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Autore: Nadine_Rose    01/10/2020    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
Capitoli:
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Capitolo 39

 

Finché morte non ci separi

 

“E quando, davanti alla morte,

ho gridato di no da ogni fibra,

che non avevo ancora finito,

che troppo ancora dovevo fare,

era perché mi stavi davanti,

tu con me accanto, come oggi avviene,

un uomo una donna sotto il sole.”

Primo Levi, 11 febbraio 1946

(da Ad ora incerta, l’opera poetica dedicata alla moglie Lucia Morpurgo)

 


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Immagine dal web della Cattedrale di Castellammare di Stabia, comune della provincia di Napoli, dov’è ambientata la storia.

 

6 novembre 1946

 

Un tiepido raggio di sole si posò sul suo viso coperto dal velo e abbassò le sue lunghe ciglia finemente truccate. Fermò per un attimo lo sguardo sulla punta della sua scarpa Mary Jane in satin bianco, mentre si accingeva a salire il primo gradino dell’ampia scalinata in piperno di Soccavo della Cattedrale. Poi alzò gli occhi al parapetto della facciata, dove l’orologio con le due piccole campane segnava le undici. Era stata fin troppo puntuale.

Si aggrappò più saldamente al braccio sinistro di Davide e questi pose la mano destra sulla sua, in segno di maggior vicinanza e premuroso sostegno alle sue emozioni. Sarah fece un bel respiro per liberarsi della tensione e gli dedicò un largo sorriso che, voltatasi indietro, divenne un riso di gioia, incrociando lo sguardo attento e commosso di Hannah, elegante nel suo abito in velluto color verde scuro, china sui gradini a distenderle per bene il leggero strascico del vestito. Era pronta a incamminarsi verso la realizzazione del suo sogno.

Con espressione più decisa, raddrizzò la postura delle spalle e fissò lo sguardo verso l’arco centrale incastonato nelle due colonne capitellate che, a breve, avrebbe solennemente attraversato. Il cuore le batté forte come un tamburo, la mente si perse nella realtà della favola sognata da bambina e lei entrò come in una bolla di candida luce, quando, salendo i gradini più in alto, iniziò a vedere la sagoma in abito scuro del suo promesso sposo ad attenderla davanti all’altare maggiore.

Salendo un ultimo gradino, varcò la soglia della Cattedrale e, con maestosità e potenza, l’organo a canne intonò la marcia nuziale di Mendelssohn. E Sarah avanzò, camminando elegantemente, a passi lenti e sicuri, sulla lucida pavimentazione in marmi bianchi e grigi dalla forma ottagonale e quadrata della navata centrale. Tra gli sguardi di commossa ammirazione – e, purtroppo, anche dardeggianti d’invidia che, per fortuna, lei non colse –, avvertì la presenza visibile dei suoi affetti perduti e sorrise ai volti felici di sua madre e di suo fratello Samuel, di Maria con in braccio il piccolo Giulio e di Agnese affiancata dagli altri bambini.

E Matteo era impeccabile nel suo smoking midnight blue con fusciacca e papillon di raso, con i capelli più corti e ben pettinati all’indietro, le labbra sorridenti e lo sguardo incantato verso la sua futura sposa. Completamente perso nella meravigliosa visione vestita di bianco, neanche si era accorto dell’avvicinarsi di Davide per stringergli la mano.

“L’affido a te come mia figlia. Abbi cura di lei”, gli sussurrò all’orecchio, salutandolo con due baci sulle guance e una leggera pacca sulla spalla e Matteo rispose, annuendo con vigoroso entusiasmo.

Davide si rivolse poi verso Sarah e, dietro a un’espressione seria, nascose la sua profonda commozione, mentre, con un gesto delicato, le sollevava il velo. Prendendole il viso tra le mani, la baciò sulla fronte e, quando la giovane alzò la testa e lo sguardo, vide in lui le fattezze dell’uomo che l’aveva messa al mondo e una lacrima guizzò veloce da un occhio a rigarle la guancia, a liberarle il cuore dalla mancanza di suo padre. E fu Matteo ad asciugargliela con un lieve bacio, sigillo del giuramento che, a breve, avrebbero pronunciato dinanzi a Dio, sprovveduti e innamorati.

