In the still of the night
20.
…il
vetro si sta ritraendo e io sono in piedi nell’arena. È come se ci fosse
qualcosa che non va nei miei occhi. Il terreno è troppo luminoso e scintillante
e continua a muoversi. Mi guardo i piedi con gli occhi semichiusi e vedo che la
piastra di metallo è circondata da onde blu che mi sfiorano gli scarponi. Alzo
lentamente lo sguardo e osservo l’acqua che si estende in ogni direzione.
Riesco
a formulare un unico pensiero coerente.
Questo
non è il posto giusto per una ragazza di fuoco.
Raggiungo
la striscia di sabbia e riesco, non senza un certo sforzo, ad issarmi su di
essa. Comincio a correre più veloce che posso, sgocciolando acqua dappertutto,
e cerco di raggiungere la cornucopia. Devo riuscire a recuperare almeno
un’arma, e poi devo andare a cercare Peeta. Devo farlo prima che qualcuno possa
provare ad ucciderci.
Ma
quel qualcuno sembra essere già alle mie spalle.
Ansimo,
cercando di velocizzare la mia corsa; i passi di chi mi sta dietro sono forti e
veloci. Mi prenderà, se non arrivo in tempo alla cornucopia. Mancano pochi
metri, solo pochi metri…
C’è
già Finnick, davanti all’imboccatura del corno dorato. Ovvio che sia stato il
primo di tutti noi a raggiungere le armi: quest’arena sembra essere fatta
apposta per lui. Acqua e sabbia. Finnick è nel suo elemento, essendo nato e
cresciuto in un posto che è pieno di acqua e sabbia. Questo non è il mio
elemento, invece. Vedo il tridente che stringe nella mano, quello che solleva
sopra la testa e che si prepara a lanciare nella mia direzione…
Non
provo nemmeno a fermarmi davanti al suo gesto. Che senso ha? Sono più che spacciata,
messa alle strette da Finnick e dal tributo che mi sta ancora inseguendo. Sono
spacciata… e lo sono prima ancora che cominci il bagno di sangue vero e
proprio.
-
Sta giù! – mi urla Finnick. Sembra un ordine, il suo, e faccio l’unica
cosa che non mi sarei mai aspettata di fare: obbedisco.
Seguo
il consiglio di Finnick e mi abbasso, mi appiattisco come posso sulla sabbia,
creando una specie di solco mentre scivolo su di essa. Il tridente passa sopra
la mia testa con un sibilo, si va a conficcare contro qualcosa. Quel qualcosa,
scopro risollevando la testa, è il petto del tributo del Distretto 5: era lui,
l’uomo che mi stava inseguendo. Il tridente lo ha colpito dritto al cuore. Il
cannone spara quando il sangue non ha ancora cominciato a sgorgare dalla
ferita.
Finnick
si avvicina per riprendere l’arma, che lascia il corpo dell’uomo con un suono viscido
e disgustoso, e mi aiuta a rimettermi in piedi. Posa con gentilezza le sue mani
sulle mie braccia. – Stai bene? – mi chiede.
Annuisco,
ansimando. Finnick mi ha appena salvato la vita. – Perché l’hai fatto? –
gli chiedo.
Sorride,
sornione come al suo solito. - Proteggo sempre i miei alleati.
-
Alleati? – la mia deve sembrare una strana domanda, alle sue orecchie. Siamo
alleati? E da quando? Con Haymitch non abbiamo più intavolato il discorso delle
alleanze dalla sera delle sessioni private.
Finnick
alza la mano che impugna il tridente, mostrando il braccialetto d’oro che è
stretto al suo polso. Lo riconosco: è il bracciale di Haymitch, quello a motivi
fiammeggianti che gli ha rimediato Effie e che sembrava odiare così tanto.
Gliel’ha dato lui, per forza; Finnick non può averlo ricevuto da nessun altro,
se non da Haymitch in persona. È un messaggio per me: devo fidarmi. Devo
fidarmi del suo giudizio, e di Finnick.
Mi
ha trovato un alleato.
