Scusate, gentili fanciulle; sareste così gentili da interrompere le operazioni di restauro e sloggiare? Gradirei restare da solo con questa brunetta dal cuore spezzato. Grazie!- rispose lui, salutando con la mano tre ragazze intente ad osservarli mentre fingevano di ritoccarsi il trucco, che si dileguarono alla velocità della luce. –Bene. La mia intuizione si è rivelata esatta. Onestamente, però, credevo di trovarti rintanata in un cubicolo. Avresti avuto più privacy!
–Sono tutti occupati- sospirò Frida, alzando gli occhi al soffitto.
Dai cubicoli provenivano rumori inequivocabili, che strapparono a William una mezza risata: si era fatto tanti problemi a entrare in un bagno femminile - che, oltretutto, per essere così frequentato, era ancora sorprendentemente pulito - quando c’era chi ci stava dando dentro con la foga di conigli in calore!
–Sì, lo sento.
–Difficile non farlo. Ora che ti sei accertato che sto bene, puoi sloggiare anche tu- gli ordinò Frida, poggiandosi al lavabo più vicino alla finestra, quasi a volersi garantire una via di fuga.
–Ma tu non stai bene, Weil- replicò William, per poi avvicinarsi di qualche passo. –Te lo leggo in faccia.
–Anche se fosse, voglio stare sola.
–Perché?
Quella domanda la lasciò spiazzata: aveva preparato nella sua mente risposte acide ad ogni possibile replica, piagnisteo, frasetta motivazionale. Tutto, tranne quello.
–In che senso?
–Perché stare da sola. Non è meglio avere una spalla su cui piangere?
–Non mi serve. Io non piango, non ne sono capace.
–Sciocchezze! Tutti i mammiferi piangono. Sei tu stessa a bloccarti. Perché? Per non far capire niente ai tuoi amici? Sanno già tutto, hanno fatto due più due esattamente come ho fatto io. Perché credi abbiano invitato Aidan qui, stasera?- “Sta tremando. Sono riuscito a smuoverla. Uno a zero per me!” –Oh, aspetta: è questo il problema? Ti dà fastidio che i tuoi amici abbiano scoperto la tua kryptonite? Oppure ti rode che con Aidan non sia andata come avevi pianificato, perché sei abituata ad ottenere tutto ciò che vuoi? Se è così, beh… sei meno intelligente di quanto pensassi!
In un impeto di rabbia - e con la proverbiale coda di paglia in fiamme - Frida scattò in avanti e prese a colpirlo al petto con entrambi i pugni, al grido di –Geh weg, Arschloch!3
–Difficile accontentarti, se non capisco quello che dici.
–Ho detto “vattene, stronzo”, stronzo!
–Sto bene dove sono.
Era certo di ricevere un altro pugno, stavolta dritto in faccia, invece Frida lo soprese per ancora una volta, prima iniziando a piangere, poi… avvinghiandosi a lui con più tenacia di un koala a un eucalipto.
“Oh, merda! E adesso?”
Non sapeva cosa fare. Una parte di lui desiderava ricambiare la stretta e consolarla come meglio poteva, l’altra era paralizzata dalla paura di una sua reazione negativa: aveva capito che Frida si atteggiava a principessina perfettina, ma detestava essere trattata come tale, e non voleva rischiare di incorrere nella sua ira dandole l’impressione del classico maschio alfa che avvolge tra le sue braccia possenti la fragile donzella piangente per proteggerla dagli orrori del mondo. Con ogni probabilità avrebbe rimediato un pugno in faccia, se non peggio.
“Non voglio fare la fine di Midget, il mio naso mi piace così com’è!”
Rimase immobile, in quella posa da Cristo in croce, per un tempo che gli parve infinito, finchè, intenerito da quella inaspettata manifestazione di vulnerabilità da parte di una persona che fino a quel momento aveva ritenuto dal cuore di ghiaccio, non trovò il coraggio necessario a ricambiare l’abbraccio.
Frida non smetteva di piangere, ormai era un fiume in piena. Afferrò il tessuto della camicia di William, stringendolo convulsamente.
–S-scusami, i-io… io non sono così, io… non piango mai- singhiozzò.
