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Autore: Mahlerlucia    25/09/2020    4 recensioni
{Questa OS partecipa all’#AkaashiWeek2020}
Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
Mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no, è qualcosa di più:
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare.
(“Ti aspetto” - Alda Merini)
[Bokuto x Akaashi || Day 6: Free day (Without you)]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akinori Konoha, Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Questa one-shot partecipa all'#AkaashiWeek2020
 
26 settembre: Free day - Without you




Manga/Anime: Haikyū!!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale
Rating: giallo
Personaggi: Keiji Akaashi, Akinori Konoha (Koutarou Bokuto)
Pairing: #Bokuaka
Avvertimenti: Spoiler! Tematiche delicate, What if?
Tipo di coppia: Shonen-ai



 
 
 
Quello che resta
 
 

Un refolo di vento ti porta a stringere i lembi di quella giacca da mezza stagione che ancora ti ostini ad indossare nonostante sia oramai novembre inoltrato. Muovi le dita tra i capelli allo scopo di tirarli indietro, come un tempo. Peccato che il nuovo taglio suggeritoti da Kaori non sia ancora stato completamente registrato negli uffici mnemonici della tua testa perennemente sovrappensiero.
Ha smesso di piovere da meno di un quarto d’ora e l’acqua ristagnata nelle pozzanghere riflette i primi deboli raggi di sole che fanno capolino tra le nubi capaci di mostrarsi meno oscure. Sali al secondo piano con una lentezza che comunemente non ti apparterrebbe, ma che non puoi far altro che assecondare per far fronte a quella flotta d’ansia che naviga in direzione avversa alle tue volontà. L’ultima volta che sei stato da Keiji – ovvero, meno di ventiquattro ore fa – hai potuto appurare quanto per lui le cose non siano affatto migliorate e sei tornato al parcheggio con il folle desiderio di prendere a calci la marmitta del tuo furgone. Non aveva alcun senso, ma era l’unica maniera con la quale hai pensato di poterti liberare dell’angoscia che attanaglia le tue giornate da oltre sei mesi; un vuoto che ha cambiato per sempre l’esistenza di tutte le persone che avevano avuto la fortuna di conoscere quel vulcano inarrestabile noto col nome di Bokuto Koutarou.
Ti soffermi davanti alla porta di compensato, giusto il tempo necessario a trovare la forza di alzare l’indice per affondarlo su quel citofono affianco al quale svettava ancora il suo nome. Rimuoverlo non è ancora possibile, così come il dover accettare la dipartita di colui che con i suoi sorrisi e le sue gesta era in grado di animare quei pochi metri quadrati.

Nessuna risposta, neanche al terzo tentativo.
Estrai il mazzo di chiavi che avevi duplicato su consiglio della terapeuta. Sperando di non trovare ostruzioni, infili quella di dimensioni maggiori nella toppa e la giri su sé stessa per ben quattro volte. La porta si apre cigolando, liberando un unico, flebile filo di luce proveniente da un’abat-jour sistemata su di un piccolo tavolino circolare. Keiji se ne stava rannicchiato sul divano, avvolto in una trapunta a fiori e con indosso quel pigiama troppo largo che si toglieva giusto per farsi la doccia o su insistenza di sua madre, le rare volte in cui passava per sincerarsi delle sue condizioni.
Accendi la luce regolandola ad un livello tale da non arrecargli alcun fastidio. Ti acquieti a quel corpo infagottato percependone il respiro pesante. Gli occhi sono ancora gonfi di malinconia, i pugni di nuovo stretti per la rabbia e per la disperazione; un piccolo filo rosso fa capolino tra le sue dita e per un attimo temi il peggio. Poggi una mano sulla sua fronte bollente, gli carezzi una guancia con le nocche facendo attenzione a non svegliarlo.
Ripensare al suo cipiglio di un tempo t’induce a non accettare come i suoi stessi sentimenti lo abbiano portato a diventare un gomitolo umano privo di qualunque intenzione nell’avere a che fare con i suoi simili.

“Mmm...”