-
Prendi un arco, Katniss, svelta! Io sorveglio questo lato – esclama,
allontanandosi rapidamente. – Non fidarti di quelli dell’1 e del 2 –
aggiunge.
-
Come se volessi farlo davvero! – urlo.
Faccio
come mi ha detto e raggiungo la bocca del corno. Metto una faretra in spalla e
libero un arco, e nel mentre getto attorno a me occhiate frenetiche. Cerco
qualcosa che possa tornarci utile per l’arena: cibo, acqua, almeno uno degli
zaini che lasciano sempre sparpagliati in giro, ma non c’è nulla di tutto
questo. Ci sono solo armi, armi all’infinito. Sembra che gli Strateghi abbiano
deciso che le armi siano la sola cosa di cui avremo bisogno, qui dentro. Niente
cibo, niente acqua, ma armi a volontà. Armi per una carneficina. Decido di
prendere altre frecce e un altro arco, dei coltelli, un punteruolo…
Dei
passi che si avvicinano veloci mi inducono a fermarmi. Quando mi volto, vedo
Gloss ed Enobaria che cercano di raggiungere la cornucopia. Lancio una freccia
verso la donna, ma lei la schiva agilmente e si rituffa in acqua; Gloss,
invece, è meno rapido di lei e ne riceve una sul tallone prima di raggiungerla
in acqua. Avrei voluto prendere altro, di lui, ma è comunque una piccola
rivincita per ciò che mi ha fatto. Per ciò che voleva fare a chi amo.
-
Dobbiamo cercare Peeta – dico in fretta quando raggiungo Finnick. Poco lontano
da noi, vedo Brutus correre. Gli lancio una freccia ma lui la schiva usando la
cintura come scudo, che tiene tesa tra le mani, prima di rituffarsi.
-
Da questa parte! – esclama Finnick. Ci spostiamo in fretta, salendo su uno dei
raggi di sabbia che partono dalla cornucopia. A parte i Favoriti, che si sono
ormai riuniti insieme attorno alle armi, gli altri tributi sono ancora sulle
loro postazioni di metallo, o sono in acqua e cercano di raggiungere a fatica
la terraferma. Vedo Peeta, a due raggi di distanza, che corre per raggiungerci.
-
Ecco anche Mags! – dice Finnick sollevato. Seguo il suo sguardo e vedo
l’anziana signora, compagna di Finnick nell’arena, che nuota lentamente verso
di noi. Mags, il tributo che avrei voluto come alleato sin dall’inizio…
possibile che Haymitch abbia fatto in modo di farglielo sapere? È più che
evidente, a questo punto.
Riusciamo
a riunirci, tutti e quattro, prima ancora che il resto dei tributi possa
puntarci contro le proprie armi. Finnick aiuta Mags a salire sulla striscia di sabbia,
e Peeta mi stringe forte in un abbraccio. Quasi gli salto in braccio, nel
tentativo di baciarlo. È vivo, è qui con me. Il mio cuore è diventato
improvvisamente più leggero, adesso che siamo riuniti. Siamo ancora vivi… ma
non è ancora detta l’ultima parola.
-
Abbiamo degli alleati? – mi chiede quando smette di baciarmi.
Faccio
in tempo solo ad annuire, che Finnick ci richiama. – Dobbiamo andare, presto!
Vi coccolerete più tardi.
Lancio
uno sguardo seccato verso Peeta, che ridacchia a labbra strette, e poi lo
seguo. Finnick si è caricato Mags sulla schiena e percorre la striscia di
sabbia a rotta di collo, in direzione opposta rispetto alla cornucopia. Mentre
corriamo, lancio un’occhiata alle mie spalle e osservo ciò che ci stiamo lasciando
indietro: i Favoriti che cominciano a sfidare gli altri tributi. L’unica cosa a
cui riesco a pensare, sollevata, è che sembrano averci dimenticati. Nessuno ci
insegue, nessuno prova a fermarci. Nessuno presta attenzione alle quattro
persone che stanno abbandonando il bagno di sangue. Abbiamo appena raggiunto
una sorta di spiaggia quando il cannone spara di nuovo.
