Anime & Manga > Bungou Stray Dogs
Segui la storia  |       
Autore: Eneri_Mess    17/09/2020    2 recensioni
FINE (Prima parte)
Con il segreto che nasconde, Yokohama è una città dove non si possono dormire sonni tranquilli.
Dal Preludio:
Una mano di Dazai gli strinse il braccio, mentre le dita dell’altra si aggrapparono alla sua camicia sgualcita sul petto. Il nemico barcollò, ma si rimise in piedi, recuperando una delle proprie pistole.
«Chuuya...» ridacchiò Dazai, fuori luogo. «Di nuovo: ho mai sbagliato nel formulare un piano?»
«Smettila!» e la prima nota di supplica si mischiò alla richiesta. «Non sei lucido!»
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Sakunosuke Oda
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2

The Lawbringer






 

«Si tratta di un giustiziere.»

Fu il buongiorno di Kunikida. 

In piedi, di fronte alla scrivania di Dazai, dove quest’ultimo si era appena seduto sbadigliando col caffè in una mano, il collega aveva spianato la prima pagina del Kanagawa Shinbun, puntando il dito alla foto che occupava mezza testata. Dazai assottigliò gli occhi, ancora assonnati; dopo una sorsata di caffè si sentì in grado di affrontare la questione. 

«Diamo retta ai giornali adesso?» commentò dubbioso, riferendosi al titolo dove la parola giustiziere svettava come sottotitolo a Il Robin Hood di Yokohama. Sotto, la foto ritraeva una figura in piedi in mezzo a una strada, circondata dal fumo di un incendio. Si distingueva a malapena il profilo. 

Kunikida picchiettò sulla colonna di testo.

«Con questo saliamo a più di dieci casi possibilmente collegabili tra loro» e nel dirlo afferrò dalla propria scrivania un’altra corposa manciata di fascicoli. «Mi sono fatto mandare tutte le segnalazioni di effrazione, vandalismo o simili degli ultimi giorni. Dobbiamo verificare che siano posti di comodo della Port Mafia. Potrebbe esserci uno schema.»

Dazai sospirò solo alla vista del mucchio di carta. Mandò giù il resto del caffè e prese meglio il giornale per guardare la foto, ma il suo tono scettico non mutò. «Non si vede nulla. Ha giusto una forma umanoide.» 

«Cosa intendono con giustiziere?» chiese Atsushi, chino sulla spalla di Dazai a guardare incuriosito il giornale. 

«È un guardiano della notte!» 

Tanizaki si unì al gruppo apparendo con un gesto plateale, come se si fosse appena tolto un mantello. Dazai alzò un pollice in segno di approvazione, mentre Kunikida lo guardò senza essere rimasto impressionato dalla sua entrata in scena; Atsushi apparve più dubbioso di prima. Ancora elettrizzato, Tanizaki si lanciò in una seconda spiegazione, più dettagliata ed eccitata. «Come nei fumetti americani, quelli con i supereroi! Alcuni di loro all’inizio sono dei giustizieri che vigilano i quartieri, sventano crimini e garantiscono la tranquillità dei cittadini!»

«Non ho mai letto un fumetto…» confidò Atsushi, ammirato e un po’ imbarazzato. Con un sorriso da ragazzino contento di condividere i propri interessi, Tanizaki tirò fuori dal cassetto della scrivania un esempio concreto, un albo di Batman, che iniziò a sfogliare vicino ad Atsushi come fosse l’ora di ricreazione. 

Kunikida si schiarì la gola, riportando l’attenzione su di sé. 

«Decidere di farsi giustizia da soli non porta mai a nulla di buono.»

«Come sei saggio, Kunikida-kun!» celiò Dazai, unendo le mani in una posa ammirata. «Secondo me da piccolo sognavi di fare anche tu il giustiziere della notte e riportare l’ordine a Yokohama!» 

Kunikida tossicchiò, stavolta per nascondere l’imbarazzo. «I casi, Dazai» lo rimbrottò, mettendogli sotto il naso i fascicoli. Dazai sbuffò, ma si riarmò di pennarello e riaprì la cartina di Yokohama dove il giorno prima aveva segnato i luoghi attaccati. 

