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Autore: rocchi68    27/09/2020    1 recensioni
Dawn era sempre stata una ragazza che, anche dinanzi alle difficoltà più disparate, affrontava il tutto con un sorriso e una dolcezza disarmante.
Una sera, però, si era ritrovata davanti a un’amara sorpresa.
Non aveva amiche, non aveva un posto in cui stare, era stata tradita dal proprio fidanzato nel momento di massimo splendore ed era frustrata da tutti quei fallimenti in rapida successione che potevano sancire la sua completa rovina.
Poteva spegnersi, cercare una scappatoia per la felicità oppure chiedere un ultimo disperato consiglio all’unica persona che mai l’aveva abbandonata.
Sempre che quest’ultimo fosse d’accordo…
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn, Duncan, Scott, Zoey | Coppie: Duncan/Gwen
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Non era andata per niente bene o così aveva pensato non appena aveva sentito il suo ordine.
Mentre si esprimeva a ruota libera e lasciava parlare il suo cuore, ignorando tutto il resto, lui sentiva d’essersi perso qualcosa.
Magari era solo lo stress o la sua coscienza sopita, ma gli pareva d’aver sentito una voce e che questa avesse tentato di rincuorarlo.
Inizialmente aveva pensato all’amica, ma nel sentire quell’obbligo opprimente, intuì d’aver sopravvalutato tutte le sue abilità. Era solo lo stress. Era quel maledetto che gli prendeva la testa e che, come una tenaglia, lo teneva fermo, mentre lo costringeva alla debolezza fisica e mentale, all’insonnia o a problemi intestinali.
Il suo medico di fiducia, lo stesso che lo aveva pregato di smettere di fumare per non danneggiare ulteriormente la sua salute, l’aveva invitato a prendersi il suo tempo nel fare le cose e gli aveva chiesto se potesse assentarsi dal lavoro per rilassarsi un po’ e per permettere al suo corpo di ritornare scattante come un tempo.
Scott avrebbe tanto voluto dargli retta.
Era stato lui a curarlo dalla varicella o a permettergli di assentarsi dal lavoro per una settimana a seguito di alcuni controlli alla schiena e al ginocchio sinistro. Sarebbe stato un sollievo allontanarsi dalla città, ma salendo in auto e selezionando una meta, avrebbe affrontato il tragitto in solitudine, aumentando la sua pseudo depressione e peggiorando l’intero quadro clinico.
Aveva pregato che quella gita potesse funzionare, ma fino a quel momento era stato tutto uno sbaglio.
Dawn continuava a pensare a Mike.
Lui era trattato peggio di uno straccio per pulire i pavimenti e la sua condizione peggiorava di giorno in giorno.
Gli restava solo la carta del rifugio. Quello che riusciva appena a intravedere dalla sua posizione e che sperava contenesse il kit medico e i beni di prima necessità. Non aveva più le forze per sopportare il peso di Dawn e non voleva scendere ancora di più a valle, rischiando di perdere il contatto con i suoi compagni.
Conoscendo la fantasia galoppante di Zoey, quest’ultima avrebbe creduto che fossero nei guai, sperduti tra i boschi, inseguiti da animali famelici, costretti magari in un ospedale oppure rapiti da strane entità aliene che volevano utilizzarli come cavie.
Prima di riuscire a ridere per questa considerazione, percepì alcune gocce cadergli sui capelli e nell’alzare lo sguardo si accorse di come il cielo si fosse scurito e di come il sole fosse andato a farsi una bella dormita dietro le nubi.
“Fortuna che siamo quasi arrivati.” Borbottò il rosso, risvegliando la compagna.
“Hmm?”
“Tra qualche minuto inizierà a piovere.”
“Come fai a saperlo?”
“Il tempo in montagna è così capriccioso che può cambiare da un’ora all’altra.” Spiegò, scendendo l’ultima discesa e notando di come ormai fosse tutto sul pianeggiante.
“Scott…io volevo scusarmi.”
“Hai fatto bene a sgridarmi: stavo perdendo tempo.” La rincuorò, sorridendo per quella situazione dai contorni ridicoli.
