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Autore: l y r a _    20/09/2020    2 recensioni
Il secondo anno di liceo di Tooru Oikawa è un gran macello. Lo dice Hajime Iwaizumi, il suo migliore amico da una vita, e precisa che lo sarebbe stato un po’ meno se non avessero incontrato Sakurai e subìto tutte le sue complicazioni patologiche.
Il primo anno di liceo di Megumi Sakurai è un fallimento annunciato e lei è arrogante, ambiziosa e ha scrupoli quanti gli spiccioli nel suo portafogli: nessuno. Lo dice tutta Sendai ed è tutta la verità.
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[Oikawa/OC | UshiShira | Accenni OC/Ushijima | Perpetrato reato di canon/OC ]
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kenjiro Shirabu, Nuovo personaggio, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 13

Vertigine

Il week-end prima di Halloween diluviò così tanto che furono soppresse tutte le corse dei mezzi da e per Sendai. Quello stato di emergenza metereologica obbligò una buona parte degli studenti dell’Accademia a rimanere nei dormitori anche nei giorni festivi, senza nemmeno la possibilità di spostarsi in centro per fare due passi o togliersi qualche sfizio, data l’entità delle precipitazioni e la frequenza con cui lampi e fulmini si alternavano fuori dalle finestre.
Più di ogni altra settimana, Megumi sarebbe voluta tornare a Minamisaka: la sua sorellina le aveva riferito al telefono che il fiume che costeggiava la loro proprietà era esondato, riversando sulle colture dei suoi genitori detriti e fanghiglia viscida. Parte della staccionata era stata abbattuta, il contenuto del magazzino era completamente perduto e in casa gocciolava acqua dal soffitto in prossimità della cucina. Himeka aveva puntualizzato che erano stati comunque più fortunati dei vicini, la cui stalla era stata travolta dal fiume, insieme alla vita della metà degli animali che allevavano. Nessuno, dunque, sarebbe potuto andare a prendere lei e Wakatoshi in auto: entrambe le loro famiglie avevano problemi ben più gravi da risolvere, nonostante Megumi avesse protestato di voler tornare per aiutare.
Così il sabato trascorse uggioso e lento, un tuono dopo l’altro. Nel pomeriggio, improvvisarono un gruppo studio in sala lettura, sotto la scrupolosa supervisione di Kenjiro e Kaori, che riuscirono ad ottenere che Megumi e perfino Arisu anticipassero i compiti fino al mercoledì. La domenica mattina, ragazzi e ragazze dei rispettivi club di pallavolo organizzarono un allenamento congiunto e piuttosto clandestino, vista l’assenza dei supervisori e dei responsabili. La carneficina iniziata da Wakatoshi si concluse con un nuovissimo cerotto a pois sulla fronte di Arisu, lividi sugli avambracci di Horie, e una inquietantissima sfida fra Tendou e Mikoto, dopo che quest’ultima l’aveva fregato sotto rete con una finta particolarmente fortunata. Il più grande si era poi rifatto in grande stile riprendendosi il punto perso con tutti gli interessi e a quel punto un tuono più forte degli altri era esploso proprio sopra le loro teste e la corrente era saltata, la centralina elettrica completamente bruciata. L’aneddoto della strega e del mostro sarebbe girato di bocca in bocca il giorno successivo, perfettamente in tema coi racconti dell’orrore di Halloween.
Nel pomeriggio spiovve, proprio quando Tooru stava per telefonare a Megumi per annullare i loro piani. Di punto in bianco, il sole riemerse dalle nuvole grigie e il vento scacciò via ciò che di esse rimaneva, le previsioni del tempo furono riaggiornate: portavano sole e temperature miti per i tre giorni successivi. Convintosi che fosse un’inequivocabile segno del destino, il ragazzo si rassegnò alla sincerità. Si guardò nello specchiò sul comò dei suoi genitori, si aggiustò gli occhiali sul naso e confessò:
«Gumi-chan, io non posso salire su questa giostra perché ho paura dell’altezza.»
«Tu non hai paura dell’altezza» scandì la voce di sua sorella dall’altra stanza «tu sei terrorizzato dall’altezza!»
Tooru cercò di ignorarla e continuò la sua prova, a voce più bassa.
«Soffro di vertigini.» ammise con decisione.
«Ti ricordi quando avevi dieci anni e mi hai vomitato sulle scarpe?»
«Vuoi smetterla?» gridò spazientito «Non vomiterò sulle scarpe di nessuno!»
Si passò le dita fra i capelli: non c’era affatto, rinunciare subito alle attrazioni che sfruttavano l’altezza sarebbe stato controproducente. Megumi l’avrebbe scambiato per un fifone e avrebbe subito perso tutti i punti che aveva faticosamente guadagnato. Si disse che aveva diciassette anni e che, a quell’età, era ora di mettere da parte le paure dell’infanzia. Se si fosse sforzato di affrontare tutto con razionalità, sarebbe andato tutto bene: tutte le giostre erano progettate per essere sicure, non era possibile cadere e farsi male. Doveva solo concentrarsi e pensare che sarebbe rimasto solo con Megumi, avrebbero mangiato insieme lo zucchero filato su una panchina di fronte al carosello, gliene sarebbe rimasto un po’impigliato fra i capelli e lui glielo avrebbe tolto con la mano, meritandosi un ringraziamento. Allora sarebbero stati così vicini e il momento sarebbe stato così perfetto e romantico che l’avrebbe baciata, e sarebbe stato un bacio magnifico, di quelli a cui non si poteva rimanere indifferenti nemmeno con tutto l’autocontrollo del mondo. Infine si sarebbero messi insieme e sarebbero tornati a casa mano nella mano. A quel punto il rating del suo sogno ad occhi aperti saliva repentinamente, perciò preferì frenare la sua immaginazione prima che fosse troppo tardi.
L’indomani pomeriggio, elettrizzato come non mai dal sole tiepido dell’autunno, si precipitò a casa dopo la fine delle lezioni, s’infilò sotto la doccia appena sceso dall’auto di suo fratello, s’infilò la cambiata che aveva tanto accuratamente studiato per l’occasione e spruzzò sul collo due gocce del nuovo profumo che aveva ricevuto per il suo compleanno. Quando si fu giudicato impeccabile, tornò al piano inferiore e prese a tempestare Hajime di chiamate.
