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Autore: heliodor    24/09/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Varnado
 
Piegato in due vicino al ciglio della strada, Ros rigettò quello che restava della colazione consumata quella mattina.
Era la terza volta che i conati di vomito lo costringevano a fermarsi, la gola gli bruciava e iniziava a preoccuparsi delle occhiate che i passanti gli lanciavano.
La maggior parte di esse erano divertite o disgustate, altre sembravano volerlo compatire.
Ecco, guardatemi pure, pensò. Non mi importa se ridete di me. Non mi è mai importato.
“Prima volta a Ferrador?” gli chiese un passante. Sfoggiava un sorriso pieno di buchi ed era vestito con una tunica logora che lasciava intravedere la pelle macchiata di sporcizia. E l’odore non era migliore di quello che lo aveva aggredito entrando in città.
Si ritrovò ad annuire con la testa piegata in avanti. “Sì” disse con la bocca impastata dal suo stesso vomito.
L’uomo rise. “Fa questo effetto su molti. Parlo dell’aria. E le fogne non sono meglio. Lo so bene perché ci vivo. È un buon posto, se non ti danno fastidio i topi e gli scarafaggi.”
Mi sta offrendo un posto dove dormire? Si chiese inorridito.
“Grazie” disse. “Lo terrò a mente.”
“Io mi chiamo Deff” disse l’uomo porgendogli la mano.
Ros si limitò a sfiorarla. “Piacere di conoscerti. Io sono Ros.”
“Vieni da lontano?”
“Cambolt.”
“Mai sentita. Io sono di qui. Di Ferrador, voglio dire. Non ho mai visto l’esterno, se non un paio di volte.”
“Davvero vivi nelle fogne?”
“Certo” rispose Deff come se fosse una cosa normale.
Ros scosse la testa. “Se sei di qui, sapresti dirmi come arrivare all’accademia?”
“Parli del posto dove vivono gli eruditi?”
Annuì con vigore.
“È facile.”
Ros rimase in attesa, mentre l’altro si limitò a fissarlo con un sorriso.
“La sai o no la strada?” chiese spazientito.
Deff continuò a sorridergli.
C’era una frase che amava ripetere suo padre. “Ci sono tre modi per comprare le persone. Uno di questi è il denaro.”
Ros infilò la mano nelle tasche della tunica e ne trasse una moneta d’argento. La mostrò a Deff.
Gli occhi del mendicante sembrarono brillare. “Ora ricordo” disse.
Ros gli allungò la moneta e lui l’afferrò nascondendola in una tasca della tunica sudicia.
“Devi seguire questa strada” disse. “E poi svoltare a sinistra quando arrivi alla Piazza della Vittoria. La riconoscerai per la statua del Cavaliere Calvo.”
“Cavaliere Calvo?” chiese Ros.
Poco prima di lasciare Cambolt aveva cercato dei libri che parlassero di Ferrador e la sua storia recente, ma non ne aveva trovati molti. Non era il tipo di mercanzia che suo padre amava trattare e non c’erano veri librai al villaggio.
Per quanto ne sapeva, la biblioteca più vicina doveva trovarsi a Ferrador, se quella puzzolente città ne aveva una.
“Poi devi scendere le scale, seguire i giardini reali mantenendo la destra o le guardie potrebbero malmenarti” continuò Deff. “Passare per la via dei mercati e attraversare il quartiere dei templi, ma facendo attenzione a non sconfinare nel territorio di qualche banda. Ce ne son parecchie e tutte gelose del territorio. Potrebbero chiederti una tassa per passare, ma visto che hai le monete per pagare…”
“Non puoi accompagnarmi tu? Sembra complicato.”
“Accompagnarti?” fece Deff indeciso. “Non so se le mie povere gambe possono reggere.”
Ros annuì e gli mostrò un’altra moneta d’argento.
Deff allungò le mani ma lui scattò indietro.
“Te la darò quando raggiugeremo l’accademia.”
Deff sembrò rifletterci, poi disse: “D’accordo, ma me ne darai due.”
Te ne darei mille se servisse a far sparire questa terribile puzza. “D’accordo. Mostrami la strada.”
Deff lo scortò attraverso i vicoli e le stradine di Ferrador, tra cumuli di immondizia che veniva gettata in strada dai livelli superiori delle case a una piccola fila di orti e campi che sembrava sorgere proprio in mezzo all’abitato. C’erano anche delle stie per i volatili e udì il muggire di una mucca, anche se non aveva idea dove si trovasse.
“Sai per caso chi è Varnado?”
Deff scosse la testa con vigore. “Mai sentito prima. È un tuo amico?”
“No. Forse. Non lo so con certezza.”
Deff scrollò le spalle.
“Lo sai e vuoi una moneta per dirmelo?”
L’uomo scosse la testa. “Non lo so, mi spiace.”
Se lo avesse saputo si sarebbe fatto pagare, pensò Ros. O avrebbe potuto prendere la moneta e dirmi una sciocchezza qualsiasi. O forse ha creduto che volessi metterlo alla prova?