Inizi ad intravedere il verde acqua delle sue iridi farsi spazio tra le palpebre leggermente dischiuse. Ritiri la mano dal suo viso, improvvisamente responsabile di aver ridestato tutti i suoi turbamenti interiori. Ti volti per un istante verso la finestra serrata dall’interno, nella speranza che possa tornare a dormire senza problemi.
Le pene dell’inferno sono davvero poca cosa rispetto a tutto ciò che sta passando tra i suoi pensieri a causa della sua perdita, la più grave ed infausta che mai potesse capitargli.

“Konoha-san...”

Ssh! Torna a riposarti. Fai conto che io non ci sia, ok?!”

Keiji si volta con molta fatica, digrignando i denti e coprendosi la parte superiore del viso con l’avambraccio sinistro. I brividi di freddo che gli stanno passando in corpo devono essere stati accompagnati dall’assunzione di una discreta quantità di alcol, considerando la bottiglia di vetro semi-nascosta sotto il tappeto.
Fingi di non essertene minimamente accorto e ti concentri sugli sforzi eccessivi che si sta impegnando a compiere per mettersi a sedere. Si stropiccia gli occhi con una sola mano, mentre con l’altra si tiene allo schienale per non perdere l’equilibrio. La cicatrice di quel tremendo taglio è ancora lì, ben visibile sull’esile polso da ex-setter in stand-by fisico e – soprattutto – emotivo.

“Non ho niende da ofvivti...”

La sua voce risulta impastata al punto tale da non permettergli di scandire quella manciata di parole come avrebbe voluto. Sbadiglia lasciandosi andare, tornando quasi a sdraiarsi sulla superficie del divano. Si copre ancora una volta il viso girandosi dalla parte opposta, arricciando le labbra a mo’ di smorfia di dolore. In realtà sta solo cercando di contenere le lacrime che si stanno già facendo largo agli angoli dei suoi occhi sfiniti.

“Non importa. Riposati ancora un po’. Intanto prendo appuntamento dal tuo parrucchiere. Non credi che sia finalmente giunto il momento di prenderti un pochino cura di te stesso?”

“Prendo medicine dalla maddina alla sera...”

Mischiandole con vino e sakè. Non proprio il massimo della vita, Keiji-kun.

“Non intendevo dire questo.”

Intorno alla punta di un dito avvolgi una ciocca di quei capelli folti e scuri, lunghi come non li aveva mai avuti prima di allora. Lo vedi sbirciare mentre paradossalmente si nasconde ancora una volta sotto ad un gomito. Con un gesto che non vuole mostrare più scortesia di quella strettamente necessaria, allontana la tua mano dal suo viso trasandato, ma pur sempre limpido e delicato come poche altre cose che ti fossero mai capitate a tiro.
Chissà quante volte Koutarou si sarà perso nei suoi grandi occhi color oceano, così come tra le curve leggere dei suoi zigomi... anche solo per schioccargli il bacio della benedizione personale a fronte dell’inizio di una nuova giornata.

“Non pensi che questi capelli siano un po’ troppo lunghi? Non li hai mai portati così.”

“Può darsi, ma non è importante ora.”

“Sì che lo è invece.”

Akaashi tenta di rimettersi a sedere per poter controbattere a quella tua intrusione all’interno del suo piccolo mondo diroccato, ma un conato lo sorprende ancor prima che possa prendersi il lusso di mandarti definitivamente a quel paese. Corri in bagno per tornare un secondo più tardi munito della prima bacinella trovata a ridosso della lavatrice, giusto in tempo per lasciargli la possibilità di liberarsi di quegli spasmi oramai incontrollabili. Nuove lacrime si mescolano agli acidi che fuoriescono dalla sua bocca, impedendogli di respirare adeguatamente per almeno un paio di minuti buoni. Finisce col tossire pesantemente per ripulirsi la bocca, per togliersi di dosso quel sapore acre, così come quel dolore che nessuna sostanza stupefacente avrebbe mai potuto cancellare.
Raccoglie il fazzolettino di carta che gli porgi per ripulirsi, finendo per usarlo esclusivamente per asciugarsi dai segni del suo evidente stato emotivo lungo le guance. L’istinto ti suggerisce di sussurrargli qualche parola di conforto, ma come tuo solito non hai nulla di pronto, mentre i discorsi improvvisati non sono mai stati il tuo forte.
Sorride con lo sguardo stanco, con ogni probabilità regredito in direzione di qualche ricordo riguardante uno dei tanti bei momenti vissuti assieme a chi ora non c’è più.