Il piano era semplicissimo, forse un po’ troppo sleale, ma nel pieno stile di Hanamaki: i ragazzi avrebbero raggiunto il parco tutti insieme con anticipo e sarebbero entrati solo all’arrivo di Megumi, per poi eclissarsi nella folla di visitatori e lasciarli soli per il resto della serata. Era una strategia a prova di errore, non poteva fallire. O almeno, era quello che credevano.
Quella ad arrivare in anticipo fu Megumi: appena giunti all’ingresso del parco, la distinsero intenta a chiacchierare con altre tre ragazze, due delle quali già note a Tooru.
«Okay, cosa le hai detto quando l’hai invitata?» gli domandò Takahiro innervosito.
«Che voi avevate esteso l’invito anche a lei.»
«E…» lo incalzò l’amico, che già si aspettava una risposta disastrosa.
«… che avevate detto che più eravamo, meglio era.» ammise con un fil di voce.
Hajime si piantò le mani in faccia, sconfitto.
«Ma sei completamente rimbecillito?» sbottò assestandogli un bel colpo sulla schiena «Credevo che tu queste cose fossi in grado di farle!»
«Non puoi esserti già disabituato.» commentò Takahiro deluso.
«Certo che no! Fa ancora il galletto con le ragazze che vengono a vedere gli allenamenti, ma non è capace di invitarne una sola al parco divertimenti!» rincarò la dose Iwaizumi.
«Gumi-chan non è esattamente una di loro!»
«Ah certo, lei è un fiocco di neve speciale, continuo a dimenticarlo.» ribatté con sarcasmo l’amico.
Issei s’intromise fra i due prima che Tooru replicasse qualcosa di troppo stupido e Hajime lo prendesse a botte, mandando completamente a monte il pomeriggio che avevano tanto accuratamente pianificato. Suggerì ai ragazzi di avvicinarsi e di considerare la possibilità che le amiche fossero lì solo per caso.
«Può darsi che vadano via non appena raggiungiamo Sakurai.» spiegò.
Purtroppo, il suo raggiante ottimismo non trovò riscontro: quando ebbero salutato Megumi, tre sguardi diversi passarono in rassegna ciascuno di loro. Mikoto esaminò uno per uno i suoi amici, indugiò su di lui e sollevò un sopracciglio, seccata. Arisu Hiromi, per conto suo, strinse i grandi occhi nocciola e gonfiò le guance, in una smorfia che più che mai la faceva sembrare un piccolo scoiattolo. L’ultima ragazza, che Tooru non aveva mai avuto modo di conoscere direttamente, scosse il capo con rassegnazione e si scostò dalla fronte i capelli biondi del caschetto. Megumi, d’altra parte, era tesa come una corda di violino, ma lo accolse con un sorriso – per quanto forzato fosse – e per un istante i suoi occhi guizzarono preoccupati su Hajime, prima di ritornare su Tooru.
Fu Mikoto, infine, a prendere l’iniziativa. La ragazza bionda cercò in qualche modo di fermarla, ma lei chiarì subito:
«Noi siamo con Megumi.»
Sorprendentemente, la replica piccata non giunse dal già provato Iwaizumi, ma da Hanamaki:
«L’invito era solo per lei.»
Mikoto lo guardò con sufficienza e stava per ribattere qualcosa di piuttosto acido, ma il mea culpa di Megumi giunse prima che avesse il tempo di parlare.
«Mi dispiace» ammise timidamente «Mi sentivo troppo in imbarazzo per restare da sola con voi, allora ho chiesto alle ragazze di accompagnarmi.»
Tooru era piuttosto risentito che Megumi avesse boicottato in quel modo il loro appuntamento, per quanto sleale e meschino fosse stato il loro piano iniziale, rovinato da una banalissima variabile che non avevano messo in calcolo, ma trovava anche adorabile l’impaccio con cui la ragazza aveva confessato le proprie colpe. Era più carina di solito quel pomeriggio: i capelli scuri erano finalmente sciolti, il colore mogano sempre più sbiadito in favore del castano naturale, e portava un filo di trucco, qualcosa che le aveva visto fare rarissime volte da quando si conoscevano e mai per lui. Sapendosi osservata, si fece appena rossa sulle guance.
«Quindi che facciamo, piccioncini?» li esortò Mikoto più divertita di quanto dovesse «Vogliamo entrare o volete rimanere qui a guardarvi negli occhi?»
«Siamo solo amici!» protestò Megumi, con voce fin troppo stridula, ma le sue lamentele nei confronti di Mikoto rimasero piuttosto inascoltate: per quanto mal assortito fosse, il gruppo raccolse con entusiasmo l’esortazione e si avviò verso le biglietterie, curandosi di lasciare i due soli in coda. Mentre li ascoltava scambiare qualche battuta di presentazione con le ragazze, Tooru considerò di avere degli amici davvero in gamba.
«Sei proprio carina, oggi.» le disse approfittando dell’occasione.
Megumi aggrottò le sopracciglia.
«Intendi dire che di solito non sono carina?»
«Dai, sai cosa voglio dire!» ridacchiò lui cogliendo la provocazione «Sei sempre bella, ma oggi di più!»
Megumi gli sorrise lusingata dal complimento, anziché prenderlo a botte come avrebbe fatto di solito. Tooru dovette faticare per non incantarsi come un ebete nel mezzo della fila.
«Devi avere degli standard piuttosto bassi, perché me lo dici solo tu, che sono bella.»
«Allora te lo dirò io più spesso, per compensare tutte le volte in cui gli altri lo omettono.»
Seguì un silenzio teso, in cui Megumi, con le guance imporporate dalla vergogna, finse di interessarsi alla folla che si accalcava sul cancello. Pagarono i propri biglietti e si diressero all’ingresso. Solo quando l’ebbero oltrepassato, mentre percorrevano il viale costeggiato da negozietti di dolciumi e souvenir, in mezzo al chiasso dei visitatori e alla musica assordante che proveniva dalle attrazioni più vicine, Megumi gli si fece più vicina e ammise, con non poco imbarazzo: «Anche tu sei molto carino.»