“È lì” disse Deff fermandosi al limitare di una piazza quadrata. La sua mano indicò un edificio su cinque o sei livelli, tutti di pietra, che volgeva una facciata di pietra grigia e rugosa verso la piazza.
Non c’erano insegne o bandiere e un pesante portone chiudeva l’entrata ad arco alta quanto una decina di uomini adulti. In una delle ante di questo si apriva una porticina più piccola.
“Sicuro che sia questo il posto?” chiese diffidente.
Deff annuì con vigore.
“Voglio fidarmi.” Prese due monete d’argento e le passò all’uomo.
“Sei molto generoso” disse Deff.
Generoso fa rima con stupido, direbbe mio padre, pensò triste.
“Devi stare attento” disse il mendicante.
Ros si accigliò.
“Non è saggio farsi vedere in giro con tanti soldi in tasca, qui a Ferrador. Qualcuno potrebbe pensare che tu sia ricco.”
“Ti assicuro che non lo sono” si affrettò a dire. “E quelle che ti ho dato erano le ultime rimaste.”
Ne aveva ancora un centinaio in verità. Una parte di quelle che suo padre era stato ben lieto di dargli perché partisse per Ferrador sparendo dalla sua vista.
Non gli aveva nemmeno spiegato come erano andate le cose. A Myron Chernin quella sola notizia lo aveva reso felice e generoso, tanto che aveva pagato di tasca propria il mercante che lo aveva accolto nella sua carovana, permettendogli di raggiungere la città in sicurezza.
Deff si limitò a sorridere e annuire. “Allora io ti saluto, Rosen” disse allontanandosi.
Rimase a fissarlo per qualche istante, poi se ne dimenticò concentrandosi sul palazzo dell’accademia.
Ros si avvicinò all’entrata, dove due guerrieri in armatura smaltata di bianco osservavano la piazza con espressione impassibile. Entrambi portavano la spada sul fianco destro e uno scudo rotondo legato alla schiena.
“Chiedo scusa” disse dopo essersi schiarito la gola.
Uno dei guerrieri aveva lineamenti dolci e lunghi capelli castani raccolti in una treccia. Lo guardò con espressione infastidita, come se avesse visto uno scarafaggio che gli si era avvicinato troppo.
“Che cosa vuoi?”
Aveva pensato a lungo alle parole da dire una volta arrivato all’accademia, da lunghi discorsi pieni di termini complicati a brevi e semplici frasi di circostanza, ma le aveva scartate tutte in favore della verità.
Ecco, aveva pensato. Una volta lì mi basterà dire la verità, pura e semplice.
“Sono atteso da una persona” disse cercando di tenere dritta la schiena.
“Chi?”
“Un erudito di nome Varnado.”
La guardia si accigliò. “Mai sentito prima.”
“Mi ha dato lui appuntamento qui” disse. “Ho la sua lettera.” Mostrò alla guardia la pergamena trovata nella stanza della locanda. “Vedi? È firmata da Varnado in persona.”
La guardia diede una rapida occhiata. “Potresti averla firmata tu.”
Ros sentì la tensione crescere. “Non è vero” disse indignato. “Non farei mai una cosa del genere.”
La guardia si limitò a fissarlo senza tradire alcuna espressione. “Io non ti conosco.”
“È vero, ma che motivo avrei di mentire su una cosa del genere? Se potessi parlare con Varnado o un altro erudito…”
“Sono molto impegnati.”
“Posso aspettare.”
“Attenderai a lungo, visto che non ricevono nessuno.”
Ros ebbe un tuffo al cuore. “Perché?”
“Che vuoi che ne sappia io? Ordini del decano. Le porte dell’accademia resteranno chiuse fino a suo ordine.”
“Ma io devo vedere Varnado.”
“Lo vedrai quando le porte riapriranno.”
“Quando?”
“Quando il decano ordinerà che vengano aperte.”
Ros annaspò alla ricerca di una risposta. “Ma potrebbero volerci intere Lune. Non posso attendere tanto.”
La guardia si strinse nelle spalle.
Ci fu uno scatto metallico che lo fece trasalire. Il rumore proveniva dalla porticina ricavata nel portone grande, che in quel momento si stava aprendo verso l’interno.
Una figura minuta vestita con un saio grigio, si affacciò con espressione contrariata. “Che succede qui?” chiese rivolto alle guardie. “Perché state facendo tanto rumore? Ci serve silenzio per i nostri studi.”
“Ti chiedo perdono” disse la guardia. “Non era nostra intenzione disturbarvi.”
L’erudito guardò Ros. “E lui chi è? È lui che sta facendo tanto baccano?”
Ros era sicuro di non aver fatto tutto quel rumore ma in quel momento non voleva contrariare di più l’erudito.
“Lo stavo appunto cacciando via” disse la guardia.
“Mi chiamo Rosen Chernin” disse Ros. “E ho qui una lettera di invito da parte di un vostro erudito.”
L’altro si accigliò. “Lettera di invito?”
Ros annuì con vigore.
“Sono intere Lune che non ne inviamo.”
“Ma io ne ho qui una.”
“Ascolta ragazzo…”
“È firmata.”
