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Autore: Mariam_Nott    18/08/2009    0 recensioni
Simona ha sei anni e nonstante la sua giovane età mostra un intelletto sopra la norma,vivace e un animo profondo.I parenti più stretti non riescono a capacitarsene tanto che una serie di eventi la porteranno da una piccola cittadina ligure fino a perugia.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Innanzitutto spero vi piaccia; l'idea è nata una sera e cominciando la stesura mi sembra che possa uscirne un buon lavoro. Il titolo è una parola molto forte: infatti in inglese unique si usa per indicare qualcosa di unico è vero, ma con significato di irripetibile, per esempio definire unique un'esperienza significa definirla fantasmagorica. Spero la leggano in molti e soprattutto che abbiate la pazienza di recensire!


Prologo

 

 

All'età di sei anni mia nonna iniziò a portarmi in spiaggia con sé, spiegandomi che cominciare a stare in mezzo alla gente sarebbe stato fondamentale per abituarmi ad avere relazioni con “gli altri esseri umani”, semplice per tutti i bambini quanto difficile per me.

A settembre avrei cominciato ad andare alle elementari, scuole in cui è fondamentale instaurare rapporti con gli altri per non attirare le morbose attenzioni degli insegnanti, così preoccupati per i pargoli come se fossero costantemente in pericolo di morte; Secondo lei questa mia mancanza era data dal fatto che io fossi abituata a non avere contatti con le persone estranee, nonostante vivessi nell'albergo dei miei genitori.

Andai senza un lamento, come sempre passiva alle sgridate per scuotermi, come ai gesti d'affetto dei miei famigliari; Avevo la classica pancetta a “uovo” e guardandomi allo specchio odiai profondamente quel costumino intero di un accesissimo rosa, non solo per la protuberanza scomoda, ma soprattutto per quel colore così appariscente, così stupido.

Il sorriso che nonna mi rivolse vedendomi vicino allo specchio sarebbe stato rassicurante, se non fosse sparito in un istante alla vista del mio visino insofferente. “?” mi chiese un po' spazientita dal mio atteggiamento “sei bellissima Simona, andiamo” disse prendendomi per la mano e avviandosi verso l'uscita.

Il mio viso tornò normale non appena notai che mi stava fissando: infilai le ciabatte, il vestitino viola e la seguii tranquilla senza dar ulteriori segni di scontento.

Arrivammo in un baleno; camminai a testa bassa lungo il breve tragitto dall'albergo alla spiaggia evitando ogni contatto con nonna e con tutti coloro che mi passavano di fianco ridanciani e felici. Osservandoli con blando interesse scoprii che non mi interessava assolutamente di loro e della loro felicità, era tutto molto estraneo, strano e diverso.

In spiaggia con riluttanza mal celata mi tolsi il vestitino e lo riposi con cura sopra alla borsa della nonna, posandovi vicino anche le ciabatte.

Con attenzione mi guardai intorno alla ricerca di un posto tranquillo dove andare a mettermi per osservare il mare e rilassarmi; dopo pochi istanti di ricerca trovai un posto perfetto:uno scoglio piuttosto basso incuneato tra altri due decisamente più alti e più sporgenti che lo rendevano piuttosto riparato. Il sole non filtrava e io riuscivo, tenendo le gambe incrociate, a stare comoda, all'ombra e soprattutto invisibile dalla spiaggia dietro di me.

Guardai un istante mia nonna che si era già appisolata sotto il sole, e mi diressi velocemente verso la mia meta a testa bassa, silenziosa, sperando che lei si svegliasse solo al mio ritorno; Mi sedetti all'ombra guardando il mare con  i suoi riflessi dorati, perdendomi nell'ipnotico movimento dell'acqua, ragionando fredda e calcolatrice sul perchè mi sentissi così diversa dagli altri e non condividessi quella gioia a loro tanto famigliare.