Ci
inoltriamo nel folto della vegetazione.
Corriamo
cercando di farci strada attraverso le strane piante che popolano questo strano
bosco. Anche se, a dirla tutta, “bosco” non è proprio la parola adatta che
userei per descrivere ciò che ci circonda. Non riconosco gli alberi, le foglie,
i fiori che i miei occhi incontrano lungo la corsa. E fa caldo, fa caldissimo.
Gli alberi alti nascondono i raggi del sole, ma l’aria è talmente umida da
darci l’impressione di averli puntati costantemente addosso. Per quanto tempo
corriamo? Minuti, ore? Non ne ho idea, ma quando ci fermiamo siamo tutti zuppi
di sudore. La mia faccia gronda, e fatico a respirare. Ho la bocca asciutta e
un disperato bisogno di acqua.
Ma
di acqua non ne abbiamo intravista neanche una goccia mentre correvamo.
-
Riposiamoci un attimo – propone Finnick. Depone Mags a terra delicatamente,
come se fosse l’oggetto più fragile esistente al mondo. Ed in effetti lo è, in
un certo senso.
Chiudo
gli occhi, appoggiandomi con la schiena ad un albero. Cerco di regolarizzare il
respiro, ma non è facile. Più in basso, nella pancia, la bimba sembra essersi
agitata almeno la metà di quanto lo abbia fatto io. È un sollievo sentirla:
finché si muove, vuol dire che sta bene. Ma non starà bene ancora per molto, se
non riusciamo a trovare un po' d’acqua. Ricordo i giorni in cui la
disidratazione, l’anno scorso, mi ha quasi portata alla morte. È un supplizio
tremendo e non voglio essere costretta a passarci anche quest’anno.
-
Stai bene? – mi chiede Peeta, togliendomi con la mano lo strato di sudore che
mi ricopre la fronte. Ma è inutile: altre gocce rimpiazzano subito quelle che
ha tolto, le sento scorrere fin sulle sopracciglia.
-
Ho sete – dico, deglutendo a vuoto.
-
Lo so. Ci serve dell’acqua.
-
Dobbiamo continuare a spostarci finché non la troviamo – propone Finnick.
Guardo
in alto, verso il cielo coperto da una moltitudine di foglie e rami. Guardo l’albero
su cui sono appoggiata e presto più attenzione alla sua corteccia, ai rami che
ci sono più in alto. Sembrano abbastanza robusti da potercisi arrampicare.
Magari, se sono ancora capace di farlo…
-
Katniss! Che cazzo fai? – esclama Peeta, cercando di bloccarmi.
-
Zitto! O ci troveranno – lo rimprovero. Scaccio via le sue mani e torno ad
issarmi sul ramo.
-
Katniss! – ci riprova, ma non lo ascolto più. Sono già fuori dalla sua portata
quando una serie di risate allegre, quelle di Finnick, raggiunge le mie
orecchie.
-
Mai mettersi contro una donna incinta, Peeta. Non ti invidio per niente – dice.
-
Katniss, torna giù! – dice Peeta, cercando di non urlare, e riesco a
distinguere benissimo l’irritazione nella sua voce. Ma non lo ascolto, non per
ora almeno. Devo riuscire a raggiungere un punto abbastanza alto da poter
vedere se ci sono tracce di acqua.
Arrampicarsi
è difficile e scomodo, ma facendo attenzione, e soprattutto usando tutta la
cautela di cui dispongo, riesco a farcela. Ho il fiatone quando arrivo in cima.
Una piccola biforcazione libera dalle foglie mi consente di mettermi seduta e di
guardarmi un po' intorno. E vedo solo altri alberi, ed altre foglie. Le uniche
tracce di acqua sono quelle che ci siamo lasciati alle spalle: quella della
cornucopia, ovviamente, imbevibile perché salata proprio come l’acqua
dell’oceano che bagna il Distretto 4. Deglutisco, a fatica, quando vedo che
l’acqua attorno alla cornucopia è diventata rossa. Guardo il cielo sopra di me,
libero dalle nuvole, quando il cannone torna a sparare. Una, due, tre volte… e
continua.
