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Autore: blacksand    25/09/2020    1 recensioni
Una giornata di pioggia.
Kyoka cammina per le strade della città di Kyoto e ripensa ad un fatto accaduto poco prima del diploma alla U.A.
Ripensa alle scelte e alle strade intraprese fino a quel momento e fa i conti con il temporale delle sue emozioni.
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Dal testo:
Lo poteva sentire chiaramente il silenzio delle parole non dette, lasciate in sospeso a fluttuare all'interno di quella stanza disordinata senza una meta o direzione.
[KamiJirou][MomoJirou]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kyoka Jiro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Rame

 

Kyoka camminava lungo le strade di una Kyoto stranamente semi-deserta. Aveva deciso di farsi una passeggiata per ammirare il panorama prima di tornare a casa. Da quando aveva iniziato quel lavoro dopo il diploma aveva l'impressione che il tempo avesse cambiato il suo ritmo di scorrere, accelerando la velocità. Così passarono quattro anni da quando si trasferì lì, nel distretto del Kansai. Il nuovo lavoro l’aveva inglobata a tal punto che le sue giornate scorrevano in un battito di ciglia, tra scartoffie da compilare e missioni sul campo.
Capitava spesso che i casi in cui fosse richiesto il suo intervento richiedessero diverse settimane per venirne a capo.
I suoi nemici si muovevano silenziosamente nell’oscurità della notte, costeggiando il contorno dei palazzi, nascondendosi all’ombra dei boschi intorno alla città o in edifici abbandonati nelle periferie limitrofe. Impercettibilmente, squittivano soffocati nella quiete notturna ma i loro cuori tradivano i gesti prudenti, strillando eccitazione e paura.
Gli stessi sentimenti che provava lei quando li percepiva. 
Gli stessi sentimenti che l’avevano accompagnata durante il suo percorso per diventare una pro-hero. La stessa eccitazione di quando saliva su un palco, la stessa paura di cantare davanti a qualcuno. Gli stessi sentimenti che le ardevano le carni mandando in blackout i pensieri razionali quando i suoi ricordi la riportavano alle immagini di lui.

Ascoltava il silenzio per sentirne il rumore.

Lo percepiva chiaramente, Kyoka, il suo battito accelerare nel momento in cui si avvicinava per baciarla, carico di un'innocenza quasi innaturale. Era timido quando il suo corpo veniva in contatto con quello di lei. Quando le sfiorava la mano mentre passava per il corridoio. Quando i suoi occhi chiari si riversavano nelle sue iridi pece.

Lo poteva sentire chiaramente il silenzio delle parole non dette, lasciate in sospeso a fluttuare all'interno di quella stanza disordinata senza una meta o direzione.


Era successo pochi mesi prima di diplomarsi alla festa di capodanno a casa di Momo.

Stavano insieme da quasi un anno ormai, c’era voluto un nuovo spietato nemico e tre mesi di riabilitazione per spingersi nelle braccia dell’altro in cerca di conforto, per scacciare quella paura di amarsi, quel vuoto colmato solo dalla sua presenza. Danzavano insieme sulle note di quelle canzoni, seguendo il ritmo veloce dettato dalla batteria dei loro cuori. Suonavano con le loro dita intrecciate nello spazio perfettamente ritagliato della mano dell'altro, con il fiato sospeso, bruciandosi la pelle. Insieme, respirare diventava faticoso eppure sorridevano entrambi nel momento in cui la sua testa trovava appoggio nell'incavo del suo petto mentre con un tocco delicato, lui giocherellava con le chiocche corvine dei suoi capelli. Bastava un semplice gesto come quello a mandarle in cortocircuito le sinapsi. E lo stringeva forte per paura che quell'attimo non scappasse via dalle sue braccia.
Lo stringeva forte seppur con dolcezza per non rompere il delicato equilibrio di quel momento sospeso nel tempo. 

“Ho scritto una canzone per te e voglio cantarla davanti a tutti”  le disse quella sera mentre tra le mani tratteneva il suo viso dalle gote porpora po' per l'alcool e un po' per l'imbarazzo. 

