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Autore: Moonfire2394    02/10/2020    0 recensioni
I genitori di Leona e Gabriel vengono uccisi brutalmente da un trio misterioso di vampiri in cerca delle mitiche "reliquie". Dopo il tragico evento, verranno accolti al campo Betelgeuse, un luogo dove quelli come loro, i protettori, vengono addestrati per diventare cacciatori di creature soprannaturali. In realtà loro non sono dei semplici protettori, in loro alberga l'antico potere dei dominatori degli elementi naturali: imedjai. Un mistero pero' avvolge quell'idilliaco posto e il subdolo sire che lo governa: le strane sparizioni dei giovani protettori. Guidata dalla sete di vendetta per quelli che l'avevano privata dei suoi cari, Leona crescerà con la convinzione che tutti i vampiri siano crudeli e assetati di sangue. Fino a quando l'incontro con uno di loro, il vampiro Edward Cullen, metterà sottosopra tutto quello in cui ha sempre creduto facendo vacillare l'odio che aveva covato da quando era bambina. Questo incontro la porrà di fronte a una scelta. Quale sarà il suo destino?
Una storia di avventura, amicizia e giovani amori che spero catturi la vostra attenzione:)
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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Capitolo 38 – Squarcio spazio temporale

Mentre le sue dita danzavano sui tasti del pianoforte, le note impattavano con cruda violenza negli animi di chi vi prestava orecchio. Si rincorrevano selvagge saltando da un capo all'altro della tastiera con un apparente moto casuale che tradiva un certo ordine, un’armonia in una galassia di caos. Non appena il mordente con cui si apre la toccata prese vita, Leona si sentì come una partoriente che sta dando alla luce il suo primogenito. Era come se le stesse dando forma con le sue stesse mani. Era proprio lì in un cassetto della sua memoria, ma lo stava scoprendo un accordo alla volta. Armonizzava prima veloce e poi si raddolciva con un adagio mostrando una infallibile accuratezza. Quell’appassionato susseguirsi di note toccava quelle più alte e quelle più basse con più dita di quante ne possedesse una mano e proseguivano instancabilmente  in questo modo impetuoso come se non riuscisse a trovare pace, come se volesse dare la possibilità a ciascun tasto della tastiera di cantare e plasmare quella sinfonia. Le canne d’ottone riverberavano al fluire della musica al loro interno, esplodendo dalle loro bocche come camini fumanti. Era la musica stessa ad esigere di essere portata a termine, stroncarla sarebbe equivalso a commettere il più efferato dei sacrilegi.
Si lasciò trasportare da quel lungo viaggio senza conoscerne la destinazione, con la sola consapevolezza che la magia, un’esplosione di luce e vita, scaturiva dalle sue mani, imbrigliata fra il suono e le dita, potente come un terremoto che rade al suolo una città. Avvertiva che le scorreva dentro e che lei non rappresentava altro che un umile veicolo per poterlo riversare nell’universo. Ignorava il sudore che le scivolava sulla pelle e le ossa che vibrano a ritmo con la musica. Non avrebbe potuto spezzare l’incantesimo che aleggiava indisturbato intorno a lei se si fosse fermata a rimuginare sui rumori e i tremolii che interferivano alle sue spalle. Una sola nota sbagliata e non sarebbe stata soltanto l’opera a pagarne le conseguenze. Non aveva dimenticato quella vita che dipendeva strettamente dalla sua esecuzione e proprio per questo non avrebbe riaperto i suoi occhi fino a che tutto non  fosse finito. 
L’ultima nota si polverizzò nell’aria come a voler sfidare il silenzio a riappropriarsi della sala. Teneva ancora le dita sospese a un soffio dai tasti immacolati, i polpastrelli arrossati e doloranti e il respiro rotto dall’affanno. Le falangi abbandonarono la posa arcuata simile a quella di un rapace e oziosamente  si ritirarono intrecciandosi in grembo. Volute di capelli neri le si erano incollati alla fronte fradicia di sudore, i polmoni tremarono di piacere nutrendosi della prima boccata d’ossigeno. Gli occhi si schiusero al suono di un click freddo e sonante che la costrinse a indietreggiare, spingendosi con lo sgabello all’indietro. I tasti come piccoli cassettini si aprirono verso l’esterno e, slittando uno dentro l’altro, presero a impilarsi ai lati opposti dell’organo rivelando uno spartiacque su un congegno meccanico di manovelle, viti e ingranaggi. I canneti d’ottone si avvitarono piroettando verso il basso, affondando dietro la facciata, seguite dalle altre decorazioni che abbellivano lo strumento. Esse si allungavano sempre più vicino ai lati della parete accompagnati da un costante ronzio di metallo che stride su metallo. Leona se ne stava perfettamente immobile osservando dal suo scanno senza spalliera il congegno sonoro farsi da parte e dividersi in due parti gemelle, soffocando il fastidio che le suscitava lo sfregolino metallico delle ruote dentate che girano l’una incastrata all’altra.  Lasciandosi alle spalle il ricordo della musica che aveva orchestrato in quella stanza fino a poco prima, scoprì quello che non si sarebbe mai aspettata. L’organo era il passaggio magico che dava su un corridoio lungo e stretto avvolto da un’oscurità perpetua. Un fremito le pizzicava la base della nuca, residuo del sortilegio che impregnava l’intera tenuta incantata.
