Cap. 3 Nora Bayls
Scritto da AgneseM89
Lo zaino da trekking che portava in spalla era così pesante da segarle le spalle. Qualcosa di puntuto, messo in modo scorretto verso lo schienale, le premeva sulla colonna vertebrale, facendole deformare il viso in una smorfia di dolore a ogni passo.
«Mi scusi, a che ora dovrebbe partire il prossimo autobus per Maple Town?»
«Oh, sei fin troppo in anticipo, mia cara ragazza. Mancano più di quaranta minuti!» rispose un uomo in divisa, la giacca tesa sull'addome rigonfio.
Nora si sfilò il pesante zaino dalle spalle, lo posò sulla panchina deserta e si lasciò cadere alla sua destra.
Quel
viaggio non iniziava con i migliori auspici.
Del resto, non era certo una vacanza quella che si apprestava ad
affrontare. La sua vita stava per cambiare radicalmente, di
nuovo.
Già
pochi anni prima, Nora aveva dovuto affrontare la morte della madre. Un
dannato camion l'aveva travolta mentre tornava dal lavoro, in una
maledettissima sera di pioggia.
Adesso, la ruota tornava a girare, e sempre a suo sfavore. Quello
smidollato del padre si era fatto fregare. Dalla morte della moglie,
aveva iniziato a bere e a giocare d'azzardo, perdendo di volta in volta
ingenti somme di denaro.
L'ultima sera, doveva aver strafatto. Probabilmente aveva puntato
qualcosa che ormai non possedeva più.
Il
fischio acuto dei freni dell'autobus di ritorno dalla corsa, la
destò dal suo rimuginare. Era una vettura datata, i fianchi
scrostati dalle intemperie e l'aria malconcia.
Nora sospirò senza dir nulla, osservando l'autista baffuto
abbandonare la vettura, diretto all'area ristoro riservata ai
dipendenti.
"Sì, ok fatti la pausa caffè ma datti una mossa. Sto mettendo le ragnatele qui."
Un
nugolo di viaggiatori scendeva lentamente dalle scalette della vettura;
un bimbo paffuto diede la mano a una donna alta. Doveva esser la madre.
Poi si girò, passando davanti a Nora. Si voltò e
le sorrise.
La ragazzina increspò le labbra intenerita, ricambiando un
sorrisetto sghembo e accennato.
Era stata così felice anche lei un tempo? Non lo ricordava.
Tutto ciò che di bello era stato, nel suo passato, sembrava
svanito.
A soli dodici anni Nora aveva dovuto smetter di essere bambina,
abbandonare ogni segno di spensieratezza, e imparare a gestire la casa
e tutte le incombenze che suo padre non era in grado di portare a
termine. Adesso che ne aveva appena compiuti sedici, si sentiva
già una piccola donna.
Le
porte si aprirono, con uno sbuffo sottile.
Nora si poggiò lo zaino in spalla e si trascinò
su per le scale, rivestite da una moquette scura, tra le cui righe era
evidente la polvere accumulata nel tempo.
L'autobus era deserto, poteva scegliere il sedile che preferiva.
Si lasciò cadere accanto al finestrino, poggiando lo zaino,
alto quanto lei, al proprio fianco: se qualcuno le avesse chiesto di
sedersi, lo avrebbe spostato. Nel frattempo, sperava di scoraggiare un
qualsiasi altro essere umano a sederle accanto. Non sopportava l'idea
di condividere quello squallido viaggio con uno sconosciuto.
Tuttavia, spostare il bagaglio non fu necessario. Quando la vettura
mise in moto il motore, vi erano solo altri quattro passeggeri, sparsi
qua e là, quasi invisibili dietro i poggiatesta color
magenta.
"In effetti... chi vuoi che ci vada in quel buco dimenticato da Dio?"
Non
era stato facile per lei, piccola nerd incallita, approdare a quel
piccolo centro di periferia. Del resto, il suo splendido padre non si
era curato neanche di lasciarle un indirizzo.