Ma prima che potesse sentire ciò che lui voleva esprimere tra accordi sporchi e note stonate, il suo sguardo incrociò gli occhi lucidi e socchiusi di una Momo barcollante, fuggire oltre le porte del salone.
Qualche minuto dopo, si ritrovò a carponi sulle piastrelle bianche del bagno a sostenere con una mano la sua fronte mentre con l'altra la stringeva a sé prendendola sotto l'abbondante seno nel vano tentativo di sorreggere il corpo della compagna stordita da qualche bicchiere di troppo.

Non le era mai capitato di vedere l'amica ridursi in quelle condizioni, nonostante sapesse che non reggeva bene l'alcool ed era capitato che in quelle occasioni si lasciasse un po' andare oltre come quella volta che Kaminari, per una scommessa persa con Mineta, le corresse il tè con del rum chiaro e miele - a suo detto per nascondere il sapore - e lei, euforica, iniziò a spogliarsi per il caldo, creando matrioske sparse in giro per il dormitorio.
Ma questa volta Kyoka aveva l'impressione che qualcosa la turbasse.
A dir la verità, da quando si era fidanzata, non trascorrevano più tanto tempo insieme, complice tutti gli eventi accaduti con quel villan e la scintilla nata dal suo fulmine, che la trascinò in balia del vento di lussuria, e senza volerlo la portò ad allontanarsi. Si sentiva in colpa perché non era stata in grado di captare il malessere dell'amica.

L'aveva trovata nella tromba delle scale accasciata a terra ad occhi chiusi, l'orlo del vestito strappato, il trucco sbavato da… lacrime? Si era precipitata su di lei preoccupata ma Momo l'aveva rassicurata di stare bene, sbiascicando parole in maniera sgraziata, che non le apparteneva. Faticava a tenere dritta la testa e gli occhi aperti, sul suo volto si dipinse un sorriso abbozzato, storto, imbarazzato. Quell'espressione mancava della sua caratteristica dolcezza, non era felice, Kyoka poteva leggerglielo in faccia. 
Decise di portarla nella sua stanza a riposare, il giorno dopo sarebbe passata a trovarla, ma prima che riuscissero ad oltrepassare la porta, la nausea prese il sopravvento. Così si ritrovarono in quella situazione. 
Riusciva ad essere gentile ed elegante anche in quel frangente, la sua Momo. 
Si preoccupava di essere un peso per lei. Pronunciava parole confuse su come non era riuscita a colmare il vuoto della sua voce, perché per quanto si sforzasse non riusciva a venirne a capo, che la sua era solo una facciata, era solo un'egoista. 

Jirou la ascoltava, confusa da quel farfugliare di frasi senza senso uscite dalla sua bocca. Era impossibile associare il termine egoista alla persona di Yaoyorozu. Le era sempre stata accanto, fin dal primo giorno. L'aveva spronata con gentilezza a mostrare il suo valore, a rendersi partecipe, a non abbandonare il suo sogno di cantare nonostante avesse intrapreso un'altra strada. Le diceva che la sua musica era in grado di aiutare le persone tanto quanto il suo quirk. La abbracciava avvolgendola con il suo profumo delicato di fiori primaverili nei momenti tristi, senza che avesse bisogno di spiegare il motivo per cui si sentiva tale, lei lo capiva. 
Sapeva anche, però, delle sue insicurezze celate dietro il volto dai lineamenti delicati, nascosti dai gesti gentili e dalla premura con cui si prendeva cura degli altri. Diede la colpa alle imminenti scelte future che avrebbero dovuto compiere, delle nuove strade da percorrere e di qualche bicchiere di troppo di quel vino costoso aperto per brindare al nuovo anno.

Le sciacquò il volto con acqua fredda ma quando sembrava che si fosse ripresa, Creati inciampò sui suoi passi, il suo corpo troppo esile per sostenere bene la compagna si ritrovò schiacciato sotto quello di lei.  Momo scosse la testa e  scoppiò a ridere euforica per un paio di minuti, cancellando in fretta l'immagine di poco prima.  Rideva cristallina come faceva solitamente quando scherzavano insieme, portandosi la mano alla bocca, sfiorandosi le labbra con la punta delle dita.
La guardava ridere schiacciata dal peso dei suoi seni e ora era lei quella impacciata e frastornata, faticava a muoversi, rossa fino alle punte delle orecchie per l'imbarazzo.