Ad un tratto fu sicura di aver sentito uno strappo: il velo d’illusione che si squarciava sotto i loro occhi e mostrava ciò che nascondeva sotto di esso. Non appena i suoi lembi si furono dissolti nel nulla, distolse l’attenzione da quel varco che voleva risucchiarla dentro il suo covo di tenebre e cominciò a guardarsi attorno colta dalla meraviglia e lo sgomento. Dovette stropicciarsi gli occhi più volte prima di essere assolutamente sicura che non stesse sognando.
Dove si trovava? Che ne era stato di quel raccapricciante, fatiscente e polveroso atrio affetto da una grave inedia di premure domestiche? Dove erano quelle confuse costruzioni di mobili marci ammonticchiati qui e lì alla rinfusa? Era sempre stato così spazioso e arioso quel luogo? E il soffitto che gli era crollato addosso? Da dove saltavano fuori quei maestosi affreschi dai colori sgargianti talmente perfetti e privi di sbavature come se l’artista avesse appena messo via il pennello? Come aveva fatto a sottovalutare la grandiosità di quel tempio, come aveva potuto farsi ingannare così facilmente da quel semplice trucco?
Il giaciglio del manufatto più pericoloso al mondo, d’altra parte, non poteva che adeguarsi alla grandezza di ciò che custodiva.  La protettrice abbandonò la sedia e volteggiò su se stessa per poter avere una visuale complessiva di quel miracolo architettonico, sentendosi poco meno di un’infima formica. Le colonne marmoree, il raccordo curvilineo fra i capitelli risalenti all’epoca tolemaica, l’abaco con i lati modanati e leggermente incurvati in fiori di loto, le alcove concave dentro cui posavano figure classicheggianti nude e ponderate, tutto sembrava ostentare pura perfezione. Dagli architravi scendevano sudari di un intenso color porpora intrecciati da corde dorate, dai bracieri di ghisa si alzavano nuvole dolciastre d’incenso ed effluvi pungenti mirra. Sotto i loro piedi il parquet aveva lasciato il posto a una distesa di alabastro tassellato di turchese, risaltato da dettagli argentati che brillavano alla luce soffusa dei caldani.
Il silenzio che era tramontato su di loro era così spaventoso che i suoi passi riecheggiavano dando l’impressione di trovarsi da per tutto e da nessuna parte. Mentre si scioglieva la coda, aveva l’inequivocabile consapevolezza di essere voracemente osservata. Infatti non si stupì di ritrovare suo fratello, la sua chimera, il suo migliore amico e il fantasma cicciottello, fissarla terrorizzati, ad occhi sbarrati.
Il fantasma fu il primo a rompere quel contratto di incomunicabilità con un applauso «Per tutti i druidi merliniani, sei stata posseduta, ragazza?».
«Già, forse sarebbe il caso di chiamare un esorcista…» si mostrò al quanto preoccupato il gemello.
«Era così tanto tempo che non sentivo battere il mio misero cuore imbalsamato di mago che quasi ne avevo dimenticato il suono…Non vedevo qualcuno suonare in modo così aggraziato e intenso da tanti, troppo anni…» dichiarò ancora sconvolto il divoratore di segreti prima di scoppiare in lacrime. Leona inarcò un sopracciglio, irritata come non mai. La stava prendendo in giro? Perché era costretta a sorbirsi tutti quei volti stupefatti come se da lei non potesse provenire niente degno di nota o strabiliante? Perché le era stata preclusa la via della grandezza? Chi diamine lo aveva deciso?
Fabiano le sorrise. Sbollire la rabbia in quel frangente le sarebbe risultato molto difficoltoso se non avesse incontrato i suoi occhi gentili e carichi di qualcosa che non riusciva a interpretare.
Quel ragazzo era il suo sedativo personale.
Poi alzarono tutti lo sguardo verso quel viscido rumore di bava colante e i cinque secondi di fama di Leona finirono nel dimenticatoio, lasciandole un retrogusto amaro. 
Il bozzolo si aprì e Morgana precipitò in picchiata urlando. Si sarebbe schiantata sul pavimento entro pochi attimi.
Ma non successe.
Gab era già lì, pronto ad afferrarla ed accoglierla fra e le sue braccia possenti. Era sbalorditivo come quella spilungona rannicchiata docilmente contro suo fratello e la faccia nascosta nell’incavo del suo collo, potesse ricordare una fragile creaturina indifesa capace di suscitare un’indescrivibile tenerezza. Lui prese a baciarle i capelli freneticamente, stringendola così forte come se temesse che potesse svanire fra le sue mani. Lei ancorata alla sua nuca. Poi i due si isolarono dai nostri sguardi ingurgitandoci nel limbo del ‘fategli gli affaracci vostri’. E Gab ghignò.
