Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: alis_dayo    25/09/2020    0 recensioni
«Avevo sempre avuto la verità davanti ai miei occhi, ma avevo deciso di ignorarla. Questo mondo è crudele»
Mikasa aveva scelto di essere forte, di abbandonare tutte le sue paure con l'unico scopo di proteggere Eren, la sua famiglia. Eppure, il senso di solitudine la lacerava dall'interno. Mikasa non capiva, o forse semplicemente ignorava che l'unica persona che potesse realmente capirla fosse Levi.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L'alba, pallida e fredda, spaccata qua e là in blocchi rosei, dava il benvenuto alla prime luci del mattino. Mikasa, avvolta nel calore della sciarpa, si lasciò incantare da quell'etereo spettacolo che di tanto in tanto la natura offriva. L'agitazione e lo sconforto della notte insonne appena passata lasciò il posto ad una pace fredda, simile a quel mattino, limpido e muto, col cielo tempestato da pennellate di colori tenui. 

Un eco di voci lontane provenienti da diverse direzioni diede definitivamente inizio alla giornata. La corvina si voltò in direzione di Sasha, sua compagna di stanza, soffocando un sorriso divertito quando vide al lato della sua bocca goccioline di saliva scendere. Passati diversi minuti decise che era arrivato il momento di svegliarla, «Sasha, è mattina, svegliati», l'unica risposta fu un mugolio infastidito. Mikasa indossò i soliti abiti, una camicia bianca e un pantalone del medesimo colore, e, prima di uscire dalla camera, cercò, fallendo ancora una volta, di svegliare Sasha. 

Passo dopo passo ripercorse lo stesso identico e lungo percorso della notte precedente fino ad arrivare ad un bivio. Il suo corpo voltò a destra mentre il suo sguardo, soltanto per pochi secondi, scivolò nella parte opposta, in quel corridoio ancora troppo poco illuminato, lasciando che la mente tornasse al profilo severo e allo sguardo freddo del Capitano posato sulla sua figura. 

Il vociare confuso proveniente dalla mensa la destò dai suoi pensieri, era buffo come fino a qualche settimana prima quella mensa era il ritrovo di sole nove persone, gli unici sopravvissuti agli avvenimenti di Shiganshina, nella battaglia che aveva visto la morte di tutte le reclute, gran parte dei veterani e del comandante della Legione Esplorativa, mentre ora, che quasi tutti i giganti all'interno e all'esterno delle mura erano stati sterminati, si stava pian piano ripopolando di volti giovani e speranzosi. Mikasa si guardò intorno, incontrando, di tanto in tanto, lo sguardo stanco di qualche nuova recluta. Subito scorse, poco lontano da dove si trovava, la sagoma di Connie che le faceva segno invitandola a sedersi al tavolo. «È davvero così difficile svegliare Sasha?» le chiese divertito Jean notando l'assenza della "ragazza patata", Mikasa annuì calma. Poi la sua attenzione ricadde su di Eren, aveva una mano poggiata sotto il mento e lo sguardo puntava in una direzione non definita davanti a lui. Prima di sedersi di fianco a lui, facendolo tornare alla realtà, rimase a guardarlo per qualche secondo. Era ormai da diverso tempo che aveva notato un cambiamento in lui, nel suo sguardo, prima determinato, che ora pareva essere coperto da un velo di malinconia e rassegnazione. 

La sua mente tornò al giorno in cui, per la prima volta, videro il mare: il cielo aperto, limpido, un sole alto e abbagliante che li costringeva a stare con gli occhi socchiusi. La tiepida brezza che muoveva i capelli e, infine, una distesa infinita di acqua. Il mare era sempre stato il sogno di Armin e pian piano che muovevano piccoli passi verso la verità iniziarono tutti a sognare e fantasticare su quella distesa infinita di acqua salata. Gli animi dei presenti, nel trovarsi davanti uno spettacolo del genere, furono scossi da una forte sensazione di gioia infantile tale da accelerare i battiti del cuore. Poi, l'attenzione di Mikasa si posò sulla figura slanciata di Eren che, più che contemplare l'immensità del mare, aveva lo sguardo fisso sull'orizzonte. La corvina alzò di più lo sguardo cercando di incontrare la profondità dei suoi occhi, di un colore che era un miscuglio tra il verde e l'azzurro, e, prima che potesse dire qualsiasi cosa, Eren puntò l'indice verso l'orizzonte e parlò:

«Al di là delle mura c'è il mare e al di là del mare c'è la libertà. Questo è quello che ho sempre pensato, ma mi sbagliavo. È tutto come nei ricordi di mio padre, al di là del mare c'è il nemico. Se uccidessimo tutti i nemici che ci sono dall'altra parte..noi saremmo finalmente liberi?»

Per un attimo la bellezza e la grandezza di quel tanto agognato e sognato mare si trasformò in un'immensa e terribile incognita nel quale avventurarsi pareva solo una disperata impresa.