“Koutarou diceva che io non sono capace di reggere l’alcol. Vedi, aveva ragione. Aveva ragione anche quando diceva che avrei dovuto pensare di meno alle conseguenze e godermi di più la vita. Ho perso tutte le occasioni che potevo perdere... con me stesso, con lui. Ma ormai... Che importa?”

“Ancora?! Se proprio ci tieni a saperlo in maniera esplicita... a me importa! A tutte le persone che ti vogliono bene importa! A chi ha sofferto assieme a te da quando i dottori avevano comunicato che non ci sarebbe stato più nulla da fare! A lui, soprattutto a lui, dannazione! Credi che in questo momento il tuo ‘Bokuto-san’ non ti stia osservando da qualche parte, lassù?! Credi che se potesse non ti spronerebbe come suo solito?! Com’è che diceva?! ‘Non è impossibile, è solo difficile’... ricordo male?!”

Appunto, è difficile.
Pensare di vivere ancora per tanti anni – persino interi decenni! – senza Koutarou è qualcosa di talmente doloroso da non poter essere né accettato e né condiviso.
Keiji si porta le ginocchia al petto socchiudendo gli occhi. Vorrebbe dare adito alla sua angoscia, alla sua sofferenza, a quelle sensazioni di perdita e di abbandono che gli intorpidiscono il cuore dal giorno infausto in cui quel tumore maligno aveva deciso di portargli via la cosa più importante della sua vita, l’unica persona per cui avesse mai perso la testa e per il cui sorriso sarebbe stato capace di ribaltare l’intero universo. Un uragano di emozioni capace di insegnargli a sorridere senza mai pretendere nulla in cambio, se non un po’ di affetto reciproco.
Si volta in direzione della luce artificiale dell’abat-jour in cerca di un appiglio utile per rifuggire dallo sguardo inquisitore di quell’amico storico che nell’ultimo periodo si è presentato con sempre maggior frequenza presso la sua abitazione per tentare di salvarlo dagli inganni della solitudine.

“Smettila di ricordarmi le sue parole, Konoha-san.”

Scatti in piedi al pari di una molla impazzita, stringendo entrambi i pugni e mordendoti il labbro inferiore sino a farlo sanguinare. Vorresti tirare un cazzotto contro il muro, contro quel vaso di fiori il cui colore stonava con qualsiasi forma di energia presente attualmente nel tuo animo. Rimembri ogni singola occasione in cui avevi tentato di “salvare” quel nuovo kōhai dalle grinfie di Koutarou, dalla sua incontenibile euforia e dal turbine di emozioni che era capace di mettere in mostra ad ogni occasione. I suoi difetti e i suoi punti deboli erano così ben diffusi da poter essere facilmente rintracciabili anche da un occhio poco attento. Ma di Keiji si sarebbe potuto dire qualunque cosa, tranne che non prestasse la massima attenzione ad ogni minimo dettaglio dell’essere Koutarou Bokuto. Ed era stato una sorta di completamento personale per entrambi sin dal primo giorno, ovvero da quando l’ex capitano della Fukurōdani lo aveva invitato ad alzare la palla sotto rete per lui, solo ed esclusivamente per lui.
Ricordi ancora il suo cognome con troppe “A” involontariamente storpiato, il desiderio di continuare ad oltranza nonostante non fosse affatto abituato ad un ritmo d’allenamento tanto estenuante, l’intesa incomprensibile instauratasi tra loro. Un sorriso del capitano equivaleva ad uno sguardo attento del più giovane per ristabilire ogni volta l’equilibrio perduto in campo.
Col tempo, il giovane Keiji si era semplicemente adattato a Bokuto, senza che nessuno lo avesse mai richiesto in maniera aperta ed esplicita.

“L’affetto che tu provi per le persone che ti circondano non ha senso? La tua famiglia non ha senso? I tuoi amici? Il tuo lavoro? Il tuo futuro? Non conta più nulla tutto questo?!”

Senti il telefono vibrare nella tasca dei tuoi jeans. Di primo acchito decidi di ignorarlo, ma poi ti lasci sopraffare dal dubbio che le circostanze ti abbiano indotto a scordarti di qualche importante commissione da svolgere.
Kaori, la persona meno indicata fra tutti coloro che potevano mettersi a pensare proprio a lui in quel momento.