Non poteva aver sentito bene, di certo doveva esserselo inventato: Megumi non era affatto il tipo di ragazza che potesse fargli elogi del genere. Eppure lo aveva udito perfettamente: anche tu sei molto carino; forse stava dando di matto, oppure era lei ad aver perso la testa, fatto stava che il suo cuore martellava all’impazzata, anche dinanzi ad una semplice illusione.
«Guarda che non lo ripeterò di nuovo.» lo ammonì Megumi ancora tutta rossa.
«Allora lo hai detto davvero?»
«Mi sono già pentita: sei brutto, orrendo, praticamente uno sgorbio.»
«Che cambia? Ormai l’hai detto. Grazie, Gumi-chan
Lei gli diede un buffetto risentito sul braccio, per niente vigoroso, solo un mezzo come l’altro per ricordargli che era sempre la stessa ragazza complicata. Seguirono gli altri senza farsi troppe domande sulla destinazione, mentre in realtà – in testa al gruppo – era in atto una discussione fra Iwaizumi e Matsukawa riguardo l’itinerario da seguire: Hajime insisteva per approfittare subito dell’assenza di persone all’autoscontro, Issei ribatteva che sarebbe stato meglio prender posto nella fila per la casa degli orrori. Alla fine, per alzata di mano, si decise si iniziare dalle macchinine da scontro prima che venissero prese d’assalto e, indecisi sulle coppie da formare, tirarono a sorte.
Tooru fu decisamente sfortunato: ad accomodarsi accanto a lui fu la minuscola Arisu, per la quale forse la macchina per adulti era troppo grande; lei gli rivolse un ghignetto soddisfatto per averlo separato da Megumi ed infilò il gettone nel cruscotto, tutta pimpante. Mikoto si sedette accanto ad Hajime, che sembrava piuttosto a disagio, mentre Megumi divideva l’autoscontro con Kaori, ed entrambe parevano non avere la più pallida idea di cosa stessero facendo. Qualche macchinina più in là, Takahiro e Issei affilavano le armi scoccando sguardi famelici agli amici. Al via, fu la guerra: i due ragazzi puntarono subito Megumi e Kaori; la prima, che aveva lo spirito di competizione di una bambina di cinque anni, con un tremendo testa coda ricambiò la botta con uno schianto altrettanto forte. Arisu piombò sui due come una punizione divina, Iwaizumi e Mikoto, ben più lontani, avevano attaccato briga con un branco di ragazzini delle elementari ma – non appena si accorsero dello scenario – cambiarono immediatamente traiettoria per tamponare Tooru e Arisu. Alla fine ne uscirono molto su di morale e perfino un po’ più in confidenza: Mikoto evitava accuratamente di parlare troppo con i ragazzi, ma Kaori e Arisu sembravano molto più loquaci. Anche Megumi sembrava più a suo agio, mentre sfotteva Takahiro per essersi fatto prendere in giro da due ragazze sulla pista.
La visita alla casa degli orrori ebbe ancora più successo: sebbene Arisu avesse passato tutto il tempo a stringere terrorizzata il braccio di Megumi, mentre Mikoto rideva a crepapelle avanti ad ogni elemento orrorifico, era stata un’esperienza abbastanza elettrizzante, anche se ben poco era risultato davvero spaventoso. Persero presto la cognizione del tempo: il sole si fece più vicino all’orizzonte, man mano che i ragazzi si impegnavano in attrazioni via via più audaci. Tooru sopportava in silenzio ed era abbastanza soddisfatto dei risultati dei suoi sforzi; ciò che invece lo frustrava era che non riuscisse a rimanere da solo con Megumi, che era sempre circondata dalla sua scorta cinguettante. Il rischio era che la giornata terminasse senza averci parlato se non appena all’inizio.
La situazione precipitò mentre la sfida al punching ball fra Hajime e Megumi volgeva al termine, vedendo il primo trionfare sulla seconda. Proprio oltre quella macchina si stagliava il profilo terrificante delle montagne russe sul cielo notturno. Rabbrividì quando udì le urla di chi c’era sopra e il treno discendeva a gran velocità dalla sua vetta più alta, coi binari che si torcevano su sé stessi. Sapeva che sarebbe stata la prossima giostra da provare e gli venne la pelle d’oca. Non poteva assolutamente tirarsi indietro: nemmeno i suoi amici sapevano della sua fobia per le altezze, perfino Iwaizumi la ignorava totalmente e non si era mai chiesto come mai – in tanti anni di conoscenza – lui e il suo migliore amico non avessero mai fatto visita a un parco divertimenti.
Il suo timore si concretizzò quando Matsukawa additò l’attrazione con sguardo famelico e annunciò che era giunta l’ora di mettersi in fila. Gli altri lo seguirono entusiasmati, mentre lui aveva la sensazione di avviarsi verso la fucilazione.
«C’è qualcosa che non va, Oikawa?» lo punzecchiò Megumi trovandolo innaturalmente silenzioso.
Lui trasalì preoccupato e scosse di fretta il capo, ma la ragazza non ne fu abbastanza convinta.
«Ti va di salirci o no?»
«Certo che mi va» mentì «Non vedo l’ora!»
Megumi lo osservò pensosa.
«Meglio così! Stavolta ci siederemo nello stesso vagone. Non abbiamo fatto nemmeno un giro insieme finora, non è divertente così.»
«A te piacciono? Le montagne russe, dico.»
«Certo! Sono fantastiche! Quando parte la discesa senti tutto lo stomaco che si contorce, le farei mille volte! Piacciono anche a te?»
«Cosa?» balbettò nervoso «Sì, certo… la stessa cosa che dici tu!»