«Dove è stato fotografato il giustiziere?» chiese, anche se sembrava del tutto concentrato a leggere alla svelta gli indirizzi dei casi, per scartarli o cerchiare i luoghi sulla mappa. 

«Davanti a un ristorante, il Suehiro.»

«Ah-» Dazai si bloccò con il pennarello a mezz’aria. «È stato distrutto? Era un buon posto dove mangiare. Sul retro si tenevano delle bische clandestine davvero tranquille, ci vincevo un sacco di soldi contro i vecchietti del quartiere.»

«...» 

Il resto dei colleghi si astenne dal commentare, per quanto fosse raro che Dazai indugiasse su storie del proprio passato. Si limitarono invece a osservarlo mentre finiva di fare la cernita dei luoghi colpiti e segnarli se li conosceva. Sulla cartina, ne risultò al termine un altro cerchio, inscritto nel precedente, che abbracciava anch’esso Yokohama. 

«La Port Mafia ha un problema» sancì Dazai. Anche se parve dirlo cantilendando, col tono di una battuta, la sua espressione era seria. 

«Ha fatto tutto questo in tre giorni?» domandò Atsushi sorpreso. «Deve essere… forte?»

«La mafia gli avrà fatto qualcosa per cui è, come dire... davvero motivato?» tentò Tanizaki, non più entuasiasta come prima. 

«Entrambe ipotesi valide» approvò Dazai, per poi rivolgersi al proprio partner. «Cos’è successo al Suehiro?»

Kunikida aprì uno dei fascicoli, il più spesso. «Il locale è stato dato alle fiamme verso le tre di mattina. Si contano quattro cadaveri di cui ancora non si conosce l’identità.»

«Sarà un vicolo cieco, a meno che non fossero i proprietari. A quell’ora lì girano solo mafiosi, verranno fuori identità fasulle. Come sono morti?»

«Un colpo di pistola in fronte.»

«… rapido e preciso. Sembra un regolamento di conti. È per questo che lo chiamano giustiziere?»

Kunikida mise giù il fascicolo e riprese il giornale, leggendo un trafiletto. «Prima di sparire nella notte, Red Hood ha lasciato dietro di sé i libri contabili del Suehiro, che inchiodano tutte le attività criminali e le scommesse illegali perpetrate nel locale.» 

«Chi?» fece eco Dazai, perplesso.

«Red Hood?» ripeté Atsushi. 

«Il nome del giustiziere!» esclamò di nuovo Tanizaki, riacquistando la precedente verve. 

Kunikida sospirò pesantemente e le spalle gli si afflosciarono per come quella storia alternasse tratti ridicoli a questioni serie. «Non si capisce dalla foto, ma uno dei testimoni afferma di avergli visto un qualcosa di rosso a coprirgli il volto, una maschera o forse un cappuccio.»

Ci fu un coro di Oh da parte di Dazai, Atsushi e Tanizaki. 

«Andiamo a indagare?» domandò quest’ultimo. 

«La polizia per adesso non ci ha chiesto supporto e la Divisione non si è espressa in merito» replicò Kunikida, scuotendo la testa. Si leggeva chiaro dal suo volto che disapprovava quella situazione, ma non poteva farci nulla. «Finché non sarà accertato l’uso di abilità, il caso non sarà di nostra competenza. Possiamo solo richiedere i fascicoli, farci un’idea e comunicarla come suggerimento esterno...» ma lasciò in sospeso la frase perché neanche lui era convinto. 

«È così preoccupante se c’è qualcuno che si occupa della mafia? Intendo… tutti quei posti sulla cartina, noi non sapevamo neanche che fossero compromessi. Non ci sta facendo un favore?» ragionò Tanizaki, spostando lo sguardo dalla mappa, al giornale e, infine, sugli altri. 

Kunikida si rabbuiò.

«Uccidere non è un favore.»

La sua replica fu concisa, ferma e leggermente alterata. Il suo sguardo era severo e inchiodò il più giovane per aver espresso un pensiero del genere. Tanizaki arrossì. 