Senza riflettere, la baciò sulla fronte e poggiò il mento sulla sua testa. Non sapendo bene cosa fosse appropriato dire in simili occasioni, emise dapprima una serie di balbettii incomprensibili, poi si lanciò in un monologo ai limiti del surreale.
–Probabilmente già lo sai, figurati se una so-tutto-io come te non sa certe cose, ma, ecco, per restare in tema: esistono tre tipi di lacrime. Pazzesco, vero? Sembrano tutte uguali, a occhio nudo, invece sono tutte diverse, come i fiocchi di neve. Ti starai chiedendo come faccia a saperlo. Semplice: sono un ammiratore delle bio-fotografie di Rose-Lynn Fisher, che ha ritratto i vari tipi di lacrime al microscopio, evidenziando addirittura le differenze tra le lacrime da tristezza e quelle da felicità. Ancora più pazzesco è il fatto che, sebbene non ci facciamo caso, piangiamo continuamente: le lacrime basali, infatti, vengono prodotte per idratare e pulire la cornea; sono composte al 98% da acqua, ma contengono anche elettroliti (sali di sodio, potassio e cloro), circa 60 tipi di proteine diverse e lisozima, un enzima battericida. Poi ci sono le lacrime da fisiologiche, prodotte in risposta a stimoli irritativi - le “lacrime da cipolla”, per intenderci - che contengono bicarbonato, il quale svolge un ruolo di protezione della superficie esterna dell’occhio. Ultime, ma non meno importanti, le lacrime emotive, che parrebbero contenere, stando alla ricerca di William Frey, alcuni neurotrasmettitori, tra cui leucina-encefalina e prolattina, capaci di alleviare il dolore, perciò, probabilmente, piangere è un modo per eliminare tossine da stress. In teoria, ora dovresti sentirti meglio. Probabilmente non ti frega nulla della mia opinione, però devo dirtelo: secondo me, ti ha fatto bene. So che ora ti senti debole, vulnerabile, che ti vergogni per avermi permesso di vederti debole e vulnerabile, ma non sei mai stata tanto forte: lasciare che la passione - nel senso di pathos - ti travolga come uno tsunami è l’unico modo per esorcizzarla completamente. Anche un seguace duro e puro della razionalità ha bisogno di un momento di catarsi, ogni tanto. Non ti sarai liberata delle tossine del corpo, ma di quelle dell’anima sì.
Frida si staccò da lui e gli rivolse la pallida imitazione di un sorriso, prima di accigliarsi alla vista dei danni arrecati alla malcapitata camicia in quel momento di sfogo. Non si capacitava che William fosse rimasto stoicamente al suo posto mentre lo prendeva a pugni frignando come una mammoletta. Si sentì in colpa: a parti invertite, dubitava che gli avrebbe offerto una spalla su cui piangere; lui, invece, aveva sacrificato una camicia firmata e tutto il torace, riuscendo nell’impresa di farla stare meglio, nonostante lei volesse stare peggio.
“È proprio un kantiano del cazzo!”, pensò, dannandosi perché quel pensiero le provocava una inspiegabile voglia di ridere; ma non poteva: aveva appena pianto per Aidan, avrebbe dovuto essere afflitta, non ridacchiare del “fottuto imperativo categorico” di Wollestonecraft!
–Devi proprio ficcare la filosofia in qualunque frase esca dalla tua bocca?- sbuffò, cercando di recuperare il consueto aplomb: la vergogna per essersi lasciata andare in quel modo, per di più in una toilette, era più che sufficiente, non voleva aggiungervi  l’onta di essersi fatta compatire. –Comunque, chiedi scusa a tuo padre da parte mia per avergli rovinato la camicia- ridacchiò sommessamente - chiaro segno che stava riacquistando il controllo - godendo della sua espressione perplessa, poi aggiunse –Non fare quella faccia, Liam, è chiaro che non ti appartiene: ti sta leggermente stretta di spalle e corta di maniche… senza contare che, decisamente, non è nel tuo stile.
–Che ne sai del mio stile? Finora mi hai sempre visto con la divisa della scuola.