“Io…”
“Posso chiederti una cosa?” Domandò, continuando a passo sostenuto.
“Vuoi chiedermi di cambiare idea sul tuo conto?”
“Ti sembro così ottuso da volerti convincere del contrario?”
“Non lo so.”
“Come sei messa a rifornimenti?” Chiese, sperando che almeno nella sua borsa vi fosse qualcosa da mangiare.
“Non ti sei preparato con attenzione?”
“Pensavo di non incontrare simili difficoltà e facevo affidamento sul prossimo rifugio.” Borbottò imbarazzato, facendola sorridere.
“È impossibile che tu abbia lasciato tutto al caso.”
“Ho solo un pacchetto di cracker, una mela e alcune barrette al riso soffiato e cioccolato.” Elencò deluso, soppesando la borsa dell’amica tra le mani e pregando che la fatica del trasporto fosse ricompensata con qualche panino e non con un insieme di maglie e trucchi.
“Sarebbe divertente vederti morire di fame.”
“Ma così non avresti la medicazione e resteresti nel rifugio, fino a quando Duncan e gli altri non tornano indietro.”
“Volevo conquistare il palato di Mike, ma non ha toccato niente di ciò che gli ho offerto.”
“Sai che è molto schizzinoso sul mangiare.”
“Proprio per questo mi sono impegnata al massimo, ma è stato tutto inutile.” Replicò infastidita, mentre notava come Scott stesse cercando di aprire la porta ben sigillata del rifugio.
“Il tuo impegno non andrà sprecato.” Continuò, cercando di fare forza sulla maniglia, ma ritrovandosi in difficoltà.
“Ti serve una mano?”
“Questa maledetta si è bloccata.” Ringhiò, tirando un cazzotto contro il legno pesante della porta.
“Se vuoi possiamo…”
“Se riesco ad aprirla senza romperla e senza disturbarti, mi offrirai parte della tua cena?” Tentò, girando la testa nella sua direzione.
“Non hai bisogno di simili ricatti per farmi stare meglio.” Lo punzecchiò, notando tutto il suo impegno e sperando che la pioggerellina che stava scendendo sulle loro teste fosse presto sostituita dal calore e dalla sicurezza di quel minuscolo rifugio.
“Et voilà.” Esclamò dopo poco, richiudendo la porta alle loro spalle e tirando un profondo sospiro di sollievo.
“Stavo iniziando a dubitare della tua abilità.”
“Dato che ti ho portato al sicuro, potrei pretendere anche qualcos’altro.” Ghignò divertito, facendola arrossire.
“Del tipo?”
“Un bel bacio al tuo indomito cavaliere non sarebbe un qualcosa di troppo umiliante.”
“Cavaliere? Per avermi portato fino a qui credevo fossi un indomito destriero.” Replicò, ridendo a sua volta e permettendogli di udire quella soave risata che aveva quasi dimenticato.
“A volte ti dimentichi dell’odio che provi verso di me.” Mormorò sorpreso, facendola sussultare.
“Io…”
“Quando parlo come un idiota, abbassi le difese e mi concedi una possibilità.”
“Purtroppo questi momenti sono assai rari e ti conviene medicarmi il prima possibile, se non vuoi che Gwen ti minacci di morte.” Ringhiò di rimando, rendendosi conto con incolpevole ritardo che c’era un fondo di verità nelle parole dell’amico.
“Mi aspettavo un rifugio più grande.”
“Ed io mi aspettavo di essere già medicata a quest’ora.” Replicò nervosa, mentre lui la faceva adagiare sul letto e la fissava con un ghigno di superiorità che detestava.
Quel ghigno le faceva ricordare che lei era inferiore in tutto quello che lui faceva e che dal suo atteggiamento più cinico poteva aspettarsi anche la mossa più disperata. In quel caso, però, lui non avrebbe fatto assolutamente nulla per danneggiarla.
A suo avviso era già sconfitta in precedenza.
Stava peggiorando la sua vita per inseguire una chimera irrealizzabile e non si rendeva conto che poteva attingere alla felicità, allungando una mano e lasciandosi tutto alle spalle.
