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Autore: Little Firestar84    29/09/2020    0 recensioni
Al ritorno da un "lavoro" all'estero, tutto quello che Eliot vorrebbe sarebbe coricarsi nel suo letto con la sua ragazza. Peccato che lei decida di sorprenderlo, cimentandosi nel campo in cui meno risplende in assoluto: i fornelli.
Storia partecipante alla challenge "Just Stop for a minute and smile"
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Hitter & Chemist'
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Storia partecipante alla challenge "just stop for a minute and smile" di Soul Shine, con il prompt#45: “Ha un sapore orribile!”


#45: “Ha un sapore orribile!”

Il Team Leverage aveva passato quasi tre settimane lontano dal Paese, alla ricerca (di nuovo) della leggendaria Scimmia di Zaffiro, la nemesi di Eliot- giurava che tutte le volte che qualcuno gli chiedeva di recuperare quella statua, succedeva qualcosa di molto, molto brutto, o molto, molto grave.

Ma stavolta non avevano potuto rifiutarsi: era stato un gruppo di monaci Buddisti, un tempo risiedenti in Nepal, a chiedergli di recuperare il prezioso artefatto che, oltre cinquant’anni prima, era stato rubato dal tempio di Swayambhu, la loro “casa madre”, dove veneravano le scimmie come creature sacre (non voleva davvero ricordarsi la ragione, perché gli faceva pensare cose poco carine della religione).

“Ehy baby, sono a casa!” Eliot sbraitò, soddisfatto, quando oltrepassò la soglia dell’appartamento che divideva con Becks, sbattendosi la porta alle spalle. “Quindici anni! Ci ho messo quindici fottuti anni ma alla fine ce l’ho fatta! Ho trovato quella stramaledetta scimmia di zirconi e l’ho portata dove doveva starsene! Me la merito o no una ricompensa, uh?”

Becks aveva saltato il turno questa volta, visto e considerato che, secondo Nate, le sue peculiari competenze non sarebbero state necessarie questa volta, il che voleva dire che erano tre maledette settimane che Eliot non vedeva la sua ragazza, e cavolo se ne aveva sentito la mancanza! Erano anni che non gli capitava di dormire in una camera d’albergo da sola, ormai non ci era più abituato-prima che Hardison si mettesse con Parker, avevano sempre preso una doppia, e poi era arrivata Becks, con cui aveva preso a dividere il letto. E adesso… adesso aveva passato tre settimane a dormire poco o nulla fissando il soffitto perché odiava starsene da solo.

E poi, tutto sommato. Gli mancava anche il sesso. Giusto un po’.

Okay, a dirla tutta, il sesso con Becks gli mancava davvero, davvero, davvero tanto. Ma non lo avrebbe mai e poi mai ammesso ad alta voce. Nemmeno con la sua sirena personale.

Silenzio assoluto. Eliot sorrise malandrino, leccandosi le labbra e strofinandosi le mani, tronfio e soddisfatto, pregustandosi cosa lo stava attendendo. C’era una buona possibilità che la sua dolce metà fosse ad aspettarlo in camera da letto tutta nuda, fatta eccezione del “capo” preferito da Eliot, un paio di Louboutin open-toe di scintillante pelle rossa, con un tacco a dir poco da urlo.        

Poi, però, arrivò alle sue narici ciò che più temeva al mondo, l’odore che lo perseguitava in tutti i suoi incubi ricorrenti… un odore acre, di bruciato, che stavolta era mischiato a qualcosa di… come di solforoso, nemmeno ciò che lo stava attendendo provenisse dritto dal più profondo meandro dell’inferno.

No. le sue speranze erano state distrutte in un attimo. L’amore della sua vita non era ad attenderlo, nuda e desiderosa e calda, nel loro letto, ma era in cucina.

Purtroppo.

Amava Becks, davvero, e ancora prima di mettersi con lei, quando erano solo amici, era sempre il primo a decantare le sue lodi, a dire in quante cose fosse brava. Era anche un’ottima barista che preparava dei cocktail eccezionali, ma purtroppo, questa sua abilità con gli ingredienti non si applicava ai fornelli.

Perché Becks, in cucina, era un disastro. Della serie che a malapena sapeva mettere una bustina di the o camomilla nell’acqua bollente per prepararsi una tisana. E questo per lei era una vera croce, un qualcosa di inaccettabile.

Perciò, ci provava, ancora e ancora e ancora.

Fallendo ogni volta, ancora e ancora e ancora.

