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Autore: Redferne    27/09/2020    5 recensioni
Tra Nick e Judy sta accadendo qualcosa di totalmente nuovo ed inaspettato.
E mentre Nick cerca di comprendere i suoi veri sentimenti nei confronti della sua collega ed amica, fa una promessa a lei e a sé stesso: proteggerla, a qualunque costo.
Ma fare il poliziotto a Zootropolis sta diventando sempre piu' pericoloso...
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 77

 

 

 

 

TO THE BATTLEFIELD – ANCORA VIVI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quasi non aveva fatto a tempo a poggiare entrambi i piedi sopra alla superficie del pavimento, mentre si rialzava dall'improvvisato giaciglio preparato e ricavato dal divano del salotto, che si precipitò verso la stanza.

A perdifiato e a rotta di collo, praticamente.

La sua stanza, che aveva volentieri ceduto a chi ben sapeva.

Attraversò il corridoio in un attimo.Giusto il tempo necessario ad un battito cardiaco. O di ciglia. O giù di lì.

Il tempo giusto e corretto che di e in genere ci si mette anche per esalare oppure ad immagazzinare un respiro.

Piombò sulla porta. Rimasta e che lei stessa aveva lasciata naturalmente e volutamente aperta, in modo da poter sentire ed udire qualunque genere di suono e di rumore potesse provenire da dentro a quelle quattro mura.

Di qualunque tipo o natura esso fosse. Anche se non si aspettava certo di sentire roba strana o fuori dal normale. Proprio come ciò che aveva ascoltato e che le era arrivato a portata di orecchio giusto poco prima.

Niente che in genere non si stabilisca che debba provenire da un malato, un ferito o un moribondo, insomma. Anche se l'ultima in ordine di elenco, tra le tre etimologie appena enunciate, andrebbe usata con una certa dose di parsimonia mista a misura. E di certo non a casaccio.

Oppure a sproposito, visti i lugubri e funesti contenuti che essa implica.

E comunque...mai prima del tempo, in ogni caso. Mai prima che sia necessario.

O inevitabile, che dir si voglia. Ma...

Ma il più fresco e recente, tra gli appartenenti a pieno diritto alla siddetta categoria, quella dei VOCALIZZI...

Proprio il più recente l'aveva messa improvvisamente sull'attenti ed in guardia. Nonché in allarme.

Quel che aveva appena udito, poco prima...non apperteneva, non poteva appartenere ad uno che sta male. O che é in procinto di morire e di lasciare questo mondo e questa valle di lacrime.

Nossignore. Apparteneva piuttosto a qualcuno decisamente in forze.

E dannatamente su di giri.

Ad una BESTIA. E pure alquanto arzilla e vispa, come se non bastasse. Anche se...

Ha forse senso usare quella parola così vile, dispregiativa, infamante e di così basso ed infimo rango ed ordine?

No, lo si dica...era davvero necessario, un simile termine?

Dopotutto...non ci si trovava certo all'età della pietra..

Non più, ormai. Anche se sarebbe meglio dire per fortuna.

Per fortuna dei mammiferi in generale. Soprattutto per le prede e per gli erbivori.

Dare della bestia e dell'animale a qualcuno costituisce la peggiore offesa ed il più grande insulto a cui si possa ricorrere. Ed a cui si possa anche solo pensare o immaginare.

E' la cosa più gretta, vigliacca e meschina di cui ci si possa macchiare. Fatta forse debita eccezione per l'utilizzo della maggiore forza fisica da parte degli esemplari più grandi, forti, grossi e robusti nei confronti di quelli più piccoli, gracili, minuti ma soprattutto deboli.

Lo é perché, così facendo e così parlando, si sputa e si manca di rispetto su tutti gli sforzi ed i sacrifici compiuti dagli abitanti dell' intero pianeta, da quasi duemila anni e forse anche di più. Per cercare di controllare e di dominare i propri istinti più bassi, sanguinari e beceri in e nel nome di una pacifica e comune convivenza civile tra le varie e più disparate specie.

Con particolare riferimento ai PREDATORI.

Cosa, questa, che era la più che ovvia quanto scontata. Visto e considerato che sono senz'altro loro quelli che più ci avevano smenato e rimesso, durante quel lungo processo di normalizzazione, dal punto di vista di controllare, dominare e reprimere adeguatamente i propri impulsi.

E' così. Ma é GIUSTO che sia così. Ed é giusto che sia stato e che sia avvenuto così, in un remoto passato.

Per arrivare a prodotti e progetti finali più o meno riusciti, ma ancora con un gran potenziale in divenire e nell'avvenire come lo é la celeberrima quanto rinomata città di ZOOTROPOLIS, che ancora oggi rappresenta il principale motivo di orgoglio ed il fiore all'occhiello per l'intera società...si é dovuti passare attraverso innumerevoli tentativi ed esperimenti.

Molti dei quali calmorosamente e tragicamente falliti.

Fallimenti che sono costati un mucchio di vittime.

Quanti morti.

Quanti, in passato, ci hanno rimesso le loro vite per via di chi ha perso la bussola oppure a quello stesso controllo unito a repressione, ed entrambi auto – indotti, é inconsapevolmente o involontariamente sfuggito. E a momenti senza quasi nemmeno rendersene conto, finendo con lo scatenare la propria ferocia e crudeltà senza più alcun genere di limite...

Vittime innocenti a loro volta, perché non certo colpevoli di ciò che commettevano. In quanto non erano stati loro a decidere di fare quel che avevano fatto di propria spontanea volontà ed in piena libertà ed autonomia.

Non li avevano decisi loro, quei crimini. Anche se alcuni di essi erano stati davvero ORRENDI. E raccapriccianti.

In quanti sono deceduti, solo per il fatto che qualcuno non si fosse accorto di aver compiuto un errore a dir poco madornale.

Il tragico ed avventato sbaglio dell'aver concentrato troppi esemplari delle tipologie e delle razze più diverse e differenti nello stesso, circoscritto e ristretto spazio...

Tutte insieme nel medesimo posto. Con conseguenze nefaste.

D'altra parte...se é vero, stando a quanto si dice, che la strada verso l'inferno sia lastricata di buone, di buonissime e genuine intenzioni, allora sarà anche vero che la strada delle buone intenzioni si lascia dietro e alle spalle un sacco ed una sporta di freddi e martoriati cadaveri.

E' così, che funziona.

E' così che si deve svolgere un'espressione o un equazione, per determinarla e dimostrarla.

Facendo combaciare le sue due parti complementari, le sue due esatte metà.

Se manca un pezzo...di fatto nemmeno l'altro ha ragione di esistere, anche se ben presente.

Ad ogni paragone ne deve corrispondere un altro, per poter fare un esempio come si deve.

Ad una cosa...ne deve corrispondere e combaciare per forza un'altra.

E all'altra...ne deve obbligatoriamente corrispondere un'altra ancora.

Altrimenti, in caso contrario...l'esempio in questione non ha senso.

Non ha alcun senso. Proprio alcun tipo di senso.

Ne sono morti in tanti, per arrivare alla società come la si conosce oggigiorno.

Ogni morte, ogni dipartita costituisce una perdita.

Ed alcune...anche più di altre.

Ma se la loro morte può essere servita, può essere stata davvero utile per riuscire a poter ottenere qualcosa...allora vuol dire e sta a significare che tutti quei poveretti non saranno affatto morti invano.

Ecco.

Con queste premesse, con premesse simili e di tale calibro...prendersi la briga di voler dare della bestia o dell'animale a qualcuno, usare questi termini con chicchessia significa soltanto una cosa.

Oltre che all'offendere il destinatario di tale appellativo ed epiteto, s'intende.

E cioé mancare di rispetto a tutti quei morti.

Agli uccisi come agli uccisori.

A tutte quelle vittime innocenti, compresi i loro carnefici.

Li si insulta, agendo in tal modo. E non lo meritano di certo, quelle povere anime.

Grazie alle quali si é potuto realizzare il sogno ideato da quello che doveva essere un autentico manipolo di pazzi.

Gente che ragionava al rovescio e al contrario.

Di solito si sostiene che il fine di un viaggio...sia il viaggio stesso. Poiché la meta, il punto di arrivo...sono ignoti. Nel senso che qualcuno lì già belli che decisi.

Quel misterioso tomo ha già provveduto per noi. Per tutti.

E stando così le cose, se davvero la faccenda sta messa così...ad uno non resta, non rimane che percorrerli.

Conta il viaggio, non la meta.

Però, se si comincia a pensare anche alla maniera opposta, e ad iniziare a ritenere che essa sia davvero possibile e praticabile...allora ci si inizia a convincersi anzi, ad auto – convincersi che si possa veramente tracciare il percorso, il sentiero da soli. Per conto proprio. Ed ecco che allora, a quel punto...

A quel punto prende a contare la meta, non più il viaggio.

E se si dà tanta, troppa importanza a quella...tutto il resto passa in secondo piano.

Non conta più nulla. A nessuno importa o gli importa più nulla.

Si entra in uno schema di sopravvivenza terribilmente ripetitivo. Ma altrettanto tremendamente efficace. Perché da quel momento in poi si guarda solo al risultato, e nient'altro.

Avanti, avanti. Sempre avanti. Non importa quanti ne cadano, lungo il tragitto ed il cammino.

Avanti. Sempre avanti. Ancora avanti. Senza guardarsi mai attorno oppure indietro.

SENZA VOLTARSI MAI.

Ancora un passo. Solo un altro passo.

Ancora un miglio. Solo un altro miglio.

Soltanto, null'altro che un altro passo e un altro miglio in più.

Insomma...roba da pazzi, si diceva. Da autentici pazzi.

Infatti. Non vi é e non esiste altro modo, per definire il concetto in questione.

Non ce n'é.Che ci si metta pure a cercarlo, se si dispone di una generosa dosa di tempo da perdere unita alla voglia di buttarlo via.

Non esiste. E ci si voglia credere e fidare sulla parola, che conviene.

Ma spesso la soluzione dei problemi sta proprio nella pazzia. Unicamente in quella.

La pazzia.

Perché é così che talvolta si può chiamare e si definisce la capacità di poter arrivare a pensare e svluppare e progetti che al resto della popolazione e delle genti...non possono venire in mente.

Per il semplice fatto che non sono in grado di farsele venire in mente, tutto qui.

In fin dei conti...é proprio per merito di quel branco di pazzi che oggi si può avere e si può godere della metropoli più folle, strana e meravigliosa sulla faccia della terra.

Il luogo, il posto dove tutti possono vivere in armonia. E dove ognuno può essere ciò che vuole.

Fino in fondo.

Se si tiene debito conto di tutto ciò...con tali premesse, azzardarsi ad apostrofare un mammifero, con particolare riferimento ad una categoria nello specifico, ancora a quel modo...Risulta essere l'equivalente di dare del tenero ad un coniglio.

Specie quando non lo si é, un coniglio.

Significa essere rimasti al periodo in cui gli esseri viventi, alcuni di essi venivano considerati solo in virtù di un unico scopo. Valutati solo per la prelibatezza e la succulenza delle loro carni.

Venivano trattati unicamente come cibo, e nient'altro.

Li si vedeva solo come dei pezzi di carne, delle bistecche con le zampe e dotati di arti che camminavano e deambulavano.

Totalmente privi di emozioni, pensieri o sentimenti.

E andiamo...da quando in qua una bistecca pensa?

Da quando in qua una bistecca é triste per la propria sorte?

Che non si venga a tentare di minchionare la gente dicendo loro che una bistecca soffre.

O che ama. O che si rende conto di stare al mondo.

Di essere viva.

Non si é mai vista.

Non la si é mai vista, una roba del genere.

Non esiste. Ma non esiste proprio.

Significa essere intimamente e profondamente convinti che, nel corso di questi ultimi duemila anni...non sia cambiato pressoché nulla.

Che sia rimasto tutto uguale. O pressappoco, che é come dir tutto.

Che gli animali, pur che si siano civilizzati...siano rimasti, pur sempre ed in fondo...nient'altro che animali

Dei luridi animali.

Non avrebbe dovuto usare quei due termini. E nemmeno osare pensarli.

Non avrebbe mai dovuto farlo.

Ma non aveva potuto farne a meno, purtroppo.

Non aveva potuto ricorrere a parole diverse, per interpretare e giudicare quel che aveva appena sentito.

Quel rumore. Quel suono.

Quell'ululato.

Due termini di antico conio come BESTIALE e ANIMALESCO, per quanto orribili e spregevoli che fossero...calzavano alla perfezione e a pennello.

Non avrebbe saputo né potuto definirli in altro modo. Così come non esistevano altri modi migliori per definirli, anche se indubbiamente brutti.

Quel verso l'aveva allarmata. E quello che ne era venuto subito dopo...

Il silenzio, il silenzio praticamente di tomba che ne era conseguito l'aveva allarmata ancora di più.

Non appena giunse sull'uscio ci infilò dentro la testa, pur non senza timori.

Ma lo avrebbe fatto anche a costo di perderla. Anche a costo, una volta ritirato il collo al'indietro, di ritrovarsi con un moncherino troncato e zampillante sangue al posto di dove una volta vi era il suo cranio di cervide.

Sbirciare nel buio non certo il suo forte.

Percepire mediante le orecchie ciò che vi languiva e si agitava, in tutte quelle tenebre ed in tutta quanta quella pece...

Beh, quello si.

Indubbiamente si.

Con gli occhi, invece...beh, per quanto riguardava quello un po' meno, purtroppo.

Le ci volle un poco, per adattarsi a quell'oscurità.

Non tantissimo, certo. Ma vista la situazione ogni istante era a dir poco prezioso.

Preziosissimo.

Osservò con calma ogni cosa, ogni particolare, ogni dettaglio.

Li conosceva, conosceva ognuno di loro praticamente a memoria e a menadito. Sia la forma che l'aspetto che la posizione di ogni cosa.

Se ne sarebbe accorta senz'altro subito, al volo e all'istante, se qualcosa non andava. O che oppure fosse o risultasse storta o fuori posto.

I mobili. Tra cui la cassettiera, il comò e l'armadio. Il letto sfatto. La finestra che aveva già provveduto ad aprire e tenere bella spalancata secondo i precisi dettami e le istruzioni del caro compare nanerottolo, che aveva seguito diligentemente e alla lettera.

Subito dopo che quella roba contenuta nel sacchetto che lui le aveva donato e che aveva fatto bruciare nell'incensiera si era completamente volatilizzata.

Una volta esaurito il suo compito si era come carbonizzata, riducendosi letteralmente in cenere.

Anzi...in cenere di cenere, a voler essere precisi.

Non ne era rimasto di fatto più nulla, di quel composto essiccato.

Più niente. Neanche da abbrustolire.

Unica traccia del fatto che si fosse veramente dato fuoco a qualcosa...era l'odore.

Era rimasto un odore davvero terribile.

Quello che Finnick le aveva detto di fare, leì lo aveva fatto. E a regola d'arte, pure.

Con tutti i sacrosanti crismi degni di questo nome. Anche se sugli effetti più o meno possibili, plausibili e collaterali di quella roba...non c'era certo da poterci mettere la zampa sul fuoco.

Di sicuro c'erano gli effetti che quella robaccia avrebbe avuto su di lei, che del resto era l'unica cosa su cui il fennec era stato particolarmente e completamente chiaro. E limpido, pure.

Almeno lì, non vi erano dubbi.

Per la precisione su cosa le sarebbe successo se avesse respirato anche un solo, singolo fiato o respiro di quei pestilenziali ed ammorbanti fumi.

Si era quindi piazzata un panno davanti a bocca e naso.

Almeno inizialmente aveva optato per un semplice quanto banale fazzoletto, ma sulle ultime aveva ripiegato su di un ben più spesso e robusto asciugamano, legandoselo ed annodandoselo dietro alla nuca e stringendo ben bene.

Per sicurezza aveva provveduto a trattenere pure l'aria dentro di sé, mentre aveva cominciato ad aerare opportunamente il locale. E non certo perché dopo avesse dovuto soggiornarvi come recita l'etichetta sull retro o il bugiardino di qualche potente insetticida o persino di alcuni profumatori per ambienti.

Aveva aperto e spalancato tutto, e tutto aveva così tenuto. Per poi mettersi subito dopo a sgomberare e sbaraccare tutto quanto.

Se n'era rimasta quindi in apnea.

Come tutti quelli della sua razza era un'eccellente nuotatrice, si di natura che per istinto. E riuscire a trattenere il respiro per un ampo periodo di tempo era fondamentale, soprattutto se capitava di dover attraversare e guadare corsi d'acqua, torrenti, fiumi e persino laghi alquanto profondi dove talvolta era necessario immergere e tenere giù la propria testa sott'acqua.

Si era messa pertanto in uno stato più o meno prolungato di sospensione volontaria della trachea per tutta la durata dell'operazione. E giusto per stare tranquilla aveva continuato a matenere tale quello stato anche quando aveva iniziato a fare piazza pulita di quel mefitico miscuglio, pulendo e lavando a dovere il contenitore in cui era racchiuso e mettendosi a darci dentro di acqua fredda, detergente per i piatti e la solita, utile quanto immancabile spugna.

Sciacquando e sfregando senza sosta. Ed impiegando tanto olio di gomito e buzzo buono.

Alla faccia di chi dice che acqua ed olio siano incompatibili. Che da appena tiepido o fresco il secondo rimanga distaccato in bolle di varia foggia e forma per poi risalire fino ad addensarsi sulla superficie dell'altro liquido con cui condivide la medesima porzione di spazio o contenitore.

Oppure che da caldo, al minimo contatto con la compagna di forzata convivenza descritta appena poco prima inizi a schizzare tutto intorno i minuscoli dardi roventi ed incandescenti pronti a trafiggere ed ustionare il pelo, la pelle e la carne dell'incauto che ha avuto una così bella trovata.

Andò avanti quanto le bastò per far sparire tutto. Anche se, come già accennato in precedenza...non é che di quello schifo fosse rimasto poi molto. A parte...