Momo si asciugò le lacrime con una mano che poi portò al volto di Kyoka, bagnandolo sullo zigomo. Un attimo dopo, con movenza felina, le sue labbra morbide si erano schiuse sopra le sue in un lungo bacio salato dal sapore alcolico.
"Sono così gelosa di Kaminari, adesso che state insieme ti può avere tutta per sé" disse con voce tremante, appoggiandosi nuovamente a l'esile figura che ancora giaceva sotto di lei. Le portò il braccio sopra la testa cercando la sua mano con il suo tocco delicato e in quella posizione chiuse gli occhi, addormentandosi.

Kyoka non riuscì a muovere un muscolo. Inerme, un brivido le attraversò la schiena. ù
La pelle morbida di Momo, il suo respiro caldo sul seno, i capelli sciolti lungo la schiena nuda e quell'espressione appagata che le attraversava il viso sembrava un’immagine surreale a suoi occhi. Non poteva essere davvero successo. 


Quando tornò alla festa fu assalita da un fulmine giallo furioso e visibilmente preoccupato. Lo raggiunse e lo strinse forte a sé, senza dargli la possibilità di reagire, lo strinse così forte da togliergli il fiato avvinghiandosi con le unghie alla sua pelle in cerca di appiglio mentre lui, confuso, dolcemente le accarezzava la testa, scompigliandole i capelli.
Lo abbracciò perché era l'unica cosa che in quel momento le avrebbe dato conforto, il rumore del suo battito in mezzo al frastuono dei suoi pensieri. 
Non ebbe la forza di guardarlo negli occhi e di pronunciare quelle parole. Di quella Momo così fragile.


***

Una folata di vento gelido le attraversò i vestiti, gelando le reni, riportando la sua attenzione al luogo in cui i suoi passi l'avevano condotta. Aveva lasciato che le gambe camminassero sole, senza meta, persa tra i suoi ricordi sulle note di quella canzone. Una nube nera minacciava il cielo e il boato dei tuoni anticipava quello che sarebbe stato un temporale violento. Alzò il cappuccio della felpa che indossava dal quale sfuggirono delle ciocche di capelli ad incorniciarle il volto. Erano cresciuti insieme a lei durante quei anni passati a trovare la sua strada, la sua identità. Ora avevano la forma di morbide onde, interrotte poco prima del livello delle sue esili spalle e fluttuavano come il mare, mossi dal vento, coprendole la vista.
Una goccia cadde lungo il volto chiaro seguita da altre sempre più fitte. Le poche persone ancora in giro corsero agli angoli della strada alla ricerca di un riparo dalla pioggia mentre lei non si scostò dal suo sentiero. Poco importava che si bagnasse, avrebbe continuato a camminare lungo la sua strada.
Doveva essere arrivata in prossimità del santuario di Shinbashi. I petali dei ciliegi in fiore cadevano e danzavano nel vento sotto forma di un turbine rosa, aprendosi davanti ai suoi occhi. Il profumo delicato dei fiori si mischiò a quello umido della pioggia battente formando una scia che designava il suo sentiero, guidato dalla direzione del vento. 


***

Era riuscita ad evitare quel momento per settimane complici le vacanze invernali e l'ultimo tirocinio presso l'agenzia dei pro-hero. Aveva concentrato tutta la sua attenzione per quest'ultimo atto prima di diventare una professionista a tutti gli effetti. Ma ora quel momento era arrivato. L'aveva realizzato quando i loro occhi si erano incrociati al rientro nel dormitorio. Quando lei l'aveva abbracciata preoccupata e arrabbiata per il suo improvviso silenzio. Quando "ho bisogno di parlarti" si era sovrapposto tra le parole di Momo e quelle di Kaminari.