«Qualcuno qui ci ha dato dentro col cibo, eh?» commentò il galantuomo aggiudicandosi una meritatissima scarica di pugni sul petto da parte della rossa. Ancora scosso dalle risate, la rimise in piedi privandola del suo abbraccio senza però perdersi un solo centimetro di lei. I suoi occhi lampeggiavano come stelle, affascinati come se non lo stesse ricoprendo di isterici insulti, uno dei quali finì incastrato fra le loro bocche che premevano disperatamente l’una contro l’altra. Una volta presole il mento per avvicinarlo al suo viso, era finito per scontrarsi con le sue labbra. A quel punto i parametri vitali di Morgana si erano già fatti benedire a sufficienza, quella era appena diventata la più lunga apnea della sua vita. Lei era lì che sbraitava furibonda e lui, sordo come un campana, si era semplicemente preso con la prepotenza quello che voleva.
Fu più una ferita che un bacio, troppo fulmineo perché ne potessero gustare il sapore. Aveva certamente contribuito il sonoro schiaffo che Morgana gli aveva rifilato per quell’avventatezza imprevedibile, il secondo, in verità, che si era guadagnato quel giorno. Gab non ne rimase particolarmente offeso, o almeno quel sorrisetto da sberle, per l’appunto, non glielo lasciò credere. Quello che però andò contro ogni pronostico possibile, fu la reazione di lei che seguì subito dopo.
Sta volta fu Morgana a baciarlo. Due pianeti che si schiantano sopravvivendo miracolosamente all’impatto.
Fu un bacio dolce, profondo, come se si fossero immersi in acque calde e cristalline e i suoni si ovattassero all’incresparsi delle onde. Le sue labbra che si muovevano affamate contro quelle di Gab, stavano sciogliendo come neve al sole la sua maschera di arroganza per accendere in lui una scintilla di desiderio che non si sarebbe estinta così facilmente. Non sapeva bene quando la dolcezza di quel bacio si fosse infranta e fosse subentrata una rabbia travolgente. Si stavano letteralmente assaggiando, lui le mordeva le labbra, lei lo graffiava. Nell’espressione di Gab non c’era altro che vulnerabilità, si era denudato della sua presunzione per lei, aveva appeso al chiodo tutto il suo orgoglio solo per compiacerla. Voleva solo nutrirsi di lei, come se non ci fosse nient’altro al mondo. Le mani, scosse da una inaspettata insicurezza, non sapevano dove trovare riposo, le accarezzavano il viso, poi capelli, affondavano giù lungo la sua schiena, si avvolgevano attorno ai suoi fianchi, la attraevano a se, e le dita si imprimevano sulla sua pelle come a volerne volutamente lasciare i segni. Lei, bisognosa tanto quanto lui della sua vicinanza, aderiva come un guanto, senza smettere di giocare con i suoi riccioli neri.
Assistere a quella scena avrebbe dovuto eleggere Leona a reginetta degli imbarazzati, ma per qualche strano motivo non la disturbò affatto. Anzi, fantasticava su questo dolce lieto fine da parecchio tempo ormai.
Morgana era finalmente presente in anima e corpo, c’era dentro fino al collo, non c’era più nessun eros liquido a diluire e distorcere i suoi sentimenti. Erano due cuori erranti che si cercavano e che avevano bisogno l’una dell’altra per guarire.
Senza sapere come, avvertì la sua presenza, il suo calore, il suo profumo di gelsomino e margherite scaldate al sole. E come quella scia fragrante le aveva preannunciato, Fabiano era lì accanto a lei, trattenendo a stento un sorriso che gli si arricciava nelle labbra. Ammiccò di sottecchi verso di lui sperando che partecipasse a quell’intesa, ma quando Fabiano se ne accorse, la protettrice capì che lui non ci riusciva, no, non voleva guardarla. Tenne gli occhi bassi e si voltò da un’altra parte, forse per nasconderle, troppo tardi, le guance che gli erano andate in fiamme. Scambiò un’occhiata perplessa con il cincillà accanto lei che si limitò a eseguire un gesto che ricordava una scrollata di spalle.
Che cosa gli passava per la testa? Leona avrebbe pagato oro per poter usufruire del dono di quel Cullen.
Tutt’altro che rabbonito da quelle effusioni, il fantasma probabilmente era andato alla ricerca di una pila dove vomitare il suo ultimo pasto, sempre che gli spettri avessero un apparato digerente, in effetti non si era mai posta il problema.
Nel frattempo i due si erano staccati l’una dall’altra sorridendosi a vicenda e sussurrandosi segreti all’orecchio. Il fantasma era stato tagliato fuori da tutto questo.
«Ma certo, ignoriamo pure colei che si è fatta venire i crampi alle dita per salvarti dalle grinfie di un ragno gigante, fai pure mia cara» asserì Leona fingendosi offesa.
Lei recitò il suo copione da ragazzina timida alla perfezione e arrossì.
«A proposito dov’è finito?»
Fabiano le tamburellò sulla spalla «È proprio lì accanto a te».