Entrai quasi in trance finchè l'esclamazione “è qui!” urlata con tono sollevato da un uomo che non conoscevo, mi fece sobbalzare e mi permise di tornare alla realtà. Due mani grandi, bollenti e sconosciute mi sollevarono dal mio “rifugio” io diventai rossa dalla vergogna e non lo guardai nemmeno in faccia.

Mia nonna era accorsa visibilmente preoccupata, e guardandola da lontano pensai in un momento che la morte la stava distruggendo, divorandola con una velocità a dir poco impressionante: che la sua morte sia vicina? Mi domandai curiosa.

Lei doveva essersi accorta della maturità del ragionamento che si era formato nella mia mente in quel momento e che, con tutta probabilità, aveva conferito al mio sguardo una nota adulta e fredda impossibile da immaginare in una bimba della mia età; infatti proprio in quel momento lo stupore si dipinse nei suoi occhi, i quali si velarono celando la sua incertezza.

In quell'istante, bloccata, con la bocca socchiusa, mi disse:”tu nono puoi avere solo 5 anni..tu non puoi essere una bimba...non sei normale...” il suo era quasi un borbottio, che però non sfuggì agli occhi attenti dell'uomo che aveva appena abbandonato la sua presa ferrea sui miei fianchi; egli infatti puntò la donna con odio sibilando “come può dire ciò?” immediatamente prese il telefono, la mia mano sinistra e si diresse al bar con fare autoritario.

La donna, rimasta scioccata dalla situazione e probabilmente da quell'affermazione così spontanea eppure così innaturale, rimase ferma restando passiva in quella situazione dove solo lei mi avrebbe potuto salvare, evitandomi questo futuro.

Ora sono qui su un giaciglio di ferro arrugginito, in una stanza piccola, angusta con le pareti scrostate; intorno a me solo una finestra che dà sulla strada, una porta di legno graffiata e un armadio a due ante vecchio e distrutto; Sono passati 10 anni da quell'evento e chiusa qui in un orfanotrofio lontano dal mare, in Umbria, a Perugia.

Indosso solo uno straccio liso, di un colore neutro a coprire le mie forme ormai sempre più vicine a quelle di una donna. Si può spiegare in due parole come finì quel giorno disastroso: l'uomo si chiamava Marco Giannese era un famosissimo psicologo che, vista la scena, immaginò chissà quali abusi psicologici nei miei confronti da parte dei miei parenti più stretti, così chiamo i servizi sociali; dopo svariati colloqui con lui e dei suoi colleghi stabilirono che i miei genitori nonché i miei nonni dovessero starmi lontano e, per assicurarsi che l'imposizione venisse rispettata, gli tolsero ogni diritto su di me chiudendomi in questo buco in'attesa di un'altra famiglia che mi trattasse come dovuto.

In dieci anni sono state molte le visite che ho ricevuto, ma nessuna famiglia ha visto in me ciò che cercava, forse una figlia adottiva come me non era una proposta allettante o forse il loro ideale di figlia era un'altro; non ne ho idea.

Onestamente sono più di due anni che non ricevo una richiesta o una visita, di conseguenza avevo perso, fino a ieri, le speranze di trovare una famiglia; invece oggi una famiglia viene a vedermi e a quanto pare hanno chiesto esplicitamente di me.

Sono curiosa di sapere il perchè di questa richiesta, ma soprattutto di vedere come sono e se mi tireranno fuori da questo buco.

 

 

Mi alzo di scatto appena la direttrice con un tentativo di sorriso viene a chiamarmi.

“Vieni ti sta aspettando nel mio ufficio” ordina dura tornando impassibile e seria come di consueto.

“subito signora direttrice” rispondo con un cenno del capo.