Decido
di tornare giù, dagli altri. Scendere è ancora più difficile, e devo fare
ancora più attenzione di prima. Se facessi un passo falso potrei fare un bel
volo fino a terra ed è un rischio che non ho nessuna intenzione di correre.
Siamo già in una posizione rischiosa, e non serve che mi ci metta anche io con
le mie cadute…
A
poco meno di due metri da terra, Peeta mi aiuta a terminare la discesa; mi
prende per la vita e mi fa atterrare accanto a lui con un balzo. – Non farlo
più! – è la prima cosa che dice.
-
Ma non è successo niente! Non mi sono fatta male – protesto.
-
Non mi importa! È pericoloso-
-
Hai visto qualcosa? Un lago, un fiume… - Finnick, ridendo sotto i baffi, cerca
di metter fine al nostro battibecco.
Scuoto
la testa. – Niente, solo l’acqua salata alla cornucopia.
-
Lo immaginavo. Non ci renderanno le cose facili – mormora tra sé, voltandosi
verso Mags che è stata a guardarci in silenzio. Le fa cenno di tornare ad
arrampicarsi sulla sua schiena. – Te la senti di camminare ancora?
-
Certo – dico subito. Meglio muoversi, piuttosto che restare in attesa di qualsiasi
cosa che possa sopraggiungere. O qualcuno. Le altre prospettive in
programma non sono comunque le più rosee.
Peeta
è in testa alla fila, io mi sono posizionata al centro di essa, e Finnick e
Mags la chiudono. Avrei voluto esserci io al suo posto, dato che trasportare
Mags lo rende un bersaglio facile per un eventuale assalto improvviso, ma non
ha voluto sentire nessuna delle mie proposte. Si è intestardito dicendo che la
mia sicurezza è più importante della loro. La mia sicurezza? Ma poi ci arrivo.
Lo fa per la bambina. Alcune volte, mi sembra di ragionare come se lei non
esistesse.
Ma
in realtà, è la mancanza di acqua che mi impedisce di ragionare come si deve. Ho
la gola secca ed il respiro affrettato, così come ce l’hanno i miei compagni di
fila. Siamo tutti provati, e nelle ore successive continuiamo ad avanzare
sperando di incappare in qualche pozza, in un qualche rivolo che possa dissetarci
abbastanza da proseguire la risalita, ma non siamo per nulla fortunati.
Troviamo solo caldo, afa, umidità e tanta, tanta vegetazione.
Con
una mano a sorreggere la pancia, che sembra essere diventata più pesante del
solito, guardo davanti a me. Guardo dove mettere i piedi, innanzitutto. Anche
loro, come tutto il resto, sembrano essere diventati pesanti. Vorrei poterli
togliere per diventare più leggera. Per un piccolo, infinitesimo istante
invidio la gamba artificiale di Peeta.
Capisco
di non poter più proseguire quando gli occhi non riescono più a mettere bene a
fuoco ciò che ho davanti. So che c’è Peeta, e che sta cercando di farsi largo
tra le piante con il coltello dal rumore che produce. Devo stringere forte gli
occhi tra di loro per provare a vedere meglio e per un po' funziona. Funziona
quel tanto che basta per farmi notare uno sfarfallio, una sorta di vetro, verso
cui si sta dirigendo Peeta. Per un momento penso di avere le allucinazioni, ma
quello sfarfallio simile al vetro l’ho già visto prima d’ora, e so che è reale.
So anche che non è un vetro: è un campo di forza. Come quello che mi ha mostrato
Beetee al centro di addestramento, quello che separava gli Strateghi dal resto
di noi altri. Come lo vedo, però, sparisce. Non riesco a vedere più nulla, ma
devo avvertire lo stesso Peeta del pericolo in cui sta per incappare.
-
Peeta – mormoro, invece di urlare come vorrei fare.
-
Katniss!
L’urlo
di Finnick lo sento bene, invece, mentre cado.
-
Ehi, tesoro, svegliati. Katniss, svegliati!
-
Eccola, sta tornando. Katniss? Mi senti?