Avanzò lentamente oltre la soglia della porta dell'ala femminile, titubante. Il cuore le batteva così forte da arrivarle in gola, le occhiaie profonde solcavano i suoi occhi stanchi per colpa delle notti insonni, e lei non riusciva a fare altro che continuare compulsivamente a deglutire la saliva in eccesso. Non era stato quel bacio a sconvolgerla così tanto, no, era stata quella frase pronunciata a filo di voce a spaccarle la testa a metà come un tronco di legno colpito da un'accetta. 

Momo la guardava contorcersi le mani e mantenere lo sguardo basso, l'imbarazzo sulle guance rosacee e la voce rotta la riportavano all'immagine di quella Kyoka schiva ed insicura che ebbe modo di conoscere il primo anno di liceo. Le accarezzò il volto, inclinando leggermente la testa in sua direzione, cercando di incrociare il suo sguardo profondo in cui immergersi. Fu così che con una frase spezzata le confessò il più grande dei suoi segreti quello che le aveva condizionato la vita. 

"Dopo il diploma la mia famiglia annuncerà il mio fidanzamento ufficiale" le disse, aprendo il cassetto e mostrando l'anello pomposo di diamanti che tanto stonava con le sue dita fine.

Momo pensava che quel momento non dovesse mai arrivare. Pensava che i suoi sforzi per diventare un'eroina avessero fatto cambiare idea al nonno sul matrimonio combinato per mantenere il buon nome della famiglia. Pensava che avrebbe avuto la possibilità di scegliere la persona con cui compiere il grande passo, di cui innamorarsi e camminare al fianco, mano nella mano. Ma quando aveva provato a guardare oltre quel muro i volti sbiadivano lentamente in fumo. I suoi genitori si erano conosciuti allo stesso modo, e tentavano di rassicurarla dicendo che si sarebbe innamorata del suo promesso sposo, come era successo per loro. Erano in buona fede ne era consapevole, ma man mano che passava il tempo, sentiva avvolgersi da catene invisibili, sempre più corte e strette, stringerle i polsi.  Ma quando il panico e la paura prendevano il sopravvento, come un sussurro, una voce cantava da un luogo lontano. Era così dolce e allo stesso tempo profonda da trasmettere calma e speranza, voglia di andare avanti e combattere. Con il passare del tempo era diventata più forte e il suo repertorio si era arricchito riuscendo a fare vibrare le corde rotte del suo cuore, interpretando le sue emozioni, i suoi dubbi, le sue insicurezze.  Però, negli ultimi tempi quel suono si era affievolito, diventando sempre più flebile. Così temette di non aver più la possibilità di ascoltare quella melodia che cullava la sua anima nei momenti più bui, confortandola. 

"Kyoka.. ho bisogno che tu mi prometta che qualunque cosa accada tra di noi, non mi abbandonerai"  piangeva Momo nel silenzio calato nella stanza.

Una frase che si riflesse nella sua testa come un eco. Un urlo in mezzo al vuoto. Un rumore lento e costante che le imprimeva l’immagine del suo corpo delicato dormire sopra lei. Il sapore delle sue labbra.  Momo aveva rigettato tutto quello che non le aveva mai detto. Parole dal sapore amaro. 

Era sconvolta, Kyoka, quelle frasi le avevano perforato il petto come cento lame appuntite. Aveva sperato fino all'ultimo che quel gesto potesse essere figlio dell'esuberanza dovuta all'alcool. In tutta la sua vita aveva continuato a credere di non meritare l'amore di qualcuno. E tutt'ora non capiva come Kaminari avesse scelto di starle accanto e condividere il suo cuore, così come anche Momo. Non riusciva ad esserle indifferente, non lo era mai stata, ma adesso che pensava di aver trovato il suo equilibrio, i pilastri che tenevano in piedi il suo cuore iniziarono a sgretolarsi velocemente fino a ridursi in macerie.
Ora si sentiva completamente spaccata a metà, dividendosi tra il suo cuore e la sua anima.
Da una parte il suo Denki, colui che sin dal primo giorno che aveva incrociato i suoi occhi - dovette ammettere - e la sua faccia da scemo, le aveva dato la "scossa" facendo palpitare forte il cuore in petto e con gli anni le era entrato sempre più dentro fino a scavare nelle profondità instaurandosi come un chiodo fisso nei suoi pensieri.
Dall'altra qualcuno che l'aveva sempre capita e aiutata con la sua gentilezza e determinazione. Una persona a cui aveva affidato un pezzo della sua anima, sapendo che l'avrebbe tenuta al sicuro, placida tra il calore del suo corpo. Una persona che non voleva perdere, ma che non sapeva come aiutare.