Era troppo cocciuta per svegliarsi da quello stato di torpore e, come aveva letto in una vecchia leggenda giapponese, Scott sentiva che Dawn era come la rana che abbandonava il suo stagno e che, non ritrovando la via di casa, sarebbe morta, sotto atroci sofferenze, nel grande oceano.
Era un paragone calzante.
Più si dibatteva, più sprecava energie e meno comprendeva il significato di quella storiella che il prof di letteratura antica gli aveva assegnato durante l’ultima lezione del terzo anno.
Incapace di trattenersi, dopo esseri allontanato per cercare il kit medico, si era voltato nella sua direzione, laddove Dawn si era tolta le scarpe e aveva scoperto la zona insanguinata per controllare la situazione e per asciugarla leggermente.
“Sei come quella rana…” Borbottò affranto.
“Hmm?”
“Stavo solo riflettendo.” Soffiò, aprendo il primo dei tre mobili che riempivano quel rifugio e di cui uno era, come lecito aspettarsi, custodia del kit medico.
“Una rana?”
“Lo capirai quando sarà tardi.” Pronosticò, riprendendo la sua ricerca e togliendo dalla sua traiettoria alcuni piatti, bicchieri e posate di plastica, presto accantonate insieme a delle tovaglie di stoffa.
 
Erano tutte vettovaglie quasi inutili.
Cosa se ne faceva un campeggiatore di posate o bicchieri, quando probabilmente si era portato da casa tutto ciò di cui aveva bisogno?
Quella schifosa bettola era utile solo per dormire e per avere un riparo da eventuali intemperie.
L’unica cosa per cui poteva ringraziare il cielo era il kit medico che sperava fosse ancora presente e che non fosse stato sgraffignato da qualche delinquente.
E per delinquente non intendeva Zanna o Duncan.
Intendeva quelli che, incapaci di andare aldilà delle proprie difficoltà, preferivano ostacolare anche gli altri per essere paghi.
Prima di scattare verso i mobiletti del rifugio, aveva controllato la ferita di Dawn e poi aveva ripreso la ricerca, borbottando e mugugnando come al suo solito.
“Dove cavolo hanno nascosto questo kit?” Brontolò spazientito.
“Non l’hai ancora trovato?”
“Non mettermi fretta.” Sbuffò, aprendo un mobiletto e trovando solo un po’ di cibo.
“Faccio prima a diventare vecchia.”
“Se non la smetti di rompere, ti riporto indietro e ti faccio mangiare dai lupi.” La zittì, concentrandosi sugli altri mobili presenti.
Era il silenzio ciò che gli mancava.
Per qualche secondo si beò di quella sensazione piacevole, salvo interrompersi nell’udire un leggero ticchettio al vetro appannato della finestra e lo sferzare più intenso del vento sulla porta.
“Piove.” Notò Scott, distraendosi per pochi istanti.
“Gli altri avranno raggiunto il rifugio?”
“Dovresti preoccuparti delle tue condizioni e poi di quelle degli altri.”
“Io…”
“Ma tanto so che i miei consigli non ti servono.” Rise amaro, avviandosi verso l’ultimo mobile che aveva da controllare.
“Come facevi a sapere del kit medico?” Tentò Dawn, sperando di alleviare il clima d’ostilità che aveva riempito quelle ultime settimane.
“Da piccolo venivo spesso in montagna con mio padre.”
“Non lo sapevo.”
“Ci sono tante cose che non sai di me, Dawn.” Sorrise, guardandosi intorno e sperando che quell’oscurità così opprimente svanisse il prima possibile.
“Per me, invece, hai solo sparato a indovinare.”
“Non del tutto.” Soffiò con calma, sfiorando il pacchetto di sigarette e ricacciandolo in profondità.
“Stai mentendo.”
“Se fossimo in inverno e i soccorsi ritardassero, quali speranze vorresti avere in un posto così infido e sconosciuto?” Spiegò Scott, riconcentrandosi sul mobiletto che aveva da controllare.
“Ci sono davvero i lupi?”
“Credevo avessi bisogno di una scusa valida per seguirmi.” Sussurrò, sorprendendola per quella premura molto insolita.
