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Autore: vento di luce    20/09/2020    17 recensioni
I miei due amici, Enzo e Paolo, mi avevano trascinato in una breve vacanza in montagna, nel periodo di settembre, per farmi distrarre dai miei impegni.
Un tiepido pomeriggio decisi così di fare una passeggiata da solo nel bosco, quando vidi un’esile figura piegata di spalle, dai lunghi capelli neri.
Chi era realmente? Una creatura dei boschi, una sacerdotessa?
Genere: Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

*********
 
“Sei sicuro che non vuoi venire Ale?”, disse Paolo senza insistere più di tanto, iniziando ad incamminarsi con Enzo, che gli fece un cenno d’intesa, verso il centro del piccolo paese  del Nord Italia che ci ospitava.
 
I miei due amici mi conoscevano da tempo e sapevano com’ero fatto, che amavo assaporare il silenzio in solitudine. In quel periodo in particolare poi, il mio delicato sistema nervoso era più teso del solito. Dopo aver conseguito la laurea in storia svolgevo, con poca soddisfazione, la professione di insegnante privato. Avevo allora deciso di sostenere l’esame per iscrivermi all’albo dei giornalisti, un mestiere che mi affascinava sin da quando ero un bambino e la data della prova era sempre più vicina.
Enzo e Paolo mi avevano così trascinato in una breve vacanza in montagna per farmi distrarre. Il periodo di settembre, immerso nella natura, era per me l’ideale, avverso com’ero alla mischia estiva di spiagge affollate e balli sfrenati fino all’alba, per indole riservato.
 
Ritemprato giorno dopo giorno decisi, in quel tiepido pomeriggio, di fare una passeggiata in un bosco che aveva attirato la mia attenzione, avendolo visto di sfuggita.
Una volta solo, mi inoltrai in quella vegetazione in compagnia dei miei folli pensieri, respirando l’aria frizzante che penetrava nelle narici, una boccata di vita rispetto a quella malsana della metropoli dove abitavo. Proseguii senza una meta definita, vagando fra quegli alberi dalla fitta chioma, attratto poi da alcune bacche. Percepii la loro morbidezza fra i polpastrelli delle dita, indeciso se assaggiarne una quando, perdendo lo sguardo in lontananza, scorsi una casa in una piccola radura. Mi avvicinai  incuriosito da un’esile figura piegata di spalle, dai lunghi capelli neri. Rimasi ad osservarla di nascosto dietro un tronco ma, come avesse avvertito la mia presenza, si alzò d’improvviso  guardando nella mia direzione.
Decisi allora di mostrarmi, sussultando nell’incontrare quelle iridi cristalline. Aveva la pelle candida come la veste leggera che indossava e al collo portava un amuleto.
 
 “Il mio nome è Alessandro”, dissi solamente deglutendo, accennando un sorriso.
“Ashling“, rispose l’altra quasi fissandomi, invitandomi poi ad entrare in casa, tenendo in mano un cestino con delle erbe che aveva  raccolto.
 
Oltrepassando quella malandata porta di legno, un mondo di profumi mi pervase.
Quella misteriosa fanciulla mi fece accomodare su una piccola sedia mentre il tepore del fuoco, che ardeva nel camino, rendeva quell’atmosfera surreale accogliente.
Dove mi trovavo e cosa stava succedendo?
 Ad un tratto sentii qualcosa strusciare su una gamba, era un gatto dagli occhi verde smeraldo.
Lo accarezzai volgendo i miei occhi castani al grande tavolo al centro della stanza. C’erano delle candele, una coppa, un incensiere, delle ampolle di varie dimensioni, un libro dalle pagine consunte.
“Vivi da sola?”, le chiesi.
Annuì solamente sussurrando, prendendo  alcuni barattoli riposti su dei ripiani di legno: “valeriana, corteccia di salice, verbena.”
Iniziò a miscelare uno strano intruglio che chiamò infuso, versandolo infine fumante in una tazza di terracotta, porgendomela. Annusai il forte odore che emanava quella bevanda dal sapore gradevole, sorseggiandola con calma.
Mi sembrava di fluttuare in una dimensione sospesa, dove il tempo trascorreva senza me ne rendessi conto.
 
D’improvviso Ashling si alzò guardando dalla finestra per alcuni istanti, uscendo poi fuori.
Seguii i suoi passi leggeri senza fare domande, dove mi stava conducendo?
Vedendo quel ruscello portai una mano alla bocca.
La fanciulla, slacciando i sandali di corda che indossava, si sedette su un grande masso, immergendo i piedi in quell’acqua limpida,  muovendoli con grazia. Feci lo stesso togliendomi le scarpe, rilassato da quel flusso solleticante sulla pelle nuda.
Senza nemmeno accorgermene iniziai a parlare di me, incantato da una ragazza come non mi era mai successo prima. Un comportamento raro, non essendo mai stato sciolto con il genere femminile, nonostante molte mi considerassero di bell’aspetto.
Preferivo in genere delle brevi avventure per tenere la mia anima al sicuro dalle delusioni ma, in quel frangente, pur non conoscendo niente riguardo quella eterea creatura che mi ascoltava senza interrompermi, mi sentivo stranamente a mio agio.
 “Adesso parlami di te”, le dissi infine con voce sussurrata, perso in quegli occhi dalle sfumature dell’azzurro per dei momenti che sembravano indefiniti, mentre accarezzava quel ciondolo. Osservandolo meglio mi tornò alla mente quello che avevo visto, identico, in uno dei numerosi libri dove amavo rifugiarmi. Era un pentacolo iscritto in un cerchio, con dei cristalli sulle punte, ognuno di un colore diverso che, se ricordavo bene, rappresentavano l’aria, l’acqua, il fuoco, la terra e lo spirito.  
 