«Non intendevo questo. Però-»

«Non sappiamo quante vittime ci siano state finora e, per adesso, questo Red Hood ha colpito solo posti minori. Ma ha mandato un avvertimento» intervenne Dazai, catalizzando tutti gli sguardi su di sé. Le sue dita erano intrecciate tra loro, il mento appoggiato su queste, mentre osserva la cartina di Yokohama stesa sotto di sé. «Invadendo Yokohama, Red Hood sta spezzando un equilibrio, e al Boss della Port Mafia non piace quando gli si tocca la città. Quello di cui dovremmo preoccuparci è la rapidità con cui si muove» e nel dirlo, sciolse una mano per poter tracciare i due cerchi che aveva disegnato sulla cartina, continuando a parlare. «Riesce a entrare, colpire e dileguarsi in troppi posti e in troppo poco tempo. Sa dove andare e come colpire e come non farsi beccare, se non volutamente, come nel caso della foto.» Il suo indice scorse sulla carta simile alla lama di un pattinatore sul ghiaccio, per poi colpire il centro di quello che sembrava a tutti gli effetti un bersaglio. Il centro corrispondeva ai cinque palazzi della mafia. «L’obiettivo finale è chiaro.»

«Ma è da pazzi» commentò Tanizaki con un sorrisetto poco convinto. «Una persona sola contro la Port Mafia intera?»

«Deve per forza avere un’abilità» rincarò Atsushi, cercando l’approvazione nello sguardo degli altri. 

«Un’abilità spiegherebbe come ha fatto in tre giorni ad attaccare più di una dozzina di posti diversi!» assentì l’altro ragazzo, dandogli ragione. «Potrebbe essere come Flash! Ha una super velocità che gli permette di andare da un luogo all’altro in pochissimi secondi!»

La faccia della giovane Tigre Mannara parlava chiaramente di quanto poco capisse il riferimento e quanta poca voglia avesse comunque di incappare in quel giustiziere. 

«Oppure potrebbe volare! Come-» 

«O usare il sistema fognario!» lo interruppe Dazai, con un entusiasmo uguale e contrario, atto a sgonfiare quello del giovane Tanizaki. Il suo sorrisetto era condiscendente, quello di chi ha una spiegazione più concreta e reale. «La maggior parte dei luoghi sicuri della mafia hanno dei condotti extra per assicurare delle vie di fuga rapide» concluse, facendo spallucce, per poi rivolgersi al partner. «Quindi? Che si fa?»

Kunikida scaricò sulla scrivania un’altra pila di documenti. 

«Lavoriamo.» 

 

* * *


«Kunikida-kuuuuuun!» 

Il detective tornò alla realtà quando Dazai gli urlò nell’orecchio. 

«Che diavolo-»

Dazai sospirò, piegandosi sulle ginocchia di fianco al partner. «Sei proprio tra le nuvole questi giorni.» Guardò in basso e individuò l’oggetto per cui Kunikida si era accovacciato e non si era più rialzato, anche dopo i ripetuti tentativi di avere la sua attenzione. «Aaah, ancora» sbuffò stanco. Si trattava di una pagina di giornale, schizzata di sangue, dove si poteva leggere chiaramente un articolo dedicato a Red Hood. «Terra chiama Kunikida, siamo qui per indagare!»

«Lo stavo facendo» rispose il partner di impulso, alzandosi di scatto e guardando altrove. La sua espressione era rigida; essere pizzicato da Dazai era tra le cose che più detestava, perché avrebbe dovuto ammettere che avesse ragione a vederlo distratto. Gli diede le spalle, risistemandosi i guanti con cui doveva analizzare la scena del crimine. 

Si trovavano in una via centrale di Yokohama e non c’era un vetro della gioielleria che non fosse stato distrutto. Il pavimento era un unico tappeto di frammenti che riflettevano la più piccola fonte di luce, come un prato di diamanti. Farsi largo per raggiungere il retro bottega, dove si trovava la vittima, non era stato facile e questo aveva mosso il primo quesito sul crimine: come aveva fatto il colpevole ad andarsene senza lasciare un’impronta del proprio passaggio? Motivo per cui la polizia aveva chiamato l’Agenzia: sospetto uso di abilità. Era ancora tutto da verificare, ma era il primo caso che arrivava alle loro scrivanie senza essere la scia di briciole di pane lasciata da Red Hood. 