Per poco non le venne un infarto alla vista dell’aracnide gigante che le faceva le fusa in attesa di una carezza. Onestamente, con tutti quegli occhi, non sapeva dove mettere le mani. Edna, che aveva preso le sembianze di uno spaniel, le ringhiava a denti stretti.
«Su, non fare la gelosa!» la rimproverò.
«Graz-…» stava balbettando la sua amica. Morgana aveva poco fiato per via di quel bacio appassionato.
«Lascia perdere» disse lei mostrandole una linguaccia «Abbiamo tempo per i ringraziamenti. Questa non sarà né la prima né l’ultima volta che mettiamo a rischio le nostre chiappe, credo. Ma sappi che mi devi un favore!».
«Come vuoi, piccola Mozart!»
«Veramente era Bach…ma apprezzo il paragone».
«Dio, credo che sto per sentirmi male…» disse Morgana massaggiandosi il petto.
«Un effetto collaterale dei miei baci, ci farai l’abitudine» le disse Gab spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ipnotizzandola coi suoi occhi blu.
Leona spostò il peso su una gamba incrociando le braccia «Come se il tuo fosse messo meglio! Fra poco mi esce fuori dalla gola».
Morgana rise di Gab, compiaciuta che il suo cuore battesse per lei.
«Stupida connessione fra medjai» sbuffò lui.
Poi la gioia li abbandonò, senza preavviso, lasciandogli l’amara consapevolezza di non aver ancora compiuto il loro viaggio. Nessuno di loro però pareva aver voglia di attraversare quello stretto cunicolo così buio…
«Be’, ve lo siete meritato» li fece sobbalzare lo spettro «Potete proseguire, se ne siete ancora convinti» disse ancora sottintendendo che non avrebbe scommesso una lira su di loro.
«Una volta superato il secondo livello di sicurezza, il ciondolo sarà vostro». Lo spettro gli lanciò l’ampolla e Fabiano la prese al volo.
Leona non smetteva di fissare l’oscurità «Se fosse così facile, non penso che si trovi ancora oltre quel vicolo buio. Perché Delilah ha dovuto fare tutto questo…»
«Oh, adesso la chiamiamo per nome! Ma certo, cosa saranno mai mille anni di servitù! Arrivano quattro protettori formato bambino e la padrona li accoglie senza battere ciglio a sedere al tavolo con lei…che umiliazione».
Infine si decise a rispondere alla sua domanda «Ve l’ho già detto, per tenere alla larga i sicari di Frieda. Era facile, lanciava un sortilegio su di loro e li costringeva a fare qualsiasi cosa per lei…contemplando persino una missione suicida come questa. Il ciondolo blu non deve assolutamente finire fra le sue grinfie. Il seme del male che germogliava in lei può ancora essere risvegliato…e allora sarà la catastrofe, l’epopea della sua vendetta sulla sorella. E credetemi che nessuno vorrebbe che fosse lei a sedere sul trono. Ricordate l’era degli scambi dei neonati?».
«Quando i bambini umani venivano rapiti dalle loro culle e sostituiti con un bebè fatato?» ricordò Fabiano.
«Li ordinava lei quegli scambi, inevitabilmente una fata non può sopravvivere a lungo nel regno degli umani ma…non volete sapere che cosa ne faceva di quelle povere creature umane…».
Ci fu un attimo di silenzio che sembrò durare una eternità.
«Allora cosa stiamo aspettando? Andiamo!» si caricò Gab imboccando quel sentiero oscuro con fierezza.
«Un attimo Gab, non fare il precipitoso!» ma lui era già dentro quel tunnel senza fine.
Morgana e Fabiano la guardarono cercando di cavarle fuori il permesso. Sospirò «Seguiamolo» si dovette arrendere.
«Vi attendo dall’altra parte» ci avvisò il fantasma attraversando i muri.
«Gab, aspettaci!» gli urlò dietro Morgana prima di addentrarsi anche lei in mezzo al nulla. Leona imprecò fra sé e chiese a Edna di precederli per sicurezza. Stava per essere inghiottita dal corridoio degli orrori quando Fabiano la prese per mano. Si voltò verso di lui accigliandosi.
«Restiamo insieme, non è prudente separarci». Leona annuì «Sono d’accordo» e infittì ancor di più l’intreccio fra le loro dita.
«Andiamo» disse infine e abbandonarono il mondo della luce per varcare i cancelli di quelli delle tenebre, mano nella mano. E tutto fu buio, un buio così fitto che era difficile percepirsi come entità, credere persino di esistere, di essere vivi. L’unica cosa che l’ancorava alla realtà era la sua mano, calda contro la sua che invece era gelata per il precedente contatto con l’elsa della kopis. Il freddo cominciava a insinuarsi nelle ossa e la faceva rabbrividire. Non poteva usare il dominio del fuoco in quello spazio angusto o li avrebbe privati del poco ossigeno che avevano a disposizione e sarebbero morti soffocati dal fumo. Proseguiva a tentoni tastando le pareti, con l’umidità che le trapassava la pelle, ma non era certa se stesse camminando dritto o stesse imboccando una curva. Per fortuna c’erano i suoi respiri a spezzare quel silenzio terrificante. Era una vera e propria distesa infinita di nero, e vergognandosene profondamente, si accorse che forse aveva scambiato i brividi di freddo per qualcos’altro.
