Storia partecipante al challenge "Just stop for a minute and smile" di Soul_Shine, col pormpt #12: Stavamo giusto parlando di te!
C’era una sola cosa che
Eliot amasse, e quella era la sua macchina. La sua
Dodge era il suo tesoro, e nessuno poteva permettersi di toccarla,
specie senza
il suo consenso - e questo valeva anche per le belle donne.
“Ti spiace?”
Chiese, alzando un sopracciglio, schiarendosi la gola e facendo
sobbalzare la ragazza che stava sfiorando la carrozzeria
rosso-aranciato del suo
gioiellino, che si voltò di scatto, sbiancando.
“Tranquilla, bambina, non
mordo.”
Gli era venuta istintivo chiamarla
“bambina”, perché dava l’aria
di essere
sì e no una teenager, con le scarpe da ginnastica, i jeans
neri strappati e una
vecchia maglietta dell’Hard Rock Caffè, che aveva
visto tempi migliori. E
a “bambina” aveva ancora una mano sulla sua
macchina.
“Cos’è,
una SRT-8 del 2008?” Chiese lei, mordendosi le labbra, e
cercando
di guardare all’interno del veicolo, oltre i vetri oscurati. “un…
381 cavalli, direi. Non male. Non ce ne
sono parecchie in giro.”
“Sì…”
Eliot, lievemente seccato, prese il fazzoletto che teneva in tasca, e
pulì la carrozzeria dalle impronte digitali, dopo aver fatto
sciò alla “bambina”,
che però non sembrava voler andarsene. “Ho fatto
un grosso favore ad un amico.”
“Beh, sei fortunato,
allora… poteva andarti peggio. Io quando faccio favori
agli amici è già tanto se si ricordano di
bagnarmi le piante quando sono in
viaggio. Dì un po’, hai mai provato una
Hellcat?” Gli chiese, a braccia
conserte, appoggiata alla macchina, senza mai togliergli gli occhi di
dosso,
neanche non sapesse se mangiarsi la macchina o lui. “Una
volta ho fatto un giro
su pista. 707 cavalli di potenza grazie ad un compressore volumetrico,
capace
di passare da zero a cento in poco più di due secondi. Il
motore rombava che
era un piacere. Anche se il risultato non è male nemmeno
modificando una RT del
1973. La loro linea aerodinamica si presta all’alta
velocità, e comunque 425
cavalli non sono male.”
Eliot la guardò,
curioso. Se non fosse stato che dava l’aria davvero troppo giovane per lui, e che aveva ben
poco di femminile, sarebbe stata, beh, perfetta
per lui. Donne e motori erano un connubio a dir poco
perfetto, per quel che
lo riguardava.
“Non se ne vedono tante
di ragazze che se ne intendono di motori….” Le
disse, facendole un mezzo sorriso, e lei scoppiò a ridere di
gusto. “Ho detto
qualcosa di divertente?”
“Mi fa strano quando la
gente mi chiama ragazza,” ammise, facendogli
l’occhiolino.
“Ho quasi trent’anni.”
“Non si direbbe. Sembri
una ragazzina.” Lei non seppe il perché, ma lo
disse quasi come fosse un insulto.
La
fece… bollire di rabbia. Sembrava essere accondiscendente.
Averle detto che era
una bimbetta che non aveva attrattive.
Uomini. Alzò gli occhi al
cielo, sbuffando,
arrossendo lievemente, seccata dal fatto che lui fosse così
dannatamente sexy,
con quell’aria ruvida, la voce profonda, gli occhi blu e
quella criniera di
capelli castani lunghi fino alle spalle che teneva raccolti in una
coda.
Lui, intanto, aveva aperto il
cofano della macchina, e si era messo a
lavorare al motore, attento, e lei si fermò alle sue spalle,
e non poté fare a
meno di notare una cosa: aveva delle belle mani- ruvide, forti,
muscolose,
callose. Di chi lavorava usandole. Eppure, ogni suo movimento appariva
studiato, e sembrava come ricolmo di grazia ed eleganza.
Sorrise. Quel tizio era una
contraddizione vivente (con un discreto
fondoschiena).
“Hai finito di
fissarmi?” Le chiese, senza smettere di smanettare sul
motore. “Insomma, avrai una vita, no? Casa, lavoro,
famiglia…”
“In realtà,
la mia famiglia si trasferisce di continuo per lavoro, quindi
non ho una vera e propria casa.” Si appoggiò alla
macchina, tamburellando con
le dita sulla lucida carrozzeria tirata a nuovo. “E
tecnicamente, io lavoro
qui.”
Eliot alzò un
sopracciglio. “Una nuova cameriera?” La rossa non
gliene
aveva parlato. Di certo, non aveva ancora iniziato, o lui se ne sarebbe
ricordato- lui conosceva molto intimamente tutte le ragazze che avevano
lavorato
nel locale.
“Oh, Eliot, eccoti
qui!” Eliot vide Nathan uscire dal bar, con passo scattante,
eccitato all’idea del nuovo piano che avrebbero messo in
atto, e dal fatto che
avrebbe conosciuto uno dei suoi miti, Albert, un grande ladro che in
quanto a
bravura faceva a gara col padre di Parker, e il fantomatico
“chimico”, un genio
che era stato in grado di realizzare un falso Van Gogh usando un
pigmento
giallo ad alta instabilità molecolare perché
apparisse autentico. Riuscendo
pure a convincere un esperto a prima vista. Non che ad Eliot importasse
molto.
Un altro cervellone in squadra voleva dire un altro tipo a cui fare da
baby-sitter.
“Ah,
vedo che vi siete giù
conosciuti! Bene, avevo giusto appena parlato di te ad
Eliot… non perdiamo
tempo e andiamo, abbiamo un mucchio di cose a cui pensare!”
Mentre entrava nel palazzo dietro
a Nathan, Eliot richiuse con delicatezza
il cofano della sua macchina, e guardò la ragazzina, che si
voltò a guardarlo,
col sorriso sulle labbra.
“Tu non sei una
cameriera, vero?” Le gridò dietro, e lei si
voltò, continuando
a camminare verso la porta.
“Rebecca,” gli
disse, “Chiamami Becks!”
“Becks,”
fischiettò, una volta che lei fu dentro, lontana da occhi e
orecchi indiscreti. “Non so perché, ma mi sa che
rimarrai nei paraggi molto a
lungo…”