«Oikawa, sei sicuro di volerci salire? Mi sembri un po’ teso…»
Sarebbe stato il momento giusto per confessare tutto: un pizzico di coraggio e decisione e avrebbe ammesso davanti alla ragazza che gli piaceva che era un fifone e non se la sentiva di fare un giro su una giostra del genere, nemmeno con lei, che gli piaceva più di ogni altra cosa al mondo. Tuttavia non riuscì ugualmente a farlo: era troppo orgoglioso per ammettere di avere delle debolezze ed il rapporto con Megumi lo stimolava proprio perché sembrava una sorta di continua sfida con lei, che lo elettrizzava e incantava al tempo stesso. Ricordò quel che si era ripetuto il giorno prima: che la giostra era sicura e che non darebbe potuto accadergli nulla di male, perciò non c’era alcun motivo di spaventarsi tanto.
«Nient’affatto.» le garantì «Sono solo stanco di stare in fila.»
In realtà, avrebbe voluto che la fila non terminasse mai.
Megumi fece spallucce.
«Se lo dici tu…»
Diversi minuti dopo, riuscirono a prender posto e allacciare le cinture. I suoi amici gli fecero cenni d’incoraggiamento mentre sedeva vicino a Megumi, con le mani che tremavano per il motivo sbagliato. Se avessero saputo che non era la presenza della ragazza a metterlo a disagio ma il supplizio che stava per patire, probabilmente Iwaizumi sarebbe saltato giù dal suo vagone e l’avrebbe obbligato a scendere. Era così terrorizzato che nemmeno l’idea di stare tanto vicino a Megumi riusciva a impressionarlo. Stava finalmente per confessarle che aveva paura e che voleva scendere quando, d’improvviso, il treno partì di scatto facendogli urtare la nuca sul poggiatesta. Con orrore, vide il vagone cominciare la sua scalata verso il vertice della prima parabola del tragitto e impalarsi proprio in cima ad essa: sotto c’erano almeno sessanta metri. Non era pronto, non sarebbe sopravvissuto nemmeno alla prima discesa, la meno alta, figurarsi all’ultima. Strinse gli occhi fortissimo, prima che il treno si tuffasse nel vuoto e urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, arpionando la barra di sicurezza con le mani. Il rumore del vento era più forte delle urla, ma non osò sollevare le palpebre per spiare se non parecchi secondi più tardi, quando si rese conto di trovarsi a testa in giù su una curva particolarmente spaventosa, serrò di nuovo gli occhi ripromettendosi di non aprirli più finché il giro non fosse terminato. Servì, in realtà, a ben poco: durante la discesa a picco dei cento metri, si sentì mancare e il senso di nausea aumentò tanto nello stomaco che credette di rimettere mentre erano ancora in movimento.
Poi, finalmente, finì: il treno ritornò al punto di partenza e lui fu libero di riaprire gli occhi. Megumi aveva i capelli scompigliati e le guance rosse: sembrava molto entusiasta. Lui doveva sembrare uno straccio per pulire il pavimento, dello stesso verde acido di quello che usavano in palestra dopo gli allenamenti. Ancora sconvolto e con le viscere sottosopra, fece per scendere dal lato sbagliato, buscandosi il rimprovero dell’addetto alla sicurezza e i risolini di Mikoto. Megumi lo seguiva con circospezione, forse l’unica che avesse fiutato la sua bugia.
Il punto del non ritorno lo raggiunse quando gli altri, per niente soddisfatti di essersi lanciati a 100km/h su una giostra infernale, si avviarono subito verso una torre a caduta libera altrettanto alta e temibile. Si sganciò silenziosamente dal resto del gruppo e si rifugiò sul retro dei bagni pubblici, per vomitare quel poco che aveva nello stomaco e che le montagne russe avevano trasformato in piombo. Una mano premurosa gli tenne la fronte e i capelli imperlati di sudore freddo.
«Che imbarazzo…» commentò con voce rauca.
Poteva andargli peggio, almeno non le aveva vomitato sulle scarpe come aveva preannunciato sua sorella.
«Non pensarci adesso.» lo rassicurò Megumi con gentilezza porgendogli un pacchetto di fazzoletti.
Tooru avrebbe voluto sotterrarsi per la vergogna e invece Megumi non sembrava affatto risentita dalla situazione, anzi, era piuttosto preoccupata. Gli offrì il braccio per appoggiarsi e lo accompagnò fin dentro il bagno degli uomini perché si desse una rinfrescata, ricevendo anche un mucchio di occhiate curiose da parte di coloro che ne uscivano. Infine insistette perché si accomodassero su una panchina libera e lui si riposasse a sufficienza prima di raggiungere gli altri.
«Va meglio ora?» gli domandò preoccupata.
«Mi gira ancora la testa…»
«Sdraiati, per un po’.»
«Non mi sembra molto comodo.»
Megumi si spostò all’estremità della panchina e batté con una mano sulle cosce.
«Puoi appoggiarti a me.» annunciò seriosa «Offerta lampo, valida solo per oggi.»
Tooru, che accusava fortissime le conseguenze delle montagne russe, non riusciva a capire bene cosa stesse accadendo. Probabilmente aveva già perso conoscenza e se ne stava adagiato sul lettino dell’infermeria del parco, sognando pacificamente che Megumi Sakurai, o qualcuno con le sue sembianze, gli stesse concedendo il permesso di appoggiare la testa sulle proprie gambe, come in uno shoujo manga per ragazzine delle medie. Pregando con tutte le poche forze che aveva che la trama del sogno non virasse repentinamente e che al posto di Megumi non apparisse nessun altro, il ragazzo acconsentì all’invito.
«Non farti strane idee.» borbottò lei con le guance in fiamme «Lo faccio solo perché stai male.»
Nei sogni si poteva avvertire la nausea? Si accorse di non averne la minima idea, eppure la sentiva comunque. Dovette, suo malgrado, chiudere gli occhi e sprecare la sua occasione di guardarla da quella posizione privilegiata, ma non riuscì a non sorriderle.
«Sei uno stupido.» continuò imbarazzata «Perché non mi hai detto subito che le montagne russe erano un problema? Sarei rimasta con te ad aspettare gli altri.»
Tooru non rispose, anche la sola idea di parlare era faticosa, ma fu molto rincuorato all’idea che Megumi avrebbe sacrificato il suo giro sulle montagne russe per lui. Peccato, avrebbe voluto offrirle quello zucchero filato e leccarglielo dalle labbra. Il parco attorno a lui si fece sempre più silente, tutto ciò che avvertiva era il calore del corpo della ragazza e delle sue dita che, con incertezza, avevano preso ad accarezzargli i capelli. Probabilmente – si disse – era convinta che si fosse già addormentato.