Fatta debita e dovuta eccezione per l'odore. Già detto anche questo, comunque.

Quella robaccia...puzzava. Puzzava in una maniera a dir poco terrificante.

Pur non avendola inalata, le bastava sentire il modo in cui continuava a punzecchiare ed istigare le sue narici mentre cercava di entrarvi dentro a tutti i costi.

Era sufficiente averla lì, intenta ad indugiare sulla soglia di entrambe le cavità nasali, facendogliele bruciare.

Insieme ed in buona e degna compagnia delle pupille, che come se non bastasse avevano preso pure a lagrimare.

Peggio, mille volte peggio di un lacimogeno. O di un gas nervino o asfissiante.

Del sarin o del cianuro.

Le era bastato ed avanzato quell'assaggio, quell'accenno e richiamo di fragranza per rendersi conto ed avere un immediato sentore di quanto quella roba fosse micidiale.

Ma dove diavolo era andato a prenderla il compare, quella porcheria? Dove accidenti l'aveva rimediata?

Chi poteva mai essere il MALATO DI MENTE che gliel'aveva venduta? E che molto probabilmente la doveva pure produrre, come minimo?

Anche se, vedendo il tipo...c'era da pensare e sospettare che se la coltivasse persino da solo e per proprio conto.

Tsk. Che roba.

Altro che detenzione, possesso ed uso ripetuto e reiterato di sostanze illecite.

Qui c'era, ci stava benissimo l'accusa e la denuncia per traffico di materiale illegale finalizzato a scopo di attacchi ed attentati terroristici.

Con conseguente arresto. E successiva detenzione a vita all'interno di un carcere di massima sicurezza.

Garantito.

Mentre era intenta in quelle sue personali analisi e considerazioni, pur senza perdere di vista neanche per un solo secondo il proprio obiettivo principale della sua sortita ed ispezione, anche se non é che la vista in quel caso la stesse aiutando poi molto e nemmeno più di tanto...

Mentre stava facendo ciò, Laureen si era improvvisamente accorta di aver giusto giusto terminato la sua visita di controllo nottetempo.

Nord. Sud. Ovest. Est.

Tutto regolare.

Tutto perfettamente in regola.

Niente di nuovo da dover segnalare sul fronte occidentale.

E men che meno sul fronte specularmente opposto, quello orientale.

Era Mezzanotte, anzi...

Era ben più di Mezzanotte, e...e tutto andava bene.

Aveva controllato tutto quanto. Ed era tutto quanto a posto.

Tutto a posto ed in ordine. Come più non si poteva.

Se non fosse che...

Se non fosse che Nick...NON C' ERA.

Non c'era. Nick era sparito.

Il letto era vuoto. C'erano solo le lenzuola lievemente mosse ed il cuscino leggermente schiacciato. Così come e quanto lo era il materasso.

L'assalì il panico. Ma...giusto per qualche istante. E niente di più.

Non si diede che una manciata di secondi e basta, per rimanere in tale stato.

Non se ne concesse oltre, nemmeno uno solo.

Per il semplice fatto che non se lo poteva permettere, quel lusso.

Perché una madre, oltre ad accorrere quando un cucciolo che sia espressamente il suo oppure di qualcun'altra ma momentaneamente sprovvisto di madre autentica, ed oltre ad avere e a mantenere tutto quanto sotto il rigido e pressoché perfetto quanto assoluto controllo...

Soprattutto, una madre non può mai perdere la testa.

In nessun caso.

Non é prevista alcuna, nessuna eccezione.

La sua deve rimanere ben salda ed ancorata al suo collo, anche a costo di essere l'unica.

Anche quando tutti intorno...la stanno perdendo. Se non l'hanno GIA' PERSA, addirittura.

E' un lusso che non si può assolutamente permettere, si diceva.

Si regolò da sola il proprio respiro. E cominciando da quello, pian piano il suo battito rallentò ed il suo corpo si rilassò. E la mente tornò ad essere come e quale era prima.

Fredda e concentrata.

Una gelida lama di ghiaccio in completa opposizione ad un petto caldo.

Caldissimo.

Freddo e fuoco.

Il primo nel cervello, ed il secondo dentro al torace.

Così si sente, così si deve sentire una madre.

E' questo, ciò che si deve provare.

Esattamente questo, per sapere e per capire di stare facendo un ottimo lavoro.

Riprese ad osservare con pazienza e tranquillità, a partire proprio dal letto.

Proprio il punto da cui era partito il chiaro avviso che qualcosa era fuori posto, e che non stava affatto andando per il verso giusto.

L'impronta sul materasso e sul cuscino era ancora ben visibile, sia sull'uno che sull'altro.

Non avevano ancora riassorbito lo schiacciamento da peso, recuperando così la forma originaria.

Da quello era evidente, più che evidente che Nick non aveva abbandonato la stanza poi da molto.

No, non doveva essere passato troppo.

Stabilito quello...Laureen non ci mise poi molto tempo neanche a fare il classico due più due uguale quattro.

Giusto quello necessario a rendersi conto che non poteva essere uscito dalla porta della camera, altrimenti lei lo avrebbe senz'altro incrociato lungo il tragitto.

Ed anche senza incrociarlo, lo avrebbe senz'altro visto. Dunque dove...

Dov'é che poteva...

Da dov'é che avrebbe potuto...

La finestra.

La finestra aperta.

La finestra che lei aveva lasciato spalancata.

Nick doveva essere uscito da lì. Doveva essere senz'altro uscito da lì.

Doveva per forza essere uscito da quel punto.

Dalla finestra.

Restava da capire come caspita avesse fatto ed in che modo ci fosse riuscito, con un braccio che era praticamente fuori uso.

Così come la matura daina avrebbe voluto tanto capire che cavolo gli fosse saltato in testa.

E dove cavolo avesse intenzione di andare, potendo contare sulla disponibilità di un solo arto.

Gli era già andata fin troppo grassa che di contuso avesse soltanto quello, dopo la ripassata che aveva subito.

E che non fosse rotto, con le ossa ridotte in frantumi ed in tanti piccoli pezzi, a rotolare come tante pietruzze e sassolini tra i tessuti causando un autentico quanto atroce male canide.

Già. Lo si poteva considerare senz'altro un vero e proprio miracolo, considerando quello a cui lo avevano sottoposto.

Ma non si poteva mai dire, se continuava a sforzarlo. E a sforzarsi a quella maniera.

Doveva stare a riposo.

Ma ciò che contraddistingue una madre, oltre alle caratteristiche già elencate in precedenza...é il solenne ripudio ed il risoluto rifiuto del MULTI – TASKING.

Quello é destinato e giusto buono per le femmine single ed in carriera.

Quelle che vedono i figli e la prole come inutili pesi ed orpelli. Che sono e che rimangono orgogliosamente da sole perché, nella vita...non accettano regole, loro.

Certo.

Come no.

Questo almeno fino a quando non scatta impietoso il tanto famigerato orologio biologico.

E allora si vedrà che faranno letteralmente a gara per darsele, quelle benedette ed insieme maledette regole del cavolo.

Prima tra tutte...la convivenza e l'accettazione dell'orrido, insopportabile ma purtroppo insopprimibile maschio.

Quando una certa sveglia comincia inesorabilmente a ticchettare proprio come quella ingoiata da un gigantesco e famigerato rappresentante di una categoria di rettili ormai estinti, e da tempo in fissa col resto del corpo di un altrettanto famigerato capo di pirati dopo che gli aveva assaggiato e pappato un'intera mano, peraltro gradendola pure parecchio...

Quando quelle lancette iniziano a girare e a vorticare...le si vede correre verso l'altare o il municipio con lo scatto ed il piglio peggiori di un centometrista dilettante o professionista alle prese col record del mondo apprtenentente alla sua categoria da abbattere e da superare.

Oltre al lavoro si aggiungono quindi la famiglia. E poi i figli.

Decidono di tenere le zampe in più scarpe. In TUTTE le scarpe.

In tante, troppe scarpe tutte insieme.

Vanno in un casinò e decidono di giocarsi tutto ed in contemporanea alla roulette, al baccarat, al chemin – de – fer e alle slot – machines.

E finendo invariabilmente per perdere, su ogni fronte. Ed ogni tavolo.

Per ogni dove. Per poi, alla fine, decidere di prendersela col destino baro, cinico e truffatore.

E pure MASCHILISTA, che vuol sempre tagliare le gambe e tarpare le ali a quelle moderne ed emancipate, impendendo loro così di spiccare il volo schiacciandole tra fornelli, sughi, cuccioli da accudire, calze da rammendare e aghi da sferruzzare.

No. Le madri non affrontano e gestiscono le cose tutte insieme, anche se spesso possono dare quell'impressione.

Loro...loro si occupano di una cosa per volta. E alla volta.

UNA ALLA VOLTA. ED UNA PER VOLTA.

E' questo il loro credo. Il loro mantra.

Uno per volta, gente.

E sotto a chi tocca.

E quando tocca...a chi tocca, tocca. E non se ne abbia a imprecare, lamentare o a lamentarsi.

Per prima cosa...toccava recuperarlo.

Toccava ritrovare Nick, prima di tutto. Ed una volta che le fosse riuscito di trovarlo...a quel punto si sarebbe sincerata delle sue condizioni. Da sé e toccando con zampa.

E nel caso esse fossero risultate ancora pessime e critiche...se ne sarebbe occupata.

Si sarebbe occupata anche di quello.

Una cosa alla volta, si diceva.

La volpe non aveva dovuto poi fare molta strada, visto lo stato in cui versava.

Con tutta ed ogni probabilità lo avrebbe beccato bello lungo e disteso in giardino.

Ma Laureen valutò che ci avrebbe impiegato troppo tempo a raggiungerlo passando ed uscendo per la doppia porta della veranda.

A fare così, a percorrere quella strada...c'era solo il concreto e nient'affatto trascurabile rischio che si allontanasse ancora di più. Più di quanto già non avesse fatto.

E lei non voleva affatto dargliela, quell'opportunità.

Era da escludere a priori, quella possibilità. Sin dall'inizio. Onde evitare complicazioni che avrebbero potuto risultare estremamente pericolose, o peggio.

Nick doveva essere ancora ferito. Ed in simili condizioni anche un movimento di genere e di stampo semplice, una tratta breve come quella che aveva appena coperto e compiuto...adesso come adesso avrebbe potuto dare vita a dei risvolti e delle conseguenze fatali.

Doveva sbrigarsi.

E non le restava quindi che fare la stessa, medesima strada.

Arrivò alla finestra. Si issò e si inerpicò, scavalcandola di slancio e compiendo, pur senza nemmeno rendersene conto, la stessa serie e sequela di movenze e di movimenti che aveva appena terminato di compiere colui che vi era appena passato, poco fa ed in precedenza.

Anche se, almeno questa volta ed in questo caso...chi aveva scavalcato a sua volta aveva potuto contare e disporre sull'apporto di entrambe le braccia.

Poco le importava, del resto. Non poteva certo saperlo, quel che aveva combinato il suo ospite.

Avrebbe potuto solo intuirlo. O almeno provarci, a farlo.

Non che non l'avesse immaginato. Ma non ci badò, a quel particolare. E nemmeno gli prestò molta attenzione.

Come aveva già stabilito...contava recuperare Nick, adesso.

Null'altro.

Atterrò anch'essa sull'erba del giardino, proprio come doveva aver fatto lui. Ma in modo elegante ed in posizione accovacciata ed accosciata, con un ginocchio poggiato e ben piantato sul terreno.

Alzò la testa e guardò in avanti, pur mantenendo lo sguardo rivolto all'altezza del terreno.

Il manto verde era pressato, schiacciato e pesticciato in più zone e più punti.

Erano le sue tracce.

Le tracce dei passi di Nick.

Era già uscito. Sia dal suo giardino che dal suo recinto.

Questa volta senza mettersi a scavalcare ma sfruttando la via consueta, magari persino noiosa ma tuttavia sicura costituita dal vialetto di transito e di accesso.

Le sue orme procedevano zigzagando con una traiettoria quasi irregolare e tortuosa fino a raggiungere il selciato. Dove, guarda caso, si interrompevano giusto giusto in prossimità di esso.

Proprio in concomitanza del suo bordo esterno.

L'andatura della volpe, a giudicare dalla linea invisibile ed immaginaria che univa come in un tratto realizzato mediante l'utilizzo di una matita fantasma o giù di lì...appariva alquanto incerta. E tentennante.

Sullo steccato non vi si potevano trovare eventuali segni o tracce di arrampicata, o anche del solo tentativo di farlo.

Indipendentemente e sempre ammettendo che gli fosse riuscito o meno, di farlo.

Nessuno dei paletti che lo componeva ne presentava. Né ad una sfuggevole occhiata preliminare, né ad una più approfondita.

Bene. Se non altro...quel mattoide doveva esserci ben arrivato da solo, a capire che non era proprio il caso di abusare delle sue forze residue.

Che, ad occhio e croce...non dovevano essere poi molte.

Anche lei imboccò quindi il vialetto, gettandosi sulla pista e all'inseguimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si ritrovò in strada.

Guardò ora a destra ora a sinistra e ripetutamente, come ogni manuale del codice della strada e della circolazione impone. Anche nelle sue più recenti stampe, versioni ed incarnazioni.

Ma non certo per attraversare la strada, sia ben chiaro.

Non si era messa e non stava certo controllando se stesse arrivando o se stesse sopraggiungendo qualche mezzo, macchina oppure camion che fosse.

Anche se di auto – articolati, a quell'ora e specie dentro ed in centro al paese...non é che se ne vedessero poi tanti.

Non avevano alcun motivo per transitarvi.

O magari qualche ciclomotore o motociclo. Sebbene nemmeno quelli fossero così diffusi, da quelle parti.

Dal punto di vista delle percentuali di presenza, di possesso e di circolazione...risultava più o meno la stessa zuppa di idem con patate anche per loro, almeno lì ad Haunted Creek.

Era una cittadina alquanto operosa. Anche se dal punto di vista del fegato e degli attributi...non é che brillasse e si ditinguesse poi particolarmente, come già ben dimostrato in passato.

No. Il coraggio non era decisamente il loro forte.

Ma i suoi abitanti erano alquanto attivi. Ed indaffarati. Ed in quanto tali, ed in quanto tale era il posto che li aveva accolti e che li ospitava, dopo che avevano deciso di mettervi definitivamente radici...occorrevano mezzi in grado di trasportare roba e carichi, alcuni dei quali piuttosto grossi, voluminosi e pesanti.

E le due ruote non rappresentavano certo il genere di locomozione più indicato che potesse esistere, per quel tipo di scopi.

Auto. Tutt'al più ed al massimo furgoni. O qualche jeep o pick – up che dir si volesse.

E come appena ribadito...non avevano né dovevano tenere proprio alcun genere di motivo, per mettersi a passare proprio adesso ed in quella precisa zona.

Di certo non di più di quanti ne potesse avere Laureen per mettersi a fare ciò che si era detto appena prima. E cioé mettersi a guardare se qualcuno di loro stesse arrivando.

Proprio adesso ed in quella precisa zona, giusto per ripetere ancora una volta il concetto.

A costo di voler rasentare l'ottundimento da parte di chi sta ascoltando. Oppure leggendo.

O che sta guardando.

Se questo fosse per davvero un fumetto, un romanzo o un film, s' intende.

Non ci si é ancora annoiati, vero?

Si spera, almeno.

In ogni caso...no.

Giusto per voler ribadire anche in questo caso...la daina non stava guardando la strada. Dava piuttosto l'aria di essere alla ricerca di qualcosa.

Qualcosa che infine...trovò.

La trovò, la cosa che cercava.

O meglio...lo trovò, quel che stava cercando.

Perché era alla ricerca di qualcuno, non di qualcosa.

Lo vide.

Lo scorse nell''ultima tra le due direzioni ed opzioni disponibili e consentite ove poteva rivolgere il proprio sguardo ed i propri occhi. E fin dove poteva riuscire a girare e a torcere il proprio collo.

L'ultima che aveva scelto tra le infinite ripetizioni su ripetizioni senza sosta alcuna dello stesso, identico e sempre monotono e monocorde gesto. Sempre uguale.

A destra.

A qualche centinaio di metri di distanza, quasi a poter formare mezzo miglio, che li separava.

Per un attimo era rimasta quasi sorpresa, a ritrovarselo così lontano.

Per non dire stupefatta, persino.

Niente da dire. E davvero niente da aggiungere.

Mica male, però.

Aveva coperto un tocco di tragitto davvero considerevole, se ci si soffermava a pensare come doveva stare messo.

Doveva aver ancora energie da vendere.

Magari non parecchie...ma sufficienti. Sufficienti senz'altro a sbalordirla.

Anche se non va scordato, non bisognerebbe mai scordare che il troppo...alla lunga stroppia.

Ma prima di tutto STORPIA, se non ci si sta più che attenti.

Era meglio che non si lasciasse trascinare dall'entusiasmo, per via di questa sua improvvisa quanto inattesa botta di vitalità e di energia che sembrava aver ritrovato tutto ad un tratto.

Ed era quasi certamente più saggio e conveniente per la sua salute che si desse decisamente una calmata. E che si desse una decisa quanto vigorosa e robusta tirata al cordone del freno. Oppure l'entusiasmo gli avrebbe senz'altro finito col giuocargli presto o tardi un brutto, bruttissimo tiro, facendogli di fatto arrecare danno da solo e con le sue stesse zampe.

Cercò di aguzzare ulteriormente la vista.

Lo scorgeva, complice il buio fitto e la scarsa illuminazione atta a tentare di risolvere malamente il problema...

Riusciva a notarlo giusto come una sorta di chiazza confusa. Di macchia indistinta in sottofondo.

Se non fosse stato per il fatto che si stava muovendo...l'ambiente circostante lo avrebbe nascosto e mimetizzato pressoché alla perfezione, rendendolo di fatto semi – invisibile, o giù di lì.