«Ti prego, parla, dii qualsiasi cosa. O credo che impazzirò…».
«Cosa vuoi che ti dica?». Leona si sorprese di quanto sollievo le procurasse il suono della sua voce.
«Non saprei, non mi viene nulla in mente…vediamo».
«Com’è stato scoprire di avere un fratello?».
Si rese conto troppo tardi di aver fatto un irrimediabile gaffe.
«Dannazione, dovrei tacere quanto sto così nervosa».
«Non fa nulla, Lea» disse lui, ma sapeva benissimo che l’aveva turbato.
«Credo…» cominciò a dire «io non lo so con certezza, non ho idea di ciò che provavo e di ciò che provo in questo momento. Io…sono felice di non averlo mai conosciuto prima, che sia cresciuto lontano da mio padre, di non aver condiviso con lui la sua perfida dittatura, che non abbia subito insieme a me il dolore per la perdita di Sara. Non avrei mai voluto niente di tutto questo per lui. Anche se non mi sarebbe dispiaciuta una spalla su cui piangere, qualcuno che avesse diviso con me il peso di tutti questi terribili anni. Sarebbe da egoisti non credi?».
«Ma Tiziano ha tradito tua madre…».
«Non è stato certo questo a togliermi il sonno. Cosa potrei aspettarmi di diverso da lui? Io non odio né Ethan, né la donna che lo ha cresciuto. Non potrei mai colpevolizzarli per qualcosa di cui mio padre è diretto responsabile, loro non c’entrano nulla. Ti sembrerà strano ma, ho provato subito affetto per lui e…tenerezza.
Sebbene mio padre non sia il modello di genitore ideale, crescere credendo di essere stato abbandonato e rifiutato è cosa ben peggiore. E mi sono chiesto quante volte si sia tormentato di perché la notte e mi sono rammaricato di non essere stato al suo fianco quando avrebbe avuto bisogno di qualcuno che lo capisse e lo rassicurasse. Leona, lui è mio fratello, non importa se di madre diversa, in lui scorre il mio stesso sangue. Io non voglio essere come mio padre, non voglio lasciarlo solo. Anche se lui mi odia e continua a respingermi, non posso arrendermi».
«Io non credo che ti odi… è complicato».
«Forse tu lo conosci meglio di me. La gelosia può fare brutti scherzi, sai? Sfoca la visione della realtà e non ti fa pensare lucidamente».
«Ne parli come se sapessi cos’è. Sei mai stato geloso?».
Alla protettrice parve di sentire i circuiti del cervello di Fabiano mettersi in funzione.
«Non di Marlena, magari avrei dovuto esserlo…ma non ne vedevo il motivo. Ma credo di poter capire Ethan, con te è davvero difficile non impazzire di gelosia. Comprendevo a pieno il suo sviscerale terrore. Prima o poi qualcuno, ora Fabrizio, ora Norman o il principe delle fate, si sarebbe accorto di quanto tu fossi meravigliosa, non solo esteriormente, e questo lui non poteva controllarlo. Non puoi nemmeno immaginare il potere che eserciti inconsapevolmente, e forse è proprio questa non curanza che ti rende ancora più irresistibile».
«Ma di quale fantomatico potere stai delirando?».
«Quello di strappare il cuore dal petto e di sbriciolarlo ancora pulsante sul palmo della tua mano».
Leona era corrosa dalla curiosità di esplorare affondo quell’affermazione, nel disperato tentativo di scoprire se quello valesse anche per lui, ma non gliene lasciò il tempo.
«Ethan è pazzo di te, e il pensiero che  potessi togliergli l’unica cosa che io non possedessi già ha inquinato ancor di più i suoi sentimenti. Mi sono detestato anche per quello. Perché mi sono reso conto che il mio cuore non avrebbe mai rinunciato a te, almeno non veramente. Ci ho provato sul serio…e credimi quando ti dico che non avevo alcuna intenzione di alimentare la sua invidia».
«Perché lo fai? Perché continui a caricarti pesi che non ti appartengono? Mi spieghi perché continui a metterti in mezzo? Prima con Ethan, poi con Marlena, adesso Morgana…».
«Perché è quello che mi hai insegnato tu. Sei stata tu a mostrarmi il vero significato nascosto del coraggio e del sacrificio. È semplicemente quello che avresti fatto anche tu».
«Non sono così buona come mi dipingi, non sono io l’eroina di questa storia…».
«Non mi prenderei mai il merito di qualcuno che sta più in alto di me. Dio ti ha fatta così, e chi sei tu per contraddirlo?».
Era abile nel sviare il discorso indirizzandolo su qualcos’altro. Questo doveva concederglielo.
«Mi prometti che non farai mai niente di sciocco per me?».
«No. Non ti farò una promessa che non sono in grado di mantenere. Almeno che tu non voglia che mi detesti per il resto dei miei giorni. È fuori discussione e poi non puoi impedirmelo».
