L'eco dei suoi
passi rimbombava sulle colonne di basalto che si sollevavano
in pilastri esagonali, protendendosi verso il cielo plumbeo.
La cenere scendeva simile a neve e si posava a terra con
delicatezza. Non si scioglieva, ma si riduceva in polvere e
talvolta il vento spazzava i corridoi, sollevando nubi grigio
chiaro, ammucchiando la cenere negli anfratti delle rocce.
Lucifer sollevò lo sguardo verso il cielo cupo. Sospirò,
sforzandosi di non ricordare, per quanto gli fosse impossibile
non farlo.
Una folata alle sue spalle lo avvisò dell'arrivo della sua
nuova segretaria, Ravekeen.
«Mio Signore» esordì la demone, dopo aver ripreso forma umana.
La sua pelle era color caramello con ipnotici occhi blu,
incorniciati da una criniera leonina, riccia, color nocciola.
«Non mi dire...» esordì Lucifer, «il nostro caro amico chiede
ancora di me?» domandò, volgendosi in parte verso di lei, le
mani nelle tasche del completo nero.
Lei aveva il ginocchio destro a terra e teneva lo sguardo
basso e remissivo. «Sì, mio Re.»
Lucifer sospirò, lo sguardo spento, sconfitto. «E sia...»
Cercò di infilare
la spatola di ferro arrugginito sotto la palpebra dell'occhio
destro di quell'anima dannata, ma per quanta forza
esercitasse, quell'occhio non voleva saperne di schizzare
fuori dall'orbita.
Urlò frustrato, fece un passo indietro e scagliò a terra
l'attrezzo, che tintinnò sul pavimento della cella infernale.
«Dannazione! Voglio cavare un occhio! Belios, ti prego, almeno
uno, fammene strappare solo uno!» supplicò affranto Dromos.
Aveva ancora le sembianze di Padre Kinley, Lord Lucifer gli
aveva proibito di riprendere il suo vero aspetto.
Belios non rispose, il demone aveva assunto le sembianze di
una graziosa ragazza. Sbatacchiò le lunghe ciglia,
solleticando la malvagia ossessione che Dromos nutriva per far
schizzare gli occhi delle anime condannate all'Inferno.
La folata di vento, che annunciò l'arrivo del loro Re, fece
però defilare il carceriere.
Dromos rimase solo, nelle tenebre spezzate solo dal cono di
luce che scendeva dall'alto del soffitto. Nella penombra,
impeccabile come sempre, alto, elegante, Lucifer avanzò,
sistemandosi il gemello del polso destro.
L'anello al dito medio catturò per un istante la luce, che
sembrò quasi venir divorata dalla pietra nera incastonata sul
gioiello.
Dromos si inginocchiò, si prostrò in avanti, sfiorando con la
fronte il pavimento, poi raddrizzò il busto, cercando lo
sguardo di Lucifer.
«Mio Re... ho imparato la lezione, ti prego! Sei tu il mio
unico e solo Re, ti servirò lealmente da qui all'eternità!»
giurò supplicante.
Lucifer affondò la mano sinistra nella tasca, mentre con la
destra spazzò via un poco di polvere dal gilet nero che gli
fasciava il torso. Arricciò le labbra. «Prenderò nota delle
tue parole e più avanti valuterò cosa farne di te, Dromos»
disse, sfoggiando poi un sorriso freddo.
Il demone scosse il capo, la speranza sul suo viso si era
tramutata in paura. «No, mio Signore! Ti prego, ho imparato,
ti prego, liberami, rimettimi al lavoro! Stare qui è...»
«Un tormento?» chiese Lucifer, accovacciandosi davanti a lui,
spostando il capo da sinistra verso destra, assumendo
un'espressione divertita. «Sono ormai diversi secoli che ti ho
rinchiuso qui dentro... E ancora speri che ti liberi? Non lo
hai capito, Dromos? Questa è la tua punizione e lo sarà per
l'eternità» sibilò atono.
Il demone distese una mano tremante verso quella del suo
signore, ma Lucifer lo gelò con lo sguardo. «No, ti prego,
Lucifer...» pigolò affranto.
«Cosa? Cosa vuoi chiedermi, Dromos? Pietà? È questo che
davvero desideri?»