Se non del tutto, addirittura.

Che, come se non bastasse...andava pure aggiunto il fatto che, in quanto preda ed erbivora, vedere nel mezzo della quasi più totale oscurità ed in lontananza non costituiva certo il suo forte.

E lo scarso supporto da parte delle strutture municipali meglio note come lampioni aveva fatto il resto.

D'altra parte...niente sindaco, niente tasse.

Ma nemmeno servizi, putroppo.

Non che prima ve ne fossero chissà che o chissà quali, a voler essere sinceri sino in fondo. A costo di correre il rischio di passare persino per sgarbati.

Il vecchio sindaco...bah.

Che vi fosse o non vi fosse...non é che facesse poi tutta questa gran differenza, a conti fatti.

Non lo si notava affatto quando c'era e c'era stato...non lo si notava nemmeno adesso che non c'era più.

Ripensando a lui, Laureen provava una sensazione come di vago e di generico trascorso.

Di quella che si può percepire in merito ad un tizio considerato come assolutamente insignificante.

Che fino all'attimo prima ce l'avevi a fianco...e l'attimo successivo era già bello che sparito. E che da lì in poi non lo aveva visto più nessuno.

C'era fino a poco fa, guardi.

Lo stesso che si potebbe dire di un mariuolo o di un truffatore esperti, navigati ed incalliti.

Avanzò, con passo deciso. E poco a poco la sagoma sbiadita e quasi incolore prese o meglio, riprese lentamente e sempre di più ai suoi occhi di cervide forma, sostanza ed infine tonalità.

La sua tipica tonalità. Sino a riassumere le sembianze di una volpe.

Della SUA volpe.

Di NICK.

A cui aveva dato brevemente ma con esito pienamente positivo la caccia, fino all'istante precedente. Solo...

Solo che non capiva cosa diavolo stesse facendo, di preciso.

Cosa accidenti stava combinando, laggiù?

Cos'é che stava facendo, di grazia?

Si avvicinò ulteriormente.

Il rosso predatore era messo a quattro zampe.

Aveva misteriosamente ed inspiegabilmente riacquisito la postura dei loro antenati. Anche se il motivo di questa strana ed ormai inconsueta presa di posizione risultava ancora tutto da stabilire ed interpretare.

Per il semplice fatto che, in genere...quel tipo di andatura e di camminata non serviva praticamente più.

Era pur vero che talvolta, e nel corso di particolari o di peculiari circostanze i mammiferi potevano tendere ad abbandonare momentaneamente e saltuariamente sia la postura eretta che la camminata bipede, e recuperare quella più istintiva.

Quella con cui avevano iniziato a camminare sin dalla loro comparsa ed apparizione sulla cara, vecchia e mezza consumata crosta terrestre.

L'andatura delle origini. Era così che veniva chiamata e denominata.

Era così, che la conoscevano.

Ma la tal cosa non durava che pochi secondi. Meno che di qualche manciata.

E non era certo una faccenda molto pratica, oltretutto.

Non risultava poi questo gran che comodo.

Era una di quelle pratiche talmente antiche ed obsolete da essere finite in disarmo. Nel dimenticatoio.

Non faceva più tendenza, una roba simile. Era andata fuori moda.

E poi, con quel braccio ancora inabile che si ritrovava...non doveva essere certo il massimo.

Perché facesse ed avesse deciso di fare così, dunque...era un oscuro mistero da chiarire e da risolvere.

E lei...lo avrebbe fatto. Lo avrebbe certamente fatto.

Oh, se lo avrebbe fatto.

Garantito, ne si può star più che certi.

Gli andò ancora più vicino.

Era proprio come aveva pensato. E sospettato.

Per quanto riguardava gli arti inferiori...con quelli, almeno, nessunissimo problema.

Spingevano e scalciavano che era un'autentica meraviglia. Alla pari di quelli appartenenti ad un cavallo impazzito o imbizzarrito. Mustang o purosangue che fosse.

Ma su tutto il resto...beh, era un disastro. Un completo disastro.

Faceva una gran fatica. Per non dire una gran pena.

Con una sola mano...

Con soltanto quella, a reggergli tutta la parte superiore del corpo ed il busto, insieme all'equilibrio ed al baricentro...era lì che arrancava ed inciampava ad ogni passo e ad ogni pié sospinto.

Sembrava di vedere un monco. Oppure un infermo con un'estremità paralizzata, anchilosata o persino morta, dalla spalla in giù sino alla punta delle dita.

La scena era paragonabile ad uno di quei vili spettacolini a base di nani e di persone informi o deformi che si possono ritrovare soltanto in circhi di saltimbanchi di quart'ordine e di quarta categoria.

Posti che definire esecrabili era dir poco. E dove l'imperativo che vige ed é in voga é quello di ramazzare più soldi possibili. Fin dove e fin quanto é possibile.

Dove persino qualche miserabile centesimo é sempre meglio, lo si preferisce al niente.

Dove si arriva a sfruttare la repulsione e lo schifo, a cui inevitabilmente fanno congrega e seguito la commiserazione ed il più acceso compatimento, pur di rimediare una manciata di nichelini e di diecini.

Un pugno di monetine collose e sudaticce, ai limiti del falso.

Di quelle che di solito giacciono da tempi immemori sul fondo della bisaccia portaspiccioli di un borsellino.

Povero.

Povero, povero Nick.

Faceva davvero pietà', ridotto così. Eppure...

Eppure non si fermava.

Continuava ad avanzare, nonostante apparisse oltremodo stremato.

Ma dove...dove stava andando, in nome di Dio?

Dove accidenti voleva andare, conciato a quel modo ed in quella maniera?

Aah. Che importava.

A Laureen di colpo non importava più nulla.

Aveva deciso che non le importava la direzione in cui aveva stabilito di andare, o che cosa si fosse messo in testa di voler fare.

Non le importava sapere cosa gli frullasse in quel suo cervello, ora.

Non le importava. Non le importava più.

Non le importava più di nulla.

Adesso come adesso per lei l'unica cosa che contava, che contasse per davvero...

L'unica cosa che le importava era di aiutarlo.

Lo voleva aiutare, ad ogni costo. A tutti i costi.

Nient'altro.

Non lo sopportava. Non sopportava di vederlo soffrire, e continuare a soffrire così.

Non lo sopportava più. Non poteva sopportarlo oltre.

E non gli avrebbe permesso di continuare un solo, ulteriore minuto con quella sottospecie di supplizio misto e mescolato ad un calvario che si era architettato e messo in piedi praticamente per i fatti suoi.

Era ora che qualcuno si mettesse in mezzo. Ad interrompere quell'assurda quanto insensata, ma al contempo libera e personale ricostruzione di un noto martirio.

Niente novelli Gesù Cristi o aspiranti tali, a casa sua. O che provenissero dalla sua porta.

Ed in tal senso...nemmeno prove generali di Golgota, visto che già ci si era.

Questa volta la Maddalena sarebbe andata su tutte quante le sacrosante furie. Ed avrebbe posto fine di persona a quella baracconata.

Anche se...

Anche se non era certo lei.

Non era certo Laureen, la Maddalena di ruolo e di turno.

Bensì un'altra.

Di nome, proprio. E pure di fatto.

Una che conosceva molto bene. Fin troppo bene.

Tutt'al più, in questa riedizione, o remake o reboot o che l'accidente dir si voglia della Via Crucis che si stava mettendo in scena...

Al massimo qui avrebbe potuto fare Maria.

Pazienza. Tocca accontentarsi, alle volte.

Avrebbe comunque fatto la sua parte.

Si sarebbe fatta valere lo stesso. E gliel'avrebbe fatta vedere ugualmente.

E...non in quel senso, razza di luridi sporcaccioni che altro non siete.

Sempre a pensar male.

Non certo in quel senso. Che si é capito o voluto capire, per la miseria?

A quello, sempre che si desse una robusta e vigorosa svegliata, ci avrebbe dovuto pensare la sua bella e cara figliol...

Aah. Basta. Ma cosa le si stava facendo dire?

E come potevano venirle alla mente simili sciocchezze, per la miseria?

E' inevitabile. Nell'ora più tragica, cupa e disperata di solito si fa e si usa così.

Ci si sofferma e ci si aggrappa mani ed insieme piedi alle scemenze. Alle scemenze senza alcun senso.

Per non rischiare di perdere definitivamente la testa, forse.

Ma, a parte quello...si poteva star sicuri e rassicurare tranquillamente tutti quanti su di una cosa.

A parte quello, Laureen voleva solamente andargli appresso

Tutto qui.

Andargli appresso. E, una volta raggiunto...metterglisi vicino. E poi tirarlo su da lì, offrendogli e dandogli una zampa per rialzarsi e rimettersi in piedi.

Sollevarlo da terra, cingendogli una delle sue braccia attorno alla vita. Per poi fare lo stesso col suo braccio sano e buono che ancora gli era rimasto.

Quello che ancora gli funzionava, per la precisione.

Se lo sarebbe messo attorno alla sua, di vita. Che a volerselo caricare sopra alle spalle oppure dietro al collo sarebbe risultato troppo alto. E questo l'avrebbe inevitabilmente costretta ad abbassarsi e rannicchiarsi oltremisura. Con l'unico risultato di rimediare un bel mal di schiena.

Uno di quelli coi fiocchi, tanto per intendersi.

Voleva soccorrerlo, questo si. Ma non al prezzo di ritrovarsi a dover farsi soccorrere a propria volta.

Una lombo – sciatalgia fulminante non ci voleva proprio, in quel momento. E l'avrebbe e se la sarebbe evitata senz'altro molto, molto volentieri.

Si. Ne avrebbe volentieri fatto a meno, di quella.

Discorso cifosi, lordosi e scoliosi a parte...voleva solo portarlo via da lì.

Nient'altro.

Tirarlo via dalla strada e ricondurlo alla propria abitazione.

A casa sua. Al riparo ed a sicuro da ogni pericolo o minaccia.

Per dargli conforto. E restituirlo al sonno. Al riposo. E alla guarigione.

Ma prima...voleva provare a rasserenarlo.

A fargli capire, comprendere che non era solo.

Che non era da solo. E che lei...lei gli era vicino.

Che era poco distante. Che era con lui.

Lì.

Con lui.

Lo chiamò.

“Ehi...”

Lo aveva fatto, alla fine.

Lo aveva fatto per davvero. E le era venuto più che naturale. Quasi istintivo.

Nick non si voltò neanche.

Non l'aveva sentita. E lei, allora...semplicemente riprovò.

Si sentì quasi in obbligo, di farlo. Almeno fino a che non avesse ricevuto una risposta.

Una qualunque. Una qualsiasi.

“Ehi, be...”

Si bloccò. E si zittì. Prima di terminare quelle parole.

Il suo secondo tentativo si era fermato lì. Le era quasi morto in gola.

Deceduto appena pochi secondi dopo la nascita. Stroncato senza quasi aver avuto il tempo di venire al mondo. E a mettersi a circolare e a volteggiare per l'aere.

Stecchito a fior di labbra.

E poi lo aveva pronunciato in maniera e con un tono di voce parecchio bassi.

Ben più bassi di come avrebbe immaginato. E di quelli che avrebbe voluto usare.

Quasi gutturali.

Avrebbe voluto tanto usare il tipico volume di una conversazione. Quello che in genere si può, si potrebbe ritrovare nel corso di una chiacchierata concitata durante una rimpatriata tra vecchi, vecchissimi amici.

Col primo...col primo degli appelli che aveva effettuato le era riuscito. Ma con questo...

Con questo le era venuto fuori poco più di un sommesso mormorio.

Ma anche in quel caso si era trattata di una reazione istintiva, quasi quanto il suo precedente e recente desiderio di farsi sentire. Anche se per tutt'altre ragioni e motivi.

Perché nel momento stesso in cui ci aveva riprovato...aveva sentito un nuovo suono.

Un nuovo rumore. Un nuovo verso.

Non un ululato, questa volta. Ma...

Un RINGHIO.

 

“...Rrrrgghhh...”

 

Il ringhio di una BELVA

Di una belva che viene infastidita. E disturbata.

Mentre si trova sul sentiero di caccia. O si trova alle prese con la degustazione. Oppure é intenta a consumare un pasto.

Un lauto pasto.

O magari quando qualcuno si permette impunemente di occupare o invadere una porzione o una parte del suo territorio.

Della zona che ha eletto, ed eretto come tale. E a tale scopo.

Come sua riserva. Personale e privata. Compreso tutto quel che vi é dentro.

E qul ringhio...quel ringhio lo aveva sentito chiaramente, da dove era provenuto.

Era provenuto...

Era giunto da Nick.

Proprio lui. E proprio da lui.

Era...era stato Nick.

Era stato proprio Nick, ad emetterlo.

Ma, indipendentemente dalla fonte e da dove fosse provenuto...il comportamento di Laureen era stato naturale. Più che naturale.

Almeno quanto lo erano stati gli istinti e gli impulsi materni che l'avevano condotta fin lì. Fino alla volpe.

La sua volpe. La sua volpe prediletta e preferita.

Era logico, più che logico che si insospettisse e che si mettesse in guardia. E che decidesse di smorzare di colpo la sua voce.

Quando si incappa in una BESTIA, quando una preda incoccia un predatore che si trova in quello stato...la cosa più saggia ed avveduta che può fare é quella di celarsi.

Di nascondersi. E di fare di tutto per passare inosservata.

O almeno sperare di riuscirci. E di pregare di farcela.

In ogni caso...l'attuale sceriffo ritenne opportuno ripetersi proprio come aveva fatto lei prima, quando aveva cercato di attirare e richiamare la sua attenzione.

Giusto per fugare e spazzare via ogni dubbio a riguardo. Ogni dubbio che potesse ancora esistere.

La daina pensò che avrebbe potuto benissimo rimanersene defilata ancora un altro po'. Ancora per qualche attimo.

Si, poteva rimenersene più o meno comodamente ad osservare, almeno per un altro pochino. E lasciarlo fare.

Più che altro per scoprire quali fossero le sue reali intenzioni.

Dopotutto...Nick si doveva già essere accorto, della sua presenza.

Nei tempi antichi sia predatori che prede si accorgono a miglia di distanza, quando all'interno del loro ambiente fa la sua comparsa qualcuno di non previsto o non richiesto. O che non é stato invitato.

Specialmente da loro.

Cibo, nemico o cacciatore che fosse o che sia.

Ma di solito aggredivano o scappavano solo quando veniva oltrepassata una certa soglia o livello critico.

La cervide ritenne di non averlo ancora fatto. Di non aver ancora raggiunto e superato quel limite.

O almeno fu questo, ciò che dovette dedurre.

Anche perché, in caso contrario...se non fosse stato così, come minimo N ick l'avrebbe già attaccata in automatico

Restò perfettamente immobile, a guardarlo.

A guardare cosa faceva. E cosa avrebbe fatto da lì a poco.

Immobile e zitta.

Muta, neanche avessero provveduto a tagliarle e mozzarle di netto la lingua.

C'era da scommettere che se soltanto avesse emesso un fiato, soltanto un unico fiato, o avesse anche solo pensato di farlo...come minimo se la sarebbe staccata a morsi. Per conto suo.

Da sola. Per poi ingoiarsela, insieme al copioso fiotto di sangue che ne sarebbe prevedibilmente scaturito, a seguito dell'orrenda mutilazione.

Si sentiva le gambe molli, con una strana quanto singolare sensazione di rilassamento e di calore che le era partita dall'inguine per poi espandersi in tutto il basso ventre.

Cercò di controllarla, ed insieme di controllarsi.

Per sua fortuna...quella sorta di fitta, anche se tutt'altro che dolorosa, le si era fermata all'altezza delle ossa del coccige.

E da quel punto non aveva proseguito oltre.

E meno male. Altrimenti le sarebbe occorso al più presto un bel cambio di paia di mutande. E forse pure di pantaloni.

Certi doloretti risultano persino piacevoli, al punto che é facile innamorarsene. Tanto da focalizzarsi e concentrarsi completamente su di essi. Ma proprio per questo risultano pericolosi. E non bisognerebbe mai e poi mai, e per nessun motivo, seguirli ed andarci eccessivamente dietro. Altrimenti si finisce col farseli propri. E senza badare alle possibili quanto spiacevoli conseguenze.

La volpe, intanto, aveva smesso di ringhiare limitandosi semplicemente ad ignorarla.

Riprese a camminare a quattro zampe, alzando ed abbassando in continuazione il suo violaceo tartufo con movenze quasi ritmiche.

Dopo ogni oscillazione si fermava col capo rivolto verso l'alto oppure verso l'asfalto, forse a seconda degli odori che percepiva di volta in volta col suo fiuto, mettendosi ad annusare con fare sincopato le correnti d'aria che lambivano le due diverse aree.

La sua folta coda era sollevata, ritta e rivolta in direzione del cielo. Col pelo che la componeva completamente arruffato e scomposto.

Come il resto del suo manto color della fiamma, a voler ben guardare.

Si sarebbe detto che fosse come alla ricerca di qualcosa. Oppure di qualcuno. Esattamente alla stregua dell'improvvisata ma comunque inappuntabile infermiera che si era messa sulle sue tracce.

Anche lui era, doveva essere sulle tracce e alla spasmodica quanto impaziente ricerca di chissà che.

D'un tratto...si fermò col muso a mezz'aria, con le zampe inferiori leggermente flesse ed il busto perfettamente in linea con la testa, tenuta in orizzontale così come l'organo adibito al senso dell'olfatto che stava davanti a tutto e a tutti.

Anche se non certo di un passo, come spesso si suol dire in casi come questo.

Pare che avesse finalmente trovato quel che cercava.

E Laureen, che in tutto questo gli stava facendo da testimone senza aggiungere alcuno ed ulteriore verbo in merito, nel senso che non vi era poi questo gran bisogno di impiegare tante e chissà quali parole, anche perché se lo avesse fatto ne sarebbe quasi sicuramente andato della sua vita...