“Hey!”

Lo hai fatto di nuovo. Hai usato un termine che non può appartenerti. Keiji solleva lo sguardo, sbarra di nuovo gli occhi e ti scruta in una maniera talmente intensa e giudicante da farti sentire al pari di un ladro intento a sottrargli tutti i particolare di un richiamo che non potrà mai più udire.
Indietreggi appena, nel vano tentativo di non farti sentire, sperando di sbrigare quella chiamata nel più breve tempo possibile. Di lì a poco saresti comunque dovuto rientrare.

“Sì, sono da Akaashi. Sto cercando di riportarlo tra noi.”

Mentre con un orecchio ti sforzi di mantenere l’attenzione attiva su discorsi relativi all’acquisto di nuovi mobili per l’appartamento che tu e Kaori avete appena deciso di prendere in affitto assieme, con la coda dell’occhio percepisci il rumore dei passi incerti del padrone di casa che si muove verso il piano della cucina. In cuor tuo ti auguri che stia andando in cerca di qualcosa da mettersi nello stomaco, dato che a furia di trascurarsi aveva perso fin troppo peso. Invece finisce per accasciarsi dietro al tavolo, sedendosi con le spalle rivolte al forno e le gambe molli e leggermente divaricate.

“Ti richiamo dopo. Sì... sì, ok... ciao.”

Non puoi concederti di perderlo d’occhio per star dietro a questioni di cui si poteva discutere – più o meno – tranquillamente nel dopocena. Kaori avrebbe compreso, lo aveva sempre fatto.
Ti affacci dal piano solitamente usato per la colazione e lo ritrovi perso tra le sue riflessioni, con gli occhi umidi puntati verso un’anta rimasta aperta; con ogni probabilità non se ne sarà nemmeno accorto, dato che la sua mente si trova palesemente in altri luoghi.

“Vuoi mangiare qualcosa? Ti preparo un...”

Scuote la testa, senza degnarti di uno sguardo.
Decidi di farlo rinsavire con maggiore delicatezza, cercando di accarezzarlo appena su quella mano stretta a pugno con cui tormenta la stoffa dei pantaloni del pigiama. Un gesto che arresta quell’autolesionismo con il quale cerca di alleviare un senso di colpa che lo tormenta senza una motivazione apparente, quasi come se l’esito di quel male assassino fosse dipeso dalla sua ignoranza in campo medico.

“Avrei potuto fare molto di più per salvarlo, avrei dovuto portarlo negli Stati Uniti o in Svizzera. È colpa mia!”.
Lo aveva ripetuto sino allo sfinimento, sino al momento in cui il primo neuropsichiatra che lo aveva preso in carico non prese la decisione di prescrivergli una buona dose di calmanti.

“Shirofuku-san... come sta?”

A pezzi, proprio come te.
Non è facile raccogliere da terra il coraggio necessario per farglielo presente, nonostante tu sappia bene quanto quella domanda non sia stata fatta per mera curiosità. L’ex manager della Fukurōdani è sempre stata particolarmente legata al capitano, tanto che all’inizio del terzo anno avevano deciso di provare ad frequentarsi. La loro relazione finì presto, giusto il tempo necessario affinché Koutarou si potesse rendere conto di quanto in realtà fosse attratto mentalmente e sessualmente da tutt’altro genere di persona. Yukie lo aveva compreso ancor prima di lui, memore di quei pomeriggi che più che come appuntamenti potevano essere designati come dei “colloqui” svolti all’aria aperta il cui tema principale era l’enunciazione di tutti i pregi e le bellezze del nuovo setter divenuto subito titolare.
Nessun dramma, nessun rancore. Ma una volta che aveva deciso di farsi da parte, non era stata più la stessa. A partire dalla sua decisione di non dare più alcuna confidenza a colui che l’aveva spodestata dal cuore del ragazzo che amava e che, probabilmente, continua ancora ad amare.

“Non la vedo da almeno quindici giorni, ma Kaori mi ha detto che ha ripreso la terapia. È già un buon segno, non ti sembra?


Mmm. Mi odia ancora?”