Ci avviamo per il corridoio con gli sguardi degli altri bimbi invidiosi puntati addosso; arrivo e di scatto abbasso la testa, come un automatismo, nello sciocco e involontario tentativo di non mostrare il mio viso sempre maledettamente serio, con le fattezze delicate e lo sguardo distaccato, calcolatore e cupo di chi come me, non ha più speranze nel futuro; quel futuro che mi sono negata di sognare, guardando con attenzione la realtà che mi circonda.

“Alza la testa, non voglio parlare con chi non mi mostra il viso” disse l'uomo calzandosi per venirmi incontro.

La alzo di scatto, quasi sfidandolo; lo guardo negli occhi e vedo uno sguardo intenso e carico di interesse che non molla un secondo i miei occhi...proprio l'ultima cosa che desidero guardi, eppure mi fissa a lungo, o meglio così credo sul momento.

Distoglie lo sguardo e mi sento svuotata: non mi adotterà. L'affermazione mi scivola addosso, perchè la mia sensazione interiore è un'altra: lo farà.

L'ho letto nei suoi occhi verdi e intensi; mi sembra di averli visti per una vita, forse li vedrò per il resto della mia vita...il pensiero mi fa sorridere in modo sincero e beato, come forse non ho mai fatto in vita mia.

Torno immediata mente seria: non posso cominciare a festeggiare prima del tempo.

Parliamo molto, un'ora e mezza stando all'orologio che la direttrice ha nel suo ufficio pomposo, torno nella mia camera che ora mi sembra molto più squallida e insulsa che mai.

L'indomani sarebbe tornato a prendermi.

Solo il pensiero mi dava un'energia e una carica indescrivibile.

Lui era la mia libertà.

Sarebbe diventata la mia vita.

Alto, muscoloso, non saprei dargli un'età precisa anche se non deve essere poi troppo più vecchio di me...Gli occhi verdi, con una venatura gialla, profondi e penetranti illuminano il viso affilato.

Nel tutto c'è qualcosa di ammaliante ed enigmatico insieme; I gesti, fluidi e misurati, così come ogni sua singola parola.

Passo la giornata, nonché la nottata a pensare a lui: a Stefano.

Il mattino mi alzo piena di entusiasmo ed energia nonostante la notte insonne. Non preparo nessuna valigia: indosso l'unico abito che si possa definire tale e lascio lì tutto il resto, in fondo non ho bisogno di nessun ricordo: dieci anni non si dimenticano facilmente, soprattutto se passati tra solitudine e dolore.

Mi stendo sul letto cercando di controllare il respiro irregolare per l'eccitazione e l'ansia; intanto tendo l'orecchio sperando di udire i passi della direttrice.

Un passo leggero ed estraneo si avvicina alla mia porta.

Tento di concentrarmi ulteriormente, ma in un secondo ecco che entra con eleganza lui:Stefano.

Sgrano gli occhi per la sorpresa.

Un sorriso schietto.

“Andiamo” mi dice invitandomi ad uscire.

Mi alzo di scatto e in un baleno esco da quella camera, senza voltarmi prendo il corridoio quasi correndo. Basta orfanotrofi, basta diffidenza, basta solitudine.

Arrivo all'uscita velocemente metto le mani sul ferro del cancello e quel freddo contatto mi fa rabbrividire.

No, non è quello.

Mi volto e guardo Stefano venirmi incontro con un sorriso: ci sarà tempo per ogni spiegazione, ci sarà tempo per ogni cosa.

Ora, ci siamo solo io e la libertà.

Io e le prospettive di una nuova vita che mi attende.

Io e i desideri, le paure e i sogni di un futuro che merito e che mi aspetta là fuori.

Oltre il cancello.

Oltre le costrizioni della mia mente.

Oltre ogni cosa, sensazione e dolore che ho patito nel passato e che, so bene, mi aspettano lì fuori alternati ai momenti di gioia e felicità che devo ancora vivere.



Spazietto autrice


bene, Eccovi il prologo, spero sia sufficente a intrigarvi! Spero recensiate, sono molto curiosa di sentire che ne pensate!

 

  
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