L’erudito si accigliò. “Da parte di chi?”
“Varnado. Lo conosci?”
“Fammela leggere” disse l’erudito allungando la mano.
Ros gliela porse e l’altro quasi gliela strappò di mano.
L’erudito diede una veloce scorsa alla pergamena, gli occhi ridotti a due fessure. “Se ti lascio vedere Varnado la smetterai di fare tanto rumore?”
“Sì” esclamò Ros con entusiasmo. “Lo prometto sul mio onore.”
L’erudito annuì grave. “Vieni” disse facendosi da parte per lasciarlo entrare.
Oltre la porticina si apriva una corte racchiusa tra tre ali dello stesso edificio che si intravedeva da fuori. C’erano aiole piene di fiori rinsecchiti che formavano una scacchiera con il pavimento di pietra marrone e grigia. Un colonnato correva lungo i due lati della corte fino alla parte centrale dell’edificio, dove si apriva un portone di forma rettangolare.
“Svelto” disse l’erudito guidandolo sotto il colonnato di destra. “Non fare rumore. Non dire una parola se non te lo dico e non parlare con nessuno. E cerca di non toccare niente.”
Ros annuì deciso. In quel momento aveva pensieri solo per Varnado.
Sto per incontrarlo, si disse. Chissà se sarà sorpreso nel vedermi comparire di fronte a lui dopo questo lungo viaggio. Chissà che aspettò ha.
L’erudito indicò una porta laterale che si apriva nell’ala destra dell’edificio. “Da questa parte” sussurrò.
Ros lo seguì senza esitare, ritrovandosi in un corridoio stretto e buio che affondava nelle viscere dell’edificio. C’era odore di pietra levigata e legno marcio nell’aria, ma dopo il tanfo di Ferrador lo trovava consolante per le sue narici.
Un giorno mi abituerò a questo odore, pensò con una punta di orgoglio e soddisfazione. Oggi per me inizia una nuova vita.
Il corridoio terminava con un’uscita di forma rettangolare, oltre la quale c’era una spianata di terra battuta racchiusa da mura di pietra grigia e marrone.
L’erudito puntò senza esitare verso una baracca di legno sostenuta da una dozzina di pali infissi nel terreno.
Ros si accigliò. “È qui che vive Varnado?”
L’erudito gli scoccò un’occhiataccia. “Non ti avevo detto di non parlare?”
“Chiedo perdono” sussurrò imbarazzato.
“Comunque, la risposta è sì. È qui che Varnado vive di solito, quando non è fuori per qualche lavoro o commissione importante.”
Deve essere molto impegnato, pensò Ros.
L’erudito si fermò davanti alla baracca di legno, dove un uomo vestito con una tunica color marrone stava sistemando delle balle di fieno in un angolo.
“Kolas” disse l’erudito.
L’uomo mise giù il forcone. “Maestro Namalir” rispose con tono deferente. “Come mai qui?”
“Questo giovane vuole vedere Varnado.”
Kolas si accigliò. “Per quale motivo?”
“Mi ha scritto una lettera” disse Ros.
Kolas scosse la testa e guardò Namalir. “Il ragazzo ha preso una botta in testa, maestro?”
Namalir si accigliò. “Ti assicuro che è serio, Kolas. Portalo da Varnado e chiudiamo in fretta questa faccenda.”
“Come desideri.” Kolas indicò a Ros l’ingresso della baracca. “Vieni con me.”
Ros lo seguì con riluttanza. L’interno della baracca puzzava si sterco e di sudore di animale.
“Varnado vive qui?”
“Da quasi quindici anni ormai” rispose Kolas.
“Tu sei un suo assistente? Un apprendista?” chiese Ros.
Nel caso lo fosse stato, voleva fare subito amicizia con lui e mostrarsi cordiale poteva essere un buon inizio.
“Più che altro, mi occupo che stia bene.”
Ros ebbe un tuffo al cuore. “Varnado è malato?”
“Per fortuna no” disse Kolas. “Ma un paio di anni fa ebbe un problema ai denti. Le notti che mi ha fatto passare sveglio quando si lamentava.” Scosse la testa affranto.
“Mi spiace. Deve essere stato terribile.”
“Per lui di sicuro, ma adesso è guarito e sta bene.”
“Ne sono felice.”
Kolas si fermò davanti a un recinto. “Ecco, siamo arrivati. Varnado è qui dentro.”
Ros si accigliò. “Lui vive qui?”
“Sì.”
“Nel senso che ci passa quasi tutto il tempo?”
“Sì. Questo è il posto dove passa tutto il tempo, quando non è impegnato in qualche lavoro.”
“E adesso è qui?”
“Sì, te l’ho detto.” Kolas appoggiò una mano sul cancelletto di legno che chiudeva il recinto e lo aprì verso l’interno.
Ros fece un passo in avanti e si sporse per guardare. Al centro del recinto, su di un letto di paglia e fieno, due occhi grandi e tristi e un muso lungo lo fissarono annoiati.
“Lui è Varnado” disse Kolas con tono allegro.
L’asino emise un raglio sommesso.

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