Storia partecipante alla challenge
"just stop for a minute and smile" di Soul Shine, con il
prompt#45: “Ha un sapore orribile!”
#45: “Ha un sapore orribile!”
Il Team Leverage aveva passato quasi tre settimane
lontano dal Paese, alla
ricerca (di nuovo) della leggendaria Scimmia di Zaffiro, la nemesi di
Eliot-
giurava che tutte le volte che qualcuno gli chiedeva di recuperare
quella
statua, succedeva qualcosa di molto, molto brutto, o molto, molto
grave.
Ma stavolta non avevano potuto rifiutarsi: era stato
un
gruppo di monaci Buddisti, un tempo risiedenti in Nepal, a chiedergli
di recuperare
il prezioso artefatto che, oltre cinquant’anni prima, era
stato rubato dal
tempio di Swayambhu, la loro “casa madre”, dove
veneravano le scimmie come
creature sacre (non voleva davvero ricordarsi la ragione,
perché gli faceva
pensare cose poco carine della religione).
“Ehy baby, sono a casa!” Eliot
sbraitò, soddisfatto, quando oltrepassò la
soglia dell’appartamento che divideva con Becks, sbattendosi
la porta alle
spalle. “Quindici anni! Ci ho messo quindici fottuti
anni ma alla fine ce l’ho fatta! Ho trovato quella
stramaledetta scimmia di zirconi e l’ho portata dove doveva
starsene! Me la
merito o no una ricompensa, uh?”
Becks aveva saltato il turno questa volta, visto e
considerato che, secondo
Nate, le sue peculiari competenze non sarebbero state necessarie questa
volta,
il che voleva dire che erano tre maledette settimane che Eliot non
vedeva la
sua ragazza, e cavolo se ne aveva sentito la mancanza! Erano anni che
non gli
capitava di dormire in una camera d’albergo da sola, ormai
non ci era più
abituato-prima che Hardison si mettesse con Parker, avevano sempre
preso una
doppia, e poi era arrivata Becks, con cui aveva preso a dividere il
letto. E adesso…
adesso aveva passato tre settimane a dormire poco o nulla fissando il
soffitto perché
odiava starsene da solo.
E poi, tutto sommato. Gli mancava anche il sesso.
Giusto un po’.
Okay, a dirla tutta, il sesso con Becks gli
mancava davvero, davvero, davvero
tanto. Ma non lo avrebbe mai e poi mai ammesso ad alta voce. Nemmeno
con la sua
sirena personale.
Silenzio assoluto. Eliot sorrise malandrino,
leccandosi le labbra e
strofinandosi le mani, tronfio e soddisfatto, pregustandosi cosa lo
stava
attendendo. C’era una buona possibilità che la sua
dolce metà fosse ad
aspettarlo in camera da letto tutta nuda, fatta eccezione del
“capo” preferito
da Eliot, un paio di Louboutin open-toe di scintillante pelle rossa,
con un
tacco a dir poco da urlo.
Poi, però, arrivò alle sue
narici ciò che più temeva al mondo,
l’odore che
lo perseguitava in tutti i suoi incubi ricorrenti… un odore
acre, di bruciato,
che stavolta era mischiato a qualcosa di… come di solforoso,
nemmeno ciò che lo
stava attendendo provenisse dritto dal più profondo meandro
dell’inferno.
No. le sue speranze erano state distrutte in un
attimo. L’amore della sua
vita non era ad attenderlo, nuda e desiderosa e calda, nel loro letto,
ma era
in cucina.
Purtroppo.
Amava Becks, davvero, e ancora prima di mettersi
con lei, quando erano solo
amici, era sempre il primo a decantare le sue lodi, a dire in quante
cose fosse
brava. Era anche un’ottima barista che preparava dei cocktail
eccezionali, ma
purtroppo, questa sua abilità con gli ingredienti non si
applicava ai fornelli.
Perché Becks, in cucina, era un
disastro. Della serie che a malapena sapeva
mettere una bustina di the o camomilla nell’acqua bollente
per prepararsi una
tisana. E questo per lei era una vera croce, un qualcosa di
inaccettabile.
Perciò, ci provava, ancora e ancora e
ancora.
Fallendo ogni volta, ancora e ancora e ancora.
Eliot fece un profondo sospiro e si
stropicciò gli occhi, chiedendosi come
evitare il temibile supplizio, ma soprattutto, la conseguente probabile
tosso-infezione alimentare (sì, era anche capitato una volta
che lo mandasse in
ospedale con la febbre a quaranta).
Doveva distrarla- e lui conosceva tutti i suoi
punti deboli.