O per lo meno era con quella convinzione che le sue impressioni venivano rappresentate, in quel dato momento...

Si, le era decisamente convenuto tacere, e non aprire bocca. E non solo per la sotto certi aspetti banale ma comunque fondamentale questione di portare a casa ed in salvo la propria pelliccia.

E pellaccia.

Grazie a quello, grazie all'atteggiamento che aveva preso ad assumere quasi in modo inconscio ed inconsapevole, di colpo aveva capito.

Di colpo si era resa conto di che cosa la volpe stesse cercando con così tanta bramosia. E frenesia.

Se ne accorse non appena scorse cose gli stava oltre e più avanti.

Un'altra macchia. Simile a come era lui prima che il paio di occhi che gli erano stati tenuti fissi sin da quando lo avevano incrociato si abituassero alla scarsa luminosità, identificandolo e riconoscendolo.

Una macchia pallida, lattiginosa, caliginosa e persino luminescente, a tratti.

E non le ci volle poi molto per realizzare che quella macchia altro non era che una pozzanghera.

Una pozzanghera fangosa composta da acqua oltremodo sporca e torbida.

Doveva essere un residuato nient'affatto glorioso delle insistenti piogge cadute la scorsa settimana, con tutta quanta la probabilità.

Le precipitazioni erano state alquanto abbondanti e generose.

Una vera, propria ed autentica manna dal cielo per chi coltivava, in tutti i sensi. Non solo in quello puramente metaforico. Ma anche ed al contempo una vera ed autentica rottura di scatole per il già cadente ed alquanto malmesso sistema fognario, con decine di persone che si erano ritrovate alle prese con cantine e scantinati interamente o per più della metà allagati. Nonchè lavandini, lavabi, lavatrici e lavastoviglie che facevano le bizze e i capricci peggio di una torma di mocciosi indisciplinati o di lattanti molesti.

Le ultime, in particolare, per chiunque avesse avuto la fortuna o le disponibilità per comperarne e possederne una. Ma soprattuto per mantenerla a suon di revisioni e manutenzioni varie. Quindi di sicuro non lei, visto che abitava da sola e non le serviva per niente. Che quei due anzi, quel piatto che usava per ospitare rispettivamente ed in successione primo, secondo, contorno e pure frutta e talvolta dessert a seguire se lo poteva benissimo lavare e sciacquare da sola con le sue levigate ma tutto sommato ancora belle e graziose falangi anteriori.

Era sempre la consueta storia e la solita solfa. Ad ogni temporale particolarmente intenso e violento, anche se magari di breve durata, i baldi e rispettabili cittadini di Haunted Creek erano costretti a doversi puntualmente ritrovare con tutta questo bell'insieme di roba che non scaricava. E che in seguito aveva preso a riversare tutti i loro liquidi in eccesso sui pavimenti di cucine, sgabuzzini, bagni e salotti.

E non si trattava purtroppo di acqua sorgiva o fresca di fonte. Per niente.

Nossignore.

E comunque...era incredibile che fosse ancora in giro qualche polla o pozza a lascito ed eredità di quegli acquazzoni. Che come affermato in precedenza erano stati si piuttosto violenti, se pur brevi. Ma col caldo che aveva fatto nei giorni successivi, ormai avrebbero dovuto essersi già prosciugate tutte quante, come minimo.

Il sole aveva picchiato parecchio, tra ieri e l'altro ieri. Ormai dentro a quella sorta di acquitrini in miniatura che erano avanzati doveva esservi dentro di tutto tranne che la sostanza primaria ed originaria. Eppure...

Eppure, nonostante tutto e nonostante ciò...Nick gli andò sopra, imperterrito. Ed una volta là...

Una volta che vi fu sopra si inginocchiò abbassando entrambe le sue rotule e, dopo averle portate al livello stesso del terreno, le immerse interamente in quell'acqua scura e limacciosa.

Si. Le mise ambedue in quella sottospecie di melma mescolata a limo. E non certo di qualità, anche se quasi di sicuro molto fertile.

Fertile senz'altro. Ma non certo buona da bere. E nemmeno dissetante, di sicuro.

Ma lui, totalmente incurante di quegli aspetti...vi infilò il proprio muso dentro.

Ce lo piazzò dritto dritto in quella poltglia putrida. E subito dopo, non contento, cominciò a prenderne una serie di lunghe, grandi ed abbondanti sorsate.

La stava deglutendo con estremo e gran gusto, quasi con voluttà. Come se stesse sorseggiando una bevanda prelibata o una bibita rinfrescante.

Come se si trattasse di nettare. O di ambrosia degli Dei. Ed invece era solo sozzura, anche se non sembrava che ci stesse facendo minimamente caso, a tutto ciò.

Invece Laureen, per contro...a quella sconvolgente visione l'assalì la nausea.

Un violento conato la percorse. E la percosse, anche.

Dalla bocca, che si stava coprendo con una mano mentre le sue labbra stavano assumendo una smorfia a dir poco inorridita, fino alla sua corrispondente che stava e che si trovava giusto giusto all'inizio e al principio del suo stomaco.

Tra non molto avrebbe finito quasi sicuramente e con ogni certezza di vomitare al suo posto ed in sua vece, visto che lui non stava dando affatto il minimo sentore di volerlo fare.

Doveva fermarlo. Doveva assolutamente farlo smettere.

Se non perché ne andava della sua incolumità e della sua salute...almeno per sé stessa. Ed almeno per evitare di rigurgitare sulla zolla di catrame ormai essiccato che le stava davanti un bel concentrato di zuppa intestinale bella calda.

E fumante quanto maleodorante.

Doveva fargliela piantare lì Assolutamente e ad ogni costo. Ma...

Ma non sapeva in che modo, però.

No, non sapeva proprio in quale modo avrebbe potuto fare.

Ma perché si stava comportando così?

Perché stava facendo così, per la miseria?

Se aveva sete, così tanta sete...alla brutta e alla disperata c'era il fiume, poco più avanti.

Il Chingachcook.

Quello dove c'era finito insieme alla sua macchina, tempo fa. O meglio...in cui CE LO AVEVANO BUTTATO, a voler essere precisi.

Ma quanto era trascorso, da quella volta, intanto?

Sembravano essere passati anni. Secoli. Ere, persino.

Comunque quello avrebbe potuto senz'altro andare benissimo, per placargli l'arsura. Anche se in un'occasione che si ha appena terminato di descrivere qualche riga più sopra aveva rischiato di finirci a fondo con la sua auto. Per poi annegarci dentro.

Certo, non é che le sue acque fossero proprio pulitissime. Non erano e non costituivano certo lo stato dell'arte dal punto di vista prettamente microbiologico, se a qualcuno fosse balzata nel cranio l'idea di prelevare qualche campione mediante una o più provette in serie per poi sottoporlo a qualche esame di rito.

Ma era e restava comunque mille e mille volte meglio del suo illustre collega e gemello.

Un volta illustre, a volerla dir tutta. Ed oggi non più tanto tale, putroppo per lui. E per tutti.

L' Okefenokee. Quello con cui delimitava in modo del tutto naturale quella fetta di vallata e di territorio.

Almeno non era ridotto ad una fogna a cielo aperto come ed alla pari di quello.

Poi, propro mentre stava riflettendo su quell'insieme di considerazioni bizzarre quanto futili...

D'improvviso un'illuminazione la colse. La colse praticamente al volo.

Possibile che...

Stava davvero avvenendo?

Era davvero possibile che Nick stesse...che fosse regredito?

Che, complici le pessime condizioni fisiche e con tutta quanta la probabilità pure psichiche in cui versava, unite a tutta quanta la robaccia che aveva inalato...avesse subito come imprevista quanto inaspettata conseguenza una sorta di regressione che lo aveva inesorabilmente condotto e riportato ad uno stadio belluino e ferino?

Ad una sorta di...di condizione primordiale, addirittura?

A vederlo così...c'era proprio da crederci. Senza la benché minima ombra di dubbio alcuna.

Sembrava per davvero una belva.

Una belva messa alle strette, e con entrambe le spalle al muro.

Una belva ormai ridotta in fin di vita, che di colpo si mette ad escogitarle tutte quante pur di scampare alla morte ormai imminente. Ed inevitabile.

Che pur di salvarsi si aggrappa con le zampe superiori ed inferiori, mani e piedi a qualunque cosa.

A qualsiasi cosa.

Che manda e si caccia giù per la gola qualunque alimento che riconosce, a fiuto così come ad istinto, come nutriente ed in grado di rimetterlo subitaneamente in forma. Ed in forze.

Che ingoia, ingolla ed ingurgita senza nemmeno badare al sapore. E senza alcuna vergogna e senza alcun ritegno, superando qualunque senso di schifo e qualunque genere di attitudine schizzinosa.

L'animale...

L'animale non lo fa perché gli piace, questo é più che evidente.

Ma lo fa solo perché sa che gli farà bene.

Lo fa solo con l'unico scopo di sopravvivere. Solo per quello.

E' l'istinto di sopravvivenza che lo guida, in quel momento.

Lo fa solamente per riuscire a scamparla, tutto qui.

Era la sua parte più antica e primitiva, che lo stava conducendo.

Era quella. Erano lei a guidare Nick, in quegli istanti.

Belva.

Bestia.

Animale.

Come già enunciato in precedenza...si diceva e si discuteva su quanto fossero e potessero essere dispregiativi, sprezzanti e spregevoli, quel genere di aggettivi.

Ma, sul serio...non vi era e non avrebbe saputo trovare alcun altro miglior modo, per descrivere in maniera esauriente ed esaustiva ciò che stava guardando.

Non vi era altro modo per descrivere Nick. E quel che era diventato.

Proprio nessun altro modo, per rendere al meglio l'idea.

Sorry.

Il nominato, nel frattempo, sorsata dopo sorsata ed una boccata via e dietro l'altra aveva quasi prosciugato per intero la piccola fossa.

Gli si vedeva ad occhio i bocconi di acqua scendere lungo il collo ed il gargarozzo, sotto la forma di minuscle deformazioni provocate per effetto della peristalsi.

Passavano dalla faringe e successivamente per la trachea, e da lì giù lungo l'esofago per poi entrargli dritto dritto in pancia.

Alzò quindi la testa. Pareva sazio.

Sembrava essersi riempito a dovere, finalmente. Ed invece...

Ed invece no.

Si riabbassò ed allungò la mano del braccio ancora integro verso la pozzanghera.

Ne raccolse nell'incavo del palmo ancora un po' e se la portò quindi alle fauci, riprendendo di nuovo a bere.

Si leccò l'orlo delle sue nere labbra. Non soddisfatto, le ricacciò dentro a quel che vi era rimasto. Ma non essendocene più abbastanza e a sufficienza di liquido per riprendere ad aspirare come aveva fatto almeno fino ad ora, allungò la sua lingua setosa e felpata ed iniziò a lapparne gli ultimi residui, emettendo una vistosa quanto indecente cacofonia di risucchio.

L'aveva finita. Alzò nuovamente il capo e, a bocca aperta, cacciò e sparò fuori un roboante e fragoroso rutto a pieni polmoni che strappò e lacerò il drappo e la tela intessute di quiete e silenzio che, col favore del nero puntellato e trapuntato unicamente dal cielo lunare e stellato, aveva dato vita a quella notte.

A quell'ennesima notte. Ma sotto certi aspetti e per certi versi diversa e differente da tutte quante le altre precedenti. Da ogni altra prima di lei.

Soprattutto per la storia dei VERSI.

 

“BEEEUUURRRKKK!!”

 

Laureen non ce la fece più.

Forse per poter evitare di dare di stomaco, o forse per impedire alla vescica di lasciarsi andare allo steso modo ed alla medesima maniera ma con conseguenze ben maggiori, nonché peggori...

Fatto sta che non le riuscì più di resistere.

Non ce l'aveva più fatta a resistere. Né a tenere duro.

Le scappò una risata.

Tutto sommato...meglio quella che altro, come sosterrebbero i proverbi e la cara, vecchia saggezza popolare.

Ma non avrebbe saputo dire con certezza se fosse stata la scelta migliore.

No. Non sapeva se esserne così sicura, di quel che aveva fatto.

Di come si era appena comportata.

Ok, non se l'era fatta addosso per la fifa. Ma così facendo...

Così facendo aveva attirato l'attenzione, adesso.

E l'aveva attirata proprio se di sé, ora. Ed era...

Era l'ultima cosa che avrebbe voluto. E che avrebbe dovuto mai fare.

Da inginocchiato che era, dalla posizione quasi prona in cui si trovava Nick si tirò su.

Si tirò improvvisamente su. E si girò.

Si girò verso di lei.

Si era girato e voltato di colpo verso Laureen. E...

E l'aveva vista.

Subito dopo era rimasto fermo. Immobile. Come raggelato.

Come se tutto quello che lo circondava si fosse ghiacciato all'istante, insieme a lui.

Come se una fantomatica principessa delle nevi avesse scatenato tutto quanto il suo enorme potere latente, lanciando un'onda magica per ogni dove ed in ogni direzione ammantando tutto quanto di bianco e di neve. Anche se dovevano essere come minimo invisibili, dato che non li si sarebbe potuti notare proprio per nulla. Ma...

Ma non vi era affatto la necessità, di vederli. Alcuna necessità.

Non serviva. Lo si capiva benissimo.

Lo si capiva benissimo, e da tante altre cose. Da UNA in particolare.

Dai gradi.

Dai gradi che avrebbero potuto venire evidenziati da un immaginario quanto assente termometro. Ma che in quel frangente, in un simile frangente non sarebbe stato di alcuna utilità nemmeno lui.

Lo si sentiva. Lo si sentiva chiaramente. Si riusciva a sentirlo anche senza il bisogno di esso.

Sembrava che si fosse persino abbassata la temperatura, ed in modo a dir poco fulmineo.

Faceva...aveva preso a fare persino FREDDO.

Non c'era bisogno di un termometro. Ma, nel qual caso...in caso vi fosse veramente stato, la sua colonnina misurante contenente mercurio puro e concentrato avrebbe preso a scendere ed a calare sino ai minimi elencati nel corso della storia. E dell'intera categoria.

Sembrava finito tutto quanto dentro ad un frigorifero formato gigante.

Solo una cosa non si era ghiacciata, non sembrava esserlo.

Soltanto una cosa non aveva subito la stessa medesima e gelida sorte di tutte le altre.

Gli occhi. Gli occhi della volpe.

Di QUELLA volpe. Della SUA volpe.

Le sue iridi...le sue iridi color dello smeraldo stavano letteralmente scintillando, in mezzo a tutta quella pece, riflettendo la luce dell'unico satellite concesso al pianeta Terra. Il cui luccichio altro non era altro che un riflesso a sua volta. Quello della stella più importante dell'intera galassia.

La nana gialla i cui raggi ed il cui calore avevano permesso la nascita e lo sviluppo della vita sulla crosta dell'astro che in quel momento sia Nick che Laureen stavano calpestando ed occupando. Insieme al resto di tutti gli altri suoi abitanti, ovviamente s'intende.

Chi più, chi meno.

Il contorno delle sue pupille stavano rifrangendo la luce lunare. Ed essa, specchiandosi in loro...le stava facendo quasi brillare di luce propria. Proprio come in un gioco di superfici lisce, lucide e dotate del potere di respingere e rifrangere i fotoni.

Era come se stessero sprigionando un intenso bagliore. Identico in tutto e per tutto a quello delle pietre preziose a cui sembravano aver rubato, sottratto indebitamente quel loro verde naturale.

Quel verde così perfetto, suadente e seducente.

Irrsistibile. Davvero irresistibile.

Era un verde che ammaliava. Che rapiva. Che stregava.

Che ipnotizzava e che faceva perdere letteralmente il controllo. Consegnandolo spontaneamente nelle mani e tra le braccia di chi lo stava sprigionando, quel bagliore.

Non c'era modo di resistere. O di resistergli. Si poteva...

Ci si poteva solo e soltanto arrendere e deporre le armi, di fronte e a fronte di cotanta bellezza.

Una bellezza che era meravigliosa ed insieme terribile.

Ed in mezzo a quel verde...brillava un'altra luce.

Una stilla di rosso. Di rosso acceso.

Il rosso più acceso ed inteso a cui si possa pensare, o che si possa anche solo immaginare.

Più del sangue. Più del vino.

E più di un rubino, persino.

Non c'era alcun dubbio.

C'era qualcosa che bruciava.

C'era qualcosa che stava bruciando, là dentro e là in mezzo.

Quello sguardo...quello era lo sguardo di un predatore. Di un predatore famelico in procinto di azzannare e di dilaniare la propria preda.

O se non lo era, o per lo meno non ancora...poco davvero ci mancava.

Poco ci doveva mancare.

Un niente.

Non doveva e non avrebbe dovuto essere poi tanto dissimile.
E la preda in questione, la preda designata...

La preda non poteva che essere colei che aveva di fronte.

Non poteva che essere Laureen.

Non poteva che essere lei. Che come da copione ormai risaputo e perfettamente collaudato, in quanto si basava su di una trama che si ripeteva ormai da millenni...si calò perfettamente nella parte.

Nella parte del pasto. Nella parte del cibo. E in un attimo...

Nel giro di un istante si sentì già addosso il suo corpo slanciato e furente, trascinato dalla foga e dalla rabbia senza controllo.

Si sentì i suoi denti già piantati nella gola, all'altezza della giugulare, per stringerla fino a bloccarle del tutto il flusso sanguigno.

Si sentì le sue unghie già infilate ed infilzate tra i vestiti. E poi sotto alla pelliccia e quindi anche alla pelle più sotto, per lacerarle e strapparle esponendogli e mettendogli all'aria la nuda carne.

E sentì il suo fiato puzzolente e rovente farsi strada attraverso le narici del suo naso, sempre più su fino a raggiungere e a raggiungerle il cervello, mentre le bruciava ed irritava le cornee.