Ciononostante, Kunikida aveva ancora tutti i sensi focalizzati sulla questione del giustiziere. 

Nei giorni seguenti il primo articolo con la foto, a ogni nuovo fascicolo portato in Agenzia la tensione era andata in crescendo. Sotto lo sguardo degli altri detective, Dazai aveva scartato le segnalazioni o le aveva segnate sulla cartina di Yokohama, sistemata per praticità su una delle pareti della sala riunione. Se il giorno era appannaggio delle nuove, miti giornate di sole primaverile, durante la notte le vie di Yokohama lasciavano posto a quel giustiziere che i giornali avevano ribattezzato Red Hood, il Cacciatore di Mafiosi

Non ci furono nuovi scatti a ritrarlo, nuove testimonianze rubate a una figura che non lasciava indizi, ma un’altra decina di luoghi furono smascherati come appartenenti alla Port Mafia. L’opinione pubblica aveva cominciato a scaldarsi; i social network si erano riempiti di commenti, di chi gridava che sarebbe stata fatta finalmente giustizia verso quell’organizzazione oscura che aveva da sempre avviluppato la città con mani simili alle radici di una pianta velenosa. 

Kunikida aveva iniziato a spegnere la radio e la tv per non sentire quel dibattito costante, ad abbaiare a chi scorreva i social nelle pause e la sua irritabilità stava raggiungendo nuovi picchi, tanto che gli altri impiegati giocavano a morra cinese per scegliere chi avrebbe dovuto avvicinarsi anche solo per chiedergli la firma su un documento. 

Un’altra persona che aveva dato l’idea di essere fuori dal proprio contesto quotidiano era Dazai. Atsushi aveva continuato a coglierlo in momenti in cui sembrava perso nei propri pensieri, con uno sguardo che pareva viaggiare tra informazioni e possibilità, vagliandole, destrutturandole e poi rimettendole in fila per ottenere un risultato diverso. Qualcosa che ad Atsushi aveva ricordato lo sguardo di Ranpo all’opera su un caso, anche se con una nota più rilassata, quasi Dazai stesse occupando del tempo in avanzo per trovare la soluzione di un rompicapo che nessuno gli aveva chiesto di risolvere. 

Più di una volta, Atsushi si era ritrovato a mordersi la lingua per non lasciarsi scappare un Sei preoccupato?, perché quello della Port Mafia era un pezzo della vita di Dazai che non conosceva davvero. 

Non era una cosa nuova che la mafia fosse nelle mire di qualcuno, ma Atsushi aveva dovuto fare i conti con se stesso: in più di un’occasione, in mezzo agli sconquassi di Yokohama, c’erano finite sia l’Agenzia sia la Port Mafia, e distinguere tra alleati e nemici era stato complicato. Ammettere lui stesso di essere preoccupato era, oltre che strano, forse soltanto la traduzione errata del senso di sospeso che le azioni di quel giustiziere stavano lasciando dietro di sé. Era facile pensare a un regolamento di conti, a una faccenda privata tra Red Hood e la Port Mafia, ma una sorta di fastidio allo stomaco insinuava in Atsushi il sentore che sarebbe potuto succedere altro. 

L’arrivo del caso di omicidio nella gioielleria sarebbe dovuta essere la piega per spezzare quella routine anomala fatta di attesa e senso di impotenza, ma anche con quell’omicidio tra le mani, Kunikida non sembrava in grado di concentrarsi sul lavoro. 

«Allora, ricapitoliamo» provò Dazai, trotterellando dietro a Kunikida tra i cocci di vetro in terra. La documentazione tramite foto era stata fatta, ormai era inevitabile non calpestarli. «L’unico ingresso è la porta che dà sulla strada» e la indicò con un pollice. «Il colpevole è entrato e uscito, presumibilmente, da lì... anche se la porta era chiusa dall’interno quando è arrivata la polizia. Ha poi ucciso la vittima...» Dazai piegò le dita a simulare una pistola verso la sagoma a terra tracciata dalla polizia. «E prima di andarsene ha spaccato ogni vetrina, ma senza rubare nulla.»