~

Hajime aveva capito che qualcosa non andasse quando si era voltato per chiedere a Tooru se avesse voglia di sedersi nuovamente accanto a Sakurai: semplicemente, non aveva più trovato né l’uno né l’altra. Scrutò la folla confidando che fossero rimasti indietro di qualche passo, ma gli parve presto chiaro che non sarebbero più ricomparsi. Sapeva che doveva essere un buon segnale: Oikawa aveva finalmente trovato il modo per sottrarla alla sua vigilissima scorta e al momento doveva aggirarsi tutto felice per il parco in sua compagnia, eppure aveva la spiacevole sensazione che non tutto fosse al posto giusto. Diede una gomitata leggera nel fianco di Matsukawa, gli sussurrò nell’orecchio la situazione e quello – come nel gioco del telefono senza fili – fece altrettanto con Hanamaki. Pochi passi dietro di loro non avveniva nulla di troppo diverso, Hajime ascoltava interessato le chiacchiere delle amiche di Sakurai.
«E dunque, alla fine, Oikawa ce l’ha fatta.» commentò Kaori con un sorriso appagato sulle labbra «Era ora che si decidesse a prendere in mano la situazione.»
«Era il loro piano dall’inizio, dopotutto.» osservò Mikoto alludendo risentita al gruppetto dei ragazzi «Maschi… sono tutti uguali e non brillano per intelligenza.»
«Non è affatto vero, Mikoto-chan, io trovo invece che siano stati molto furbi: hanno eluso con efficacia la nostra guardia, e se non è intelligenza questa…»
«Guardali, come se la ridono tutti soddisfatti di averci prese in giro!» borbottò l’altra, ferita nell’orgoglio «Spero che gli venga un attacco di dissenteria fulminante!»
«Non cominciare, per carità…»
«Ma se Megumi non volesse star sola con lui?» domandò Arisu preoccupata «Sono spariti senza nemmeno una parola, e se l’avesse costretta in qualche modo?»
A quel punto Hajime si accorse di non essere stato l’unico a seguire la loro conversazione, perché – come se fosse stata una questione personale – Takahiro intervenne in favore dell’amico assente e ne difese la posizione con particolare forza, senza curarsi di mitigare le parole.
«Oikawa non ha bisogno di costringere proprio nessuno, fidati! Mentre tu sei qui a preoccuparti per la tua amica, probabilmente quei due stanno limonando duro in qualche posticino appartato. E chi sta meglio di loro?»
«Stanno facendo che?» strillò Arisu agghiacciata.
«Senti, coso… non mi ricordo come ti chiami.» lo rimbeccò Mikoto innervosita «Te l’hanno mai detto che sei un tamarro assurdo? Ci sono modi e modi di dire le cose!»
«Chiedo perdono! Non sono abituato a frequentare signorine di buona famiglia!» la canzonò il ragazzo.
«Mikoto-chan, non vuoi davvero attaccar briga con gli amici di Oikawa…» cercò di calmarla Arisu, tutta nervosa.
«Signorina di buona famiglia un cazzo!» ripeté Mikoto ignorandola «Mi stai sul culo da stamattina ho visto per la prima volta la tua brutta faccia, potresti farmi il piacere di non infierire con la tua lingua disgustosa?»
«La tua non mi sembra tanto meglio!»
«Non osare paragonarmi a te!»
Arisu sperava che Kaori intervenisse per calmare Mikoto prima che lanciasse una delle sue iettature più malefiche su Hanamaki, ma l’amica era rimasta inspiegabilmente impalata mentre assisteva al litigio, la bocca mezza aperta. Infine la ragazza aveva perso penosamente il duello verbale e, come previsto, aveva incrociato le braccia e borbottato qualcosa di molto cattivo che eventualmente avrebbe travolto Hanamaki nel giro di una settimana. Si era poi chiusa in un mutismo selettivo ad oltranza ed aveva trascorso il resto della serata a stare ben lontana dagli amici di Oikawa, come se puzzassero di qualcosa di estremamente rivoltante.
Pressato dalle insistenze delle ragazze, Hajime fu costretto a telefonare Oikawa ma – come Issei e Takahiro avevano legittimamente immaginato – quello non sembrava avere la minima intenzione di rispondere al telefono.
«Ci stanno dando dentro proprio di brutto…» commentò Hanamaki a voce alta, con la chiara intenzione di fare un dispetto a Mikoto, che sbuffò e si voltò dall’altra parte.
Nemmeno Megumi sembrava voler rispondere alle numerose chiamate delle amiche, soltanto quando Kaori ebbe riprovato la sesta volta, la voce di Megumi sostituì la segreteria telefonica al decimo squillo. Dopo un rapido scambio di battute, la bionda allungò il proprio cellulare, carico di ciondoli colorati e tintinnanti, ad Hajime.
«Megumi-chan dice che ha bisogno di parlare con te.»
Seppur riluttante all’idea di parlare con Sakurai, Hajime accettò il telefono con una certa ansia. Quale motivo poteva avere quell’ingrata di cercare proprio lui? Gli balenò in mente l’idea che avesse nuovamente offeso Tooru o peggio ancora, che potesse avergli fatto del male. In un attimo, fu pronto a scoppiare d’ira.
«Iwaizumi-kun, non vorrei disturbarti ma non so a chi altro chiedere aiuto. Oikawa si è sentito male dopo il giro sulle montagne russe, tu sapevi che soffriva di vertigini?»
No, non ne sapeva assolutamente nulla, lo riferì a Sakurai, adesso allarmato.
«Ha rimesso, l’ho accompagnato in bagno a rinfrescarsi un po’ ma stava ancora male. Adesso si è addormentato, ma è molto pallido.» la voce di Sakurai tradì dell’angoscia «Non so cosa fare, per favore non dirlo agli altri… se non ne sapevi nulla probabilmente non vuole che ne siate a conoscenza…»
«Vuoi che venga lì?» sussurrò mettendosi una mano davanti alla bocca perché gli altri non afferrassero le sue parole.
