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Autore: Indaco_    29/09/2020    2 recensioni
Mobius era una tavolozza di colori, specie, caratteri, culture, cibi e via dicendo. Pulsante di vita, la città datata secoli era un variegato multi gusto. La sua crescita economica e sociale era intessuta da persone particolari, da eventi dimenticati e poco conosciuti e da tanti, tanti soldi.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sonic the Hedgehog
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La piccola pallina di vetro colorato rotolò sul piano della scrivania acquistando man mano sempre più velocità, andando a creare, in una superficie grande quanto un’unghia, un caleidoscopio bianco, verde e oro. Il salto nel vuoto e l'atterraggio sul pavimento venne fermato dalla mano che l’aveva lanciata che, con destrezza e abitudinalità, bloccò la biglia e la riportò al punto di partenza, abbandonandola, per la decima volta, al suo destino: una lunga corsa, la brusca raccolta e viceversa.
Ma l’undicesimo tiro di quel rito quotidiano, diventato un vero e proprio vizio, venne improvvisamente arrestato dalle mani del proprietario di quella pallina. O meglio, dalla proprietariA, la quale portò quel pezzo di vetro levigato sotto il suo sguardo annoiato, studiando con cura i dettagli di quel vecchissimo portafortuna. Un sorriso scialbo le si affacciò sul volto lasciando indovinare che quella biglia, ammaccata e ormai  ruvida, fosse un oggetto molto caro a lei.
Distolse lo sguardo solamente quando il suo cellulare trillò piano e lo schermo nero venne occupato dal messaggio della sua migliore amica che le chiedeva di uscire la sera stessa. Stava quasi per rispondere in modo affermativo quando, ad un tratto, dietro alla porta dell’ufficio una serie di risate appartenenti a tre diverse persone sfociarono di colpo facendo sobbalzare la ragazza, la quale si premurò di far sparire la biglia all’interno della tasca del giubotto.
Di seguito, specchiandosi nello schermo del computer, si sistemò il cravattino blu e lisciò il colletto della camicia azzurra infilata all’interno dei pantaloni blu, in attesa che i suoi colleghi uscissero dalla tana del loro capo.
La riccia rosa sospirò, aspettando, con la stessa ansia che precede un appuntamento dal dentista, gli ordini del suo superiore.

La ragazza era un’agente di polizia e lavorava nella piccola stazione periferica di Mobius. Operava in centrale da due anni grazie ad un concorso inaspettato, organizzato con l’intento di reclutare personale che svolgesse gli incarichi più ordinari.
L’entusiasmo per la favolosa opportunità che le era stata concessa scemò nel giro di due settimane e l’ambito sogno di combattere il male e fare giustizia fu totalmente ridimensionato nel giro di un mese.
Il suo ruolo consisteva principalmente nel raccogliere le denunce di smarrimento dei documenti personali, fare qualche multa alle auto parcheggiate in divieto di sosta (e già questo accadeva sporadicamente) e compilare i fascicoli di orgogliosi teppistelli minorenni beccati con qualche scarsa foglia d’erba nello zaino (in quei casi pregava che i genitori tirassero loro qualche salutare sberla per rieducarli).
Ma nonostante non facesse quello che desiderasse, quel posto rappresentava un guadagno sicuro e non poteva assolutamente farne a meno. Il salario non era altissimo, ma era pur sempre qualcosa - e tra affitto e bollette le serviva ogni singolo centesimo guadagnato.
La cosa che più la confortava e le dava speranza era il fatto che, come agente, avesse l’opportunità di conoscere a fondo tutti i casi e gli avvenimenti che interessavano la sua città e le città accanto. Per questo si impegnava molto nel suo lavoro: sperava di ricevere qualche promozione per poter spostarsi in città più movimentate e abbandonare quella caserma noiosa per dedicarsi alla sua aspirazione. Peccato che questo non accadesse mai.
 
La stanza in cui si trovava era una delle tante del piano terra di un vecchio condominio dismesso. Lo stanzone rettangolare presentava altre due mini sgabuzzini, uno di essi era stato adibito ad ufficio del capo, mentre, il più piccolo, era stato trasformato in un bagno minuscolo. Le pareti intonacate, in un tempo indefinito, di bianco con il passare degli anni si era tramutato in un grigio opaco e infiniti strisci, pedate e quant’altro erano diventate parte integrante dello sfondo giornaliero.
Da un angolo della stanza era stata ricavata una mini cella chiusa, per due lati, dalle caratteristiche sbarre di ferro. Praticamente inutilizzata da quando era nata, all'interno di essa c’era una sedia fatiscente su cui era stata appoggiata la stampante dell’ufficio, ancor più fatiscente, e le risme di carta.
L’ufficio principale, invece, conteneva due scrivanie, tre computer, due sedie plasticate che costituivano la sala d’aspetto, due classici armadietti in ferro, la macchinetta del caffè e un piccolo mini bar a forma di ananas costantemente vuoto.
Poco accogliente e gran poco caloroso, il freddo veniva combattuto con due stufette elettriche, ora spente, poste in due diversi angoli della stanza. Un vecchio calendario appeso in bella vista nella parete centrale, fermo a settembre di numerosi anni fa, immortalava una giovane tigre poco vestita dall’aria seducente. Immagine che faceva impallidire molti che entravano per la prima volta in quell’edificio e che imbambolava i di più.                                                                                              

