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Autore: Genziana_91    23/09/2020    5 recensioni
L'iscrizione sulla statua del famoso Guerriero di Capestrano (VI secolo a.C.) riporta: "Aninis mi fece fare, bella statua, per il re Nevio Pompuledio". Chi era Nevio Pompuledio? Come è diventato re? E di chi è la altrettanto enigmatica statua che lo accompagna, la Signora di Capestrano?
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Antichità
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Un ululato riecheggiò nel grigiore della valle, si insinuò con il vento freddo tra i tumuli coperti di erba secca e nevischio e giunse a Vesullia. Il funerale era finito da un po’, ma la ragazza continuava a fissare il cippo innalzato di fresco sulla tomba di Vetilla. La terra bianca e appena smossa la ipnotizzava, un doloroso promemoria dal quale non riusciva a staccare lo sguardo. Dopo un’eternità, chiuse gli occhi e lo sentì. Chiaro come una voce, il gorgoglio sommesso del fiume Ombro la chiamò a sé. Lo seguì ancora più a valle, tra le basse colline e i rivoli di acqua che sgorgavano ovunque ai piedi di Aufino. Si inoltrò nel bosco, tra le querce sacre al fiume e agli spiriti che lo abitavano, e li sentì radunarsi attorno a sé. Le chiome brune degli alberi la proteggevano dal nevischio mentre il sentiero la portava sempre più giù, dove le acque si stringevano in una piccola gola.

Da piccoli, lei e Nevio avevano giocato spesso in quei boschi, ma solo una volta si erano spinti fino a quella strettoia, dove l’acqua ribolliva bianca e creava nuvole di goccioline. Era stato qualche settimana dopo la morte della madre. Che le persone morissero non era strano. La morte era sempre agli angoli del visibile, un’ombra che colpiva senza preavviso e senza uno schema: non aveva senso temerla né considerarla ingiusta. La morte di Statia era stata improvvisa e senza una causa evidente, aveva semplicemente smesso di respirare. Quel giorno nella gola, però, i due bambini se l’erano trovata di fronte, giovane e austera come l’avevano vista sul letto funebre. La collana di ambra e vetro le cadeva elegante sul petto, proprio come Vesullia stessa l’aveva disposta qualche settimana prima. La donna aveva solo sorriso, agitando lieve la mano, poi era scomparsa. Da allora né Vesullia né il gemello avevano più messo piede tra quelle rocce chiare e levigate dall’acqua.
 
Quella mattina di inizio inverno, però, la ragazza aveva sentito di nuovo gli spiriti chiamare. L’anziana sacerdotessa l’avrebbe messa in guardia e forse le avrebbe impedito si seguirli, ma Vesullia non poteva ignorarli, lo sapeva visceralmente. Giunse infine sulle rive dell’Ombro, largo meno di tre passi in quel punto, e si inginocchiò sulla terra bruna e scivolosa. Allora, il vento soffiò più forte tra gli alberi e il fruscio delle foglie secche cantò la sua oscura canzone.
Vesullia lo vide con la chiarezza della mente, mentre le mani affondavano disperate nel muschio morbido e umido: un giovane toro bicefalo in una lotta furiosa con un toro adulto, corna contro corna in una battaglia primordiale e senza tempo. Poteva sentire vividamente i tonfi dei palchi incastrati l’uno a l’altro, i muggiti feroci, gli zoccoli impetuosi al suolo. Poi all’improvviso un’ombra scura li avvolse in un abbraccio freddo e soffocante, una stretta letale che li costrinse avvinghiati. Quando l’oscurità davanti a lei si dipanò, il toro bicefalo giaceva a terra ferito e morente, le sue teste divise, il corpo tranciato a metà.
Aprì gli occhi con foga e sentì il cuore battere furioso contro il petto. Attorno a lei, il gorgoglio del fiume e il mormorio del vento la rassicurarono ma non cancellarono quell’opprimente sensazione di angoscia avvinghiata allo stomaco. Guardò il cielo e oltre la corona dei rami vide grandi nuvole cariche di neve traboccare dalle creste dei monti al limitare della valle. Il cuore le si strinse. Inspirò l’odore del sottobosco gelato, del muschio e della neve che da qualche parte più a monte già scendeva copiosa, e prese la sua decisione.

Poche ore dopo, quando la luce del giorno era ormai morente dietro le cime più alte, Vesullia sgusciò tra le prime ombre. Indossava abiti comodi e un occhio disattento avrebbe potuto scambiarla per una versione sbarbata di suo fratello. Non si diede pena di avvertire suo padre. Non avrebbe capito. Scese a valle, mimetizzandosi fra gli ultimi aufinati che si attardavano a casa, poi prese il sentiero che portava a nord, verso le grandi montagne. Sentì su di sé lo sguardo severo del Padre Fiscu e quello preoccupato della Madre Maja e chiese agli spiriti che proteggessero Nevio e che lo tenessero lontano dalla foresta.

Rabbrividì, sapendo in cuor suo che le sue preghiere erano vane.
   
 
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