Raggiunti l’inginocchiatoio e le sedute a loro riservati, l’organo iniziò a suonare l’Ave Maria di Bach-Gounod e i testimoni di nozze, Gennaro e Carmela, tamponarono già coi fazzoletti le prime lacrimucce.

Il commovente sottofondo musicale, il suggestivo ambiente della Cattedrale, le difficoltà del passato che facevano sembrare la realtà del presente e la prospettiva del futuro un sogno idillico amplificavano le emozioni dei futuri sposi e, quando l’anziano sacerdote si volse verso i fedeli per celebrare il rito del matrimonio, per un attimo, Sarah rivide don Franco come ricordo sereno delle tante volte che da ragazzina, durante le Messe domenicali, dall’alto della cantoria, lo aveva immaginato presiedere le proprie nozze e sentì la sua benedizione.

Esortati dal sacerdote a darsi la mano destra, gli sposi espressero il loro consenso davanti a Dio e alla Chiesa, inibiti dalla forte emozione, dagli sguardi insistenti e commossi degli invitati, dalle lacrime e dai sorrisi da trattenere.

“Io, Matteo, prendo te, Sarah, come mia legittima sposa e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita, finché morte non ci separi.”

Il tremore scuoteva le dita delle loro mani unite, spezzava la voce flebile di entrambi.

“Io, Sarah, prendo te, Matteo, come mio legittimo sposo e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita, finché morte non ci separi.”

L’anziano sacerdote benedisse e consegnò gli anelli che Matteo e Sarah si scambiarono, divenendo marito e moglie. 

Una pioggia di riso e di petali bianchi – quest’ultimi idea di Hannah, condivisa da Davide – e un lungo applauso accompagnarono l’uscita degli sposi dalla Cattedrale e i sorrisi poterono finalmente esplodere in risa, assieme alle lacrime di gioia che Sarah e Matteo nascosero agli invitati festanti, proteggendosi scherzosamente l’un l’altro dal lancio piuttosto fastidioso dei chicchi.

 

Strada Panoramica, Trattoria “La terrazza”

 

Avrebbe voluto più tempo per loro, stare abbracciata al suo sposo e godersi dal terrazzo il panorama, nonostante l’aria pungente dell’autunno. Avrebbe voluto una musica diversa dal classico repertorio napoletano, come le canzoni in stile jazz e swing del Quartetto Cetra. Avrebbe voluto un comportamento più sobrio da parte degli invitati di Matteo il quale, adesso, sedeva un po’ brillo al tavolo dei suoi amici ubriachi già da un pezzo e, sbracato, scherzava con loro, senza più fusciacca né papillon né tantomeno la giacca, con i capelli di nuovo ricci e scompigliati. 

Il sorriso non colorava più il viso di Sarah che si era allontanata dai discorsi di Davide e Hannah sulla musica contemporanea al pianoforte, strumento che la ragazza aveva smesso di studiare con l’avvento delle leggi razziali fasciste. L’uomo si era proposto di darle qualche lezione e lei, da quel momento, aveva iniziato a volergli bene e non come gliene voleva la sua amica.

A braccia conserte, Sarah guardava Matteo, ma lui non si accorgeva del suo sguardo imbronciato e malinconico, attraverso la nuvola di fumo prodotta dalle sigarette dei commensali chiassosi e dietro lo sporadico passaggio di coppie danzanti al ritmo della canzone “Funiculì funiculà”.

Sentendosi trascurata e desiderosa di attenzione, nel giorno in cui la sposa avrebbe dovuto essere la protagonista assoluta, decise di non aspettare la fine del ricevimento per il lancio del bouquet e afferrò dal tavolo i suoi fiori d’arancio, mentre si alzava risolutamente dalla sedia.