Perché, giunti a quel punto...non c'era, non si sarebbe stato più alcun motivo di continuare a guardare. Per seguitare a farlo.

La mente stessa avrebbe provveduto. La sua stessa mente avrebbe raccolto, immagazzinato, analizzato ed interpretato tutta quella miriade di informazioni in simultanea e delle più svariate tipologie.

Tattili, olfattive, uditive e quant'altro.

E mostrandole in diretta ed in anteprima la fine che avrebbe fatto ed a cui sarebbe andata incontro di lì a poco e a breve...le avrebbe causato un fortissimo choc che le avrebbe fatto perdere definitivamente i sensi.

Per non soffrire. E per non impazzire.

E così aveva fatto, infatti. Puntualmente.

Era proprio quel che stava facendo. E che le stava facendo.

Laureen...anzi, per la precisione la mente di Laureen le aveva fatto vedere tutto questo.

Aveva architettato tutto. E da sola.

Ed il bello era che non era e non le era accaduto ancora nulla.

Nulla di nulla.

Nick non le aveva ancora fatto niente.

La sua mente le aveva mostrato tutto ancora prima che potesse accadere. E che sarebbe senz'altro inevitabilmente accaduto, tra non molto.

 

“...Rrrrggghhhhrrgggghhh...”

 

Eccolo. Di nuovo.

Di nuovo un altro ringhio.

Di nuovo QUEL ringhio.

Era proprio come pensava. O meglio...

No. Era proprio come aveva pensato e come le aveva fatto pensare il suo cervello. Il suo encefalo.

Se ancora non le aveva fatto nulla...ormai poco ci mancava. Ben poco ci doveva mancare.

Davvero poco ci sarebbe mancato. Le avrebbe sicuramente fatto qualcosa da lì a pochi, pochissimi istanti.

Qualcosa di sicuramente non bello. E di decisamente brutto.

Di molto, molto ma molto brutto.

Di bruttissimo. E di orrido.

“E...ehi, bello” gli fece, con voce conciliante nonostante l'evidente balbettio e titubanza che trasparivano dal tono. “S – se...se avevi...se avevi s – sete...bastava c – che...b – bastava c – che mi...bastava che m – mi c – chiedessi un...bastava c – che mi c – chiedessi u – un b – bicchiere d'acqua e i – io...e io t – te lo avrei...t – te l – lo a – avrei p – portato...”

“S – sul s – serio “ insistette. “T – ti a – assicuro c – che...t – ti assicuro c – che n – non...che non c'era a – affatto b – bisogno d – di...di...”

Non le era rimasto altro, da poter fare.

Non aveva saputo inventarsi niente di meglio, purtroppo.

Aveva cercato di buttarla in farsa e sul ridere, facendo ricorso all'umorismo, alla sagacia e ad una buona e cospiqua dose di ironia.

L'ultima spiaggia, in certi casi. Trovare o almeno cercare di trovare il lato ridicolo in tutte le cose. E di tutte le cose.

Una risata, se fatta o fatta fare al momento giusto e propizio...potrebbe addirittura salvare una vita.

Potrebbe addirittura salvarti anche la TUA, di vita.

Se qualcuno vuole oppure ha intenzione di ammazzarti...beh, se non puoi fare più nulla se non autoconvincerti di essere praticamente già morto e di non avere quindi più nulla da perdere in conseguenza, puoi pur sempre tentare di capire ma soprattutto di far capire al tuo futuro carnefice dov'é che la cosa risulta e soprattutto riesce a risultarti così divertente.

E forse, se sei particolarmente fortunato, e la cosiddetta Dea della fortuna e della buona sorte decide di stare dalla tua...lo scoprirà anche il tuo potenziale assassino, oltre che a te. E magari gli potrai persino far cambiare idea.

Chissà.

Detto ciò, scoppiò lei per prima in un'altra gran risata.

Di nuovo.

“Oh, s – scusa...” si giustificò subito dopo, tenendosi la pancia senza aver ancora smesso di sghignazzare. “...S – scusami. P – perdonami, t – ti p – prego. I – io n – non...non v – volevo certo...io non v – volevo certo p – prenderti in g – giro, c – capito? N – non ti stavo mica prendendo i – in g -g...”

Ci aveva provato, a buttarla sul comico. Sulla commedia.

Non funzionò.

Non le riuscì nemmeno di terminarle, quelle parole.

Chi le stava ascoltando, e che le avrebbe dovute ascoltare...non le diede il tempo.

Bastarono due balzi. Non ci vollero che quelli.

In un paio di balzi Nick coprì la distanza che li separava, la raggiunse e le fu addosso.

Con lei che rimase pressoché impietrita a guardare, per tutto il tempo e per tutta la durata di quelle mosse.

Le era a pochi centimetri. E con un terzo, deciso balzo le sarebbe piombato da sopra per ghermirla.

O, almeno queste sarebbero state, avrebbero potuto essere le sue intenzioni.

Ma anche no.

Nessuno lo seppe mai. Nessuno poté mai saperlo, con certezza.

Proprio mentre si stava preparando, sfruttando la pavimentazione stradale come un trampolino, all'improvviso gli venne a mancare la base di lancio costituita dall'appoggio del braccio destro. Ovviamente assente, dato che era infortunato.

E fu così che, invece di saltare...compì un tremendo quanto clamoroso ruzzolone. E rovinò sull'asfalto picchiando il muso ed emettendo un sonoro guaito di dolore.

Bastò.

La madre che era in lei di natura ebbe il sopravvento sulla preda.

Una dote anch'essa innata, ma in quel momento non così forte. Non così preponderante come la prima.

Laureen coprì il tratto mancante che li separava con un fulmineo scatto in avanti, e si chinò poco vicino alla volpe accovacciandosi e poggiandosi su di una delle sue ginocchia.

“Ehi, bello...” gli fece. “Tutto...tutto bene? Ti sei fatto male?”

Tsk. Che razza di domanda idiota.

Ma anche stavolta non aveva saputo escogitare proprio niente di meglio.

Forse, dopo aver potuto constatare di persona la sua ultima quanto disastrosa performance di stampo atletico...non lo doveva considerare più poi così minaccioso, feroce e pericoloso, in fin dei conti. Nonostante il suo aspetto ancora tutt'altro che rassicurante.

Forse fu il suo rinnovato e recuperato istinto della crocerossina che la stava animando. E soprattutto la fretta.

La dannata, dannatissima fretta di metterlo in atto ed in pratica quanto prima ed il prima che le fosse possibile.

Sempre la solita, dannata e dannatissima fretta di tutti. E che in genere é una pessima consigliera.

La peggior consigliera possibile, da che mondo é mondo.

E che per poco non fu la sua condanna.

Non bisogna mai sottovalutare la belva.

Essa non va mai sottostimata. In alcun modo e per nessun motivo. E specie se si trova ormai all'ingresso della gabbia, O con le spalle al muro. Perché diventa pronta e disposta a giocarsi il tutto per tutto, senza esitazioni di sorta.

Nick si risollevò sulle proprie gambe. Di schianto e di botto. Di colpo mosso da nuove energie, e da un recuperato quanto inaspettato vigore.

Spalancò l'unico braccio che aveva ancora sano, e con esso le mascelle.

I denti esposti e le labbra tirate all'indietro, come quelle di un lupo affamato.

O di una volpe, visto che quello era.

Dalle punte delle dita della mano attaccata all'arto che era slanciato all'infuori, estese al massimo proprio come quest'ultimo...fuoriuscirono gli artigli.

Tutti e quattro.

Le pupille erano ridotte a due spicchi, due fessure sottilissime. Ed il pelo completamente ritto, con tutti i ciuffi ed ogni ciocca rizzati per intero.

Tutta , ogni parte della sua pelliccia. Al gran completo. Ed appena più sotto...

Un paio di dita più sotto le sue fibre muscolari si irrigidirono, fino allo spasimo. E la loro contrazione fece affiorare le vene ed i vasi sanguigni a fior di pelle.

Emise un nuovo verso.

 

“Gggggrrrrr...”

 

Non un ululato, questa volta. E nemmeno un ringhio. E neanche un guaito.

 

“...GgggrrrrrrrrhhhhhRRRRROOOOOOHHHWWWWLLLLHH!!”

 

Un ruggito.

Un ruggito trionfante.

Il ruggito del predatore, della bestia che ha. E che sa.

Che ha vinto. E che sa di aver vinto.

Che sa che mangerà. Che oggi mangerà.

E che sa che la preda...verrà consumata. E divorata.

E che verrà consumata e divorata da lui. Proprio da lui.

Laureen sentì le sue gambe farsi di gelatina, e le mancarono le forze.

Cadde all'indietro e sul fondoschiena, picchiando forte sull'osso sacro nonostante la breve, brevissima escursione che quel movimento aveva effettuato.

Percepì qualcosa di viscoso, di umido e di bagnato farsi strada all'altezza del cavallo e della cerniera dei suoi pantaloni. E del suo inguine.

In passato...

Negli anni della sua gioventù in genere era stato suo marito Harry grazie ai suoi baci, alle sue carezze e ad altre manovre particolarmente spinte, ardite ed intime...a farle scaturire tutto ciò.

Ma...non era certo questo, il caso. E, a voler esser sinceri e volerla dir tutta...non si trattava nemmeno della stessa sostanza corporea.

Era qualcosa di decisamente più basso, di volgare e di vile, parlando di liquidi.

Di quelle che in genere vengono rilasciate quando si é e si cade vittime del terrore.

Del genere di terrore più cieco. E folle.

Era la paura, ad averla invasa. Non certo il piacere.

E visto che si parlava e si aveva tirato in ballo i liquidi...meno male che si era rimasti a quelli. Perché in fatto di spaventi...coi solidi sarebbe potuta andare anche peggio.

Il risultato sarebbe stato ancora più disgustoso. E puzzolente.

Portò un mano davanti a sé, nel goffo tentativo di calmarlo. E di ripararsi. Anche se sapeva che non sarebbe e che non le sarebbe servito a nulla.

Dentro di sé sapeva, sentiva che era perfettamente inutile.

“T – ti p – prego...” lo implorò, con il cuore che le batteva all'impazzata nel petto fin quasi ad arrivare fin sul punto di scoppiarle dentro. “S – sta...sta t – tranquillo, N – nick...t – tranquillo. Stai tranquillo, p – per favore...n – non...non U – UCCIDERMI, t – ti p – prego...n – non f – farmi...non farmi...non f – farmi d – del...”

E questa fu la sua salvezza, invece.

A quella preghiera...con quell'accorata supplica, qualcosa mutò.

Qualcosa cambiò, in Nick.

Qualcosa decisamente cambiò, in lui.

I ciuffi e i peli che formavano il suo manto si riabbassarono.

Gli artigli di ritrassero, mentre le pupille si dilatarono fino a recuperare lo spessore e le dimensioni originarie.

I suoi lineamenti si addolcirono. Così come le sue membra ed i suoi muscoli, che si distesero e si rilassarono all'istante. E le sue vene, alla pari dei tendini, così come erano apparsi...come per incanto scomparvero.

La guardò. Pareva aver riacquistato la coscienza e la piena padronanza di sé.

Si. Pareva essere decisamente tornato in lui, ora.

Era tornato ad essere il solito Nick. Il solito Nick di sempre.

O almeno così sembrava.

“...Laureen?” Domandò.

La daina lo osservò a sua volta, abbassando la mano che fino ad un attimo prima stava tenendo completamente stesa e dritta nella sua direzione, mentre il torace le aveva finalmente smesso di rimbombare.

“...Nick?” Chiese di rimando, quasi stupita da quell'inatteso ed a momenti quasi insperato cambio di rotta.

Non ci aveva poi sperato molto. Non ci sperava quasi più. Ma ora...

Ora era finita, ringraziando Dio ed il cielo.

Sembrava essersi tutto risolto per il meglio, fortunatamente.

HALLELUIAH, annuncerebbe raggiante qualcuno. Tipo il tizio che sino ad un istante prima era stato sul punto,ad un passo e ad un tanto così da sbranarsela e divorarsela.

Viva. Viva e cruda.

“...Laureen?” Le ripeté lui. “...Sei...sei davvero tu?”

Dava ed aveva tutta quanta l'aria di non essersi minimamente reso conto di quel che era appena accaduto. E nemmeno di quel che aveva appena compiuto. Né di quel che stava per fare.

E che stava per farle, soprattutto.

Sembrava un reduce fresco fresco di un bel tour a base di crisi intense da sonnambulismo profondo ed acuto.

E di quelle belle pesanti, per giunta.

“E...ehi, bello” gli replicò di rimando lei. “Stai...stai bene? E'...é T – tutto...é tutto ok, adesso?”

La volpe si toccò la testa.

“Ora...ora si” le rivelò. “A – adesso si.”

“M – meglio...meglio così” fu il commento da parte della daina, visibilmente sollevata. “T – ti...ti posso assicurare che é decisamente meglio così.”

Entrambi sembravano a posto, ora.

L'attuale sceriffo in carica sembrava aver compreso cosa stava per combinare. E la padrona della casa dove alloggiava in precedenza e dove adesso aveva ripreso a farlo, se pur per cause di forza maggiore ed indipendenti dalla sua volontà...aveva capito di non dover temere più nulla, almeno da lì in poi.

Era già qualcosa.

“A...ascolta” le fece la volpe. “P – per...per qualunque cosa io abbia detto, o fatto, ti voglio chiedere scusa.”

Era proprio così, dunque. Proprio come si era pensato.

Se sino ad un attimo fa non si ricordava assolutamente di quel che era successo e di quel che stava per succedere, con molte delle cose in questione che erano avvenute per merito ed insieme colpa sua, tra l'altro...

Beh, ora ci era arrivato. Sembrava ricordarsele benissimo, adesso.

“C – cosa?!” Disse Laureen.

“P – perdonami, ti prego” la implorò lui. “Per qualunque cosa. A...a dire il vero, non so, non saprei dirti neanche di cosa, di preciso. M – ma tu...tu perdonami lo stesso, se puoi. P – per favore.”

“T – tranquillo, bello” lo rassicurò prontamente lei. “Nessun problema. L'importante...l'importante é che tu stia bene, adesso.”

“T – te l'ho detto” le confermò. “A...adesso si.”

“E...e comunque” aggiunse dopo un attimo, “Proprio come hai...proprio come hai detto tu, meglio così. Molto meglio così. Che tu mi abbia perdonato, intendo dire.”

“Stà tranquillo, ti ho detto. E' tutto a posto.”

Forse era proprio il genere di risposta che attendeva. E che aspettava. Quel che voleva udire.

Perché, non appena l'ebbe sentita, si voltò su sé stesso e fece dietro – front, dandole a sorpresa le spalle.

“D – devo...devo andare” annunciò.

“A – andare?!” Esclamò Laureen. “E...e d- dove, di grazia?”

“Devo andare” le ribadì Nick. “I...i miei compagni mi aspettano. E lei...lei mi sta CHIAMANDO.”

La cervide era sempre più sconcertata.

“Lei?!” Esclamò ancora. “M – ma...ma lei chi, scusa?!”

“Devo andare” le ripetè di nuovo e meccanicamente la volpe. “Carotina...Judy mi sta chiamando. Lei mi chiama.”

“C – carotina? J – Judy? M – ma...ma di c – chi...d – di chi diavolo stai parlando, in nome di Dio?!”

“Lei mi chiama. Lei mi sta chiamando. Per condurmi...per condurmi dove ci siamo trovati. E dove ci troviamo sempre, io e lei. E dove sempre...e dove sempre ci troveremo, in futuro. Dove sempre ci troveremo io...io e lei. Sempre, da qui...da qui all'eternità.”

“T – tu...tu e l – lei? M – ma...ma d – dove...d – di c – che...”

“Lei mi chiama. E io devo andare. Devo seguirla, come ho sempre fatto. Lei mi chiama. Per condurmi...per condurmi AL CAMPO DI BATTAGLIA. Ancora...ancora una volta.”

Si incamminò, deciso. E com'era prevedibile...

Com'era prevedibile dopo pochi passi gli mancarono sia le forze che l'equilibrio, e cadde per la seconda volta bello lungo e disteso col busto e col muso.

Fondamenti su come rovinare per bene una scena epica, proprio.

E mettendosi pure d'impegno, anche.

Laureen, che intanto si era rialzata e da sola anche se non aspettava certo che da parte sua le desse una zampa, visto come stava messo...non potè fare a meno di rimanere ad osservarlo. In silenzio ed allibita.

Non poteva fare altrimenti. Le aveva fornito l'ennesima occasione. Ed era pressoché impossibile, resistere a simili occasioni fornite su un così bel piatto d'argento.

Se si fossero trovati all'interno di un fumetto o di un cartone animato di stampo e di foggia prettamente e tipicamente orientali, che tanto piacevano ed andavano in voga un lustro, un decennio ma anche un ventennio or sono, a furia di repliche su repliche, ed a cui tanti aficionados si aggrappavano ancora oggi volando sulle ali della nostalgia...

Ecco, fossero stati dentro ad una qualsiasi di quelle opere citate, se pur alla grossolana e senza far riferimento a nessuna nello specifico...un bel balloon contenente i tre canonici puntini di sospensione, unito ad una classica quanto fatidica gocciolona di sudore formato gigante pronta a scendere lungo la nuca o ai lati delle tempie...ecco, sarebbero senza alcun dubbio cascati a fagiolo. E avrebbero reso alla grande l'idea.

Nick si girò di un quarto all'indietro, verso la daina.

“Ah – ehm...” le fece, schiarendosi la voce. “Forse te ne sarai resa conto benissimo per conto tuo, ma...diciamo che un piccolissimo aiuto sarebbe assai gradito dal sottoscritto. Giusto per rimettermi in carreggiata. E nella direzione giusta. Non saprei...un bastone, una stampella...cose così, tanto per intenderci.”