Aperta la sportella e spostati alcuni libri di vario genere, il kit medico di un arancione intenso e con una croce verde sul coperchio aveva fatto la sua magica comparsa.
Controllato il contenuto, perfettamente intatto, e appoggiato sulla credenza alcuni flaconi inutili alla medicazione e delle bende troppo corte e sottili per coprire la zona interessata, Scott si era riavvicinato al letto e aveva estratto altre garze imbevute con l’alcol.
“Ora ti brucerà un po’.”
“Io…”
“Vorrei dirti di resistere e che sarà una cosa breve, ma sarebbe solo una menzogna.”
“Cerca solo di non essere troppo brusco.” Soffiò, scoprendo la zona lesa e permettendo a Scott di vedere meglio l’entità del danno.
“Cercherò di essere delicato, ma se dovessi farti male, fermami subito.”
“Sì.”
Scott ricevuto il permesso di cominciare, aveva pulito la ferita con la massima precisione e velocità.
Lei, durante la prima medicazione, per non complicare ulteriormente le cose, era rimasta immobile.
Ogni tanto qualche lieve fitta la costringeva a chiudere gli occhi e a una smorfia di fastidio, ma per la maggior parte della medicazione era rimasta a farsi cullare dal tocco delicato e morbido del suo infermiere.
Più lo fissava e più arrossiva, rischiando di mostrarsi in una condizione di cui lui non avrebbe mai meritato di godere.
Nonostante l’impegno, la sua proposta e il suo aiuto essenziale per ritornare nel rifugio, Dawn non riusciva più a considerarlo degno della sua fiducia. Non era più un amico o un fratello con cui confrontarsi e cui chiedere consiglio.
L’ultima volta era stata abbandonata proprio per questo e lei non se la sentiva di affrontare ancora e per la milionesima volta quella questione. Avevano litigato. C’era qualcosa di tanto strano in quest’ovvietà? A tutte le persone normali capitava almeno una volta e più la questione è importante o la persona è fondamentale alla nostra vita, più si è restii ad accettare un abbraccio, una carezza o qualsiasi altra forma d’affetto.
E se aveva deciso di chiudergli la porta in faccia, ammettendo che se lo meritava ampiamente, solo lei aveva il diritto di rigirare la chiave e di riaccoglierlo nella sua vita. Nessuno, né i suoi amici, né le sue coinquiline, potevano o dovevano permettersi di obbligare il suo cuore a concedere una chance a uno sconosciuto così detestabile.
Fu nell’abbassare lo sguardo che Dawn notò come lui avesse applicato sulla caviglia un cerotto che, però, tolse subito.
A suo dire la ferita era ancora troppo fresca e sarebbe stato costretto a sostituire spesso la medicazione per evitare di sporcare ovunque.
Prima di procedere ulteriormente, si era rialzato dal letto ed era tornato vicino ai flaconi, sperando che non fosse stato troppo precipitoso e non si fosse dimenticato di una qualche pomata lenitiva. Recuperata una confezione completamente bianca, ad eccezione di una striscia rossa che attraversava il tubetto, si era messo a cercare tra gli scomparti del kit un ultimo strumento che, in quei frangenti, aveva finito con l’ignorare stupidamente.
Fu nell’estrarre un termometro digitale, che lei sobbalzò incuriosita, affermando che quella misurazione era solo un’immensa perdita di tempo.
Nello scontrarsi con le sue mani e poi con il suo sguardo furioso, si calmò e tornò placida e tranquilla come uno dei tanti laghi di quella riserva montana.  Come se non bastasse, Dawn si era fatta convincere anche dal suo brontolio e dalle sue imprecazioni, rabbrividendo solo al pensiero che era effettivamente nelle sue mani e che sarebbe stato inutile protestare con uno così testardo.
Ciò che incontrò poco dopo riuscì comunque a rallegrarla: era riuscita a scorgere un sorriso fugace e una scusa appena mormorata, riguardo al fatto che aveva ragione e che non c’era il minimo bisogno di antibiotici per fermare la febbre.
Fu nel poggiarli al suolo e nel srotolare parte della garza che Dawn intuì cosa stesse per accadere. Scott avrebbe iniziato, dopo le medicazioni con alcol e ovatta e dopo averle cambiato almeno due cerotti, una lenta e precisa fasciatura.