Ostentando un sorriso gioviale e un atteggiamento più sereno, chiamò Hannah, interrompendole il dialogo con Davide. Subito, seria ed entusiasta, la sua amica si adoperò per organizzare l’emozionante momento, chiedendo all’orchestrina una musica d’atmosfera e radunando le ragazze nubili alle spalle di Sarah che, sbirciando all’indietro, prese bene la mira, affinché fosse lei a ricevere il bouquet. E così avvenne.

Rise di gusto, felice per la gioia che aveva saputo donare a quella che considerava una sorella acquisita e si apprestò a unirsi all’abbraccio delle ragazze che avevano circondato euforicamente Hannah. Ma, prima che potesse compiere il primo passo verso di lei, il rumore di due colpi secchi, di due pugni sbattuti su una tavola imbandita la fece voltare. Vide allora il compare di Matteo, sedutogli accanto, che, alzatosi barcollante, diede un altro pugno, il terzo, sul tavolo. Le vettovaglie sobbalzarono di nuovo, tintinnando e facendo, con il loro suono, da preludio a un inno fascista.

“Faccetta nera, sarai romana e pe’ bandiera tu c’avrai quella italiana.” Con voce rotta dall’ubriachezza e ostentando un timbro da tenore, l’uomo non ci mise molto a coinvolgere nel suo lucido delirio i giovani commensali, fatta esclusione di Matteo che se ne stava inerte e serafico. “Noi marceremo insieme a te e sfileremo avanti al duce e avanti al re. Noi marceremo insieme a te e sfileremo avanti al duce e avanti al re!”

Gli occhi di Sarah si velarono di lacrime e le sue spalle s’irrigidirono, all’udire gli ultimi versi di quell’inno pregno di razzismo e sessismo che, decantando il colonialismo italiano fascista nell’Africa orientale, le rievocava discriminazioni e persecuzione subite per mano della dittatura nazifascista.

Le risate sguaiate e l’animato chiacchierio degli invitati e la musica dell’orchestrina – adesso, alle prese con l’interpretazione della “Tarantella Luciana” – iniziarono ad arrivare alle sue orecchie come un suono ovattato e sempre più lontano e il ricordo dei suoi affetti perduti tornò a essere avvolto dall’ombra dell’angoscia per la loro prematura, indubbiamente terribile morte.

Per un attimo, indirizzò lo sguardo ad Hannah, assicurandosi che non avesse udito l’allegro e vergognoso coretto fascista e, fortunatamente, la vide ancora tutta presa dalla sghignazzante euforia che la circondava; poi i suoi occhi furono verso Matteo, nella speranza che reagisse in favore dei valori che li accomunavano, in suo favore, conoscendone i patimenti sofferti a causa del regime. Sentendosi osservato, il giovane le rivolse lo sguardo e, senza neppure accorgersi del suo malessere, non lo trattenne su di lei, distratto dallo strattone di un amico, la cui battuta gli aprì le labbra a una risata.

Preoccupata come per la sua amica, Sarah si guardò attorno, alla ricerca di Davide, trovandolo all’impiedi, scattato forse per intervenire, forse per lo sconcerto e i loro occhi si incontrarono in un profondo ed empatico dialogo. Pian piano, la musica sembrò svanire e la realtà che li accerchiava – fatta di persone che brindavano, scherzavano, cantavano e ballavano – divenire una sequenza d’immagini sfocate. E furono l’uno lo specchio dell’altra, mentre entrambi trattenevano le stesse lacrime.

Nello sguardo di Davide, Sarah vide riflessi i propri sentimenti di delusione, amarezza, rabbia, disperazione, paura, sconfitta e sparì dalla sua visuale, al passaggio di coppie ridenti e danzanti. Era scappata via.

 

“E ho capito che non serve il tempo alle ferite,

che sono sempre meno le persone unite,

che non esiste azione senza conseguenza.

Chi ha torto e chi ha ragione quando un bambino muore?

E allora stiamo ancora zitti che così ci preferiscono,

tutti zitti come cani che obbediscono.

Ci vorrebbe più rispetto,

ci vorrebbe più attenzione

se si parla della vita,

se parliamo di persone.”

 

Fiorella Mannoia, Il peso del coraggio

 

   
 
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