Il suo sguardo ora punta al pavimento, mentre con il polpastrello dell’indice finge di disegnare piccoli cerchi sul tappetino di servizio. Ti sorge spontaneo il desiderio di comprendere cosa realmente rappresentino nel suo immaginario, quale strano legame ci possa essere tra il “tutto tondo” ed il tema delicato che state tentato di affrontare assieme.

“No, non penso sia mai arrivata a tanto. E nemmeno allora, sinceramente.”

“Eppure non voleva più avere a che fare con me al di fuori degli allenamenti. Anche in palestra si comportava spesso in maniera provocatoria.”

Ti stupisce ancora questa cosa? Non penso, dai.
In realtà chi si sta scoprendo piuttosto basito di fronte alle sue parole sei tu. La cura nei particolari è da sempre il punto forte della controversa personalità di Akaashi, anche se per lungo tempo ti eri in qualche modo trincerato dietro alla convinzione che si limitasse ad agire in quel modo solamente con un unico soggetto ben noto ad entrambi.
A dirla tutta, ricordi ancora piuttosto bene il sorriso bonario – che tutto mostrava fuorché incredulità – messo in mostra il giorno che avevi avuto il coraggio di rivelare sia a lui che a Koutarou che avevi iniziato a frequentare quella che loro chiamavano ancora Suzumeda-san.

“Era un’adolescente innamorata che aveva appena scoperto che il suo sogno proibito pensava a qualcun altro! Oltretutto la concorrenza spietata non portava il mascara ma mostrava ugualmente degli enormi occhi verdi che avrebbero potuto far venire capogiri all’intero universo femminile. E invece... aveva deciso di soffermarsi proprio su quegli stessi addominali scolpiti che tanto le toglievano il sonno di notte. Insomma, non credo sia biasimabile, dai.”

Keiji arresta quel movimento delle dita che stava cominciando ad assumere connotati ossessivi. Se solo si potesse considerare reale, giureresti di aver sentito l’enorme crepa già presente sulla superficie del suo cuore allargarsi ancora di qualche millimetro.
Una ciocca di capelli corvini si fa spazio tra voi coprendogli quasi completamente il viso. L’afferri con delicatezza e la sistemi di nuovo dietro quell’orecchio troppo caldo ed arrossato. Abbassi il capo allo scopo di poter incontrare il suo sguardo, ma soprattutto per cercare di recuperare il recuperabile all’interno di quell’abisso che si era inesorabilmente creato tra lui e qualsiasi persona tentasse di avvicinarglisi.

“Quindi sì, mi ha sempre detestato.”

Passando dal verbo “odiare” a “detestare” ha fatto dei piccoli progressi. Poca cosa, ma anche la singola accezione di una parola può far meno male di quella di un’altra in certi casi. Un piccolo varco tra le nubi della sua mente si sta aprendo a dosi centellinate, con la stessa velocità flemmatica che si concede a chi ha subito il trauma più grande della propria esistenza e ancora stenta a capire quale sia il modo migliore per cominciare a rialzarsi.

“Io credo che sia impossibile detestarti.”

“Non dirmi questo solo per farmi piacere. Io avrei potuto...”

Basta! Non avresti potuto fare un cazzo Akaashi, come tutti noi! Anzi, tu hai fatto molto di più di tutto quello che noialtri non abbiamo neanche tentato, vigliacchi e impauriti da quello che Koutarou era diventato nelle ultime settimane della sua breve esistenza!
Lo afferri per la testa con un’accortezza che si palesa solo in un secondo momento, quando lo porti appena sotto il mento, cullandolo a mo’ di fratello maggiore in piena fase di supporto psicologico. Lo senti tremare tra le tue braccia e non puoi far altro che stringerlo ancora più stretto, sussurrandogli di stare tranquillo, di non dilaniarsi l’anima con colpe che non gli sono mai realmente appartenute ma che, allo stesso tempo, non riesce ancora a sgravarsi di dosso. Le sue dita si stringono alla tua felpa, con l’intento simbolico di trattenerti a sé, alle sue paure, a quel senso di terrore che non lo fa dormire di notte, se non sotto l’effetto di quei maledetti antidepressivi che gli erano stati prescritti.