Eliot fece un profondo sospiro e si stropicciò gli occhi, chiedendosi come evitare il temibile supplizio, ma soprattutto, la conseguente probabile tosso-infezione alimentare (sì, era anche capitato una volta che lo mandasse in ospedale con la febbre a quaranta).

Doveva distrarla- e lui conosceva tutti i suoi punti deboli.

Si sciolse e i capelli, e scosse la criniera castana, per arruffarla un po’, darle quell’aria selvaggia che faceva venire molli le ginocchia a Becks. Buttò la giacca di pelle nera su una sedia, e si rimboccò le maniche della t-shirt grigia, scoprendo gli avambracci (altra cosa che lei apprezzava parecchio). Se fosse stato fortunato, a Becks sarebbe venuta l’acquolina in bocca (per lui) e lo avrebbe trascinato a letto per una maratona di sesso bollente, dimenticandosi del tutto di aver cucinato (sì, era già successo).    

Ma, quando oltrepassò la porta della cucina e la vide in piedi dietro all’isola, con indosso un grembiulino tutto frivolo stile Martha Stewart, tutta eccitata e felice, gli mancò il coraggio di romperle (metaforicamente parlando) le uova nel paniere, e decise di sacrificarsi.

Anche perché si era davvero data parecchio da fare, portando metà della sua attrezzatura da chimico in cucina, rendendo il disastro ed il caos ancora peggiore di ciò che temeva (ci avrebbe messo giorni a ritrovare ogni cosa).

“Oh, meraviglioso, hai scoperto la cucina molecolare!” Disse, fingendosi entusiasta, con un sorriso a 32 denti. Si chinò verso di lei, con l’isola tra di loro, e le diede un veloce bacio sulle labbra, rimanendo a solo un soffio da lei. “Mi sei mancata, dolcezza.”

“Ho pensato di farti una piccola sorpresa…” gongolò lei, mettendogli letteralmente sotto al naso un piatto rettangolare con decori orientali, su cui erano adagiati dei cosi neri che sembravano mucchietti di rifiuti carbonizzati. “Spugna Nera. Sono mini sponge-cake salate colorate col nero di seppia. Assaggia e dimmi cosa ne pensi!”

Prese uno dei mucchietti e glielo infilò in bocca senza dargli il tempo di reagire, ed immediatamente sul volto di Eliot si stampò un’espressione molto esaustiva, mentre tentava di buttare giù quel coso che sembrava aumentare di volume in bocca.

“Ha un sapore orribile, vero?” sussurrò tra grossi lacrimoni lei, con l’aria affranta. “LO sapevo! Non ne combino mai una giusta!”

Eliot, sebbene non sapesse se bere due litri d’acqua (perché evidentemente Becks ci era andata giù molto pesante di sale, tipo, il triplo di quello che diceva la ricetta), se andare a fare i gargarismi con l’aceto (perché aveva il nero di seppia che gli appestava la bocca) o direttamente vomitare (perché era semplicemente immangiabile), si fece forza, e raggiunse una piagnucolante Becks dall’altra parte dell’isola.

Peccato che nel frattempo lei non stesse più piagnucolando- oh, no, lei adesso piangeva proprio, e anche di brutto.

Eliot la prese tra le sue braccia, e iniziò a massaggiarle la schiena, mentre lei affondava il volto nella sua maglietta infradiciandola di lacrime miste a mascara, fondotinta, eyeliner e compagnia bella.

“Andiamo tesoro, su, non è la fine del mondo… ci soni qua io per cucinare. Dai, basta… prometto che la prossima volta che devo andare via per un lavoretto e lasciarti da sola, prima ti riempio il frigo di leccornie, va bene? Tutto quello che ti più.”

“Non… non è… quello il punto.” Singhiozzò lei, borbottando nella camicia. “Io… io volevo cucinare per una volta io qualcosa di buono e….” e non riuscì a finire la frase, perché scoppiò a piangere. Di nuovo.

Eliot alzò gli occhi al cielo, e riprese a confortarla, sia con i gesti, che con le parole, cercando al contempo di fare il simpatico. “Piccola, andiamo, guarda che lo sanno tutti che sono io quello che seduce col cibo… tu invece mi hai conquistato con un vestito il cui prezzo era inversamente proporzionale alla quantità di stoffa usata. Oh, e quella biancheria intima di pizzo marrone- quella è stata davvero importante.”

“Lingerie,” lei soffocò una risata nella stoffa, mentre ancora tirava su col naso. “Sophie dice che puoi chiamare biancheria intima solo reggiseni sportivi e mutandine di cotone, mentre il pizzo, merletti e seta, specie se di color cioccolato come quel completino, è lingerie.”          