“Che ne dici, mia cara?” Insistette subito dopo, esibendo il più sfacciato ed al contempo innocente dei sorrisi. “Dici che...si può fare, secondo te?”

Che faccia tosta, ragazzi.

Una vera faccia da schiaffi. O...

Oppure da BACI.

Un vero professionista, in entrambi i settori. E come tutti i professionisti che si distinguono in entrambe le categorie... era piuttosto difficile per non dire impossibile stabilire in quale delle due riuscisse meglio.

Difficile, molto difficile poterlo dire con certezza.

Era proprio vero. Uno così aveva le stesse possibilità di diventare una grande, grandissima persona come ne aveva di poter diventare un malandrino, un delinquente o un criminale della peggior specie e risma.

“Me n'ero accorta” sentenziò Laureen.

L'istante successivo reagì facendo una smorfia e sbuffando brevemente dalle narici. Una combinazione che equivaleva a ricambiare il sorriso che aveva ricevuto.

“Mph” mormorò. “Che tipo, che sei...davvero un bel tipo.”

“Certo che sei davvero un bel tipo” gli ribadì, mettendosi ad ondeggiare ed a scuotere ripetutamente la propria testa.

“Unico nel suo genere” le confermo lui. “Ti posso dire che di tipi come me...all'intero mondo non ve n'é. Garantito.”

Il suo sorriso si accentuò, divenendo ancora più ampio.

Perfino luminoso, si sarebbe detto.

“Allora...” buttò lì poi, “parlando d'altro...questo bastone, piuttosto?”

Ecco. Adesso come adesso era tornato ad essere il solito Nick.

Il Nick di sempre.

“Questo é il tuo giorno fortunato” gli rispose Laureen.

Portò un braccio dietro alla schiena e ve lo infilò dentro, tra il suo vello ed il tessuto di quel che stava indossando.

Vi armeggiò dentro per un poco e poi vi estrasse qualcosa.

“Si” gli confermò. “Deve essere davvero il tuo giorno fortunato, bello.”

Gli mostrò quel che aveva appena tirato fuori.

Lui la guardò. E a giudicare dalla sua espressione doveva essere rimasto quasi estasiato, quando si era reso conto di che si trattava.

Era rimasto davvero senza parole.

“M – ma...ma é...é...”

“Indovinato” gli disse lei, agitandogliela davanti.

Era Betsie.

La cara, vecchia, buona ma anche micidiale e durissima Betsie.

L'arma preferita dal caro buon vecchio Finn. La sua compagnia di mille e di mille scontri, risse, viaggi e combattimenti sia al primo che all'ultimo sangue. Nonché di avventure.

Una di quelle armi mitiche dove si diceva che i guerrieri di una volta e di cui, stando almeno a detta sua vi faceva parte, vi trasferissero e vi infondessero la propria anima ed il proprio spirito fino a renderle vive. Per poi nutrirle e fortificarle col sangue che spillava e che facevano spillare dal corpo dei loro nemici ed avversari a suon di colpi, botte e mazzate.

La sua arma migliore. E sua una compagna. L'unica di cui si fidava ciecamente, e su cui contava. E che non mollava mai.

Non l'aveva mai lasciata o abbandonata.

Per lui era sacra come un vessillo. O una bandiera.

Ed infatti l'aveva ceduta...no, gliel'aveva ceduta solo per dargli conforto prima dell'operazione di taglia – e – cuci e di rammendo da parte del dottor Cooke per restaurarlo e rimetterlo in sesto.

E già questo...voleva dire molto. Moltissimo.

Significava e dimostrava che il suo mentore e maestro non si fidava soltanto di una vecchia, pesante, logora e mezza consunta mazza da baseball in legno.

Non più, ormai. Non più solo di lei.

Era un vero onore. E c'era di che esserne fieri ed orgogliosi.

“M – ma come...come hai fatto a prenderla?” Le domando. “E come...come mai ce l'hai dietro con te?”

“Oh, é facile” gli spiegò la daina. “Da quando sei sprofondato nel mondo dei sogni é ti é caduta di mano, l'ho presa in consegna io. Il tuo compare te l'aveva affidata, e perciò...non so, mi sembrava una cosa importante. Mi pareva che ci tenesse parecchio. Ed allora...da quel momento in poi l'ho tenuta sempre con me. Non l'ho lasciata un solo minuto. Me la sono tenuta attaccata ed appiccicata a me per tutto quanto il tempo, in attesa di potertela ridare. Esattamente come la roba che mi vedi addosso.”

Ed indicò le sue vesti.

Nick scoppiò a ridere. Anche se, a giudicare dalla profonda ruga che gli si era formata in verticale, tra la fronte e gli occhi, e talmente profonda da sembrare una ferita in più oltre a quelle che già aveva e che dovevano tormentarlo senza sosta e senza pietà...doveva provare parecchio male.

Si, la cosa dovevva dargli parecchio ma parecchio fastidio.

Ma non riusciva a trattenersi.

“Ah...ah, ah...ah ah ah ah ah!! Non ci credo! Non riesco a crederci! Ma davvero...davvero vuoi farmelo credere? Davvero vorresti farmi credere che te la sei tenuta sempre indosso? Mi stai dicendo che allora...allora ci saresti pure andata a dormire, con quella roba? Ah ah ah!!”

“Oh, beh...” si schermì lei. “Di questi tempi non si sa mai chi può venire a bussare o a presentarsi alla tua porta. Soprattutto da qualche giorno a questa parte, dopo che un branco di autentici scoppiati ha deciso di fare capolino nelle nostre zone. Inoltre...quando ti ho seguito fin qua fuori in strada, ho preferito portarmela dietro. Non che non mi fidi di voi volpi o dei predatori, ci mancherebbe. Tu ormai la sottoscritta la conosci, bello. Mi conosci fin troppo bene. Sai che io una persona la giudico da come é fatta dentro, e non da quel che presenta dal di fuori. Ma...lo sapevo, me lo sentivo che sarebbe successo qualcosa. E che sarebbe finita così. Ed allora...ho deciso di portarmela dietro. E per un attimo...per un dannatissimo attimo ho rischiato persino di avere ragione.”

“Lo so. E ti chiedo ancora scusa. Io non...io non ero...non dovevo essere molto in me, poco fa.”

“Tranquillo, bello. Ti ho già detto che é tutto a posto, non ti devi preoccupare. E in fin dei conti...”

Gli mostrò meglio Betsie, prendendo a rotearla e ad agitargliela ben da vicino.

“In fin dei conti non é che il pezzo di tronco del tuo amico mi sia servito poi a questo gran che. Nella foga del momento...mi sono persino dimenticata di avercela, pensa un po' te.”

“Ah ah ah! Oh ,santo cielo! Tu...tu sei davvero unica, tesoro! Mi farai letteralmente morire, di questo passo! Te lo giuro! Ah ah ah!!”

“Mi auguro proprio di no, bello. Con tutta la fatica che io e gli altri abbiamo fatto per tenerti in vita. Il minimo che puoi fare adesso, per ringraziarci e per rispetto nei confronti di noi e dei nostri sforzi...e di continuare a rimanerci, in vita.”

“Non preoccuparti. E proprio quel che ho intenzione di fare.”

Laureen abbassò la mazza verso la volpe, incurante di tutto quel suo ultimo e recente ridacchiare.

“Prendila, ora. Se la rivuoi...é ancora tua.”

Gliela porse.

“Grazie” le disse Nick.

“Per me non c'é problema, bello” gli confidò. “Ma...sei sicuro di poterla usare così?”

“C – che...che intendi dire?”

“Sai com'é, bello...non so se il tuo compare sarebbe tanto contento di vederla utilizzare come hai in mente di usarla tu. Non credo ne sarebbe felice, di vederla declassata a stampella da sostegno e da passeggio, proprio come hai detto prima. Insomma...oltre che tenerci parecchio, mi ha dato l'idea di esserne, come dire...ecco, mi ha dato l'idea di esserne abbastanza geloso, questo voglio dire. Per lo meno é quel che ho pensato.”

“Sta tranquilla” la rassicurò. “Se il vecchio Finn me l'ha data...é perché mi ha dato il permesso di usarla come meglio credo. E perché vuole che io la usi nel modo che riterrò più opportuno.”

“Ne sei sicuro, bello?”

“Fidati di me. E' così, senza alcun dubbio.”

“E va bene. Pigliala allora, una buona volta.”

La allungò ancora verso di lui. Ancora di più.

Nick la afferrò e la poggiò sulla strada per il dritto e per l'estremità più grossa e larga. Quella che si trova all'esatto opposto della zona in cui, in genere, la si impugna.

La mise in leva e, sfruttando il punto d'appoggio come fulcro, la usò per darsi la spinta e rimettersi in piedi, spingendo al contempo con entrambi gli arti inferiori.

E giusto un attimo prima che la spinta propulsiva potesse esaurire la sua forza, Laureen scattò in avanti e gli si mise a fianco. Alla sua sinistra.

Infilò una delle sue braccia attorno al suo busto, proprio sotto alle ultime file di costole, in modo da tenerlo su. Infine, per meglio ditribuire il peso, prese il suo braccio più vicino ed ancora più o meno in buona e bella salute e lo fece passare attorno alla sua vita. Appena sopra l'addome.

“Reggiti” gli consigliò. “Ti porto io.”

Aveva fatto proprio quel che aveva stabilito di fare. Per filo e per segno.

Il motivo per cui era uscita fuori.

Per soccorrerlo ed aiutarlo. E per portarlo via con lei.

Ma non a casa sua. Al riparo e al sicuro.

Non lì. Non più.

Il programma della gita era stato modificato. E la destinazione...cambiata.

Stravolta.

C'era un nuovo punto di arrivo. E Laureen...

Laureen sapeva bene quale fosse. E di che cosa si trattasse.

Lo sapeva fin troppo bene, così come ormai conosceva fin troppo bene chi aveva scelto di mutare improvvisamente il percorso designato.

“Ok” le fece risoluto Nick, ancorandosi saldamente alla sua figura. “Andiamo.”

“D'accordo” disse la daina, soltanto.

Partenza, dunque. E come prossima destinazione...

Prossima destinazione la stazione di polizia di haunted Creek.

O almeno...ciò che ne restava, e che doveva esserne rimasto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mentre marciavano con incedere lento ed incerto ma pur sempre costante,ed in pressoché perfetto silenzio e raccoglimento...Laureen non poté fare a meno di fare una cosa.

Anzi...due, per la precisione.

Visto che in un recente passato si era parlato della possibilità e del fatto che potessero ancora esistere i rettili ma soprattutto i volatili, così come le strutture che questi ultimi, che loro stessi mettevano in piedi e che successivamente li ospitavano facendogli da casa e da incubatrice per le loro uova...

Più lo guardava, più Laureen aveva come l'impressione sempre più insistente che Nick somigliasse ad un pulcino che aveva appena lasciato ed abbandonato il suo nido.

Si era buttato. Aveva avuto e trovato il coraggio di farlo, per una buona volta.

Solo che, invece di precipitare...si era fidato ed affidato alle correnti ed aveva iniziato a librarsi verso l'alto.

Di più, ogni minuto che passava e trascorreva. Sempre di più.

Ed a quel punto...aveva finalmente spiccato il volo. Il suo primo volo.

Fiero. Imponente. Maestoso.

Ecco come le appariva.

Un uccello che si vede, che considera sé stesso come nient'altro che un misero esemplare appartenente alla vile e volgare categoria delle specie terricole, giusto un attimo prima di volare.

Ma che adesso, dopo aver dispiegato ed esteso le proprie ali grandiose nel pieno di quell'azzurro a dir poco immenso in cui si trovava ora immerso...scopriva di essere in realtà un rapace.

L'uccello aveva appena lasciato alle sue spalle la sicurezza confortante ma insieme monotona del suo giaciglio per abbracciare l'appassionante ignoto e la galvanizzante incertezza del cielo e della sua avvincente vastità così colma e traboccante promesse, opportunità ed avventure.

Che razza di pensieri assurdi.

Assurdi. Ridicoli. Ed assolutamente e completamente folli. Ma che, proprio per questo...

Ma che proprio per questo motivo le apparivano anche così belli.

Bellissimi. Semplicemente meravigliosi.

Non poteva fare a meno di rimirarlo. E di ammirarlo.

Ma non poté nemmeno evitare di fare anche qualcosa d'altro.

Dopotutto...erano due, le cose elencate in precedenza.

Laureen non poté fare a meno di notare una cosa.

Anzi...sempre due. E sempre per la precisione.

Ma non disse nulla. E nemmeno gli disse nulla.

Non vi era nessuno che fiatasse, tra loro due.

In primo luogo...si era accorta che le condizioni di Nick avevano preso decisamente a migliorare, prima di tutto.

E pure a vista d'occhio, per giunta.

Ad ogni minuto, ad ogni secondo che scorreva, e ad ogni centimentro di cammino che guadagnava e superava...le sue gambe sembravano reggerlo sempre meglio. Ed il suo passo si faceva sempre più fermo, sicuro e stabile.

Stava guarendo e recuperando le forze e le energie ad un ritmo e ad una velocità a dir poco vertiginosi, man mano che avanzava sempre più.

Sembrava che...

Sembrava che non fosse solo.

Sembrava che con lui ci fosse qualcosa, o qualcuno che lo aiutasse. E che lo confortasse, lo consigliasse e lo proteggesse ad ogni pié sospinto.

Ad ogni volta che trascinava ed arrancava in avanti una delle sue zampe inferiori. Anche se dava l'aria e l'impressione che facesse sempre più fatica. E che patisse sempre più, ad ognuno che faceva e che compiva.

Chissà se era stato davvero tutto merito dell'intruglio mefitico e puzzolente di Finn. O se davvero Nick aveva al proprio fianco uno spirito custode.

Un angelo, come aveva detto quando aveva ripreso i sensi a casa sua, disteso sul tavolo del suo soggiorno.

Una cosa era certa, comunque. Più che certa.

Doveva avere davvero qualcosa o qualcuno, che gli stava vicino.

Ad ogni momento. In ogni momento della sua vita.

Inoltre...

Inoltre non era tutto.

Proprio come aveva stabilito di fare prima di cominciare a mettersi in cammino insieme alla daina...stava usando la mazza da baseball del suo compare di bravate come una vera e propria stampella a mò di sostegno, allungandola e schiacciandola a terra prima di ogni escursione del piede.

Che fosse sinistro oppure destro, sembrava essergli indifferente.

Al momento giusto la usava per stare e per tenersi su.

Ma dopo un certo tot di passi...dopo alcuni metri percorsi che ad occhio e croce parevano sempre gli stessi...sollevava Betsie e la metteva sotto all'ascella dopo averla fatta oscillare a dovere. Per poi farla finire esattamente sottobraccio.

Il medesimo che le aveva fatto ricoprire il ruolo del bastone, fino ad adesso.

E a quel punto...portava le dita della mano che ancora poteva impiegare vicino all'orecchio opposto.

E se lo grattava.

Esatto. Cominciava a grattarselo, ripetutamente.

Forse gli sarebbe risultato più comodo ed agevole col braccio che corrispondeva all'orecchio, se non fosse che era momentaneamente fuori uso e fuori servizio, come già ampiamente detto, ripetuto e fatto notare in precedenza. E più volte, anche.

Temporaneamente sospeso. Temporarily out of order.

Ma la cosa strana, davvero strana...era che non sembrava nemmeno avere prurito.
Quell'orecchio non pareva affatto solleticargli. Sembrava che lo facesse e che continuasse a farlo più per una sorta di tic nervoso.

Di vezzo. Di fissazione. Di uno di quei gesti che si sa benissimo che sarebbe meglio smettere di fare ma che invece si continua imperterriti a fare. Nonostante ci si renda conto che é assurdo e totalmente fuori da ogni logica continuare e perseverare pure nel farlo.

Non si prova alcun gusto. Più alcun gusto. Eppure...

Eppure non si smette di farlo. E' più forte di noi.

Si. Era sempre il solito Nick. Era tornato ad essere il solito Nick di sempre, su questo non ci pioveva.

Laureen se n'era accorta nel momento in cui lo aveva visto sorridere e poi ridere di gusto. Di nuovo.

E poi ancora. E ancora. E ancora. Eppure...

Eppure c'era qualcosa che non andava. Che non quadrava, che fin dal inizio e dal principio non le era affatto quadrato. E che continuava a non quadrare e a non quadrarle, putroppo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In seguito, tutte le volte che avrebbe ripensato più o meno distrattamente a quei giorni, in maniera totalmente casuale e saltuaria, magari quando non aveva niente di meglio da fare...

Tutte le volte che ripensava per una ragione o per l'altra a quei giorni così fantasticamente meravigliosi ma anche così tremedamente terribili...Laureen non poteva, non riusciva a fare a meno di chiedersi se nel corso di quei giorni non fosse nato, non fosse venuto alla luce un autentico MOSTRO.

Già. Un mostro. Un vero e proprio mostro.

Ma va precisata un cosa.

Il suddetto termine non va confuso o interpretato con altri insulti o termini dispregiativi.

Non ha lo stesso significato di parole come bestia. O come belva. O come animale.

Anche se, oggi come oggi, l'uso e l'impiego che se ne fa sono i medesimi.

No.

Per capire bisogna andare ad indagare e a scavare a ritroso e a fondo, fino ai tempi antichi.

Fino all'età classica. Per scoprire e scovare il senso, la radice primigenia ed iniziale.

Bisogna andare a cercare il senso, il significato più antico di quel vocabolo.

E si potrebbe addirittura restare sorpresi.

Perché quella parola, in principio...non era affatto un insulto. Ma il contrario, se mai.

Poteva essere benissimo intesa come un complimento. Perché...
Perché aveva un'interpretazione, un significato totalmente diversi.

Quella parola...

Quella parola, mostro...in realtà, nel principio, significava PRODIGIO.

Si. Proprio così. Prodigio.

Inteso come qualcosa che non si era mai visto, prima di allora.