Dromos schiuse le labbra, gli occhi umidi di pianto. «Morire.»
Lucifer si alzò in piedi, sorridendo. «Morire sarebbe una
liberazione, Dromos, sai bene che non posso accontentarti. E
poi, non eri tu quello che sosteneva che l'Inferno non stava
andando bene? Guarda invece ora, come i dannati si disperano,
grazie al mio ritorno! Goditi l'Inferno che hai ottenuto»
disse con un sorriso tagliente sulle labbra, mentre una
sinistra luce infernale baluginò nel suo sguardo.
Il Re dell'Inferno si volse e si allontanò, lasciando Dromos
in compagnia dei suoi demoni.
Squee e quasi un centinaio di altri demoni che avevano
partecipato alla ribellione erano già stati liberati, ma
Dromos, no, Lucifer non aveva ancora finito con lui.
Non lasciarmi,
io ti amo!
Aprì gli occhi,
inspirando a fondo, reclinò il capo sino a incontrare il
freddo schienale di pietra del suo trono, che era in fondo
l'unico sollievo in quel luogo dalle temperature torride.
Tornò a serrar le palpebre, sperando che quel peso all'altezza
dello sterno lo abbandonasse. Le iridi si fissarono sulle
turbolenti nubi grigio scuro che vorticavano in lontinanza.
Avrebbe voluto prendersi la testa tra le mani, urlare e
piangere.
Invece era impassibile e lo sarebbe sempre stato. I sentimenti
erano un lusso che all'Inferno non poteva permettersi.
Lui era Lucifer Morningstar, il Principe delle Tenebre, il
Signore di Tutte le Menzogne e avrebbe continuato a mentire a
se stesso. Lo aveva fatto per un'esistenza intera senza
accorgersene, ora almeno ne era consapevole e mentire a se
stesso era un atto dovuto, un atto necessario. Non doveva
pensare a lei. Non avrebbe più potuto vederla. Avrebbe passato
i millenni all'Inferno, prima che lei morisse e la sua anima
sarebbe sicuramente volata alla Città d'Argento, dove lui non
poteva andare. Non l'avrebbe più rivista.
Quella consapevolezza era più devastante che l'aver ucciso
ripetutamente suo fratello Uriel durante la sua precedente
visita in quel luogo di dannazione.
Abbassò lo sguardo e aggrottò la fronte. Le sue dita si
muovevano sui braccioli del trono, come se stesse suonando una
melodia sul suo pianoforte. Un sorriso nostalgico gli increspò
le labbra, sinché non si rese conto che stava stupidamente
eseguendo Heart and Soul.
Strinse le dita con forza sui braccioli, tanto che il basalto
si incrinò, ma il rumore più sordo fu quello che
metaforicamente avvertì dentro al proprio petto.
Ho studiato
musica per tre anni e questo è tutto quello che ricordo.
Lui
non
doveva ricordare!
Digrignò i denti, cambiando posizione sullo scranno.
«Ravekeen!»
Un corvo nero con occhi azzurri come zaffiri arrivò sbattendo
le ali e si posò sull'alto schienale, quasi mezzo metro sopra
la spalla di Lucifer.
«Abbiamo qualche anima interessante? È successo qualcosa di
diverso dal solito? Qualche idiota sta cercando di fuggire?
Dimmi che sta succedendo qualcosa di interessante!» ringhiò
con livore.
«Nulla di interessante, Mylord, sono desolata» rispose il
pennuto con gracchiante voce femminile, planando sul suo
braccio.
«Fucking bollocks» imprecò Lucifer a fil di labbra. Restò a
bocca aperta qualche istante e spostò lo sguardo sul corvo.
«Edwin. Abbiamo un'anima di un certo Edwin, zio della
dottoressa Linda Martin di Beverly Hills?»
Il corvo si pulì il becco sulla manica dell'uomo. «Se è qua,
la troverò!» assicurò, prima di allontanarsi con un frullo
d'ali.
«Fottuti
ragazzini!
Fuori dalla mia proprietà!»
Il boato del fucile preannunciò di una frazione di secondo la
selva di pallini che si abbatté sul terreno, mentre le urla di
bambini e ragazzini si allontanavano veloci.
L'uomo indossava un magliocino color vinaccia con lo scollo a
V e pantaloni di lino color crema, caricò il fucile e si voltò
tornando in casa.