«Non voglio disturbarti…» si schermì Sakurai, ma la sentiva piuttosto preoccupata.
«Dove siete?»
«A destra dei bagni, c’è una panchina vicino la ruota panoramica…»
«Ho capito, sto arrivando, invento una scusa.» la rassicurò prima di riattaccare.
Restituì il telefono a Kaori e biascicò distrattamente che aveva bisogno di andare urgentemente in bagno, cercando alla men peggio di glissare tutte le domande riguardanti la breve conversazione con Sakurai. Si allontanò di corsa ripercorrendo al contrario tutta la strada che avevano fatto dopo le montagne russe, si fermò col fiatone davanti all’edificio dei bagni e guardò a destra. Tooru era sdraiato di fianco sulla panchina, non lo riconobbe subito perché volgeva le spalle alla strada, ma poggiava la testa sulle gambe di Sakurai che, ancora tesa, gli accarezzava i capelli come per rasserenarlo. Quando incrociò lo sguardo di Hajime, sbiancò e nascose la mano dietro la schiena, quasi che lui non l’avesse chiaramente colta in flagrante. Suo malgrado, gli venne da ridere.
Si avvicinò ai due e diede un’occhiata all’amico: Sakurai aveva ragione, era un po’ pallido, ma dormiva con un’espressione così beata che quasi gli riusciva difficile credere che non stesse fingendo apposta per fare un pisolino appoggiato a lei.
«Forse dovremmo svegliarlo?» propose la ragazza, nervosa.
Hajime le rivolse un sorriso cattivello, aveva un’ottima idea.
«Direi che è meglio che riposi abbastanza, e poi ci sei tu con lui. Vedrai che quando si sveglierà si sentirà meglio.»
«Ma…»
«Niente ma, Sakurai. Dopo tutto quello che gli hai combinato da quando vi siete conosciuti, rimanere qui seduta ad aspettare che si svegli mi sembra il prezzo giusto da pagare per essere stata sempre tanto sgarbata. Continua pure ad accarezzargli la testa, vedrai che quando si sveglia sarà bello pimpante, gli stai regalando la serata più bella della sua vita.»
Sakurai divenne di una divertente sfumatura di rosso.
«Non è come sembra…»
«Certo che non lo è, sei solo una ragazza molto orgogliosa, come questo qui d’altro canto. Dio li fa e il diavolo li accoppia. Stai attenta perché quando dorme sbava, io ti ho avvisata.»
«Iwaizumi-kun, non puoi rimanere con noi?» piagnucolò in ansia.
«Temo proprio di no, o gli altri verranno a cercarmi e sapranno che Oikawa soffre di vertigini… Noi non vogliamo che lo sappiano, non è così?»
La ragazza scosse il capo, ma obiettò:
«Ma anche se rimanessi solo io si insospettirebbero comunque…»
«Affatto, voglio informarti che tutti pensano che stiate pomiciando in qualche posticino romanticamente buio.»
«No, ti prego! Di’ loro che non è vero!»
«Non me lo sogno neanche, trovare un’altra scusa sarebbe faticoso. Dai, non vuoi fargli questo piccolo favore? Dopo tutto quel che ha fatto per te…»
Sakurai si nascose il viso arrossato dietro le mani. Iwaizumi mise su un sorrisetto soddisfatto e girò sui tacchi, ben felice di aver trovato un castigo adatto per le malefatte della ragazza. Probabilmente Tooru non avrebbe nemmeno mai saputo che lui fosse passato di lì, ma gli aveva appena dato una delle spintarelle migliori che un amico potesse dargli, anche se Sakurai non gli stava affatto simpatica.
Ma Tooru – si disse – ne sarebbe stato contento.

~

«Non posso essermi addormentato sul serio…» mugolò Tooru scostandosi i capelli dalla fronte. Senza aspettare la risposta, quando vide le guance rosse di Megumi e il suo viso imbarazzato, rendendosi conto della posizione beata e aurea in cui si trovava, con la faccia spalmata sulle cosce di lei, ritrattò immediatamente:
«Ti prego, dimmi che mi hai baciato!»
«Ma sei scemo? Ma come può venirti in mente una cosa del genere? Scusa ma seduta qui, come avrei dovuto contorcermi per riuscire a…. che schifo! Dopo che hai vomitato, per giunta!»
«Però mi hai accarezzato la testa!»
«Allora fingevi di dormire! Rialzati immediatamente!»
«Non fingevo, dopo un po’ mi sono addormentato veramente!»
«Be’ lo facevo per farti stare più tranquillo!» balbettò Megumi tentando di trovare una giustificazione «Ho detto, rialzati subito, maniaco che non sei altro!»
«Un altro minuto, Gumi-chan… le tue gambe sono così morbide!»
«La pianti di fare queste affermazioni da pervertito?»
«Ma se ho appena iniziato!»
«Dai, rialzati, per favore!»
«Se sto zitto posso restare ancora così? Sei stata tanto gentile finora, non rovinare tutto.»
«Ti senti ancora poco bene?» domandò nuovamente preoccupata.
«Ho ancora lo stomaco sottosopra, ma sto meglio. E poi mi spiace essermi addormentato, vista da qui sei ancora più carina. È una vista rara, vorrei godermela.»
«Se continui così penserò che sei salito sulle montagne russe con il proposito di sentirti male.»
D’improvviso Oikawa fu colto da un dubbio repentino.
«Gumi-chan, non lo avrai detto mica agli altri? Avrei voluto che non lo sapessero, che vergogna!»
Megumi fece segno di no con il capo, poi aggiunse:
«Solo Iwaizumi, gli ho chiesto di venire a vedere come stavi e lui mi ha obbligata a rimanere qui sola con te per non insospettire gli altri. So di non piacergli» continuò arrossendo di nuovo «ma hai un buon amico, a quanto pare.»
Tooru scoppiò a ridere.
«Makki e gli altri penseranno che stiamo pomiciando da quanto?»
«Un’ora e mezza.» ammise imbarazzata.