«Aha...» assentì Kunikida, guardandosi intorno e poi abbassando lo sguardo sul fascicolo che si era portato dietro. Ci mise più tempo del solito ad elaborare, ma Dazai pazientò. «Il colpo di pistola è stato sparato dal basso verso l’alto...»

Dazai si acquattò di nuovo di fianco al partner, l’indice puntato verso il petto di quest’ultimo, un occhio chiuso per permettere a quello aperto di visualizzare un’immaginaria linea di tiro. «Tipo… così?»

Kunikida lasciò andare un sospiro pesante che non si era accorto di aver trattenuto, portandosi le mani ai fianchi. «Il rapporto è incompleto. Manca ancora la traiettoria esatta e il resto della balistica. Non ha senso...»

«Magari stiamo dando la caccia a un nano» motteggiò Dazai con uno dei suoi sorrisi, per poi alzare lo sguardo verso il soffitto e indicare la grigia di un condotto di aerazione. «Potrebbe essere entrato e uscito da lì. Un’acrobazia et voilà! Vediamo se in città è arrivato il circo!»

Kunikida alzò a sua volta lo sguardo. «Potrebbe essere un’ipotesi...» mormorò piano, aggrottando la fronte. 

Dazai si rialzò, sbalordito. «Tu che dai credito a una mia supposizione… hai la febbre?»

«Stiamo perdendo tempo» tagliò corto l’altro, irritato, chiudendo il fascicolo. «Finché non avremo tutti i risultati dalla scientifica e dall’autopsia è inutile stare qui.»

Sorpreso, Dazai lo seguì nella zona del negozio. I frammenti di vetro scricchiolarono sotto le loro suole, accompagnandoli fino all’ingresso. «Non hai neanche una vaga idea su che tipo di abilità possa avere il nostro colpevole?»

«Non mi metterò a sparare congetture su super velocità o simili» sbottò, togliendosi i guanti e facendo un cenno di saluto ai poliziotti di guardia. 

Da parte di Dazai non ci fu insistenza. Continuò a seguirlo, camminandogli dietro di qualche passo, lo sguardo fisso sulla rigidità delle sue spalle. 

Non era la prima volta che Kunikida si lasciava coinvolgere da un caso, ma era la prima volta che si faceva trascinare più dalle chiacchiere che dall’accaduto in sé. Se poteva fargli onore essere così preso dal voler smentire e non dare alcun sostegno a quelli che rapidamente stavano diventando fan di un uomo senza volto, solo perché il suo intento pareva quello di voler ripulire Yokohama dalla criminalità, dall’altro questo suo accanirsi aveva appena influito negativamente su un’indagine. Non avevano tutti gli indizi, ma non ci avevano neanche provato, sospirò Dazai. 

Non che lui fosse esente. Conscio che Kunikida fosse troppo preso dai propri pensieri per prestargli attenzione, Dazai ne approfittò per dare un’occhiata al proprio cellulare. Era arrivato un messaggio. Lo aprì al volo. Dopo una sequenza di una dozzina di Come sta Hirotsu? da parte sua, finalmente era arrivata la risposta. Un semplice È ancora vivo. Perché tu non muori!? Considerando che fosse da parte di Chuuya, Dazai sapeva che non gli avrebbe mentito, neanche per farlo contento e farlo smettere. Anzi, doveva essergli costato non riempire l’sms di imprecazioni e insulti. 

Poter parlare con Hirotsu sarebbe stata un’opportunità preziosa. Se, come immaginava, era stato messo fuori gioco da Red Hood, avere qualche dettaglio da lui sarebbe risultato utile anche per la loro “non indagine”. Tuttavia, scoprire altro avrebbe dato a Kunikida ancora più margine di distrazione, se alla fine la polizia militare o la Divisione avessero deciso di non passare mai il caso a loro. 

I fattori a cui pensare erano così tanti che anche Dazai si distrasse, finendo con lo sbattere contro la schiena di Kunikida e quasi far cadere a terra entrambi. 