«Anche io detesto i bambini» commentò un intruso dai capelli
mori, ben curati, con un elegante completo di alta sartoria e
dall'accento inglese. Aveva in mano un bicchiere di scotch e
lo sorseggiava con noncuranza, in piedi vicino al mobile bar.
Il padrone di casa imbracciò il fucile e glielo puntò contro.
«Chi diavolo sei? Che ci fai in casa mia?» domandò più
incredulo che spaventato o arrabbiato.
Lo sconosciuto bevve un sorso di liquore e sorrise. «Be', ci
sei già arrivato da solo, no? Io sono il Diavolo.»
L'uomo sorrise beffardo. «Certo, come no. Fuori da casa mia!»
«Questa non è casa tua, mio caro, Edwin. Questo è l'Inferno»
rivelò l'altro con un sorriso amaro.
Con fragore, la porta dell'abitazione venne sfondata.
Edwin si girò e premette il grilletto istintivamente,
ritinteggiando la parete dell'ingresso con le cervella
dell'agente di polizia che era appena entrato.
«Oddio...» mormorò Edwin sorpreso, completamente sopraffatto
da quello che aveva appena fatto. Il primo proiettile sparato
dal collega del poliziotto ucciso, lo colpì alla spalla, il
secondo alla gola.
Il sangue sgorgò copioso, era caldo ed Edwin si stupì
dell'odore ferroso che improvvisamente gli impregnò le narici.
Lucifer
versò
due dita di scotch dentro due tumbler bassi, chiuse la
bottiglia lasciandola sul mobile bar, quindi prese i due
bicchieri e si avvicinò al divano, dandone uno al redivivo
Edwin.
L'uomo aveva i capelli di un biondo più scuro rispetto a
quelli di Linda, ma aveva il viso tondo che a Lucifer gliela
ricordava molto.
L'anima prese il bicchiere e bevve un sorso. «Non volevo...
Non volevo uccidere nessuno...»
Lucifer si accomodò sulla poltrona del salotto e accavallò le
gambe. «Però lo hai fatto e il senso di colpa di tormenta da
quando sei arrivato qui» commentò. «Ma ci sono altre cose che
ti tormentano, vero, Edwin? So che vorresti dirmele, per
alleggerirti la coscienza...» disse con voce suadente e lo
sguardo penetrante fisse sull'uomo.
«Vorrei chiedere scusa a mia nipote...» mormorò l'anima, dopo
un attimo di esitazione.
«A Linda?» domandò Lucifer curioso. «L'hai forse mandata a
quel paese per tutte le volte che ti guarda come se si
aspettasse che arrivassi da solo a capire i tuoi problemi?»
Edwin lo guardò perplesso. «La conosci?» domandò, poi sgranò
gli occhi. «È qui anche lei?» chiese preoccupato.
«No, certo che no» rispose Lucifer, bevendo un sorso di
scotch. Assaporò per un poco il liquore trovandolo così poco
consistente rispetto a quello che la Terra poteva offrire.
Lo zio di Linda sorrise sollevato. «Oh, grazie, Dio» mormorò.
Lucifer alzò gli occhi al cielo. «Come se lui c'entrasse
qualcosa...» borbottò sommessamente. «Allora, Edwin, parlami
un poco di te. Magari anche tu, come tua nipote, ti occupi di
psicologia, sei uno psicologo, forse?» domandò curioso. Gli
mancavano le sedute con Linda, gli mancava potersi confidare
con qualcuno che cercasse di consigliarlo per il meglio.
«Psicologo? Io?» chiese l'uomo perplesso, scuotendo il capo.
«No, sono un broker assicurativo» rispose.
Il Diavolo non celò la sua delusione. «Oh...» Aprì e chiuse la
bocca un paio di volte, poi si abbandonò con le spalle allo
schienale e vuotò il bicchiere dal resto del suo contenuto.
«Quindi mi sei inutile...»
Edwin lo guardò qualche istante. «Non credo che qui
all'Inferno abbiate bisogno di assicurazioni sulla vita,
vero?»
Lucifer sorrise amaramente. «No, temo proprio di no.» Inclinò
il busto in avanti, guardando Edwin. «Perché il tuo più grande
tormento e desiderio è chiedere scusa a Linda?»