In effetti...solo ora aveva realizzato. Solamente ora se ne era resa conto, per la prima volta.

Solo adesso aveva capito che in quel momento, in quella notte...era nato un mostro.

Solo adesso Laureen si era resa conto che quelli che aveva udito prima...

Quei versi che aveva udito prima...non erano semplici versi.

Tutto quell'insieme di ululati, di ringhiate, di ruggiti...altro non erano che vagiti.

Erano i vagiti di un mostro appena nato.

Di un mostro appena venuto al mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quella notte, ad Haunted Creek, nacque un mostro.

Anzi...DUE.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Maggie fece ritorno al piazzale.

Ritrovò Finnick esattamente come lo aveva lasciato.

Valeva a dire in posizione meditativa e a gambe incrociate, con le statuine a forma e fattezza rispettivamente di volpe e di coniglio tenute ancora ben strette strette in grembo.

Era rimasto tutto identico a prima. Tranne che...

Tranne una piccola differenza.

E cioé che il nanerottolo stava russando.

Si. Dormiva beato e se la ronfava davvero della grossa. E stava decisamente russando. Sonoramente ed indecorosamente.
Lo si poteva sentire a metri di distanza. Sembrava un misto ben riuscito tra una ciminiera di qualche ditta di fonderia o di smaltimento rifiuti organici o una centrale energetica, una lavatrice ed il motore rombante e roboante di un jumbo – jet.

Il frastuono gutturale del tratto interno che partiva dalle cavità delle sue narici fino alla trachea stava riempiendo ed intasando tutto l'ambiente.

Era davvero ma davvero fastidioso.

Bisognava farlo smettere.

Si, occorreva fargliela smettere, in qualche modo. E la vice capì che toccava a lei.

Era lei, l'addetta a fargliela piantare lì una volta per per tutte con quel rumoraccio insopportabile.

Gli si avvicinò con il passo più rapido e svelto possibile. Quello più veloce di qui poteva disporre. E tenendo duro nonostante le vivaci proteste da parte dei suoi timpani, che dovevano essere giunti al limite. O poco ci mancava.

Una volta che gli fu vicino, lo toccò per una spalla in modo da destarlo.

“Ehi” gli fece. “Finn! Sveglia!!”

“Hmmm...” le mormorò.

“Svegliati, Finn!!” Gli ripeté. “Svegliati, forza!!”

“Hmmhh...” bofonchiò ancora la piccola volpe. “INSEMINARE...”

Allungò le mani verso la daina. Con chiare ed inequivocabili intenzioni.

Lei, per tutta risposta, prese a schiaffeggiarlo sui dorsi di esse.

“Finn! Finn!! Sono io, dannazione! Sono io! Sono Magdalene! E tienimi giù quelle tue luride zampacce di dosso!!”

Il fennec si alzò in piedi. E dopo aver spiccato un piccolo saltello verso l'alto ed in avanti la afferrò per la cintura, strattonandola e tirandola giù a terra.

Maggie cadde al suolo, più o meno in contemporanea con le due statuine tenute fino ad un attimo prima dal minuscolo predatore, e che adesso gli erano scappate. E di cui non sembrò affatto preoccuparsi o curarsene, intanto che le montava sopra e a cavalcioni sulla pancia.

“Hmm...” le fece. “Ancora dieci minuti, mammina...cinque minuti. Seulement un menuto, un minuto soltanto. Dame solo el tiempo de dare una bella REPASSATA ad esta pupa e me alzo...”

Si indicò da solo il bacino.

“Me alzo...quando LUI HA FINITO DE ALZARSE! Ahr, ahr, ahr!!”

Le sue palpebre, incredibile a dirsi...erano ancora chiuse e serrate.

Stava ancora dormendo. Ma era chiaro quel che avrebbe fatto. E che le avrebbe fatto, se qualcuno non lo fermava.

Se lei non avrebbe provveduto a fermarlo.

La giovane sentì qualcosa di tremendamente duro e di rigido premergli e farsi strada verso la parte iniziale del suo intestino, in corrispondenza del punto esatto in cui il suo piloro confluiva nel duodeno per poi collimare col crasso.

La travolse il voltastomaco, a quella sensazione.

 

No, no, pensò.

Non di nuovo.

 

“FINN!!” Lo avvertì. “SMETTILA! SMETTILA SUBITO! PIANTALA, MI HAI SENTITA? TI ORDINO DI SMETTERLA!!”

“Inseminare! INSEMINAREEEHH!!”

Mentre tentava di divincolarsi, capì che il piccoletto si era abbassato giusto quei centimentri di troppo. E che le era finito giusto giusto a portata di colpo.

Prese lo slancio e l'oppurtuna rincorsa, piegando e caricando il braccio destro all'indietro.

Dopodiché gli sparò una terrificante gomitata all'attaccatura della mandibola.

La testa gli schizzò all'indietro come una molla impazzita, mentre un molare gli partiva fuori dalla bocca e verso l'alto.

“How! Ehi...” disse, aprendo e spalncando gli occhietti. “Ma que...Chica! Es tu? Sei tu, muchacha? Ma que...que pasa?!”

Senza nemmeno prendersi la briga e nemmeno tutta questa fretta di rispondergli, Maggie sollevò di scatto il busto e con un colpo d'anca se lo tolse di dosso, facendolo volare a terra.

Rimasta senza più impedimenti, poté finalmente rimettersi in piedi. E idem per il buon vecchio Finn, che fece lo stesso.

“Muchacha un cavolo!!” Gli urlò dietro. “Dì un po'...ma tu sei sempre così, quando ti svegliano? Un PERICOLO PUBBLICO?!”

“Tu sas como es...” le disse l'altro, massaggiandosi il mento e scuotendo violentemente il capo per riprendersi dalla tremenda botta subita. “El sottoscritto tiene el sonno muy pesante.”

“Alla faccia sonno pesante” lo apostrofò lei.

“Che vuoi farci, ragazza mia” si giustificò lui. “Por migo esto es la FUERZA DE L'ABETUDENE. La forza dell'abitudine.”

“Certo, certo” gli replicò Maggie, sarcastica. “E comunque...ti faccio presente che prendere una femmina e sbatterla a terra per costringerla a fare quel che vuoi non é proprio la maniera migliore per intavolare un rapporto con le esponenti del gentil sesso. Non te lo ha mai detto nessuno?”

“Seguro. Ma ho fatto finta de escucharlo, de ascoltarlo. Ed entanto...MIRAVO, guardavo da un'altra parte. Y pienzavo ai fatti miei. Tipo sulla prossima squinzia da rebaltare sotto alle lenzuola, tanto por entendercie.”

“Liberissimo di pensarla come ti pare, amico. Ma ti ribadisco che esistono altre maniere più gentili, te lo posso assicurare.”

“Oh, e como no. Tipo quelle che usano i RAMMOLLITI, mia cara.”

“Io veramente mi riferivo ai GENTILMAMMIFERI.”

“Oh, ma te garantisco que yo soy un GENTIL – COSO, como as dietto ti. Come hai appena detto tu. E so como ce se deve comportare, con una gientil donzella. Ed infatti...todo quel che yo faccio, lo faccio siempre con TANTO, TANTO AMORE. Es solo que...todos los gentil – cosi fanno accussì. Tutti fanno così. Tutti TRANNE UNO. E quell'uno...SOY YO. Sono io.”

“Già. Bella prodezza, davvero. Proprio una gran bella prodezza.”

“Nun se tratta de prodezza, Bambi. Ma de inclinaciòn natural. De inclinazione naturale. Se yo me comportassi diversamente da como me comporto...andrei contro natura, todo aqui. Tutto qui. Y depuis...y poi te posso dire con absoluta ciertezza que esistono delle tue colleghe che NON ASPETTANO ALTRO, Nocciolina. Non desiderano altro che venire piantate contro ad un muro ed enfelzate como y peggio de un tordo. Si esistessero ancora los tordos y los volatiles.”

“Ma fammi il piacere, và.”

“Credimi. Te giuro que es accussì. E' così.”

“Lasciamo perdere, che é meglio” sentenziò Maggie, rassegnata. “Andiamo, piuttosto.”

Finnick la guardò incuriosito, inclinando leggermente e lievemente la testolina di lato.

Il tipico gesto di un canide quando si trova alle prese con qualcosa che lo incuriosisce e che attira la sua attenzione.

“Auf?!” fece. “Andare, tu dise? Y dove, de grazia? Andare dove, hm?”

“E' ovvio, no?” Gli disse la vice. “Alla centrale di polizia, naturalmente. Dobbiamo vedere cosa ne é rimasto. Ormai l'incendio si sarà più che estinto. E poi...poi dobbiamo decidere sul da farsi.”

“Quei maledetti torneranno” aggiunse. “E noi dobbiamo stabilire un piano. Elaborare una strategia, in attesa che torni Nick.”

“Dobbiamo farcela” ribadì. “Con lui o senza di lui. Dobbiamo farcela, in qualche modo. E ce la faremo.”

“Dobbiamo farcela” ripeté. Più che altro a sé stessa. “Dobbiamo assolutamente farcela.”

Prossima fermata...la stazione di polizia, dunque.

Mosse qualche passo in quella direzione, dove ben sapeva che si trovava ciò che voleva raggiungere. Ma...

Ma dopo neanche un paio di metri, si arrestò di colpo. E di botto.

Mentre aveva ripreso a camminare, l'occhio gli era caduto su dove c'era la catasta di legna a cui Finn aveva dato fuoco, durante quel suo bizzarro rito. Che non si sapeva nemmeno se fosse davvero servito a qualcosa.

Com'era naturale, non ne era rimasto che cenere. Anzi...cenere di cenere, a volerla dir tutta.

Non ne era rimasto nulla. E almeno fino a qui, nulla di strano, di sconvolgente o di fuori dalla norma.

Ma poi...

Ma poi aveva alzato e lasciato proseguire il proprio sguardo, ed esso gli era caduto sul precedente proprietario di quella legna, e che gliel'aveva fornita. Più o meno gentilmente e di propria spontanea volontà.

Beh...grossomodo.

E le erano letteralmente cascate le braccia. Ma non per lo sconcerto, bensì per la meraviglia.

Non era...non era possibile.

L'albero.

L'albero nel bel mezzo dell'aiuola in fondo al piazzale.

L'albero completamente rinsecchito e ormai mezzo morto, se non del tutto. Quello da cui Finn aveva preso i ramoscelli per bruciarli, dopo averli posizionati in un certo modo.

Non ci poteva credere.

Non credeva, non poteva credere a quel che stava vedendo. A quel che le stavano mostrando i suoi occhi. Ma...a quello che le stava mostrando L' ALBERO STESSO?

A quello, ci poteva credere?

E' come quando ci si trova di fronte ad una strabiliante prova sportiva.

Non ci si crede, a quel che si é visto. Ma al coronometro? Oppure ai filmati di replay che mostrano i tabelloni elettronici?

A quello...non ci si può che credere. Che lo si voglia oppure no.

L'albero.

L'albero era...era TORNATO IN VITA.

Il fusto, il tronco e i rami avevano riacquistato e riacquisito colore. Il loro vecchio brunastro naturale. E dalle estremità degli ultimi del suddetto terzetto appena menzionato...

Dai rami avevano fatto la loro ricomparsa le foglie.

E lì vicino, poco distante da essi...erano spuntati persino i fiori.

Di pruno. Oppure pesco. Che lì per lì, presa controtempo e alla sprovvista...non ne era mica tanto sicura, sul responso da dare.

E pensare che un tempo avrebbe voluto fare pure la botanica. Tra le tante altre cose.

Una risposta ad un quesito del genere...avrebbe dovuto essere roba davvero elementare, per un'esperta di piante e vegetali in generale.

In ogni caso...era stupefacente.

Ma com'era possibile?

Quell'albero era morto.

Morto, ok?

MORTO.

Ma come poteva essere?

Quel dubbio lo espresse pure a voce bella alta, pur con tono esitante.

“M...m – ma...m – ma...” balbettò, confusa. “M – ma...m – ma...ma...”

“Ooh” commentò Finnick, passandole sulla sinistra. “Pare que todo quel VACIAR DE VEJIGA, todas quelle svuotate de vescica alla fine qualche efecto ce lo abbieno avudo...”

Maggie lo guardò.

“C – cosa h – hai detto, scusa?”

Il tappo alzò le braccia e fece spallucce.

“Embé?!” le fece. “Te l'agg' ritt, te l'ho dietto quando tu te sei tracannada d'un seul gotto el mi liquor a base de PISC...”

“Me lo ricordo benissimo, quando me lo hai detto” le rispose bruscamente lei, tagliando corto pur senza capire o sapere a cosa si stesse riferendo di preciso.

“Ecco appunto” commentò laconico lui. “E allora non sei stata attenta, Nuts. Sbaglio oppure nun sbaglio se te digo que te avevo raccontato que la PIPIRINHA, la PEE PEE de volpe es MAJIKA?

Eppure te l'avevo detto, no?!”

“Y ahora, vamonos” la esortò, dandole una leggera ma vigorosa pacca sulla natica più vicina.”Andiamo, adesso.”

Visto che c'era. E per non farsi mancare nulla.

“A – a – andare dvoe, scusa?” Gli chiese la daina.

Sembrava una ripetizione del loro dialogo iniziale. Ma su fornti completamente ribaltati, speculari e contrapposti.

“Alla stazione di polizia, no?” Le rispose il fennec. “Me sbajo de nuevo...o non me avevi detto que volevi andare lì?”

Maggie rimase zitta. E di fronte al suo silenzio, la volpe del deserto si picchiettò ripetutamente un dito medio contro la fronte, dopo averlo fatto schioccare contro la punta del pollice della medesima mano.

Stava mimando il rumore che si fa quando si prende a bussare contro una porta. Come diede da capire a parole, immediatamente dopo.

“Toc, toc” disse. “C'é nessuno in casa? Que por caso ce sta qualcuno, là de dientro?”

Con quegli ultimi due termini si stava riferendo al contenuto della scatoletta cranica della sua neo – allieva, o presunta tale che fosse. Che ultimamente, alla luce de più recenti avvenimenti, albero risorto compreso...doveva viaggiare tra un bel po' di fumo. Ed il resto di nebbia bella spessa.

“Allora?!” la incalzò. “Es lì que ce ne dovemo annà, oppure no?”

“S – si” gli rispose lei, quasi ripigliandosi. “E – esatto. E' esatto. D – dobbiamo...dobbiamo recarci lì. Proprio lì.”

“Y allora en marcia” le raccomandò. “El mi socio ce starà raggiungendo pure lui. Si nun sarà già de là ad aspettarcie. Nun facciamolo attendere trueppo, que no es GENTLE. Non é gientile far aspettare la ggiente.”

“N – Nick?!” Saltò su la vice. “Nick, dici? M – ma...ma tu c- che ne sai, scusa? C – come fai a...no, dico...m – ma come...come fai ad esserne c – così sicuro? C – come fai a s – sapere che l – lui ci sta...che lui ci sta asp...”

“Fidate” la interruppe. “Fidate de mi. LO SO. Si yo te lo digo...es por que lo so. Yo vedo todo, vedo tutto. Y so tutto. Se yo te digo que Nickybello é la ad aspiettarcie...es por que SE TRUEVA GIA' LA'. Punto.”

Così aveva parlato. Augh.

E Maggie sentiva, sapeva in cuor suo e dentro di sé che non poteva fare altro che crederci. Senza mettere in discussione.

E la stessa, vecchia e solita solfa. E storia. E zuppa. Da sempre.

Possiamo decidere di non credere a quello che vediamo, che leggiamo o di cui abbiamo notizia.

Ma a quello che qualcuno decide di mostrarci passando direttamente alle vie di fatto, anche se é assurdo ed impossibile?

Si può decidere di non credere ai profeti, ai santi oppure ai maritiri. Ma quando DIO in persona, oppure il suo diretto discendente che in un certo recondito senso é SEMPRE LUI, oppure chi per esso o qualcun'altro di intonacato, alato, aureolato e splendente decide di mostrarsi e di compiere qualche prodigio o miracolo?

Quando Lui in persona piomba giù in picchiata dall'alto dei cieli e innalza una colonna di fuoco per poi subito dopo aprire, separare e dividere in due le acque tumultuose e profonde di un intero mare?

Di un intero oceano?

Si può decidere di non voler credere alla magia.

Ma quando uno sciamano mette in pratica i suoi poteri davanti al nostro cospetto non già una, ma per ben DUE volte?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo quella sera...nulla fu più come prima.

Da quella notte in poi...ad Haunted Creek nacquero due mostri.

Anzi...TRE, per essere precisi.

Perché quando ci si trova ad affrontare dei veri mostri...si finisce col diventare dei mostri a propria volta.

Per superare il limite. Per sconfiggerli. Per vincere. E per sopravvivere.

Ma non importa.

Non importa cosa o come si può diventare fuori, nella parte esteriore.

Non importa quanto terribili nell'aspetto e nelle fattezze si possa diventare.

Si diventa dei VERI mostri quando si MUORE.

Quando si muore DENTRO.

Definitivamente dentro.

Solo così si passa il confine. E si finisce dritti dritti in mezzo al regno delle tenebre.

Solo così si passa dalla parte del male. E ci si resta per sempre.

Non si può più tornare indietro.

Qando si affrontano tempi bui, e un nemico spaventoso...alle volte bisogna fare ricorso a forze che mai e poi mai si pensava di poter possedere.

E' il campo di battaglia.

E' merito suo. E colpa sua, anche.

Il campo di battaglia fa di queste cose, alle volte.

Nessuno sa cosa può accadere da un minuto all'altro, quando ci si trova là.

Ma per restare a combattere dalla parte del bene...

Quando si sceglie di combattere per la giustizia, se si vuol continuare a farlo bisogna tenere sempre a mente una cosa. E non dimenticarla mai.

Quando si decide di battersi in nome del bene, e si scende in battaglia...bisogna essere VIVI.

E RESTARLO.