Voci
e mani diverse mi riscuotono dal torpore in cui sono scivolata. Una mano
bollente sul lato della fronte, una mano bollente che stringe la mia, una mano
bollente sulla mia coscia. Aprire gli occhi è impossibile, fanno troppo male, e
c’è troppa luce per i miei gusti. Muovo la testa, piano. Fa un male cane. La
sento pesante come se fosse stata riempita di sassi.
-
Lo sapevo – balbetto.
-
Cosa sapevi, tesoro? – chiede Peeta, nervoso.
-
Che… li avrei fatti divertire un casino… - continuo. Stavolta ci riprovo, ad
aprire gli occhi, e ci riesco. Riesco appena a socchiuderli, ma per ora è
sufficiente per capire cos’ho intorno.
Vedo
tre volti preoccupati che mi osservano dall’alto: quelli di Peeta, Finnick e
Mags. I miei alleati sorridono appena si accorgono che ho aperto gli occhi;
Peeta, invece, non lo fa. Peeta è il più preoccupato di tutti, ovviamente. Lo
sto facendo penare, mi sa; lui sì, che non si sta divertendo nel vedermi mezza
morta a terra, distesa su un tappeto di piante umide e scivolose.
-
Come riesci a scherzare così? – domanda, infatti. – Sei caduta come un peso
morto, Katniss. Mi hai messo una paura tremenda! Ho pensato-
-
Sto bene – provo a tranquillizzarlo. Afferro la sua mano, quella che tiene
ferma sulla mia fronte, ma scopro troppo tardi di aver fatto una gaffe e di
aver stretto quella di Finnick.
Lui
sembra non averci fatto caso, però. - Non stai bene, Katniss. Non provare a
negarlo – interviene. – Sei disidratata, e questo non fa bene né a te, né alla
piccola – si volta verso Peeta. - Ci serve assolutamente dell’acqua.
-
Forse sull’altro lato della collina riusciremo a trovarla – propone. Abbandona
per un attimo il mio viso per guardare Finnick. – Là, oltre quelle piante.
L’altro
lato. Quale altro lato? I miei occhi si spalancano del tutto, mentre ricordo.
-
Non lì! – squittisco, cercando di mettermi, inutilmente, a sedere. – C’è
un campo di forza, lì! Non ci andate!
-
Un campo di forza? – Finnick.
-
Come fai a saperlo? – Peeta.
Già,
come faccio a saperlo? Mi fa male la testa, e mettersi a pensare ad una buona
scusa per giustificare com’è che so riconoscere i campi di forza non è la cosa
migliore da fare per farmelo passare. Non posso rivelare a loro, e a tutta
Panem, che sono stati Wiress e Beetee ad insegnarmelo… devo inventarmi
qualcosa.
-
Li sento – mormoro.
Brava,
ottimo tentativo.
-
Come, li senti? – giustamente, Finnick cerca altre informazioni. Sto tornando a
scervellarmi quando aggiunge: - È per via della gravidanza? Hai i sensi
alterati per via della gravidanza?
Sono
felice di averlo come alleato! Mi sta servendo le risposte di cui ho bisogno su
un piatto d’argento. Ho già una mano sulla pancia, e la sposto un po' più in
basso per enfatizzare le parole di Finnick. – Credo… credo di sì… non so come
sia possibile, altrimenti.
-
È normale questo? – chiede Peeta. Ha la fronte così aggrottata, che temo che
quelle rughe rimarranno impresse sulla sua pelle per sempre.
-
Non ne ho idea. Non ho mai sentito una cosa simile prima d’ora.
Non
l’hai mai sentita perché è un’enorme cavolata, Finnick. Non è vero, ma non
posso dirvi la verità. È meglio far credere che la gravidanza mi ha fatto
acquisire dei sensi più attenti verso ciò che ho attorno. Provo a rimettermi a
sedere e stavolta lo faccio più lentamente, rispetto a poco fa. Sollevo i
gomiti e la testa, aiutata dalle mani di Peeta che mi sorreggono la schiena. Le
mie braccia tremano, e se non fosse per lui non riuscirei a stare seduta come
vorrei.