Questa volta Dawn restò concentrata sul suo lavoro, notando che talvolta lui tornava indietro laddove non era soddisfatto, coprendo con maggior attenzione la zona lesa.
Completata la fasciatura, Scott tastò appena sopra di essa e la carezzò lievemente.
“Sei stata fortunata.” Ammise sollevato.
“Davvero?”
“Potevi anche fratturarti la caviglia.” Affermò, riponendo l’armamentario usato dentro il kit.
“Io…”
“Te l’ho detto diverse volte di stare attenta.”
“Non sono più una bambina, Scott.” Protestò, mentre lui si rialzava e metteva al suo posto il kit medico.
“Quanto vorrei crederti, dico sul serio.”
“Secondo te Mike era preoccupato?” Gli chiese Dawn, facendolo rabbrividire.
“Lo era, ma non in quel senso.”
“Quale senso?”
“Per quanto tu possa impegnarti, dovrai cedere il passo a Zoey.”
“Ti sbagli.” Scattò lei, facendo una lieve smorfia.
“Tu puoi fare qualunque cosa per conquistarlo, ma non riuscirai a far breccia nel suo cuore.”
“No!”
“Felice di sbagliarmi, ma è così.” Affermò, sedendosi vicino.
“Da quando stai dalla parte di Zoey?”
“Io non sto dalla parte di nessuno, ma ti pregherei di non rovinare tutto.” Soffiò il rosso, cercando di mantenere la calma.
“Non sono affari che ti riguardano.”
“Già…non lo sono.” Borbottò, allontanandosi di nuovo.
“E poi che t’importa?”
“Io vorrei solo farti capire che Zoey ti odierà, se continui così.”
“Zoey non potrà mai odiarmi.” Ringhiò lei, facendolo sorridere amaramente.
“Solo una bambina non ragiona su quello che fa.”
“Io non sono una bambina!” Sbraitò, cercando di rimettersi in piedi, ma fallendo e ritrovandosi sorretta da un braccio.
“Ti conviene riposare.”
“Non dirmi quello che devo fare!”
“Il mio era solo un consiglio.”
“Dei tuoi consigli ne faccio anche a meno.” Ribatté con rabbia.
“Stai facendo tutto questo solo per attirare l’attenzione?” Sibilò lui, facendola distendere nuovamente.
“Taci!”
“Ci sono delle volte che non vorrei essere dalla tua parte.” Ammise, accendendosi una sigaretta.
“E allora perché ci provi comunque?”
“Perché sei l’unica persona che posso capire.”
“Tu non sai niente di me.”
“Ti sbagli.” Soffiò appena, assaggiando l’aroma che gli riempiva la bocca.
“Dimostramelo.” Lo sfidò, cacciandosi nei guai.
“So quanto fossi legata a tua madre e quanto vorresti che tutto tornasse come un tempo.” Picchiettò lui, facendo cadere la cenere sul pavimento.
“Non parlare della mia famiglia!” Ringhiò nervosa, facendolo sospirare pesantemente.
“E comunque so che hai passato gli ultimi esami con un misero 20.” Sviò, maledicendosi per aver tirato in ballo i genitori della ragazza e rievocando, quindi, dei ricordi non proprio piacevoli.
“Tu…”
“Quando dicevo che riuscivi in tutto quello che facevi, non intendevo concederti il permesso d’ignorare lo studio.”
“Non lo sto ignorando: è che sono concentrata su altro.” Sbuffò, stringendo le coperte.
“Immagino che sia faticoso uscire con Mike, fargli dimenticare Zoey, comportarsi da gatta morta e prepararsi per gli esami.” Elencò, sottolineando in particolare gli ultimi due punti di quella lista provvisoria che avrebbe potuto allungare ancora di più.
“Smettila di rimproverarmi!” Ringhiò, non riuscendo a fermarlo.
“Com’è che con Beverly ci riuscivi senza problemi?” Domandò senza troppi giri di parole.
“Non sono affari tuoi.”