Bisogna essere vivi. E restare vivi.

E i tre che avevano deciso di scendere in battaglia, nel nome di un bene superiore e della salvezza e della salvaguardia di tutti coloro che avevano promesso e giurato di proteggere, ma proprio tutti che fossero presenti lì o meno...

Quei tre, nonostante fossero più che disposti da ora in avanti a tramutarsi in autentici mostri, pur di portare a termine la loro missione...erano vivi.

Lo erano ancora.

Erano ancora vivi.

Nel corpo.

Nella mente.

Nel cuore. E nell'anima.

Erano vivi.

ANCORA VIVI.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Allora? Come andiamo?

Passate bene le vacanze?

Beh...beati voi, ragazzi.

Quest'anno, per il sottoscritto...praticamente non sono mai iniziate.

Complici i motivi che vi ho spiegato la volta scorsa.

Pazienza, ragazzi. Sempre come ho avuto modo di dirvi nel precedente episodio...ho trovato il modo di spassarmela ugualmente.

Merito anche dell'estate più fresca che si sia vista a Milano, da una ventina d'anni a questa parte.

Dite che il tutto sia stato dovuto al lock – down, per caso?

Può essere.

Fatto sta che mi é sembrato di essere tornato magicamente indietro nel tempo.

Quando nel mese di Agosto faceva si caldo, ma non un caldo talmente esagerato da non permetterti nemmeno di andare in giro quando il sole era bello alto nel cielo.

Praticamente a ogni ora della giornata ad esclusione della sera, in questi ultimi anni.

Se soltanto ti azzardavi ad uscire nel pomeriggio, l'anno scorso...ti pigliavi come minimo un'insolazione o un colpo di calore.

Ed invece...quest'anno, nella settimana centrale, tirava un vento che pareva di essere al mare.

Ve l'ho detto. Proprio come quando ero pischello.

Si inforcava la bici, e...VIA!!

Stavi in giro mezze, intere giornate. Non ti fermava nessuno.

Erano altri tempi. E c'era un'altra mentalità.

Le vacanze erano un LUSSO. Non un bisogno irrinunciabile come sembra oggi, che a sentire certa gente sembra che gli spettino di diritto. Che siano dovute, quasi fossero una necessità inalienabile dell'individuo.

Alt, però. Sarà meglio precisare.

Non mi riferisco tanto allo stare a casa, che le ferie estive non sono mai mancate.

Mi riferivo al partire.

Oggi, impedire ad uno di viaggiare equivale a compiere quasi un crimine di lesà maestà.

Sembra sia dovuto, punto. Come tante altre cose.

Una volta...era diverso. E non vi parlo certo del dopoguerra, eh.

Ma di venti, venticinque anni fa.

Se c'erano i soldi e si poteva, bene. Altrimenti...pace.

Si stava a casa. E ci si divertiva lo stesso, senza lamentele o piagnistei.

D'altra parte...ritengo di aver fatto la scelta giusta.

Le vacanze si fanno con la mente serena e sgombra dai problemi.

Se qualcuno non sta bene...non sono il tipo da prendere, sbattersene allegramente i cosiddetti e voltare le spalle andandomene via come se niente fosse.

Non si fa, punto. Io sono fatto così.

Prendere o lasciare.

Intanto...il mio parente sta bene, ed é stato dimesso. Ora si trova a casa, in convalescenza.

Nel frattempo, ho ripreso a lavorare. E giusto la scorsa settimana me n'è capitata una bella.

O meglio...BRUTTA.

BRUTTISSIMA.

Per farla breve...per poco ho rischiato di NON POTER SCRIVERE MAI PIU'.

NON CON LE BRACCIA, almeno.

Ero appena rientrato dalla pausa e, una volta giunto in reparto, ho riacceso la pressa.

Due secondi dopo mezzo macchinario MI CROLLA DAVANTI AGLI OCCHI, SU SE' STESSO.

E GIUSTO UN ATTIMO PRIMA CHE IO INFILASSI LE MANI.

Tanto per intenderci...era uno stampo a fusione da QUATTRO TONNELLATE E DI TEMPERATURA DI TRECENTO GRADI, minimo.

Qualunque cosa ci fosse finita la in mezzo...L' AVREI PERSA, GENTE.

PER SEMPRE.

Il Dio, o il Santo Patrono degli scrittori e dei fan – writer (chissà chi é...) ha davvero guardato giù, questa volta.

La strizza é stata parecchia, ve lo assicuro.

Ma dopo una mezza giornata di pausa il giorno dopo ero già al lavoro.

Diciamo che in questi casi serve la terapia d'urto.

Chiodo scaccia e schiaccia chiodo, come si suol dire.

Qualunque cosa succeda...meglio ricominciare subito. Il prima possibile.

Se mi fossi preso l'intero resto della settimana (come qualcuno mi aveva consigliato. E potevo farlo) non avrei più avuto il coraggio di tornarci dentro. E me ne sarei stato a casa per sei mesi, come minimo.

E quello...non posso assolutamente permettermelo.

E quindi...di nuovo al lavoro. Anche se ogni tanto ho ancora qualche momento di timore.

Più una sorta di blocco piscologico, direi.

Ovviamente sono finito a conciliabolo con vari capi, meccanici e rappresentanti vari per la sicurezza, dove ho scoperto un paio di cose.

Prima di tutto che si é trattato di un cedimento strutturale (dovuto all'usura, per me. Il macchinario é molto vecchio).

Riguardo al pezzo danneggiato...lo hanno spedito ai tecnici per analizzarlo, visto che NON E' MAI SUCCESSA UNA COSA SIMILE, IN CINQUANT'ANNI.

E ti pareva. Dovevo arrivare io.

La mia solita fortuna, proprio.

In altre parole, aggiorneranno l'elenco delle casistiche degli incidenti sul lavoro perché...PRIMA CHE SUCCEDESSE A ME, NON ERA MAI SUCCESSO.

Era un evento talmente raro da esser a metà tra l'improbabile e l'impossibile.

Non era nemmeno contemplato, tra le anomalie.

Non doveva succedere, punto. E invece...E' SUCCESSO.

La pressa, comunque, é già stata riparata.

Hanno sotituito il pezzo danneggiato ed é di nuovo operativa.

E qui mi sorge un dubbio.

A casa mia...quando un pezzo lo si può sostituire, significa che si può anche ROMPERE.

Ci sono lì fior di ingegneri, ragazzi. E nessuno che sia arrivato a una conclusione tanto semplice!!

I meccanici mi hanno poi assicurato che é accaduto perché non c'era nessuno a lavorarci dentro.

A sentire loro...se avessi infilato le mani si sarebbero azionati i dispositivi di emergenza che avrebbero bloccato la caduta del pezzo.

E' pur vero che il macchinario ha quattro sistemi di sicurezza e una barriera ad infrarossi che li aziona in simultanea. Ma, sinceramente...

In tutta onestà non sono mica convinto. E non me la sento di provare se é vero.

E va beh. Non mi sono fatto male, questo é l'importante.

L'ho scampata bella. E le braccia sono ancora al loro posto.

Certo che é incredibile, però.

Immagino sia il prezzo da pagare per scrivere.

Il destino di noi scribacchini. Che in genere...é quello di avere UNA SFIGA PAZZESCA.

Capitano tutte a noi, certe volte.

D'altra parte...suppongo che se vuoi avere qualcosa di cui scrivere, qualcosa ti deve capitare per forza.

Anche se ne avrei fatto volentieri a meno, credetemi.

Ora basta con le fregnacce personali, però. E veniamo al capitolo.

Che ne dite, dunque?

Siamo giunti finalmente alla conclusione della terribile notte che ha sconvolto il paese, e le vite di molti. Protagonisti compresi.

Anche se, alla fine...sono ANCORA TUTTI VIVI, come dice il titolo.

Malconci e strapazzati finché si vuole, ma ancora vivi. E pronti per tornare a combattere.

In realtà...quella notte E' PASSATA GIA' DA UN BEL PEZZO.

Cosa voglio dire, vi chiederete?

Lo scopriremo meglio nei prossimi episodi.

Di fatto...quella notte ce la siamo lasciata finalmente alle spalle.

E questo é ciò che conta per davvero.

Io, se volete un parere sincero...questa puntata l'ho trovata a dir poco ESALTANTE.

Con un crescendo graduale ma inesorabile che giunge al culmine proprio nelle ultime righe, concludendo in un autentico trionfo.

Qui siamo nel mio campo preferito, ragzzi.

Nel campo dello shonen più puro ed autentico.

Vediamo l'eroe che dopo aver subito l'indicibile, di colpo con uno scatto di orgoglio rialza la testa e reagisce, uscendo dalla sua condizione di sconfitto per andare alla ricerca della rivincita.

Attraverso Nick...ho rivisto dei momenti a dir poco epocali, che tengo scolpiti nella memoria e che non smettono mai di appassionarmi.

Momenti che hanno fatto la storia dei manga. E degli anime.

E qui si galoppa sulle ali della fantasia. E dei ricordi.

Nick...

E' Kenshiro che si rialza dopo le batoste subite da Souther e da Kahyouh, e che si dirige da loro per il duello decisivo.

E' Goku che si riprende dopo lo scontro all'ultimo sangue con Vegeta. E che parte per Namecc. Dove, in seguito ad allenamenti disumani, sprigionerà una potenza letteralmente inaudita che gli permetterà di far piazza pulita uno dopo l'altro di tutti i guerrieri di Freezer.

E alla fine, di Freezer stesso.

Un ascesa eccezionale che getterà le basi per la creazione del combattente più forte dell'intero universo, e che terminerà in quella che é una trasformazione ormai entrata nel mito: il SUPER SAYAN.

E' Seiya (O Shiryu, o Shun, o Ikki, o Hyoga. Fate voi in base al vostro preferito) che dopo aver scavato un solco di svariati metri atterrandoci sopra di faccia, risveglia il settimo senso e brucia il suo cosmo fino ai limiti estremi, indossando il Gold Cloth e lanciando il suo invincibile colpo segreto con cui distruggera l'avversario di turno. Umano o divino che sia.

E' Joe Yabuki che nonostante ne abbia prese un sacco e una sporta, si rimette in piedi come se nulla fosse. Ancora una volta. Per poi mettersi nella sua ormai leggendaria posizione senza guardia, con entrambe le braccia abbassate. E far partire un micidiale colpo d'incontro incrociato, con cui otterrà l'ennesimo K. O. fulminante.

E Naoto Date che, sotto alle spoglie e alla maschera dell' Uomo Tigre, nonostante sia ferito e coperto di sangue si rianima grazie al sostegno e al tifo dei suoi piccoli ammiratori dell'orfanotrofio gestito dai suoi due amici d'infanzia. E giusto un attimo prima di subire il fatidico colpo di grazia...usa la sua mossa speciale e ottiene un'insperata vittoria all'ultimo secondo, proprio sul filo di lana.

Nick, in questo preciso momento...é TUTTE QUESTE COSE INSIEME.

Che meraviglia.

No, scusate. Lo ripeto. Lo voglio ripetere.

CHE MERAVIGLIA.

MA CHE MERAVIGLIA.

Qui ci troviamo davanti alla STORIA, gente.

Alla storia.

Sembra che la nostra volpe faccia trasparire una sola cosa, da ogni fibra del suo corpo e da ogni poro della sua pelle.

Un messaggio che risulta fin troppo chiaro.

 

Mi sono ripreso. E adesso...STO VENENDO A SPACCARVI IL CULO.”

 

Ma che meraviglia.

Ma non é solo Nick. Un protagonista, per quanto abile che sia...da come abbiamo potuto vedere in passato non può fare tutto quanto da solo.

Anche Finn e Maggie hanno dato il loro decisivo e significativo contributo all'epicità della scena.

La squadra sta per ricomporsi, finalmente. Il mitico trio sta per tornare in azione.

E' come se stessero obbedendo a qualcosa che va oltre loro, e le loro volontà.

Come se agissero spinti da qualcosa di superiore.

La giustizia? Probabile.

E' un cuore che chiama un altro cuore e che risponde ad un altro cuore ancora che a sua volta...chiede aiuto ad un altro cuore in più.

Fino a prendere dentro ogni cuore. I cuori del mondo intero.

Ma che meraviglia.

Un capitolo del genere merita una musica d'eccezione.

Ed infatti, per questo ANGOLO DELLA COLONNA SONORA...ho deciso di rivolgermi ad una fonte insolita.

I VIDEOGAMES. Che da sempre sanno fornire brani trascinanti, che nulla hanno da invidiare alle canzoni o alle musiche dei film.

Ne ho selezionati due.

Il primo é L' OPENING THEME, il brano di apertura di quel capolavoro che corrisponde al nome di METAL GEAR SOLID 2 – SONS OF LIBERTY, ad opera del grandissimo HARRY GREGSON – WILLIAMS. E su cui non ritengo vi sia bisogno di aggiungere altro.

Mentre il secondo arriva da un leggendario sparatutto uscito per il Sega Dreamcast, IKARUGA.

Ai tempi riuscii solamente a provarlo, in uno di quei vecchi negozietti specializzati in giochi d'importazione (quanto mi mancano...).

Vi rimasi attaccato tutto il pomeriggio, fino all'orario di chiusura.

Quella tra il sottoscritto e questo gioco é la storia di un inseguimento che va avanti da quasi QUINDICI ANNI.

Anni dopo presi anche il Nintendo Gamecube, e scoprii che lo avevano convertito anche per quella console. Ma anche lì...non mi riuscì di prenderlo.

Per un bel po' sono stao indeciso se raccattare una XBOX anche di seconda mano, visto che lì c'era.

E poi, alla fine...l'ho recuperato per PS4.

La caccia é finita, dunque. Dopo ben QUINDICI ANNI, dicevo.

Comunque...il brano in questione é quello del primo livello, IDEAL.

Ma ci sarebbe anche un terzo pezzo. E per quest'ultimo...ho deciso di rivolgermi a un cartone animato che di recente mi ha intrippato parecchio.

Sto parlando della canzone SCISSORS ASSASSIN, tratta dal cartone animato SCISSOR SEVEN.

E' una produzione cinese, e si trova su Retepellicole (dai che avete capito, a quale mi riferisco. Ma non voglio fare pubblicità gratuita, che poi magari rischio di venire bannato).

Cinese? Già. Proprio così.

Cinese.

In genere Cina, Taiwan, Hong Kong (ormai teritorio cinese) , Corea sono da sempre rinomati per scopiazzare i lavori giapponesi.

Anche manga e anime, giusto per precisare.

Difatti non é un caso che gli stessi giapponesi spesso si rivolgano a loro, specie quando c'é da collaborare per la realizzazione di una serie animata.

Esistono un sacco di studi di animazione, da quelle parti. Che tra l'altro...si fanno pagare un tozzo di pane, o giù di lì.

E in effetti...sarei un bugiardo se vi dicessi che questo cartone non copia a destra e a manca.

Però...mi é piaciuto un sacco lo stesso.

Perché vi ho trovato dentro un sacco di scene memorabili, prese di peso dai classici senza tempo che vi ho elencato poco fa. Ma col pregio di venire condensati in un unico episodio.

Per farla breve...una tamarrata assurda, ma fighissima.

Dal ritmo serrato e incalzante, e strapiena di botte da orbi.

Diciamo che forse da quelle parti stanno scoprendo adesso quello che in Giappone facevano già da decenni addietro. Ma che adesso si vergognano di fare.

Perché se tu gli citi Dragonball, Ken, i Cavalieri dello Zodiaco...ti dicono che é roba vecchia, per le mummie, troppo semplicistica.

Rocky Joe e l' Uomo Tigre no, invece. Quello sono e restano immortali ancora oggi. In quanto da considerasi MONUMENTI NAZIONALI.

In Nippolandia vanno sul sofisticato, di recente.

Trame complesse, miriadi di personaggi...e spesso finiscono con l'arenarsi.

Robe come Naruto, One Piece, My Hero Academia mi danno da pensare.

Ma anche L' Attacco dei Giganti mi sta lasciando piuttosto perplesso.

Oh, al pubblico di oggi piacciono. A me, dopo un po'...stufano e basta.

Spero in One – Punch Man, che sembra davvero divero dal solito. Vedremo...

E' che dopo la tremenda delusione che ho ricevuto da Berserk (Miura si é perso. Incartato su sé stesso)...non mi sono ancora ripreso.

Negli altri paesi sono più di bocca buona. Ma forse hanno capito che molti appassionati cercano roba semplice e godibile, senza tante menate.

E sporattutto non si fanno tanti problemi.

Trama semplice, ridotta all'osso. E mazzate a profusione.

Questo é quel che vogliamo, certe volte.

Questo!!

Prima di concludere, volevo ancora scusarmi per il mostruoso ritardo a rispondere alle vostre recensioni.

Lo so, sono indietro di brutto. Ma prometto di rimettermi in pari il prima possibile.

Risponderò a tutti, non temete. Ve l'ho promesso ed intendo mantenere quel che ho detto.

E passiamo infine al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a hera85, Sir Joseph Conrard e Devilangel476 per le recensioni all'ultimo capitolo.

E poi un grazie anche ad EnZo89 per le recensioni ai capitoli 70, 71 e 72.

A Plando per la recensione al capitolo 75 (ho visto il tuo aggiornamento. Presto passerò dalle tue parti. E non é una minaccia, tranquillo!).

E a RyodaUshitoraIT per le recensioni ai capitoli 64, 65 e 66 (complimenti ancora per la tua one – shot LE NOTTI DI TUNDRATOWN, davvero stupenda).

E già che ci siamo, anche alla new entry Violet20 per la sua recensione al racconto CICATRICI, a cui sono parecchio affezionato.

La ringrazio qui perché non ho modo di farlo altrove, anche se alla sua recensione ho già provveduto a rispondere.

Bene, credo proprio di aver messo tutti.

E come sempre...un grazie di cuore a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un parere.

Grazie ancora a tutti.

Alla prossima, e...

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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