“A volte sono davvero felice che tu e Sophie siate così amiche, sai?” le disse, mentre Becks si toglieva il grembiule sbuffando e lo buttava sul bancone della cucina, rivelando così alla vista, per bene, il vestitino che aveva scelto per l’occasione: rosso a pois bianchi, con le manioche corte, una generosa scollatura e una gonnellina svolazzante.

E le scarpe. Quelle meravigliose scarpe per cui Eliot impazziva.

Guardandole con fare allusivo le gambe, Eliot fece scioccare la lingua. “Facciamo così, ordiniamo quel petto di pollo che ti piace tanto da Ava Gene, con la Caesar Salad, e poi mi fai una lezioncina dimostrativa sulla differenza tra intimo e lingerie, va bene?”

Becks non gli rispose, si limitò a scoppiare in una calorosa risata che scaldò il cuore di Eliot, e poi lo baciò con trasporto, mentre faceva scivolare a terra il vestitino, rivelando quel completino color cioccolato che lo aveva fatto impazzire dalla prima volta che glielo aveva visto addosso.

Tutto sommato, il cibo poteva aspettare.     

cava anche il sesso. Giusto un po’.

Okay, a dirla tutta, il sesso con Becks gli mancava davvero, davvero, davvero tanto. Ma non lo avrebbe mai e poi mai ammesso ad alta voce. Nemmeno con la sua sirena personale.

Silenzio assoluto. Eliot sorrise malandrino, leccandosi le labbra e strofinandosi le mani, tronfio e soddisfatto, pregustandosi cosa lo stava attendendo. C’era una buona possibilità che la sua dolce metà fosse ad aspettarlo in camera da letto tutta nuda, fatta eccezione del “capo” preferito da Eliot, un paio di Louboutin open-toe di scintillante pelle rossa, con un tacco a dir poco da urlo.        

Poi, però, arrivò alle sue narici ciò che più temeva al mondo, l’odore che lo perseguitava in tutti i suoi incubi ricorrenti… un odore acre, di bruciato, che stavolta era mischiato a qualcosa di… come di solforoso, nemmeno ciò che lo stava attendendo provenisse dritto dal più profondo meandro dell’inferno.

No. le sue speranze erano state distrutte in un attimo. L’amore della sua vita non era ad attenderlo, nuda e desiderosa e calda, nel loro letto, ma era in cucina.

Purtroppo.

Amava Becks, davvero, e ancora prima di mettersi con lei, quando erano solo amici, era sempre il primo a decantare le sue lodi, a dire in quante cose fosse brava. Era anche un’ottima barista che preparava dei cocktail eccezionali, ma purtroppo, questa sua abilità con gli ingredienti non si applicava ai fornelli.

Perché Becks, in cucina, era un disastro. Della serie che a malapena sapeva mettere una bustina di the o camomilla nell’acqua bollente per prepararsi una tisana. E questo per lei era una vera croce, un qualcosa di inaccettabile.

Perciò, ci provava, ancora e ancora e ancora.

Fallendo ogni volta, ancora e ancora e ancora.

Eliot fece un profondo sospiro e si stropicciò gli occhi, chiedendosi come evitare il temibile supplizio, ma soprattutto, la conseguente probabile tosso-infezione alimentare (sì, era anche capitato una volta che lo mandasse in ospedale con la febbre a quaranta).

Doveva distrarla- e lui conosceva tutti i suoi punti deboli.

Si sciolse e i capelli, e scosse la criniera castana, per arruffarla un po’, darle quell’aria selvaggia che faceva venire molli le ginocchia a Becks. Buttò la giacca di pelle nera su una sedia, e si rimboccò le maniche della t-shirt grigia, scoprendo gli avambracci (altra cosa che lei apprezzava parecchio). Se fosse stato fortunato, a Becks sarebbe venuta l’acquolina in bocca (per lui) e lo avrebbe trascinato a letto per una maratona di sesso bollente, dimenticandosi del tutto di aver cucinato (sì, era già successo).    

Ma, quando oltrepassò la porta della cucina e la vide in piedi dietro all’isola, con indosso un grembiulino tutto frivolo stile Martha Stewart, tutta eccitata e felice, gli mancò il coraggio di romperle (metaforicamente parlando) le uova nel paniere, e decise di sacrificarsi.