La porta dell’ufficio si aprì con un fastidioso cigolio stridulo e dallo spiraglio, sempre più largo, ne uscirono tre individui, per pura casualità, in ordine di altezza. Il primo ed il secondo erano due colleghi della ragazza: Steve  e Jack, rispettivamente un orso grigio e un toro pompato d’una tonnellata con due lunghe e ritorte corna.
Se il bovino era muscoloso, l’orso era nettamente il contrario e la stessa cosa valeva per l’intelligenza: l’acutezza del grigio era sormontata dalla semplicità del toro.
Entrambi più vecchi di lei di qualche anno, lavoravano lì da tempo indefinito ed erano strettamente legati: quello che faceva l’altro veniva replicato dal compagno e viceversa, riuscendo così a coprirsi le spalle a vicenda in qualsiasi contesto.
Lecchini il giusto per essere i favoriti del capo, non erano riusciti a far strada nelle loro carriere lavorative sia per un fattore di pigrizia sia per la mancanza di occasioni reali, perciò erano attentissimi a rimanere in buoni rapporti con il boss per vivere di lavoretti e di rendita.
Dietro di loro, il terzo ed ultimo, altro non era che il loro capo ed il più basso dell’ufficio: Pierre, un furetto dalla pelle color bronzo, sottile, infimo e pungente come pochi. Stronzissimo, esigente, calcolatore, acuto e sbruffone come pochi, a capo di quella piccolissima caserma, Pierre esercitava con elasticità disarmante il suo ruolo: traballando continuamente tra il baratro dell’inflessibilità a quello dell’indulgenza impartiva pene e grazie in base al suo umore giornaliero.
Molti sotto al suo comando avevano richiesto spostamenti immediati e molti altri si erano licenziati in tronco non appena scoperto il caratteraccio del superiore. Ma Amy non apparteneva né al primo gruppo né al secondo: il suo sogno era troppo vicino a lei per non riuscire a vederlo, già si immaginava nella capitale a scovare criminali e ad essere di vero aiuto per risolvere i casi più importanti. Aiuto che non aveva ricevuto quando era toccato a lei. Perciò inghiottiva rabbia e si sforzava di andare d’accordo con tutti e tre, anche se a volte era molto, molto più impegnativo del previsto.