Una mattina, invece del russare scomposto e dei calzini sporchi in
cucina, Nora aveva trovato difatti un biglietto abbandonato tra i
piatti sporchi della sera precedente. Un foglietto strappato, su cui
ondeggiava la scrittura sghemba di un uomo ancora in preda ai fumi
dell'alcool.
«Devi andartene. Io devo stare lontano da qui per un po'. Ho
perso la casa a carte. Va' da tuo zio.»
Nora l'aveva riletto più volte, incredula.
Suo
padre aveva perso tutti i soldi, la macchina, perfino alcuni mobili di
pregio. Ma non avrebbe mai immaginato arrivasse a tanto.
Adesso, le spalle sprofondate nella ciniglia morbida del sedile di
quell'autobus, rigirava tra le mani quello stesso brandello di carta
che le aveva stravolto la vita. Era tutto vero, lo aveva compreso
qualche giorno dopo. Al di sotto della calligrafia storta del padre,
una scritta più fresca, riportava l'indirizzo esatto a cui
recarsi. Lo aveva aggiunto pochi giorni prima lei stessa, quando
finalmente era riuscita a risalire all'indirizzo dello zio.
Suo padre, non si era neanche scomodato di specificare a quale zio si riferisse, né tantomeno di fornirle qualche dettaglio. Tuttavia, per Nora non fu difficile comprendere di quale essere umano avrebbe dovuto essere il peso, da ora in poi. Aveva solo due zii di sesso maschile. Il fratello del padre era in galera da qualche anno per truffa aggravata. Restava solo il fratello della sua povera mamma. Ricordava di averlo visto, una, forse due volte, in quei sedici anni.
Non che le due famiglie avessero mai litigato, né vi fossero stati conflitti di sorta; semplicemente, le loro vite erano troppo distanti, e il carattere di quell'uomo era, se ben ricordava, sfuggente e introverso.
Tuttavia, non aveva scelta. Se voleva evitare di finire in un qualche centro per disagiati, seguita dai servizi sociali, doveva tentare. Non poteva permettersi di rovinare tutti i propri sforzi, lo studio, le referenze, per colpa di quel becero di suo padre. Stava dando tutta se stessa per essere ammessa al college, e solo vivendo una vita "ordinata", da qualsiasi parte, avrebbe potuto avere una chance di ottenere una borsa di studio.
Smanettando tra gli archivi digitali dell'anagrafe, in modo non proprio legale, Nora era risalita al paese, poi all'indirizzo di suo zio. Bene. Un piccolo centro abitato svettava dai vetri lerci della vettura. Doveva essere quasi arrivata.
Dopo alcuni minuti, il pullman si fermò. Nora attese che i pochi passeggeri presenti la precedessero; poi, imbracciato ancora una volta lo zaino ingombrante, abbandonò quello spazio angusto e malconcio.
L'aria era fresca, figlia di un Aprile coerente. Il paese era proprio come se lo era immaginato, complice la sua ricerca spasmodica di indicazioni su maps. Osservandosi intorno, con l'aria da turista e il cuore gonfio di apprensione, si incamminò verso la periferia. C'era da percorrere un po' di strada, ma non aveva alternative.
Eccolo
lì. Il negozio di cui aveva letto. Un mucchio di roba antica
spiccava dalla vetrina, linda e luminosa. Quel contrasto la
stupì. Non era tempo di perdersi in elucubrazioni.
Respirò il profumo di un autunno incipiente, ascoltando lo
scricchiolio delle foglie morte sotto i propri passi; poggiò
la mano sulla maniglia lucida. Senza indugiare oltre, entrò.
«Fa attenzione con quell'elefante sulle spalle!» la accolse la voce imponente e severa del negoziante. «Posso aiutarti? Cerchi qualcosa?» si corresse poi l'uomo. Doveva aver compreso che non era un buon modo per approcciarsi a una potenziale cliente.
«Ciao...» Esitò Nora, fattasi d'un tratto timorosa, di fronte a quella figura alta e possente, che la folta barba nera rendeva ancor più autoritaria. «Sei... sei Rupert Rootweet, non è vero?»
«Sì, sono io. Chi mi cerca?»
«Sono Nora. Tua nipote.»