Si sciolse e i capelli, e scosse la criniera
castana, per arruffarla un po’,
darle quell’aria selvaggia che faceva venire molli le
ginocchia a Becks. Buttò la
giacca di pelle nera su una sedia, e si rimboccò le maniche
della t-shirt grigia,
scoprendo gli avambracci (altra cosa che lei apprezzava parecchio). Se
fosse
stato fortunato, a Becks sarebbe venuta l’acquolina in bocca
(per lui) e lo avrebbe
trascinato a letto per una maratona di sesso bollente, dimenticandosi
del tutto
di aver cucinato (sì, era già successo).
Ma, quando oltrepassò la porta della
cucina e la vide in piedi dietro all’isola,
con indosso un grembiulino tutto frivolo stile Martha Stewart, tutta
eccitata e
felice, gli mancò il coraggio di romperle (metaforicamente
parlando) le uova
nel paniere, e decise di sacrificarsi.
Anche perché si era davvero data
parecchio da fare, portando metà della sua
attrezzatura da chimico in cucina,
rendendo il disastro ed il caos ancora peggiore di ciò che
temeva (ci avrebbe
messo giorni a ritrovare ogni cosa).
“Oh, meraviglioso, hai scoperto la
cucina molecolare!” Disse, fingendosi
entusiasta, con un sorriso a 32 denti. Si chinò verso di
lei, con l’isola tra
di loro, e le diede un veloce bacio sulle labbra, rimanendo a solo un
soffio da
lei. “Mi sei mancata, dolcezza.”
“Ho pensato di farti una piccola
sorpresa…” gongolò lei, mettendogli
letteralmente sotto al naso un piatto rettangolare con decori
orientali, su cui
erano adagiati dei cosi neri che sembravano mucchietti di rifiuti
carbonizzati.
“Spugna Nera. Sono mini sponge-cake salate colorate col nero
di seppia. Assaggia
e dimmi cosa ne pensi!”
Prese uno dei mucchietti e glielo
infilò in bocca senza dargli il tempo di reagire,
ed immediatamente sul volto di Eliot si stampò
un’espressione molto esaustiva,
mentre tentava di buttare giù quel coso che sembrava
aumentare di volume in
bocca.
“Ha un sapore orribile, vero?”
sussurrò tra grossi lacrimoni lei, con l’aria
affranta. “LO sapevo! Non ne combino mai una
giusta!”
Eliot, sebbene non sapesse se bere due litri
d’acqua (perché evidentemente
Becks ci era andata giù molto
pesante
di sale, tipo, il triplo di quello che diceva la ricetta), se andare a
fare i
gargarismi con l’aceto (perché aveva il nero di
seppia che gli appestava la
bocca) o direttamente vomitare (perché era semplicemente
immangiabile), si fece
forza, e raggiunse una piagnucolante Becks dall’altra parte
dell’isola.
Peccato che nel frattempo lei non stesse
più piagnucolando- oh, no, lei
adesso piangeva proprio, e anche di brutto.
Eliot la prese tra le sue braccia, e
iniziò a massaggiarle la schiena,
mentre lei affondava il volto nella sua maglietta infradiciandola di
lacrime
miste a mascara, fondotinta, eyeliner e compagnia bella.
“Andiamo tesoro, su, non è la
fine del mondo… ci soni qua io per cucinare.
Dai, basta… prometto che la prossima volta che devo andare
via per un lavoretto
e lasciarti da sola, prima ti riempio il frigo di leccornie, va bene?
Tutto quello
che ti più.”
“Non… non
è… quello il punto.”
Singhiozzò lei, borbottando nella camicia.
“Io…
io volevo cucinare per una volta io qualcosa di buono
e….” e non riuscì a
finire la frase, perché scoppiò a piangere. Di
nuovo.
Eliot alzò gli occhi al cielo, e
riprese a confortarla, sia con i gesti,
che con le parole, cercando al contempo di fare il simpatico.
“Piccola,
andiamo, guarda che lo sanno tutti che sono io quello che seduce col
cibo… tu
invece mi hai conquistato con un vestito il cui prezzo era inversamente
proporzionale alla quantità di stoffa usata. Oh, e quella
biancheria intima di
pizzo marrone- quella è stata davvero importante.”
“Lingerie,” lei
soffocò una risata nella stoffa, mentre ancora tirava su
col naso. “Sophie dice che puoi chiamare biancheria intima
solo reggiseni
sportivi e mutandine di cotone, mentre il pizzo, merletti e seta,
specie se di
color cioccolato come quel completino, è lingerie.”