I tre, ancora ridacchiando, uscirono in fila come allegre formichine, probabilmente divertiti da qualche battuta di Pierre o, più probabilmente, dalle malelingue che in quella stanza sfociavano in continuazione.
Amy abbassò gli occhi e si concentrò sulla mail che da diversi minuti aveva preso forma nello schermo del pc, sforzandosi di trovare un giusto finale da scrivere per poterla finalmente spedire. Rileggendola per la terza volta in cerca di ispirazione, corresse qualche errore di battitura e poi guardò distrattamente la finestra immaginando un qualche finale adatto. La giornata era tiepida, velature sgualcite coprivano a tratti il sole luminoso portando bruschi cali di luce in tutta la stanza. Un’ombra improvvisa oscurò lo stanzone facendo brillare con maggior intensità tutti i vecchi schermi dei computer. La rosa ridusse a due fessure gli occhi verdissimi per focalizzare meglio l'ambiente che la finestra le consentiva di vedere. Il riquadro della casella elettronica splendeva fastidiosa facendo lampeggiare la retta nera sull’ultima parola scritta.
< Hai inviato la mail che ti ho ordinato? > domandò di colpo Pierre creando una bolla di silenzio attorno a lui. Con le braccia incrociate e lo sguardo fisso su di lei, il furetto si voltò verso la sua direzione, aspettando una rapida risposta da parte della diretta interessata. I suoi due colleghi, che fino ad un minuto prima le avevano dato le spalle, ruotarono il busto per catturare la reazione di quella domanda.
Amy sobbalzò, colta alla sprovvista, ritornò a guardare per un momento la mail incompleta ed arrossì dall’imbarazzo. Tre paia d’occhi la fissavano, Pierre, accigliato, sbatté le palpebre con lentezza facendole capire che aveva perso numerosi punti con quel ritardo di tre minuti. Gli altri due, i quali non erano neppure a conoscenza dell’incarico della collega, schierati ovviamente dalla parte vincente, la squadravano sprizzando una specie di disgusto e procurandole una dolorosa sensazione di inferiorità. La rosa sperò che la terra si aprisse sotto di lei inghiottendola per decine e decine di metri sottoterra.
Le sue labbra si mossero per lei:
< l-la sto inviando giusto ora! Volevo s-solo concluderla al meglio! D’altronde è molto lungo il riepilogo degli accaduti mensile quindi … > tentò di spiegare la ragazza tamburellando nervosamente i polpastrelli sulla tastiera.
Guardando il soffitto con espressione esasperata, il furetto chiuse definitivamente il discorso lì come era iniziato riprendendo la chiacchierata interrotta con i sottoposti.
La riccia, umiliata da quell’atteggiamento, arrossì ancor di più, quindi, con il cuore che batteva, le gote infiammate e un gran senso di nausea, riprese la mail abbandonata con la voglia di nascondersi sotto la scrivania.
Gli aculei, legati in una rigida e compostissima coda e utilizzati come valvola di sfogo, vennero brutalmente arrotolati più e più volte attorno all’indice. Si sentiva davvero un’idiota quando Pierre la riprendeva in quel modo di fronte a tutti e, nonostante cercasse di fare sempre del suo meglio, le sue bacchettate scendevano come pioggia quasi ogni giorno, sempre più dolorose e frequenti.
Si stava giusto chiedendo come poter rimediare quando, improvvisamente, il telefono del boss squillò dal suo personale ufficio. Collegato direttamente alla centrale della capitale, il telefono impolverato posto nell’ufficio del comandante veniva usato si e no due volte all’anno: entrambe per girare le lamentele e le segnalazioni dei cittadini legate a questioni ambientali.
Dapprima come un eco lontano, la suoneria rara si diffuse come fumo per tutto l’ufficio. Tutti e quattro sollevarono lo sguardo dalle loro incombenze e si guardarono negli occhi confusi ed increduli: la chiamata legata alle segnalazioni pubbliche era stata fatta poco tempo prima, possibile che stavolta, per la prima volta nella carriera della ragazza, ci fosse un incarico serio?
Pierre abbandonò i colleghi di corsa e, sbattendo su una pila di pratiche da riordinare che caddero rovinosamente al suolo come un mazzo di carte, entrò tutto trafelato nella sua stanza chiudendosi all’interno con un giro di chiave e allargandosi la piccola cravatta blu che era solito indossare.
La suoneria si spense esattamente in quell’attimo indicando che la chiamata era stata accolta.
I tre individui, imbambolati dall’altro lato della stanza, impiegarono qualche secondo per realizzare la cosa. Nessuno mosse un muscolo e nessuno scostò gli occhi speranzosi dalla maniglia d’ottone della stanza in cui Pierre si era eclissato, desiderando con tutto loro stessi che il furetto uscisse con dei nuovi incarichi, possibilmente più interessanti dell’andare a raccogliere cartacce nel prato.
Steve scrocchiò le nocche della mano producendo un rumore simile allo spezzarsi di rami secchi, Amy sapeva che quel gesto significava che anche lui sperava di fare qualcosa di serio. Jack sospirò profondamente e per tagliare il tempo estrasse il cellulare dalla tasca e iniziò a giocherellarci. La ragazza si mosse, cliccando i tasti con rapidità, concluse la mail e la spedì qualche attimo dopo averla letta per la seconda volta.                                                                                                              
Poco dopo, la porta dell’ufficio venne spalancata di colpo e Pierre ne uscì trafelato con la giacca in mano e uno strano ma vivissimo luccichio negli occhi.
< Preparatevi! Vestitevi! Muovetevi! Ho l’occasione del secolo! > esclamò afferrando le chiavi della vecchia macchina e facendole tintinnare di fronte a loro.
I suoi sottoposti ad udire quelle parole sgranarono gli occhi ed esplosero come dinamite. Correndo come forsennati, afferrarono le loro giacche e i distintivi e, senza neppure indossarli, uscirono tutti assieme il più velocemente possibile.

Spazio autrice: Salve a tutti! Perdonate il ritardo con cui aggiorno ma ho avuti grossi impegni nell'ultimo periodo. Spero che vi piaccia.
Segnalate qualsiasi errore o incomprensione trovato nel testo, grazie.
Baci.
Indaco
  
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