«Sei irritante certe volte…» sbuffò seccatamente.
«Vuoi che passi avanti io?» la raggiunge la sua voce. Leona arrestò la marcia senza dire nemmeno una parola. Se avesse ammesso apertamente di aver paura ne avrebbe risentito pesantemente il suo orgoglio. Fabiano colse il messaggio muto di lei e fece per superarla addossandosi alla parete. Ma fu proprio in quel momento che i due intuirono che il corridoio era davvero, davvero troppo stretto per accogliere entrambi. Leona dimenticò improvvisamente cosa fosse il freddo. Con il corpo di lui premuto, quasi compresso su di lei credette di stare andando letteralmente a fuoco. Leona pensò che non fossero incastrati ma che combaciassero alla perfezione, che avrebbero potuto fondersi benissimo in un solo essere, che in realtà avrebbe accettato il buio eterno di buon grado se l’avesse ricompensata con quell’abbraccio…anzi a quel punto l’oscurità non la intimoriva più, era appena diventato un loro indispensabile alleato.
 Sentiva il suo fiato dolce irradiarsi sul viso, il calore della sua pelle attraverso i vestiti, i battiti del cuore di Fabiano le risuonavano contro lo sterno, e inevitabilmente avvertì anche qualcos’altro spingerle sull’anca ma non si fermò più di tanto a pensarci o il cuore le avrebbe detonato nella cassa toracica, esausto di sostenere quel ritmo impazzito. Chissà dov’erano le sue labbra? Le avrebbe potute raggiungere? Che sapore avrebbero avuto? Quelle domande le rimbalzavano nel cervello continuamente, le mozzavano il respiro, e le facevano traballare ancor di più le farfalle nello stomaco. Delle farfalle schifosamente ubriache a dirla tutta.
«Scusa» mormorò lui con corde vocali tremanti. Sembrava davvero afflitto. Temette quasi che ne fosse infastidito…
«Va tutto bene» mentì lei.
Andava molto più che bene. Ma non lo avrebbe mai ammesso.
«Siamo incastrati» aggiunse lui. Aveva davvero un perspicace spirito d’osservazione.
«Lo so. Proviamo a spingere ai lati opposti, d’accordo?»
Dov’era finito il pizzicorino del suo respiro? Aveva smesso di respirare? Perché stava esitando?
Leona si schiarì la gola «Allora al mio tre. Uno, du-…».
«Sei così calda…» bisbigliò toccandole la fronte con la sua. I muscoli dapprima rigidi per la tensione, se li sentiva sciogliere addosso come miele.
«Così non mi aiuti». Lo disse quasi ridendo. Fabiano sospirò.
«So che stai per scusarti per l’ennesima volta. Non farlo». Qualcosa le sfiorò il naso e si stava avvicinando alle sue labbra.
«Non so se mi va di aiutarti». Per la barba di Mayak, aveva intenzione di farla morire di crepacuore lì dentro?
«Non giocare sporco con me, adesso che sai…».
«Proprio adesso che so…» ripeté lui «Non riesco a togliermelo dalla testa». Aveva le sue dita bollenti sulla guancia. Se lo immaginò mordicchiarsi le labbra, un gesto che lo aiutava a smorzare il nervosismo. Lo avrebbe aiutato volentieri lei, se solo glielo avesse permesso…
«Non ricordi più? Io sono la tua maledizione. E spesso ho creduto che in fondo tuo padre avesse ragione. Tu non sai…non puoi sapere di cosa sono stata capace di fare con queste stesse mani, non mi guarderesti più allo stesso modo» non poté nascondergli la ferita ancora viva che sanguinava in lei.
Fabiano portò l’intreccio delle loro mani vicino alla bocca e riuscì a baciarle le nocche, con una lentezza che le diede i brividi.
«Non pensare a quello che queste mani hanno fatto…il passato è dietro le tue spalle e non puoi fare nulla per ciò che è stato. Pensa piuttosto a quello che potrebbero fare, quanto bene, quanta luce potrebbero portare in questo mondo. Queste mani sono le stesse che hanno salvato delle vite e che sono sicuro continueranno a farlo. Il passato di cui tanto hai paura non può dominarti, non può decidere ciò che sarai. Quella decisione spetta prenderla unicamente a te.
Vorrei che tu potessi vederti come appari ai miei occhi…Quando credo di sapere tutto quello che c’è da conoscere su di te, tu smentisci tutte le mie sicurezze. È incredibile come riesci a sorprendermi ogni singola volta, mostrandomi una nuova parte di te. Non basterebbe una vita intera per esplorare il tuo mondo e ciò mi infonde speranza…».
«Cosa c’è? Perché stai ridendo?» le domandò confuso. Leona posò il capo sul suo petto, la mascella di lui che le sfiorava i capelli.
«Mi sento nostalgica. Questo mi suona come qualcosa che avrebbe potuto dire il vecchio Fabiano» alitò con la bocca pigiata contro la sua maglietta che odorava di Lui. Come sarebbe stato bello rimanere lì ad ascoltare il solo suono che spezzava il silenzio di quell’oscurità. Il suo cuore…
«Sai la sua voce si è indebolita…sta perdendo vigore». Adesso aveva le sue lunghe dita affusolate infilate fra i capelli.