“A volte sono davvero felice che tu e
Sophie siate così amiche, sai?” le
disse, mentre Becks si toglieva il grembiule sbuffando e lo buttava sul
bancone
della cucina, rivelando così alla vista, per bene, il
vestitino che aveva
scelto per l’occasione: rosso a pois bianchi, con le manioche
corte, una
generosa scollatura e una gonnellina svolazzante.
E le scarpe. Quelle meravigliose
scarpe per cui Eliot impazziva.
Guardandole con fare allusivo le gambe, Eliot fece
scioccare la lingua. “Facciamo
così, ordiniamo quel petto di pollo che ti piace tanto da
Ava Gene, con la
Caesar Salad, e poi mi fai una lezioncina dimostrativa sulla differenza
tra
intimo e lingerie, va bene?”
Becks non gli rispose, si limitò a
scoppiare in una calorosa risata che
scaldò il cuore di Eliot, e poi lo baciò con
trasporto, mentre faceva scivolare
a terra il vestitino, rivelando quel completino color cioccolato che lo
aveva
fatto impazzire dalla prima volta che glielo aveva visto addosso.
Tutto sommato, il cibo poteva aspettare.
cava anche il sesso. Giusto un po’.
Okay, a dirla tutta, il sesso con Becks gli
mancava davvero, davvero, davvero
tanto. Ma non lo avrebbe mai e poi mai ammesso ad alta voce. Nemmeno
con la sua
sirena personale.
Silenzio assoluto. Eliot sorrise malandrino,
leccandosi le labbra e
strofinandosi le mani, tronfio e soddisfatto, pregustandosi cosa lo
stava
attendendo. C’era una buona possibilità che la sua
dolce metà fosse ad
aspettarlo in camera da letto tutta nuda, fatta eccezione del
“capo” preferito
da Eliot, un paio di Louboutin open-toe di scintillante pelle rossa,
con un
tacco a dir poco da urlo.
Poi, però, arrivò alle sue
narici ciò che più temeva al mondo,
l’odore che
lo perseguitava in tutti i suoi incubi ricorrenti… un odore
acre, di bruciato,
che stavolta era mischiato a qualcosa di… come di solforoso,
nemmeno ciò che lo
stava attendendo provenisse dritto dal più profondo meandro
dell’inferno.
No. le sue speranze erano state distrutte in un
attimo. L’amore della sua
vita non era ad attenderlo, nuda e desiderosa e calda, nel loro letto,
ma era
in cucina.
Purtroppo.
Amava Becks, davvero, e ancora prima di mettersi
con lei, quando erano solo
amici, era sempre il primo a decantare le sue lodi, a dire in quante
cose fosse
brava. Era anche un’ottima barista che preparava dei cocktail
eccezionali, ma
purtroppo, questa sua abilità con gli ingredienti non si
applicava ai fornelli.
Perché Becks, in cucina, era un
disastro. Della serie che a malapena sapeva
mettere una bustina di the o camomilla nell’acqua bollente
per prepararsi una
tisana. E questo per lei era una vera croce, un qualcosa di
inaccettabile.
Perciò, ci provava, ancora e ancora e
ancora.
Fallendo ogni volta, ancora e ancora e ancora.
Eliot fece un profondo sospiro e si
stropicciò gli occhi, chiedendosi come
evitare il temibile supplizio, ma soprattutto, la conseguente probabile
tosso-infezione alimentare (sì, era anche capitato una volta
che lo mandasse in
ospedale con la febbre a quaranta).
Doveva distrarla- e lui conosceva tutti i suoi
punti deboli.
Si sciolse e i capelli, e scosse la criniera
castana, per arruffarla un po’,
darle quell’aria selvaggia che faceva venire molli le
ginocchia a Becks. Buttò la
giacca di pelle nera su una sedia, e si rimboccò le maniche
della t-shirt grigia,
scoprendo gli avambracci (altra cosa che lei apprezzava parecchio). Se
fosse
stato fortunato, a Becks sarebbe venuta l’acquolina in bocca
(per lui) e lo avrebbe
trascinato a letto per una maratona di sesso bollente, dimenticandosi
del tutto
di aver cucinato (sì, era già successo).
Ma, quando oltrepassò la porta della
cucina e la vide in piedi dietro all’isola,
con indosso un grembiulino tutto frivolo stile Martha Stewart, tutta
eccitata e
felice, gli mancò il coraggio di romperle (metaforicamente
parlando) le uova
nel paniere, e decise di sacrificarsi.
Anche perché si era davvero data
parecchio da fare, portando metà della sua
attrezzatura da chimico in cucina,
rendendo il disastro ed il caos ancora peggiore di ciò che
temeva (ci avrebbe
messo giorni a ritrovare ogni cosa).