Una lacrima sfugge, inesorabile, lungo la tua guancia. Onde evitare che Keiji possa accorgersene, sollevi il capo per asciugarla il più velocemente possibile; ed è proprio in quegli istanti che la tua vista inquadra quella vecchia fotografia di gruppo spostata nella parte più nascosta del frigorifero. I magneti che la mantengono in equilibrio sono sempre quei due gufetti stilizzati che Koutarou aveva comprato in quanto sosteneva che somigliassero moltissimo a lui e al suo “Kaashi”. L’istantanea ritrae l’intera Fukurōdani bordata da una medaglia d’argento, ricordo di quel secondo posto ottenuto al Campionato Nazionale che vi aveva visti sì patire, ma anche consolidare ancor più quelli che erano i vostri già profondi legami d’amicizia. Alcuni erano andati ben oltre, come a dare ulteriore conferma a ciò che di buono eravate riusciti a costruire nonostante la vostra giovanissima età. Koutarou si trovava al centro, con quell’enorme sorriso a nascondere le lacrime che aveva appena terminato di versare; Keiji al suo fianco, con un’espressione decisamente più affranta, ma sempre nei limiti del conforto emotivo che gli era appena stato donato da chi lo conosceva meglio delle sue tasche.

“Keiji, ho visto la foto e mi è tornata alla mente quella volta in cui Koutarou ha suggerito a mister Yamiji di farti sostituire per un po’, in modo che tu potessi riposarti e soprattutto ‘riprenderti’ da un momento un po’ negativo. Non mi ricordo neanche contro chi stavamo giocando...”

“... Contro la Mujinazaka.”

“Ah caspita, una delle squadre più simpatiche del torneo insomma. Come ho potuto dimenticarmela?”  

“Konoha-san, perché mi stai ricordando una cosa che preferirei-”

“Perché quella volta ho capito. Ho capito quanto Bokuto credesse e tenesse a te. Da parte tua mi era già piuttosto chiaro, la definizione di ‘star player’ ce l’ho ancora ben impressa nella memoria come una delle cose più strambe che abbia mai sentito in vita mia. Beh, magari lo era un tempo... se proprio devo essere onesto.”

“Ti disse qualcosa in particolare in quell’occasione?”

Allenti la presa delle braccia sulle sue spalle, sperando che l’apertura al dialogo possa risollevarlo un minimo dai consueti pensieri. Poggi la schiena alla parte opposte della cucina, allungando le gambe in modalità decisamente più rilassata.
Chissà se anche tu necessitavi di un piccolo momento di sfogo come quello, dato che hai da sempre fatto il diavolo a quattro per tenerti tutto dentro ed evitare di far pesare ancora di più quel tremendo lutto sui tuoi amici e su tutte le persone a cui volevi bene, Keiji, Kaori e Yukie in primis.

“Beh, in verità non molto di più di quello che riuscì poi a riferirti in prima persona al termine del match. Il punto focale non è stato tanto quello che lui ha detto, ma il modo in cui vi siete posti continuamente uno nei confronti dell’altro per l’intera durata della partita. Al di là del tuo momento di difficoltà, avete praticamente ‘flirtato’ per tutto il tempo. Non vi siete persi di vista per un solo istante e avete entrambi inteso uno le esigenze dell’altro senza che fosse necessario dover chiedere ogni cosa in maniera esplicita. Doveva andare così tra voi, era destino.”

“Compreso quello che è successo... dopo?”

Tenendoti al piano della cucina, inizi a alzarti col pensiero di avviarti verso casa. La vibrazione del telefono non ti ha lasciato praticamente tregua, nonostante avessi fatto di tutto per ignorarla. Ma hai pur sempre una compagna che adori, che ti attende per cena nel vostro nuovo appartamento, come sognavate da diverso tempo. Oltretutto le avevi promesso che saresti passato prima in lavanderia e poi al konbini, dato che lei sarebbe stata presa da altri impegni.

“Credo di sì, purtroppo.”

“Mi manca da impazzire!”

Keiji butta fuori quell’ultima affermazione con un dolore che ti annienta, mentre nascondeva ancora una volta la testa tra il petto e le ginocchia, sperando quasi di non udire quelle stesse parole con il medesimo significato che accostava loro da oltre sei mesi. Si portò le mani sulla nuca ed iniziò a grattarsi nervosamente.
Ancor prima che potesse cominciare a scorticarsi seriamente, lo prendi per quei polsi già offesi e cerchi di sollevarlo da terra. L’impresa si rivela più ardua del previsto, ma al terzo tentativo si lascia tirare su senza particolari problemi.