«Guarda dove cammini!» gli abbaiò il biondo, allungando un braccio per rimetterlo in piedi di peso. Dazai non aveva davvero scuse, ma un sacco di lamentele per aver picchiaro il naso. 

«Hai una schiena di pietra» gemette, massaggiandosi il setto a occhi chiusi, due lacrimucce pronte a cadere. «Sei troppo teso!»

Qualsiasi cosa Kunikida stesse per dirgli, gli morì in gola con l’ennesimo sospiro. Si grattò la nuca, guardando altrove. Erano arrivati davanti l’Agenzia. «Mi dispiace.»

Delle scuse da parte sua erano un evento più unico che raro, ma Dazai non ne approfittò. Riaffondò le mani nelle tasche del trench, lo guardò fisso e poi si decise a chiedere quello che gli frullava in testa da un paio di giorni. 

«Andiamo a fare un sopralluogo in uno dei possibili obiettivi di Red Hood.»

Kunikida gli dedicò tutta la propria attenzione, sorpreso. «Cosa hai detto?»

«Considerando come agisce, so quasi con certezza quali saranno i suoi prossimi obiettivi. Non in ordine, ma potremmo essere fortunati e anticiparlo.»

Il partner non replicò, non subito. Ci pensò su e, dalla linea sottile in cui chiuse le labbra, si percepì la lotta interiore. Tirò fuori dalla tasca la propria agenda e la contemplò per un lungo istante. 

«Le azioni sconsiderate finiscono male» disse in tono smorzato, sforzandosi di dare corpo a quel pensiero, per renderlo più concreto. Incrociò lo sguardo di Dazai e scosse la testa. «Non è un caso di nostra competenza. Non per adesso. Intrometterci potrebbe causare dei guai all’Agenzia.»

Dazai fece spallucce con un sorrisetto, incassando la risposta.

«Come vuoi» replicò leggero. Anche se da un lato l’idea di andare a cercare dell’azione con Kunikida lo intrigava, Dazai non rimase deluso dalla sua risposta. Era coerente. Coerente col tipo di persona che Kunikida si sforzava di essere, seguendo quei suoi ideali, a volte troppo affilati per non rimanerne ferito. Aveva fatto una scelta, dopotutto. Avrebbero potuto causare dei guai come Kunikida aveva detto, ma chissà, avrebbero anche potuto mettere fine a quella minaccia travestita da cappuccetto rosso in caccia del lupo cattivo. 

«Allora buonanotte, Kunikida-kun. Cerca di riposare o il problema dell’Agenzia sarà la tua irritabilità sconfinata!» 

Dazai evitò per un soffio un colpo di agenda sulla testa. 


* * *


Dazai non arrivò al dormitorio. Il suo cellulare squillò prima, con un suono breve che annunciava un messaggio.  

 

Al solito posto.
Per favore.
Ango

 

Dazai sospirò, contemplando la richiesta. L’ultima cosa che voleva era incontrare Ango, ma non ci provò neanche a fare i conti con la curiosità che lo spinse a fare dietro-front, fermare un taxi e farsi lasciare all’inizio della via del Bar Lupin. 

Il locale era deserto. Dietro il bancone mancava l’oste, ma un bicchiere di whiskey era sistemato al solito, vecchio posto a sedere di Dazai. Ango era già lì, la fronte accigliata; parve riprendere a respirare nel momento in cui vide il detective scendere le scale. 

«Un’accoglienza sospetta» commentò Dazai, rimanendo in piedi, mani in tasca, di fronte allo sgabello su cui avrebbe dovuto prendere posto, ma restò a fissare Ango con un sorriso provocatorio. «Stai per arrestarmi?» 

Ango non era in vena di battute. Aveva depositato la giacca sul posto libero alla sua sinistra e le maniche della camicia erano sgualcite e arrotolate ai gomiti di malagrazia. Ricambiò lo sguardo dell’ex amico, scuotendo la testa stancamente. «Avevo bisogno di privacy.» 