“Oh, meraviglioso, hai scoperto la
cucina molecolare!” Disse, fingendosi
entusiasta, con un sorriso a 32 denti. Si chinò verso di
lei, con l’isola tra
di loro, e le diede un veloce bacio sulle labbra, rimanendo a solo un
soffio da
lei. “Mi sei mancata, dolcezza.”
“Ho pensato di farti una piccola
sorpresa…” gongolò lei, mettendogli
letteralmente sotto al naso un piatto rettangolare con decori
orientali, su cui
erano adagiati dei cosi neri che sembravano mucchietti di rifiuti
carbonizzati.
“Spugna Nera. Sono mini sponge-cake salate colorate col nero
di seppia. Assaggia
e dimmi cosa ne pensi!”
Prese uno dei mucchietti e glielo
infilò in bocca senza dargli il tempo di reagire,
ed immediatamente sul volto di Eliot si stampò
un’espressione molto esaustiva,
mentre tentava di buttare giù quel coso che sembrava
aumentare di volume in
bocca.
“Ha un sapore orribile, vero?”
sussurrò tra grossi lacrimoni lei, con l’aria
affranta. “LO sapevo! Non ne combino mai una
giusta!”
Eliot, sebbene non sapesse se bere due litri
d’acqua (perché evidentemente
Becks ci era andata giù molto
pesante
di sale, tipo, il triplo di quello che diceva la ricetta), se andare a
fare i
gargarismi con l’aceto (perché aveva il nero di
seppia che gli appestava la
bocca) o direttamente vomitare (perché era semplicemente
immangiabile), si fece
forza, e raggiunse una piagnucolante Becks dall’altra parte
dell’isola.
Peccato che nel frattempo lei non stesse
più piagnucolando- oh, no, lei
adesso piangeva proprio, e anche di brutto.
Eliot la prese tra le sue braccia, e
iniziò a massaggiarle la schiena,
mentre lei affondava il volto nella sua maglietta infradiciandola di
lacrime
miste a mascara, fondotinta, eyeliner e compagnia bella.
“Andiamo tesoro, su, non è la
fine del mondo… ci soni qua io per cucinare.
Dai, basta… prometto che la prossima volta che devo andare
via per un lavoretto
e lasciarti da sola, prima ti riempio il frigo di leccornie, va bene?
Tutto quello
che ti più.”
“Non… non
è… quello il punto.”
Singhiozzò lei, borbottando nella camicia.
“Io…
io volevo cucinare per una volta io qualcosa di buono
e….” e non riuscì a
finire la frase, perché scoppiò a piangere. Di
nuovo.
Eliot alzò gli occhi al cielo, e
riprese a confortarla, sia con i gesti,
che con le parole, cercando al contempo di fare il simpatico.
“Piccola,
andiamo, guarda che lo sanno tutti che sono io quello che seduce col
cibo… tu
invece mi hai conquistato con un vestito il cui prezzo era inversamente
proporzionale alla quantità di stoffa usata. Oh, e quella
biancheria intima di
pizzo marrone- quella è stata davvero importante.”
“Lingerie,” lei
soffocò una risata nella stoffa, mentre ancora tirava su
col naso. “Sophie dice che puoi chiamare biancheria intima
solo reggiseni
sportivi e mutandine di cotone, mentre il pizzo, merletti e seta,
specie se di
color cioccolato come quel completino, è lingerie.”
“A volte sono davvero felice che tu e
Sophie siate così amiche, sai?” le
disse, mentre Becks si toglieva il grembiule sbuffando e lo buttava sul
bancone
della cucina, rivelando così alla vista, per bene, il
vestitino che aveva
scelto per l’occasione: rosso a pois bianchi, con le manioche
corte, una
generosa scollatura e una gonnellina svolazzante.
E le scarpe. Quelle meravigliose
scarpe per cui Eliot impazziva.
Guardandole con fare allusivo le gambe, Eliot fece
scioccare la lingua. “Facciamo
così, ordiniamo quel petto di pollo che ti piace tanto da
Ava Gene, con la
Caesar Salad, e poi mi fai una lezioncina dimostrativa sulla differenza
tra
intimo e lingerie, va bene?”
Becks non gli rispose, si limitò a
scoppiare in una calorosa risata che
scaldò il cuore di Eliot, e poi lo baciò con
trasporto, mentre faceva scivolare
a terra il vestitino, rivelando quel completino color cioccolato che lo
aveva
fatto impazzire dalla prima volta che glielo aveva visto addosso.
Tutto sommato, il cibo poteva aspettare.