“Sei già impazzito a sufficienza. È ora di riprendere in mano le redini della tua vita, non credi?!”

Le sue iridi chiare e pregne di nostalgia indugiano su quelle mani che stringono le sue antiche ferite per poi risalire sino al tuo viso. La risolutezza del tuo sguardo lo fa sussultare in maniera quasi impercettibile, consentendoti di rallegrarti del fatto che ora sia perfettamente cosciente e padrone dei propri umori.

“Che ne dici di fare un bella doccia e venire a cena da me? Ti porto a casa mia, ti lascio chiacchierare un po’ con Kao mentre io vado a sbrigare un paio di faccende. Ti va?”

Muove appena le braccia per chiederti implicitamente di lasciarlo libero; non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Sapevi fin da principio che avrebbe declinato il tuo invito.

“Stasera dovrebbe passare Udai-san. Sto ricominciando a correggere le sue bozze, pian piano. Vedi, a proposito di riprendere in mano le redini della mia vita...”

“E non mi dici nulla? Dai! Questa è una notizia fantastica! Anzi... di più!”

Un angolo della sua bocca si piega verso l’alto, mettendo in mostra un piccolo sorriso sbilenco, ma sincero. D’improvviso ti sovviene alla mente il giorno in cui Koutarou lo definì “candido”, chiedendo a voi altri se il termine avesse un senso compiuto nella frase che aveva dedicato a quel nuovo setter che all’epoca lo attirava come il miele richiama le api. Ed in effetti il termine calzava a pennello con la personalità introversa e trasparente del giovane editore.

“Lo avevo detto a Kuroo, pensando che portasse a termine la sua missione di ‘manifesto vivente’ della capitale.”

“Kuroo-san?! Ma figurati! Da quello che mi ha detto Washio, pare sia tutto preso dalle sue ricerche. Si pensa ancora a...”

“... A chi potrebbe sostituire Koutarou in Nazionale. Lo so, me lo ha detto.”

“Che idiota! Nessuno potrà mai sostituirlo e lui dovrebbe saperlo bene. La loro storica amicizia non conta più un cazzo?”

“Certo che lo sa. Per lui l’amicizia stretta con Koutarou era davvero importante, ma ha anche un ruolo e lo deve rispettare. Life goes on, Konoha-san.”

“Dici sul serio?”

“Dico sul serio.”

Il telefono squilla di nuovo. Un collega della ditta farmaceutica ti chiede un cambio turno per mercoledì prossimo. Non capisci il senso di questa premura ma accetti di buon grado la sua proposta. Lo saluti rapidamente fingendo un impegno urgente, senza mai perdere di vista Keiji che nel frattempo ha iniziato a rovistare nell’armadio in cerca della biancheria pulita.
Sul comò di quella stanza per due troneggia una grossa fotografia che li ritrae sorridenti e spensierati a pochi metri dalla Tour Eiffel, quella vera. Erano già passati quattro anni da allora, da quando Bokuto gli aveva regalato il viaggio più importante della sua vita come premio per il brillante superamento degli esami dell’ultimo anno. Non si vedevano ancora i suoi occhiali, mentre Koutarou già portava i capelli in maniera più disinvolta di un tempo.
La concretizzazione della felicità. Effimera ed infingarda, come spesso sa essere.

“Keiji, ascolta... io ora dovrei andare. A che ora arriva il tuo mangaka prediletto?”

“Per l’ora di cena. Tranquillo, non ho intenzione di tentare il suicidio. Mi trovereste troppo facilmente, non credi?”

“In effetti sì. Non ci sarebbe gusto, anche se spero vivamente che la tua sia solo una battuta di pessimo gusto! Ad ogni modo... chiamami quando vuoi, anche solo per sfogarti. Ok?”

“Recepito.”

“Buona serata allora.”

“Konoha-san?”

Ti fermi di fronte alla porta ancora chiusa. Riesci a malapena a sfiorare la maniglia prima di poter immaginare di aver dimenticato qualcosa; senza tralasciare il sospetto di aver straparlato al cospetto di un’anima già martoriata dagli eventi.

“Dimmi.


“Grazie. Mi ha fatto piacere ricordare alcune cose assieme a chi ha potuto viverle assieme a noi.”