«Un’ora e mezza!» ripeté lui arrossendo a sua volta «Non hai idea di cosa avrei potuto farti in un’ora e mezza…»
«Fingerò di non aver sentito!» protestò l’altra «Cielo, non riuscirò più a guardarli in faccia!»
«Dai, guarda che posso dirgli la verità se ti tormenti tanto.» propose premuroso.
«E rivelare il tuo segreto? Non ci sto, sopporterò in silenzio, non ho fatto tutta questa fatica per nulla.»
Il ragazzo si puntellò sulle mani e si rimise seduto; la testa gli girò per un istante ma rapidamente tutto ritornò alla normalità, era ancora frastornato e sentiva ancora un po’ di nausea, ma era percorso da una piacevole corrente di felicità che faceva esplodere ogni sua cellula di emozione. Era stato fra le braccia di Megumi per un’ora e mezza ininterrotta e lei insisteva per proteggerlo dal ludibrio degli altri. Forse era meglio di quel che aveva pianificato, anche se aveva sofferto le montagne russe. E poi era troppo carina, così imbarazzata come piaceva a lui, non riusciva a smettere di ripeterselo.
«Possiamo anche non tornare subito dagli altri.» le suggerì, in vena di rischi «Possiamo fare un giro su una giostra soltanto noi due, per recuperare qualcosa. Mi dispiace averti tenuto ferma qui per tutto questo tempo…»
«Io… io vorrei veramente, ma poi cosa penseranno gli altri?» obiettò incerta.
«Gumi-chan, sono venuti tutti sapendo che il nostro era un appuntamento, anche le tue amiche. Penseranno semplicemente che qualcosa è andato a buon fine. Ti vergogni tanto di passare del tempo da sola con me?»
«Non volevo sottintendere questo» spiegò preoccupata «io sto sempre molto bene con te, riesci a svuotarmi la testa di tutti i crucci e non so nemmeno come tu possa riuscirci. Solo, non voglio prenderti in giro…»
«Non prenderla troppo sul serio: uscire insieme qualche volta non implica necessariamente che siamo una coppia o che lo saremo in futuro. A te non è ancora mai capitato, ma mi è successo molte volte di uscire con qualcuna e poi semplicemente non è andata, non c’è niente di male. Anche se ti confesso che vorrei che questa volta funzionasse, perché mi piaci davvero troppo per lasciarti andare.»
Megumi arrossì e prese a torturarsi con le dita l’orlo della giacca di jeans che era già abbastanza sdrucita per conto suo.
«Ma se non dovesse andare» la rassicurò «Non è colpa di nessuno, né mia, né tua.»
La ragazza annuì, leggermente più convinta di quanto fosse stata prima. Tooru le rivolse un sorriso e si rimise in piedi, poi le tese una mano e la invitò a fare un giro sulla ruota panoramica, proposta che Megumi rifiutò saldamente per paura che potesse sentirsi nuovamente male. Acconsentì che facessero solo una passeggiata tranquilla in mezzo alle bancarelle e, incredibilmente, accettò di tenerlo per mano.
«Solo perché temo che tu possa di nuovo sparire senza dirmi nulla.» puntualizzò guardando dall’altra parte. Tooru ridacchiò: certo — le disse — ci credeva anche lui, non aveva mai avuto il minimo dubbio che quello fosse il motivo.
Si addentrarono nuovamente nella folla della tarda serata, scansarono venditori di bibite ambulanti e bambini troppo piccoli per essere ancora in piedi: se qualche anno prima lui fosse stato in giro a quell’ora durante il periodo scolastico, sua mamma lo avrebbe accolto in casa con una ciabatta in mano. Megumi rallentò il passo davanti a un tiro a segno particolarmente vistoso, ma privo di clienti in quel momento. La proprietaria, fino ad allora intenta a lucidare i suoi fucili truccati, colse subito l’occasione di attirare la sua attenzione, come se la sua riserva di peluche colorati e adorabili non avesse già fatto il proprio incantesimo.
«Sono sicura che il tuo ragazzo sarebbe molto contento di vincertene uno!» le disse.
Ottimo – si disse – assolutamente perfetto: era sempre stato penoso con quella truffa legalizzata, su venti tiri riusciva a centrare appena tre lattine, scatenando sempre l’ilarità degli amici, figurarsi quante ne avrebbe prese dopo l’episodio delle montagne russe. Certo, il peluche lo si vinceva nel momento stesso in cui si compravano i colpi, a prescindere da quante volte si centrasse l’obiettivo, ma la figura che ne sarebbe venuta fuori sarebbe stata comunque pessima. Tuttavia era innegabile che alle ragazze quella messinscena piacesse e Megumi non doveva essere troppo diversa.
Ed invece no, quando già si stava rassegnando all’ennesima figuraccia, Megumi annunciò alla signora che avrebbe voluto giocare personalmente. La proprietaria e Tooru si scambiarono uno sguardo perplesso e lui sollevò le spalle in segno di confusione. Alla fine la ragazza centrò diciotto bersagli su venti, perfino col fucile dalla canna truccata, e ripose tutta soddisfatta l’arma sul bancone, dove la signora riprese a lucidarlo, un po’ sorpresa dalla sua mira. Le indicò la fila di peluche fra cui avrebbe potuto scegliere il suo premio e, prima ancora che finisse di parlare, Megumi richiese un maialino rosa dai grandi occhi scuri ed il faccino dolce, piccolo e tutto sommato molto carino.
«Avrei potuto prendertelo io, se lo volevi tanto...» commentò quando lei lo ebbe raggiunto giù dalla pedana del tiro a segno, fingendo di essere offeso mentre in cuor suo ringraziava il cielo che Megumi sapesse ottenere da sola quel che desiderava.
«Ma poi non avrebbe avuto senso» spiegò l’altra con un sorriso sornione e gli porse il maialino «È per te, quando siamo passati lì davanti ho pensato che ti si addicesse.»
«Ovvero sono un maiale?»
«A dirla tutta mi ricorda i maialini del tuo pigiama... Però se me lo chiedi, sì, sei anche un maiale, oggi più che mai. Mi arrabbierò se non lo accetti.»
«Gumi-chan, non funziona così agli appuntamenti!» protestò, seppur segretamente lusingato «Di solito è il ragazzo che vince un peluche per la ragazza!»