Alle sue parole seguì un fascicolo che poggiò tra i due bicchieri di whiskey. Dazai iniziava ad avere un po’ la nausea di quei documenti, ma quando l’altro lo aprì, una foto attirò subito la sua attenzione, facendolo sedere. 

Nella polaroid, vecchia di diversi anni, era stata immortalata la gioielleria del caso di cui si erano occupati quel giorno. 

«Le coincidenze non sono mai una buona cosa» esordì il detective, buttando un’occhiata alla parte cartacea del fascicolo, ma i fogli erano stati censurati e non restituivano un discorso sensato o informazioni utili. Dazai aggrottò la fronte. «Hai inviato tu il caso all’Agenzia?»

Ango fece segno di assenso, mandando giù un sorso del drink come a farsi coraggio. 

«Avete trovato qualcosa?» 

Dazai imprecò un po’ tra sé e sé, ripensando a che pessimo lavoro avevano fatto quel giorno per colpa della luna storta di Kunikida, ma più che giustificarsi, rigirò la questione. «Stai per dirmi tu cosa non abbiamo trovato, suppongo.»

«Questa» e nel dirlo, Ango sfilò dal fascicolo una seconda fotografia. Dazai la prese in mano per contemplarla, tuttavia non gli fece accendere alcuna lampadina in mente. 

«Una chiave apre qualcosa, anche quando è così logora. Immagino non sia nulla di buono.»

Nell’immagine era stata immortalata una chiave, lunga, in ferro, sbeccata sulla testa, ma per il resto integra, anche se sembrava avere come minimo un secolo. 

Nel mentre, Ango si tolse gli occhiali, passandosi le mani sul viso. 

«Fino a questa mattina non ne sapevo nulla e...» deglutì, ridandosi un tono per incrociare gli occhi di Dazai. «Sono qui di mia iniziativa.»

Dazai si decise a prestargli la propria completa attenzione, lasciando andare la foto. Ango riprese. 

«La chiave è stata rubata al proprietario della gioielleria, che ne era il custode. La sua identità è falsa, ma non ho idea di chi fosse realmente. Ma questa...» e appoggiò il dito sulla foto. «Serve per arrivare al Libro.»

Dazai riuscì a limitare la propria sorpresa a un guizzo dello sguardo. Un’altra buona notizia. 

«In quanti lo sappiamo?»

«Io, te e il capo Taneda. Anche lui ne è venuto a conoscenza questa mattina. Il numero di serie di questo fascicolo era inesistente finché non è stato immesso il nome della vittima nel sistema. È stata una sorta di password che ha attivato il rilascio di questo documento. Non è neanche bollato come top secret. Ho verificato ed è estraneo a qualsiasi registro o catalogazione.»

«Ce ne saranno altri così?» 

Ango appoggiò la testa alle dita di una mano, massaggiandosi una tempia. Era visibilmente prostrato. Si allentò la cravatta. «L’archivio generale è immenso e suddiviso in più sedi. Questo documento viene dalla quarta sede. Passare al setaccio l’intero archivio richiederebbe un’unità approvata per la segretezza e giorni, forse mesi...»

«Quindi ci accontentiamo di capire qualcosa da questo.» 

«Il capo Taneda sta cercando di fare pressioni sui superiori ed ex dirigenti per venirne a capo. Se esistono altre chiavi… e cosa dovrebbero aprire.»

Dazai tornò a osservare la chiave, in silenzio, concentrato a incrociare le poche informazioni disponibili. Il risultato furono solo un quantitativo di ipotesi non verificabili, non subito. 

«Non intendi coinvolgere l’Agenzia?»

Lo sguardo con cui Ango lo guardò parlava per lui e per quello che stava per dire. «Per adesso è troppo presto. Qualsiasi faccenda relativa al Libro ha dei protocolli di sicurezza vincolanti. Non dovrei essere qui.» Ango era visibilmente al limite, così agitato che non sembrava completamente padrone dei propri movimenti e si passò una mano tra i capelli. «Ti ho chiesto di vederci perché...» scosse la testa. «Forse la mia è presunzione… però credo che dietro ci sia di nuovo Dostoevskij.»

La confessione non sortì reazioni da Dazai e Ango continuò. 