-
Dovresti riposare – sussurra, osservandomi.
-
Non possiamo restare qui – dico, prendendo un gran respiro. – Lo avete detto
anche voi, prima: ci serve l’acqua.
-
Possiamo aspettare…
-
No – protesto ancora. – Posso camminare, davvero.
-
Andremo piano – Finnick mi dà corda, e per un istante penso che lo faccia
perché vuole il mio male, e non il mio bene, come invece fa Peeta, ma poi
aggiunge: - Ha ragione lei, Peeta. Non possiamo restare qui.
Lo
sta dicendo perché sa anche lui che è troppo rischioso fermarsi. Non sappiamo
dove sono gli altri tributi, se sono lontani o abbastanza vicini da sentirci, o
vederci. Non sappiamo se ci stanno dando la caccia oppure no. Restio ad
assecondare le nostre richieste, Peeta annuisce comunque, e mi aiuta a
rimettermi in piedi. Ho le gambe di gelatina, e devo sforzarmi affinché
sostengano il mio peso. Per fortuna andiamo piano e riesco a gestire la
camminata. Anche Mags si unisce a noi, camminando grazie ad un bastone che
Finnick ha recuperato per lei. Il mio bastone, invece, è il braccio di Peeta, a
cui mi aggrappo con forza mentre avanziamo. Lui ha recuperato delle noci e le
lancia contro il campo di forza, alla nostra sinistra, man mano che andiamo
avanti. Mags le raccoglie e le mangia con gusto, offrendomene alcune da mettere
sotto i denti. Il guscio è annerito e rotto a causa dell’impatto, ma la noce
all’interno è dolce e succosa, e purtroppo amplifica il senso di sete. Va
sempre peggio, ma posso sopportarlo.
Finché
non svengo di nuovo.
No,
non svengo veramente, ma le gambe non mi sorreggono più, e non serve a nulla tenermi
a Peeta. Cado carponi, evitando per un soffio di battere la pancia a terra.
-
Non puoi proseguire ancora così – mi rimprovera Peeta, e stavolta sono
costretta ad ascoltarlo. Ha ragione: non ne ho la forza.
Lascio
che mi guidi a sedere contro un albero e mi libera dalle armi, dai due archi e
dalle faretre che ancora mi trascino dietro. Strappa quello che sembra essere
muschio da una roccia ed inizia a passarmelo sul viso, e a quel contatto chiudo
gli occhi: stranamente, in mezzo a tutto questo caldo afoso, il muschio umido
sembra fresco sulla mia pelle. Qualcosa di morbido, le sue labbra, sfiorano la
punta del mio naso. Vorrei non darti tutte queste preoccupazioni, penso.
Vorrei essere più forte per te, Peeta.
Mags
mi si avvicina e si siede accanto a me. Mi accarezza una spalla e mi sorride,
porgendomi altre noci da mangiare. Non ho voglia di noci, ma la sua gentilezza
è una delle poche cose buone che mi sono accadute oggi, così le accetto e
basta. Avere delle noci nello stomaco di certo non mi aiuteranno a combattere
la sete e la spossatezza che provo, ma è pur sempre meglio di uno stomaco vuoto.
Finnick
ci lascia nelle mani di Peeta mentre va in avanscoperta, cercando acqua e
qualcosa di più sostanzioso delle noci da mettere nello stomaco. Mentre
attendiamo il suo ritorno, cerchiamo di sistemarci in vista della notte: Mags
usa l’erba e le foglie per intrecciare delle ciotole e qualcosa di grande e
piatto, e Peeta continua ad arrostire le noci contro il campo di forza. A me
non fanno fare nulla, a parte stare seduta contro l’albero. Mi sento inutile,
ad essere sincera. Imito Mags ed inizio ad intrecciare anche io, anche se non
me la so cavare bene come lei: il ricordo dell’amaca storta e informe che ho
fatto al centro di addestramento è ancora ben chiaro nella mia mente. Impiega
meno tempo lei a creare una sorta di tetto per capanna che io a fare una
striscia d’erba intrecciata.