«Quale voce?»
«La stessa voce che continua a gridarmi che …sarai la mia maledizione».
«Ma vuoi sapere una cosa? Se davvero così fosse non ho più intenzione di opporgli resistenza. Non m’importa cosa accadrà, mi lascerò maledire ogni giorno se vorrà dire che potrò avere anche solo un pizzico di tutto questo» e così dicendo la strinse più forte.
«Allora! Cosa state facendo voi due sporcaccioni al buio! Se volete ancora diventare gli eroi della nostra gente, dovrete rimandare le vostra ‘tappe vietate ai minori’ in un altro momento!».
«Gabriel…» sospirarono all’unisono, racchiudendo in quel semplice nome tutta la loro frustrazione.
C’era troppo buio per guardarsi negli occhi, ma non ne avevano bisogno. Entrambi concordavano pienamente sul fatto che Gabriel fosse il più molesto rompi scatole del pianeta.
«Be’, mi sa che è ora di andare. Mi dispiace per, be’, questo» si scusò facendo riferimento ai loro corpi più vicini di quanto la buona educazione permettesse. Con una lieve spinta i due riuscirono a sgusciare ai lati opposti. Poi prendendole ancora una volta la mano per guidarla lungo il tunnel le disse «A me non è dispiaciuto». Sembrò ingoiarsi quell’affermazione deglutendola rumorosamente.
Leona sorrise all’oscurità.
L’intestino oscuro e labirintico del mostro dentro cui la protettrice fantasticava di trovarsi, le avrebbe dato l’impressione di terminare in un vicolo cieco se solo quella feritoia di luce, dapprima grande quanto un chicco di riso per poi ingigantirsi mano a mano che si facevano più vicini all’uscita, non le avesse fucilato la cornea senza preavviso. Più li strizzava, più gli occhi le lacrimavano copiosi sulle guance. Gli strofinò i polsi per raccoglierle riuscendo finalmente scorgere dietro quel velo umido la caverna rocciosa che dava all’imboccatura del corridoio da cui era sbucati.
 «Non ti emozionare sorella! Dovete scusarla, di solito non è così sentimentale».
«Taci idiota, o giuro che con un calcio nelle palle ti faccio cantare da soprano l’inno alla gioia di Beethoven».
«Cosa c’è laggiù?» li interruppe Fabiano. A pochi metri da loro si spalancava un baratro spaventoso circondato da una corona di nebbia, debole, non più spessa di una sottile foschia. Lo spettro veleggiò per aria fino ad affiancare le tre teste allungate oltre il precipizio. Leona, non particolarmente interessata, se ne era rimasta in disparte notando per la prima volta la testa gigante di un gargoyle, pietrificato nell’atto di un ruggito.
«Il nulla eterno» disse solennemente, e i brividi s’impadronirono del trio curioso.
Il fantasma si corrucciò sollevando un dito formato salsicciotto fra loro e il suo nasone, come una guida turista che vuole attirare l’attenzione su di sé «Si dice che non basti una vita intera per raggiugere il fondo, ma non posso parlare per esperienza. L’ultimo ha smesso di urlare soltanto un paio di anni fa…Non mi alletta neanche un po’ l’idea di scoprire cosa ci sia lì sotto».
Il nulla, si ripeté la protettrice col suono inceppato di una grammofono al posto del cervello. Avrebbe preferito sentirsi dire che ad attenderli alla fine della voragine vi avrebbero trovato un drago leggendario sputafuoco, una tana di gorgoni con i loro folti sciami di sibili al posto dei capelli, anche dei semplici zombie le sarebbero andati bene, ma il nulla…era più terrificante della morte stessa.
«Qui dentro i viaggiatori imparano una lezione molto importante» proseguì lo spettro «Riuscire a guardare dentro se stessi, oltre la coltre di bugie che li sommerge, il valore salvifico della sincerità e il putridume delle loro menzogne che come un velo opacizzato li separa dalla realtà. Per lo meno chi vi cade dentro ha tempo a sufficienza per riflettere sui propri errori. È un vero peccato che possano raccogliere i frutti di quest’insegnamento quando non hanno più una vita da vivere, quando non gli resta che confrontarsi soltanto con i loro compagni nell’aldilà. Ma mi sono dilungato abbastanza…Oltre quel portone» indicò in lontananza la sponda opposta del burrone «Vi è l’accesso al vostro tanto desiderato tesoro. Non vi resta che attivare il ponte per raggiungerlo».
«E come si attiva il ponte? Non vedo carrucole, argani a ruota, né contrappesi…nessun sistema di manovelle o ingranaggi come è stato per l’organo» elencò una Morgana pensierosa.
«Come se fosse scontato!» sberciò stizzito il fantasmino. «Questo è il luogo dove l’architettura è convolata a nozze con la magia, ormai dovreste esservene resi conto. Con un il solito ed unico prezzo da pagare».