Uscì dalla stanza senza darle una risposta sui suoi sentimenti poiché neanche lei in quel momento riusciva ad interpretarli, erano uno spartito confuso che stonava tra repentini cambi di tono e note stridule. 


Anche quella notte pioveva. Il cielo stava riversando un milione di lacrime, allineandosi con il suo cuore in tumulto. Kaminari la raggiunse in stanza, a testa bassa, prendendole le mani, stringendole forti nelle sue. La guardava negli occhi, cercava il suo sguardo, anche lui aveva qualcosa da dirle. Tremava e sudava come una foglia colpita dalla brina mattutina, continuando a cercare le sue iridi riflettersi nei suoi occhi. 

"Ho bisogno di sapere cosa provi, Kyoka. Perché io ti amo e vorrei che venissi a vivere con me a Kamino"

Una freccia le aveva trapassato il corpo, colpendola direttamente al cuore. Si sentiva sanguinare copiosamente, in quel boato di emozioni, quelle semplici parole erano così difficili da dire. Ormai il tempo insieme stava per scadere, il diploma era alle porte e loro dovevano prendere una decisione. Lei doveva decidere.
Si era scordata di quella lettera bianca che aveva raccolto da sotto la porta della casa dei suoi genitori che ora giaceva lì, aperta sulla sua scrivania del dormitorio. La lettera dell'agenzia di spionaggio per eroi migliore di tutto il Giappone. Quella che pensava di non ricevere mai. Erano successe così tante cose in quel gelido inverno, che quella carta bianca era passata in secondo piano. 

Nella sua testa rimbombavano le parole di Momo e quelle di Denki, sovrapponendosi, scambiandosi le lettere nel fumo delle macerie, confondendola più di quanto non fosse già. Le lacrime scorrevano lungo le guance solcando il suo viso, mentre sentiva le corde vocali rompersi producendo un gemito stridulo che tutto era purché la risposta che lui attendeva. Le parole che voleva dirgli le morirono in gola.
Spinse le mani sopra le orecchie con forza, tentando di sopprimere tutti i suoni che la circondavano. Il boato dei tuoni e della sua anima, battevano in testa come un martello, così anche le gambe cedettero sotto i macigni di quelle macerie che si erano accumulate nel suo cuore infranto. Una sensazione di panico le cresceva in petto, l'aria mancó tutto d'un tratto, le vista iniziava a diventare sfocata, rabbuiandosi.

Lui aveva già preso la sua decisione, aveva scelto la sua strada, Kamino, e ora le stava chiedendo di seguirlo ad occhi chiusi, bendata, su quella strada piena di insidie e pericoli, di lasciare indietro tutto il resto.

Quella notte litigarono, urlarono, per finire nuovamente ad amarsi a cercarsi. Ancora e ancora. Finché il suono dei fulmini non si acquetò tra le sue braccia ancora tremanti in attesa di una risposta.

 

***

Con forza un boato prolungato spaccò il cielo cupo. Kyoka si fermò d'improvviso alzando la testa al cielo. Mise in pausa la canzone che stava ascoltando, chiuse gli occhi e rizzò le orecchie. Ascoltava il rumore della pioggia scrosciante cercando di capire da quale punto di quello spazio aereo potesse provenire il rimbombo di quel tuono. Analizzò il rumore del vento, quello dell'acqua scorrere, delle gocce condensare nelle nuvole, delle molecole che si raffreddavano, affinó nuovamente l'udito al ripetersi di quel suono assordante. Fece una mezza giravolta su stessa e riaprì gli occhi scuri.
Il suo braccio si mosse solo allungandosi verso l'alto, il palmo della mano aperta, in attesa di quella luce che quanto bramava, tanto le mancava. La potenza di un lampo illuminò tutta la città di Kyoto, l'elettricità del fulmine si disperse nel terreno e lei potè sentire quell'energia scorrere in corpo lungo le terminazioni nervose, in un brivido in grado di scuotere le interiora. La mano aperta tentò di afferrare il bagliore di quel lampo.