–Divisa che porti con la giacca sempre sbottonata, la camicia, a volte stropicciata, fuori dai pantaloni e il nodo della cravatta allentato; ergo, mal tolleri le imposizioni e prediligi comodità e praticità sopra ogni cosa. Forse detesti davvero sentirti un pinguino incravattato, oppure, più probabilmente, vuoi distinguerti da tuo padre, che deduco sia invece piuttosto stiloso. Ma torniamo alla camicia: ci avevo immerso la faccia, ho sentito l’odore; troppo diverso dal tuo solito. L’olfatto è un senso ancestrale quanto evocativo: nella mia esperienza, chi usa un certo profumo di rado lo cambia; ergo, è statisticamente più probabile che indossi un indumento prestato.
William, diviso tra lo stupore e l’imbarazzo, si ripromise di darle una botta in testa, se l’avesse pronunciare la parola “ergo” una terza volta, e si annusò tentativamente le ascelle.
–Stai dicendo che puzzo?
–Ho detto odore, non puzza- puntualizzò Frida. –Le parole sono un potentissimo mezzo di comunicazione; mi assicuro di sceglierle sempre con la massima cura. Sai di buono, tranquillo… per quanto possa sapere di buono un maschio adolescente; ma non è colpa tua, è colpa degli ormoni. Odorate di testosterone, è normale. In questo senso, potrei averti… aiutato- rispose all’espressione “da pesce rosso morente” di William con un secco –Lascia che ti illumini: Noam Sobel, del Dipartimento di Neurobiologia del Weizmann Institute of Science a Rehovot, ha dimostrato che le lacrime femminili provocano una risposta inconscia negli uomini, abbassando i livelli di testosterone e riducendo, di conseguenza, l’attività delle aree neurali responsabili dell’eccitamento sessuale e dell’aggressività.
William scosse il capo, tentando malamente di nascondere il sorriso che aveva fatto capolino sul suo viso: per qualche strana ragione, era felice che Frida fosse di nuovo in sé; adesso che aveva scoperto il suo lato “umano”, la sua saccenza gli risultava sopportabile, anzi, quasi divertente.
–Bentornata, Weil. Pronta a rientrare nella fossa dei leoni?
Lei si limitò a stringergli la mano, in una tacita dichiarazione di gratitudine, prima di voltarsi verso lo specchio sopra i lavabi per controllare lo stato del trucco.
–Lo sarò, una volta recuperato un aspetto decente. Scheiße! Ich sehe wie eine Mülltonne aus!4- replicò, mentre ripuliva le tracce di mascara sciolto e ri-applicava l’ombretto dove necessario. –Ah, sehr gut!5 Come nuova! Che c'è di meglio delle lacrime per ricordare a una ragazza l'importanza di un buon trucco?
 
Note dell’autrice:
Ecco scoperta l’identità della cotta di Frida. Chi ha letto le avventure di Faith (in particolare “Baby boom”) conosce già Aidan James Cartridge, ormai cresciuto e pronto a spiccare (letteralmente) il volo. Parafrasando William: è ingenuo come sembra, o il peggior sadico mai esistito? A voi l’ardua sentenza!
A proposito del nostro William: si è dimostrato un cavaliere senza macchia e senza paura (o quasi): non tutti avrebbero saputo gestire la Weil piangente e disperata.
Altro piccolo easter egg: il professor Gimpsky, meglio noto come Albert o Al, è una vecchia conoscenza per chi ha letto la mia commedia romantica “Love Quest”. 😉
Di questo passo, potrei creare il FLU, Faith Literary Universe!
Tenetevi forte, perché nel prossimo capitolo Sherlock Weil entrerà finalmente in azione e ci saranno rivelazioni sulla fu Aisling Carter.
Serpentina
PS: mini-ripasso di filosofia: l’imperativo categorico, cardine del pensiero kantiano, sostiene che bisognerebbe agire "soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale"; in altre parole, la decisione di agire o meno dovrebbe derivare dalla risposta alla domanda: se tutti si comportassero come me, il mondo sarebbe un posto migliore o peggiore?
Ovviamente, Frida non condivide questa visione, anzi, la sua filosofia punta verso il polo (più o meno) opposto, l’utilitarismo: è etica ogni azione che assicuri "il massimo utile per il massimo numero di persone", a prescindere dalla moralità intrinseca dell’atto.
* Citazioni da Sherlock Holmes
1Sì! Hai ragione!
2Fottiti, stupido cuore!
3 Vattene, stronzo!
4 Merda! Sembro un cassonetto della spazzatura!
5Molto bene!
   
 
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