“20 miseri punti…perfino io potrei fare di meglio, se m’impegnassi.” Sospirò il rosso, aggiungendo che era una vera delusione e che si aspettava molto di più da lei.
“Chi ti ha detto che sono in difficoltà?”
“Prova a scoprirlo da sola.”
“Zoey farebbe di tutto per screditarmi.” Commentò, tirando un lieve pugno al mobiletto che aveva alla sua destra.
“Perché sei ancora così immatura da scaricare la colpa agli altri?”
“Io…”
“Se vuoi proprio saperlo, è stato Duncan a dirmelo.” Borbottò il rosso.
“Appena lo avrò tra le mani, lo strozzerò.”
“Dawn io so cosa si prova a restare soli.” Aggiunse Scott, cercando di distoglierla dai suoi intenti vendicativi.
“Io non sono mai stata sola.”
“Scusami tanto se mi pareva il contrario.” Soffiò il rosso, abbassando la testa.
“A dire il vero sei tu quello che è sempre stato solo.”
“Lo ero, prima d’incontrarti.” Tentò, spegnendo la sigaretta che aveva riempito la stanza con un aroma intenso.
“Io non sono mai stata interessata a te.”
“Me ne sono accorto.”
“E poi perché dovrei stare con uno come te?” Gli chiese, facendolo sussultare.
“Non eri tu a dire che non si giudica un libro solo dalla copertina?”
“Allora diamo un’occhiata al suo contenuto, ti va?” Continuò ironica, quasi volesse il permesso prima di distruggerlo.
“Perché no?”
“Hai giocato con molte persone, hai deluso Courtney e hai fatto in modo che mi affezionassi a te. Perché sei così cattivo? Quali possibilità pensi di avere ancora?”
Tutte quelle domande vomitate con tanta ferocia si scontrarono con la pochissima sicurezza di Scott.
Cattivo. Era così che lo considerava. E poi quelle domande.
Lui voleva solo tornare come un tempo. Voleva ridere, scherzare e parlare per delle ore, prima di riaccompagnarla a casa. Davanti a quelle verità aveva ricevuto un altro schiaffo che lo aveva indotto al silenzio.
Abbattuto, aveva rialzato lo sguardo, scontrando il vuoto con il suo fuoco e accorgendosi che lei non era come Zoey. Quest’ultima, in un moto di pietà, avrebbe anche potuto spegnere il suo ardore, ma Dawn, con quello che le aveva fatto passare, non aveva motivo per impegnarsi in una premura che l’avrebbe spinta solo alla confusione. Lei aveva accettato di partecipare alla gita solo per un secondo fine e questo riguardava l’avvilire, ferire e umiliare Scott.
Un po’ come quei beceri del club di scienze che catturata una mosca preferivano storpiarla prima di accopparla con una scossa elettrica.
Quello era il suo modus operandi della vendetta.
Dawn e il suo ardore avrebbero spinto il nulla presente nello sguardo glaciale di Scott ancora più in profondità.
“Un momento, pensi davvero che io potrei mai stare con te?” Continuò brusca, facendolo tentennare.
“Una volta era così.”
“Io amo Mike e tu non esisti più.”
“Non ti credo.” Soffiò, allontanandosi mestamente.
“Se tu non ci fossi, mi faresti solo un gran favore.” Infierì, costringendolo ad abbandonare il rifugio prima che la rabbia prendesse il sopravvento.
Uscito e raggiunta la pioggia, Scott sentiva che ormai era giunto il momento.
Dawn era cresciuta, ormai era pronta per spiccare il volo e lui doveva scansarsi dalla sua traiettoria per permetterle di ottenere l’esperienza necessaria a vivere.















Angolo autore:

Ehi Ryuk...shinigami da bancarella, vedi anche tu quello che vedo io?

Ryuk: Sarebbe?

Il deserto più assoluto.
In due settimane nessuno ha scritto niente.

Ryuk: Non mi dirai che siamo gli unici sopravvissuti all'Apocalisse, vero?

No!
Si vede che gli altri autori hanno di meglio da fare...mica come te che mi stai sempre con il fiato sul collo.

 
   
 
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