«Mikasa, non mangi nulla neanche oggi?», la voce preoccupata di Armin le permise di liberarsi dai ricordi e di tornare al presente. «Mangerò qualcosa più tardi, non ho molta fame ora» spiegò cercando di sembrare il più possibile convincente. Era da quando aveva appreso che la vita di Eren da lì a qualche anno sarebbe finita che il suo appetito era completamente scomparso. Ogni giorno forzava il suo stomaco ad ingerire almeno una piccola porzione di cibo, necessaria alla sopravvivenza. Questo, sommato alle ore di duro allenamento che sosteneva, oltre a farle perdere un considerevole quantitativo di peso, le conferì anche un costante senso di debolezza che cercava di tenere nascosto. 

Senza un motivo ben definito in pochi secondi la fredda pace che sembrava averla pervasa soltanto qualche ora prima lasciò spazio ad un forte senso d'angoscia. Il vociare presente nella mensa divenne sempre più simile ad un rimbombo, non riusciva a concentrarsi, non riusciva a pensare. Il respiro iniziò a farsi irregolare, con una mano si coprì la bocca reprimendo un conato di vomito. Eren, così come tutti gli altri presenti al tavolo, le lanciarono un'occhiata preoccupata. «Ho solo bisogno di un po' d'aria» disse riuscendo a celare l'oppressione che provava dentro di sé, poi si allontanò dalla mensa sotto lo sguardo atterrito dei suoi compagni.

Passo dopo passo il respiro diventava sempre più affannoso, ogni volta che cercava di prendere aria si sentiva soffocare sempre di più. Le gambe diventarono pesanti, le mani iniziarono a sudare e tremare. Nonostante il corridoio fosse ben illuminato dalla luce del sole, la sua visuale era confusa, deforme. Per un attimo le sembrò di essere finita all'interno di uno dei suoi incubi. Non è reale si ripeteva, ma ciò non bastò a farla calmare. Si sentiva immobilizzata, senza forze, debole. Camminò per diversi minuti, senza direzione, senza guardare dove si stesse dirigendo, poi, stanca, si appoggiò una parete e si lasciò scivolare sul pavimento portando le ginocchia al petto e la testa tra le braccia. Aveva la sensazione che stesse tutto per crollare, cadere in frantumi. Voleva urlare per mettere a tacere tutti quei rumorosi pensieri contrastanti che, uno dietro l'altro, si affollavano nella mente, ma non poteva, non doveva farlo. Non poteva permettersi di mostrarsi debole, doveva lasciare qualsiasi appiglio, doveva annegare in quel mare di pensieri, di ricordi, di rimorsi, di paure. Nonostante questo, man mano che sprofondava, le sue braccia continuavano ad agitarsi convulsive nella speranza che qualcuno la vedesse, salvandola da quell'inferno che aveva dentro di sé. Eppure nessuno sembrava vederla, per troppo tempo il suo posto era stato nell'ombra e ora agognare la luce di cui erano ricoperti i suoi compagni le sembrava un desiderio stupido, superficiale. La solitudine che provava era qualcosa che si era creata con le sue stesse mani, mettendo i sentimenti da parte e lasciando che fosse la forza a parlare e ad agire. Probabilmente nessuno, neanche Eren, la sua famiglia, l'avrebbe mai capita.

Stava cercando di soffocare le lacrime quando sentì un rumore di passi avvicinarsi. Si strinse ancora di più nelle ginocchia sperando di diventare così piccola da sparire. «Oi, mocciosa» quel tono di voce freddo e distaccato poteva appartenere soltanto ad una persona, l'unica, tra tutte, che Mikasa non avrebbe mai voluto scoprisse la sua debolezza. Cerco di regolarizzare il respiro e di apparire calma, dopo un attimo di esitazione si decise ad affrontare lo sguardo del Capitano. Che espressione avrebbe avuto? Un'espressione di scherno? La solita espressione fredda e distaccata? Oppure le avrebbe rivolto ancora una volta quello sguardo pieno di pietà e disprezzo?

Levi, la cui figura era illuminata soltanto in parte dai raggi del sole, era in piedi davanti a lei, le mani in tasca e il suo sguardo posato su di lei. Al di fuori di ogni aspettativa, non c'era né pietà, né freddezza, né disprezzo nei suoi occhi, al contrario, era uno sguardo apprensivo, profondo. «Seguimi, è rimasto del tè» le disse con la solita voce roca, Mikasa non capì se fosse più un invito o un ordine. Si alzò facendo leva sulla parete e lo seguì con lo sguardo mentre le dava le spalle e si avviava a passo lento lungo il corridoio. 




Note dell'autrice
Eccomi tornata con un nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto. Non c'è molto da aggiungere, cosa avrà pensato Levi vedendo Mikasa in quelle condizioni?

Ci vediamo al prossimo capitolo, またねー🖤



   
 
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