 

A Kyoka non erano mai piaciuti i temporali. La spaventavano e facevano troppo rumore per le sue delicate orecchie. Sovrastavano la quiete degli alberi, il suono candido del cinquettio degli uccelli. La loro potenza superava perfino quella del volume della musica sparata al massimo attraverso gli auricolari. Da piccola, durante quelle giornate grigie andava a nascondersi nell'armadio, tremante per la rabbia del cielo, in attesa della fine.
Mai si sarebbe immaginata che a distanza di anni l'immagine di quel cielo stanco e furioso, sarebbe diventato il suo momento preferito, per poterlo rivedere anche solo un attimo. Il fulmine che mandava in arresto il suo cuore.


La pioggia le batteva in testa sempre più forte. Le lanterne dei locali chiusi si muovevano seguendo il ritmo del vento. Al freddo, stanca e bagnata Kyoka decise finalmente di raggiungere la tettoia del santuario per ripararsi, continuando a tenere lo sguardo alzato osservando quel cielo singhiozzante mentre la luce artificiale rimbalzava sull'asfalto bagnato dalla pioggia, illuminando in maniera tenue la strada buia che l'aveva condotta in quel luogo. 
Si spogliò dello zaino e della felpa zuppa, scuotendo leggermente la chioma scura.
Aveva l'abitudine di portare sempre con sé un quadernetto dove sin da piccola scriveva appunti utili o strofe di canzoni. Scriveva perché quello era l'unico modo in cui riusciva ad esprimere davvero sé stessa e quello che provava, accompagnando le sue emozioni al ritmo del suo basso. Correzioni, cancellature, imprecisioni imprimevano le sue scelte e i suoi sbagli nero su bianco. Strappò un foglio ancora immacolato, la penna le scivolava dalle mani bagnate sbavando il tratto fine dell'inchiostro. Kyoka si domandó se quel vento avrebbe avuto la forza di portare quelle parole lontano, sorvolando le montagne e le città che li separavano, fino a fischiare nelle sue orecchie quella frase. 





"I miei anni legati ad un filo di rame in attesa di un fulmine."











 

Angolo autrice

Diversi anni fa andai a una mostra di arte moderna. C'erano numerose installazioni, costruzioni, quadri e fotografie. Ad un certo punto fui attratta da una foto scattata in bianco e nero appesa ad un angolo: era la foto di una foresta imbiancata da metri di neve. In primo piano vi era una parte del fusto chiaro e sottile di una betulla al quale era avvolto un filo metallico, in basso vi era una mano tesa che sembrava volesse aggrapparsi a quel filo. Lateralmente una piccola scritta in corsivo recitava  "I miei anni legati ad un filo di rame in attesa di un fulmine". Non capì perché quella frase mi attirò così tanto. C'era tanta bellezza e tristezza in quelle parole. Mentre scrivevo questa ff su Kyoka, a distanza di anni, mi è venuta in mente quell'immagine e quella frase. Purtroppo avendo la memoria di un pesce rosso non ricordo chi fosse l'autore della foto. 

Questa è una piccola one-shot senza pretese su una delle mie best girl, lasciata alla libera interpretazione, su una delle poche coppie headcanon (?) che apprezzo. Non mi dispiace neanche la ship con Momo, le vedo bene insieme, anche se preferisco la KamiJirou. Una piccola riflessione su quanto sia difficile prendere una decisione importante e su come una nostra azione possa influenzare le scelte di qualcun'altro.  Un promemoria importante, soprattutto in un anno come questo 2020. 

Se trovate degli errori ortografici o di sintassi vi prego di segnalarmelo. Revisiono sempre ma purtroppo non avendo accesso a un computer quando scrivo, spesso senza accorgermene il correttore del telefono fa un po' come gli pare. Ovviamente se volete lasciare un commentino con suggerimenti o solamente un'opinione sulla storia sarò ben lieta di leggerli. Alla prossima ×××


 

   
 
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