«Non può esserci un’eccezione una volta ogni tanto?»
«Un’eccezione per cui ti sei addestrata? Sei un tiratore scelto o cosa? Io non avrei fatto nemmeno la metà del tuo punteggio!»
Megumi rise, una risata bellissima.
«Mio papà mi ha sempre fatto provare il tiro a segno da quando ero piccina, non che potesse fare diversamente, dal momento che battevo i piedi ad ogni fiera estiva. Adesso lo trovo rilassante.»
Tooru non poté fare altro che accettare il pensierino, per quanto anomalo e buffo fosse e la ringraziò, ripromettendosi di ricambiarla appena possibile. Poi le strinse di nuovo la mano e proseguì la passeggiata con il cuore ricolmo di una soddisfazione tutta nuova.
Furono ovviamente presi in giro, era inevitabile.
Avevano sciolto l’intreccio delle loro dita ben lontani dalla visuale degli amici, ma non era bastato a scoraggiare le battute maliziose di Hanamaki e Matsukawa. Iwaizumi, poi, non riusciva a guardare Megumi in faccia senza resistere alla tentazione di ridere. Lei, d’altro canto, dava l’impressione di una che volesse trovarsi da tutt’altra parte. Arisu la accolse con un abbraccio vigoroso, quasi non si vedessero da anni anziché da ore, e quasi in lacrime le fece ogni tipo di domanda su come stesse, se Oikawa avesse allungato le mani e se volesse che lo picchiassero.
«Non ha fatto nulla di male, davvero.» la rassicurò imbarazzata.
«Abbiamo soltanto fatto un giro per conto nostro, l’idea della torre non ci piaceva.» si giustificò Tooru per cavare Megumi dall’impiccio.
«Se non altro non hai fatto fatto nulla di male, Oikulo!» ridacchiò Hanamaki «Una passeggiata lunga quasi tre ore, a chi vuoi darla a bere?»
Mikoto se ne stava più in disparte dal resto del gruppo: più tardi Takahiro gli spiegò che avevano avuto un alterco dal quale era uscito vincitore e che la «signorina di buona famiglia» – così come la chiamava l’amico – non aveva saputo trovare difesa migliore che starsene zitta. Eppure, a guardarla, Tooru dubitava fortemente che la perdente fosse lei: con le sopracciglia corrucciate e le labbra strette, gli metteva quasi più paura di qualsiasi creatura avessero incontrato nella Casa degli Orrori qualche ora prima. L’argomento, tuttavia, fu utile per deviare la attenzione concentratasi su Megumi, che fu nuovamente rapita dal suo drappello cinguettante per un ultimo giro su un carosello colorato e scintillante, prima di tornare a casa.
I ragazzi rimasero in attesa oltre le barriere, chiedendosi cosa ci fosse di così tanto eccitante in una giostra con dei cavalli finti ricoperti di fiocchi, gioielli e specchietti luccicanti.
«Credo di doverti ringraziare.» bisbigliò nell’orecchio di Hajime.
L’amico rise piano.
«Te l’ha detto, vero?»
«Ovvio, sia mai fosse stata una sua idea… cosa mai avrei potuto pensare di lei!» scherzò, imitando il modo di parlare di Megumi.
«Certo, chissà cosa avresti pensato!»
«Tu che cosa pensi?» gli domandò. Nei giorni precedenti si era accorto che Megumi non si trovava affatto nelle grazie del suo migliore amico, ma desiderava che fosse diretto con lui circa le ragioni per cui non la trovava meritevole di fiducia.
«Penso che tu le piaccia.» rispose con serietà «Non fare quella faccia, dico davvero! Secondo me c’è una parte di lei, non so quanto consistente, a cui tu piaci. Questo non toglie che sia una bambina capricciosa che non ha il minimo rispetto per gli altri. Oggi però poteva piantarti lì, ma è rimasta con te, spero che tu non abbia trascorso tre ore in coma su una panchina.»
Tooru schiuse le labbra per raccontare, Hajime lo zittì premendosi l’indice sulle labbra.
«Non qui» lo ammonì accennando col capo a Matsukawa e Hanamaki «Risparmiamo a Sakurai l’imbarazzo di ritornare al centro dell’attenzione, oggi si merita una tregua.»
«E l’armistizio? Pensi di concederglielo, un giorno?»
La sua domanda si perse nella musica stridula della giostra, senza speranza di risposta da parte dell’amico. Da uno splendido cavallo scuro, Megumi lo salutò di soppiatto con la mano e gli sorrise, imprevedibile e complicata come sempre. Poco prima, aveva tenuto quella stessa mano nella sua: un segreto che l’atmosfera onirica e festosa del luna park faceva sembrare soltanto una fantasia. L’ultima volta che aveva preso la sua mano, era stato quando l’aveva trascinata via da Hattori ed erano entrambi ridotti male: si trattava di un ricordo così doloroso che lo aveva quasi cancellato dalla memoria e fu ben felice di poterlo sostituire con uno molto più piacevole.
Desiderando che per lei fosse lo stesso e che, davvero – come sosteneva Hajime – fosse anche solo in minima parte interessata a lui come ragazzo, le sorrise a sua volta.


NOTE FINALI

Un capitolo un po' più leggero, che personalmente non credo sia dei migliori, ma scriverne alcune parti perlomeno è stato divertente, così come lasciare carta bianca alla parte tsunderekko di Megumi. Al di là della vicenda principale, ho seminato qualche indizio o chicca tra i paragrafi, spero di scrivere abbastanza da farvi scoprire a cosa stavo preludendo.
Vi ringrazio di cuore per tutto il seguito che Wild Card sta avendo: so che non è tantissimo, ma mi rende felice leggervi e sapere che siete con me in quest'avventura strampalata che ormai non è più soltanto mia ma anche un po' di tutti voi.
Fatemi sapere che cosa pensate di questo capitolo oppure se ci sono errori o discrepanze (scrivo da cosi tanto che potrebbe sfuggirmi qualcosa)!
Spero di scrivervi presto per il prossimo aggiornamento, un abbraccio forte!

Lyra

   
 
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