Anche perché si era davvero data parecchio da fare, portando metà della sua attrezzatura da chimico in cucina, rendendo il disastro ed il caos ancora peggiore di ciò che temeva (ci avrebbe messo giorni a ritrovare ogni cosa).

“Oh, meraviglioso, hai scoperto la cucina molecolare!” Disse, fingendosi entusiasta, con un sorriso a 32 denti. Si chinò verso di lei, con l’isola tra di loro, e le diede un veloce bacio sulle labbra, rimanendo a solo un soffio da lei. “Mi sei mancata, dolcezza.”

“Ho pensato di farti una piccola sorpresa…” gongolò lei, mettendogli letteralmente sotto al naso un piatto rettangolare con decori orientali, su cui erano adagiati dei cosi neri che sembravano mucchietti di rifiuti carbonizzati. “Spugna Nera. Sono mini sponge-cake salate colorate col nero di seppia. Assaggia e dimmi cosa ne pensi!”

Prese uno dei mucchietti e glielo infilò in bocca senza dargli il tempo di reagire, ed immediatamente sul volto di Eliot si stampò un’espressione molto esaustiva, mentre tentava di buttare giù quel coso che sembrava aumentare di volume in bocca.

“Ha un sapore orribile, vero?” sussurrò tra grossi lacrimoni lei, con l’aria affranta. “LO sapevo! Non ne combino mai una giusta!”

Eliot, sebbene non sapesse se bere due litri d’acqua (perché evidentemente Becks ci era andata giù molto pesante di sale, tipo, il triplo di quello che diceva la ricetta), se andare a fare i gargarismi con l’aceto (perché aveva il nero di seppia che gli appestava la bocca) o direttamente vomitare (perché era semplicemente immangiabile), si fece forza, e raggiunse una piagnucolante Becks dall’altra parte dell’isola.

Peccato che nel frattempo lei non stesse più piagnucolando- oh, no, lei adesso piangeva proprio, e anche di brutto.

Eliot la prese tra le sue braccia, e iniziò a massaggiarle la schiena, mentre lei affondava il volto nella sua maglietta infradiciandola di lacrime miste a mascara, fondotinta, eyeliner e compagnia bella.

“Andiamo tesoro, su, non è la fine del mondo… ci soni qua io per cucinare. Dai, basta… prometto che la prossima volta che devo andare via per un lavoretto e lasciarti da sola, prima ti riempio il frigo di leccornie, va bene? Tutto quello che ti più.”

“Non… non è… quello il punto.” Singhiozzò lei, borbottando nella camicia. “Io… io volevo cucinare per una volta io qualcosa di buono e….” e non riuscì a finire la frase, perché scoppiò a piangere. Di nuovo.

Eliot alzò gli occhi al cielo, e riprese a confortarla, sia con i gesti, che con le parole, cercando al contempo di fare il simpatico. “Piccola, andiamo, guarda che lo sanno tutti che sono io quello che seduce col cibo… tu invece mi hai conquistato con un vestito il cui prezzo era inversamente proporzionale alla quantità di stoffa usata. Oh, e quella biancheria intima di pizzo marrone- quella è stata davvero importante.”

“Lingerie,” lei soffocò una risata nella stoffa, mentre ancora tirava su col naso. “Sophie dice che puoi chiamare biancheria intima solo reggiseni sportivi e mutandine di cotone, mentre il pizzo, merletti e seta, specie se di color cioccolato come quel completino, è lingerie.”          

“A volte sono davvero felice che tu e Sophie siate così amiche, sai?” le disse, mentre Becks si toglieva il grembiule sbuffando e lo buttava sul bancone della cucina, rivelando così alla vista, per bene, il vestitino che aveva scelto per l’occasione: rosso a pois bianchi, con le manioche corte, una generosa scollatura e una gonnellina svolazzante.

E le scarpe. Quelle meravigliose scarpe per cui Eliot impazziva.

Guardandole con fare allusivo le gambe, Eliot fece scioccare la lingua. “Facciamo così, ordiniamo quel petto di pollo che ti piace tanto da Ava Gene, con la Caesar Salad, e poi mi fai una lezioncina dimostrativa sulla differenza tra intimo e lingerie, va bene?”

Becks non gli rispose, si limitò a scoppiare in una calorosa risata che scaldò il cuore di Eliot, e poi lo baciò con trasporto, mentre faceva scivolare a terra il vestitino, rivelando quel completino color cioccolato che lo aveva fatto impazzire dalla prima volta che glielo aveva visto addosso.

Tutto sommato, il cibo poteva aspettare.     

   
 
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