«Ho esaminato per tutto il giorno gli effetti personali del proprietario della gioielleria ed è tutto troppo normale. Troppo perfetto, architettato ad hoc. Gli oggetti in suo possesso erano tutti datati non più di quattordici anni fa, come se l’uomo fosse comparso dal nulla e prima di allora non avesse un passato. Per il resto, ha avuto una vita tranquilla e appartata fino a ieri notte. Nessuna multa, nessun problema. Un cittadino modello inesistente. E poi c’è questo fascicolo, archiviato esattamente quattordici anni fa.»

«Ora capisco perché hai questa faccia cadaverica» lo blandì Dazai, rigirando il bicchiere del whiskey senza bere, ma continuando a processare le informazioni. Quattordici anni prima... «Dostoevskij è stato rinchiuso in una prigione di massima sicurezza e il Libro lo cercano in tanti. Se qualche mese fa ci ha provato la Gilda, questa volta potrebbe essere opera della Torre dell’Orologio.»

Ango scosse la testa ostinatamente. «Lo so che è illogico affidarsi alle sensazioni, ma sottovalutare le possibilità che sia tutto architettato da Dostoevskij, anche se è in custodia-»

«Sarebbe stupido. Lo so. Da quello che mi stai dicendo, l’azione alla gioielleria è stata mirata. Chi ha preso la chiave sapeva cosa stava cercando.»

«Potrebbe essere un altro suo piano. Il caso del Cannibalismo lo ha fermato, ma se avesse previsto tutto?»

Dazai lanciò una lunga occhiata ad Ango. «Sei davvero stressato e mi stai facendo passare la voglia di odiarti...» sospirò, grattandosi la testa. «Troppe coincidenze. Cosa mi sai dire di Red Hood, il giustiziere che cerca di farla pagare alla Port Mafia? Pensi che sia coinvolto?»

Il viso di Ango era smarrito e ci mise qualche attimo a collegare la domanda a una risposta. «Non ne so molto» replicò, afflosciando le spalle. «Non è stato rilevato alcun uso di abilità per adesso, o di un’organizzazione dietro le sue azioni. Sembra un indipendente che non ha ancora reso chiari i propri intenti.»

«È questo che non mi torna» spiegò Dazai, riportando lo sguardo sulle due fotografie. «Non sta attaccando posti così importanti per la Port Mafia, ma allo stesso tempo lo sta facendo meticolosamente, seguendo uno schema a cerchi. Sta solo avanzando, ma senza porre richieste o condizioni. O indizi. O rivendicazioni… sta stringendo un cappio.» Sul viso di Dazai si aprì un ghigno, ma non era divertito. «Non manca di stile. Tuttavia, più si avvicina al centro, più gli obiettivi che colpirà saranno sensibili. Anche se...»

«Anche se?» incalzò Ango. 

«Ho avuto una soffiata. Se ne occuperà Akutagawa. Quindi immagino che capiremo l’entità della minaccia di questo giustiziere dall’esito del loro scontro.»


Tu vedi i cadaveri, vedi il fumo,
ma il grande disegno non ti è ancora chiaro.
[Clyde Shelton - Giustizia Privata]



 

To be continued.




 

Spazio autore 

 

A qualcuno Red Hood suonerà familiare ~

Rivedere il film della DC Under the Red Hood mi ha fatto venire in mente qualche idea per questa storia. Spero che qualche fan non ne sia infastidito, anzi, se vi capita, guardatelo! *love*

Nel mentre, ancora qualche capitolo e si entrerà nel vivo della fanfic. Poche pretese, ma ho tanta voglia di scrivere, me la continuo a figurare in mente con i tempi e lo stile dell’anime e voglio continuare così per parecchio UU/

 

Che altro aggiungere… appariranno un sacco di personaggi di Bungou, perché seriamente ce ne sono giusto 3-4 che non mi piacciono… o che scrivendo rivaluto *fissa un certo clown

Alla prossima!

Pagina autore su FB: Nefelibata ~ @EneriMess




Prossimo capitolo → A dog with its tail between legs
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bungou Stray Dogs / Vai alla pagina dell'autore: Eneri_Mess