Una stretta al cuore s’impossessa delle tue facoltà mentali e t’induce a sforzarti di non mostrare quelle lacrime che si stanno ancora una volta formando agli angoli dei tuoi occhi ferini. Stringi i pugni per trattenere la rabbia che hai da sempre riversato nei confronti di quegli dèi che avevano deciso di riprendersi il tuo migliore amico così in fretta fregandosene di chi, da quaggiù, avrebbe tanto voluto poter continuare a godere della sua esistenza.
Non hai più le energie necessarie per voltarti, ma sai bene che Keiji ne ha compreso il motivo.

“Grazie a te. Grazie per tutto quello che hai fatto per Koutarou in quei mesi tremendi. Io non ce l’avrei mai fatta al posto tuo. Nessuno di noi ce l’avrebbe fatta. Eri il suo mondo Akaashi Keiji, lo sei stato e lo sarai sempre. Buona serata.”

Chiudi la porta senza attendere la sua risposta. Percorri le scale e il cortile di corsa, entri nel van con il fiato corto, lasciando finalmente libero sfogo a quella tristezza che ti portavi dentro oramai da ore, da mesi.
Osservi il cielo plumbeo dall’alto del parabrezza, tenendo stretto il volante con entrambe le mani per non lasciarti completamente andare.
 



 
Hey Koutarou,

ascoltami bene.
Se ami il tuo Keiji con tutto te stesso, se davvero quel ragazzo ha rappresentato il tuo intero universo, la ragione principale per cui hai lottato contro quel male che ti ha torturato fino all’ultimo respiro... beh, ti chiedo di lasciarlo andare, di permettergli di vivere. Ti sei già preso la sua anima, il suo cuore... ma lasciagli almeno un po’ di spazio per far sì che attecchisca  la sua ‘nuova’ felicità, o almeno qualcosa che possa rasentarla.
Sai bene che non amerà mai nessuno come ha saputo amare te, ma dagli una chance. Non ti chiedo molto.
Proteggilo ancora da lassù, come hai fatto fino ad ora; ma permettergli di costruire la sua vita.
So che lo desideri anche tu, ti conosco vecchia volpe!
Stammi bene lassù,
 
Akinori


 




 

 
 


Angolo dell’autrice


Ringrazio anticipatamente tutti coloro che passeranno a leggere questa mia one-shot!

#AkaashiWeek2020! :)
Sesto prompt: Free (Without you).
Lo so, mi state odiando tutti e fate bene.
Questa one-shot, venuta anche un pochettino più lunga del previsto, è stata fortemente influenzata dalla nota e bellissima fan fiction “In another life” di LittleLuxray, oltre dalla mia recente lettura e visione di “Banana Fish”. Insomma, un concentrato di allegria che non poteva portare ad altro che a questo. :(
L’ambientazione è post timeskip e il contesto è rimasto quello canonico ad eccezione di qualche piccolo intreccio amoroso fortemente voluto. Come per “In another life”, Bokuto è venuto a mancare a causa di una grave malattia (nel mio caso un tumore), ma la conoscenza BokuAka segue quella dei tempi canonici del manga. Rileggere alcuni capitoli è stato davvero “salutare” per poter riscoprire l’importanza di un personaggio come Konoha, sicuramente più presente ed acuto di un Kuroo o di un Udai, dato che ha praticamente visto crescere insieme Koutarou e Keiji, così come la loro relazione (in qualunque modo vogliate definirla). Kaori e Yukie sono le due manager della Fukurōdani, per chi non lo ricordasse. In questa one-shot la prima è fidanzata e convive con Konoha, la seconda è a sua volta in piena crisi esistenziale per la dipartita di Bokuto.
Vi chiedo ancora scusa per aver scritto questa cosa triste e prolissa... sono pronta a schivare tutta la verdura che mi lancerete! ;)

Il testo è scritto in seconda persona (dal p.o.v. di Konoha) e al tempo presente.
Grazie a tutti coloro che mi hanno aiutato ad inserire Konoha tra i personaggi del fandom qui su EFP! *kiss*

Un ringraziamento speciale va agli ideatori di questa fantastica iniziativa. Grazie per aver permesso tutto questo! **

A presto,

Mahlerlucia
 
 
 
   
 
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