Ashling non rispose alla mia richiesta, guardando ancora il cielo come fosse in attesa.
Percependo l’aria più fresca, realizzai d’un tratto che si era fatta sera e, poco dopo, apparve la luna in tutta la sua bellezza.
In quel frangente la fanciulla si alzò, distendendo le braccia tenendole in quella posizione per alcuni istanti, iniziando poi a roteare sempre più velocemente, continuando a tenere il volto rivolto in alto. La guardai ammaliato da quei movimenti fluidi, a me incomprensibili, quando iniziò a piovere. L’acqua battente bagnò quell’abito a drappi, mostrando le forme sinuose del suo corpo.
Mi venne poi incontro, mentre continuavo ad osservarla, del tutto fradicia. Intrecciai le dita delle mie mani alle sue e la accompagnai in quelle movenze, iniziando a battere insieme i piedi sulla terra umida e feconda.
Storditi da quella danza, i nostri visi divennero sempre più vicini fino a sfiorarci le labbra, mescolando i nostri sapori a quelli del cielo.
 
Le accarezzai la schiena stringendola ancor di più a me quando, proprio in quel momento, il mio telefono squillò.
Lo ignorai, immerso in quell'aroma di bosco ma, poiché quel suono fastidioso non cessava, decisi alla fine di rispondere.
“Enzo”, dissi solamente con voce roca mentre alcune gocce, che grondavano da ciocche di capelli attaccati al viso, inumidirono le mie labbra.
“Alessandro dove sei? Ti abbiamo scritto più volte”, esclamò il mio amico concitato.
“Ho fatto una passeggiata ma mi sono allontanato troppo, tranquilli”, risposi massaggiandomi una tempia.
“Vuoi che ti veniamo a prendere?”
“Non vi preoccupate, fra poco arrivo”, esclamai tentennando.
Sarei voluto rimanere lì ma Ashling, con un cenno della testa, mi fece segno di andare.
La salutai sfiorando ancora la sua bocca, felice che l’indomani l’avrei rivista.
M’inoltrai così in quel sentiero, sulla via del ritorno, non riuscendo però a distogliere lo sguardo da lei, aveva un’espressione malinconica.
 
Una volta tornato nella casa che avevamo preso in affitto, dissi ai miei amici solamente poche parole di circostanza. Quello che era davvero accaduto, sensazioni indescrivibili, le conservavo nel profondo del mio cuore.
Nonostante fossi a digiuno da molte ore, bevvi solamente del latte macchiato e andai a letto presto, rigirandomi fra le lenzuola inquieto, fino ad addormentarmi.
 
 La mattina seguente la trascorsi con Enzo e Paolo come avevo loro promesso, attendendo con impazienza di andar via prima di pranzo.
“ Sai Ale, abbiamo conosciuto delle ragazze molto carine ieri, ci siamo dati appuntamento per mangiare qualcosa insieme, ti fermi con noi?”, disse Paolo con finta ingenuità, poco prima che li salutassi.
Più che una domanda un cortese invito, un modo per non farmi fuggire come mio solito.
Ci incontrammo così tutti alla fontana del paese. Sara, Serena e Debora erano allegre, spigliate, ma velate da quella superficialità che non sopportavo. Quest’ultima in particolare, vestita in modo meno vistoso delle altre, parlò con me in maniera piacevole, ma la mia testa era altrove e non riuscivo ad ascoltarla più di tanto. Finito di mangiare andai via con una scusa, Ashling era l’unica che desideravo davvero in quel momento.
 
Ma chi era realmente? Una creatura dei boschi, una sacerdotessa?
 A prima vista mi era sembrata subito una di quelle fanciulle appartenenti alla cultura pagana, ma forse stavo volando troppo con la fantasia, come facevo spesso.
Chiunque fosse quella ragazza, cosa ci facesse lì, che vita conducesse, non m’importava.
L’unica cosa che sapevo era che non mi ero mai sentito a quel modo.
 
Mi allontanai allora in tutta fretta, addentrandomi di nuovo nel bosco, per incontrare ancora quelle iridi, per sfiorare quella pelle setosa.
Camminavo però, camminavo, ma non riuscivo più a trovare quella radura.
 Feci la stessa strada in direzioni differenti, pensando che forse non ricordassi bene il percorso ma, dopo vari tentativi, mi guardai intorno smarrito. L’oscurità si faceva sempre più soffocante, era di nuovo sera.
Quegli alberi intorno a me sembravano barcollare come stessero per cadermi addosso e quelle insenature scolpite nel legno sembravano sorridermi maligne.
Portai le mani alla testa, sempre più pesante, gettandomi poi a terra in ginocchio, rimanendo in quella posizione per non so quanto tempo. Ad un tratto però la luna, celata fino a quel momento nel cielo nebuloso, comparve ancora più luminosa del giorno precedente.
La osservai ipnotizzato, con le membra come incapaci di muoversi e, fra il frusciare dei rami, mi parve di udire il mio nome disperso nel vento.
Un brivido mi percorse lungo la schiena, un’allucinazione?
Ashling, “sogno” nella cultura gaelica. Possibile fosse solamente tutto frutto della mia immaginazione?
Sospirando decisi di tornare indietro attraversando ancora quel labirinto vegetale, scorgendo d’improvviso un bagliore ai piedi di un albero.
Era un  amuleto, quell’amuleto e, nel raccoglierlo, un intenso calore mi pervase avvolgendo la mia anima.
 Asciugai con le dita di una mano una lacrima che scorreva sul mio volto, guardando per un’ultima volta quel corpo celeste. Sorrisi, i miei amici mi stavano aspettando.
 
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