Quando
Finnick torna dal suo giro, con uno strano animale morto in mano, il sole ha
cominciato a tramontare e Peeta ha aiutato Mags a fissare il tetto a delle
pareti di foglie. Adesso abbiamo davvero una sorta di capanna con cui
ripararci.
Lancio
via il mio scarso tentativo di intreccio. - Cos’è quell’affare? – chiedo,
osservando la pelliccia grigia che ricopre l’animale.
-
Una specie di roditore – dice, tenendolo per la coda. – Ha il pelo fradicio
d’acqua, ma non sono riuscito a capire dov’è che l’ha recuperata. Non c’è
niente qui intorno.
Niente
acqua, ma topi enormi e fradici. Gli Strateghi vogliono farci impazzire a furia
di ragionamenti, penso, mentre scuoio e sventro l’animale. La carne sembra
commestibile, non molto diversa da quella di un comune scoiattolo. Dovremo
accendere un fuoco per poterla cuocere, ma non vedo legna adatta per riuscire a
farne uno, e se pure la trovassimo sarebbe comunque troppo umida da accendersi.
Peeta risolve la questione infilzando la carne in un bastoncino e scagliandola
contro il campo di forza, arrostendola.
-
Il tuo fidanzato è più intelligente di te – dice Finnick, prendendomi in giro.
Gli
ho appena regalato un’occhiataccia degna di questo nome che un odore forte e
penetrante raggiunge le mie narici. Arriccio il naso, gemendo. Non è solo
forte, è orribile: è la carne cotta che mi sta porgendo Peeta. Lo scanso via in
malo modo, e riesco ad allontanarmi abbastanza da non vomitargli addosso.
Le
giornate buone di Capitol City sono finite. Decisamente finite.
-
Non ti avvicinare – dico a Peeta, ad occhi chiusi. – Non osare avvicinarti con
quella roba.
-
Sta tranquilla. La terrò lontana – promette. È vicino a me, ovviamente, e mi
osserva mentre cerco di capire se nel mio stomaco ci sia rimasto ancora
qualcosa da vomitare, ma no. Non c’è più nulla.
Rimango
in disparte finché quella carne schifosa non viene consumata del tutto;
qualsiasi cosa è meglio di rimettersi a vomitare il nulla. Persino avere lo
stomaco vuoto è accettabile come opzione. – Cosa ti dicevo, Peeta? – mormoro. –
Li sto facendo divertire un sacco con i miei malanni.
-
Non c’è nulla di divertente nello stare male. Smettila di ripeterlo – sussurra
di rimando.
Peeta
ha appena finito di parlare che la sua voce viene sostituita da una serie di
note leggere, ad annunciare l’arrivo di un paracadute che atterra accanto ai
miei piedi. Mi sporgo per prenderlo e lo apro velocemente: all’interno della
scatola c’è una sorta di cilindro metallico, accompagnato da un brevissimo messaggio
di Haymitch: “Bevi”.
-
Mi prende in giro o cosa? – esclamo, osservando ciò che dovrei bere.
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Perdonatemi il leggero ritardo:
ho avuto un imprevisto nel pomeriggio e ho dovuto rimandare l’aggiornamento,
anche se di poco. Giuro che non volevo farvi soffrire XD
La terza Edizione della Memoria è
appena cominciata! Come vi è sembrato questo primo giorno nell’arena? Anche
voi, come Katniss, pensate che il pubblico si stia divertendo?
Ho deciso di eliminare
l’incidente di Peeta col campo di forza perché non mi è sembrato necessario,
allo stato delle cose. Una Katniss incinta alle prese coi malanni della
gravidanza è più divertente da vedere, no? Sì, sono sadica: lo so che lo state
pensando, vi vedo benissimo. È stato più forte di me e non potevo non giocarci
un po' sopra.
Bene, credo di non avere altro da
dire… a parte ringraziarvi per le visite e per le recensioni, come al solito :)
anche perché se siamo arrivati al capitolo numero 20 lo devo a voi! Grazie mille
♥
D.