«Fammi indovinare» ci provò Gab «Segreti?».
«Quando ti ritrovi  ad avere un “corpo” come il mio, i segreti diventano molto più succulenti di qualsiasi altra leccornia che un banchetto sontuoso potrebbe offrire».
«Secondo me i segreti stanno bene dove sono…».
«Hai paura piccolo medjai?» lo sfidò lo spettro.
«Paura è il secondo nome di mia sorella, non il mio»
«Come, scusa?» si alterò la ragazza.
 Fabiano mise a tacere la zuffa verbale dei gemelli con un’occhiataccia e si fece avanti «Per favore dicci come attivare il ponte, non abbiamo molto tempo. In questo momento il nostro campo potrebbe essere in pericolo».
«Il gargoyle è la chiave» s’illuminò Leona.
«Interessante. E cosa te lo ha fatto pensare?» la studiò il divoratore di segreti.
Superò i compagni con la chimera che le trotterellava a fianco dirigendosi svelta verso il guardiano del tempio. Quando gli fu dinanzi, saggiò sotto i polpastrelli quanto fossero aguzzi i denti a sciabola che la creatura sfoggiava all’arricciarsi del muso sulle gengive.
«All’inizio pensavo che fosse stato immortalato nel bel mezzo di un ruggito intimidatorio, ma quello sguardo…» rifletté solcandone il cipiglio di pietra con le dita «È affamato, non saprei descriverlo diversamente». Detto questo, lo spaniel le saltò in braccio guaendole disperato all’orecchio.
«Lo so Edna, ma non abbiamo altra scelta» la rassicurò picchiettandole sul tartufo.
Le sorrise. «E poi chi è la chimera fra le due? Sei molto più temibile di quanto credi. Se qualcosa dovesse andare storto ci sarai tu a proteggermi». In tutta risposta la cagnolina le leccò il mento affettuosamente. La padroncina la baciò in mezzo agli occhi e la invitò a scendere con un cenno della testa.
«Immagino che si attivi con la magia del sangue, o mi sto sbagliando?».
«Non  sbagli, medjai» confermò lo spettro.
Si ritrovò una gomitata amichevole di Morgana fra le costole «Non per niente è sempre stata la prima della classe, non ti smentisci mai».
La medjai le schiacciò l’occhiolino. Si fece passare l’ampolla con il sangue di Delilah da Fabiano e la stappò gettando il tappo di sughero direttamente sulla fronte del fratello. Tese il braccio infilandolo dentro la gola del difensore dalle corna caprine e gli versò il liquido di un densissimo color cobalto direttamente sulla lingua. Il potere del sangue fatato della regina non tardò a manifestarsi e si profuse in ogni poro rivitalizzando la pietra di cui era fatto, tramutandosi in carne ed ossa. Due occhi neri si focalizzarono su di lei facendola indietreggiare per la sorpresa e l’intensità di quell’intimidazione. Poi sgranchendosi le lunghe ali da demone le dispiegò in tutta la loro lunghezza e la imprigionarono dentro un mondo di ombre.
«Mio caro amico! Vedo che il sonnellino di bellezza non è servito a molto, vecchio caprone».
Il gargoyle belò contro l’insulto del fantasma sferzandoli con ruggenti folate generate dal lavorio delle ali.
«S-e-g-r-e-t-o» strepitò la creatura.
«Sa quello che vuole il ragazzone» considerò Gab spostandosi i riccioli dalla fronte per nulla intimorito dal suo aspetto.
Il mostro planò al centro del piazzale parandosi di fronte a lui con gli artigli che stridevano sulla pietra. Gli ruggì addosso spazzandogli via il sorrisetto dalla faccia. La vescica di Edna non resse più e insozzò l’aria di acido urico.
«Gabriel attento!» strillò Morgana, impossibilitata dalla tremarella ad avvicinarsi per soccorrerlo.
«Merda! Che devo fare?» chiese bianco come un cencio.
«Te l’ha detto. Vuole il tuo segreto. Infila la mano dentro la sua bocca» aggiunse mentre il gargoyle metteva in mostra una schiera lucente di zanne  e srotolava la lingua «e svelagli cosa nascondi nel profondo…ti suggerisco ti essere convincente se non hai intenzione di andartene in giro con un braccio solo».
«Ti prego Gab, non fare stupidaggini» lo avvertì il suo migliore amico.
«Wow, il tizio deve aver banchettato con lische di pesce marcio. Cazzo! questa storia sarà la mia rovina…» piagnucolò con il braccio a metà strada dallo sfiorare l’ugola del gargoyle. Col fiato corto, provò a non inalare più del dovuto i gas sulfurei emanati dalla bocca della creatura e i suoi occhi andarono alla ricerca di sua sorella. Una volta trovata non la lasciarono più.
«Per favore, non odiarmi…». La sua voce era sottile come un capillare, ma la colpì con impeto in pieno petto. Quel tono non pronosticava nulla di buono. Gabriel le aveva nascosto qualcosa di terribile…
«La notte prima che tu tornassi da Londra, io ho varcato i confini del campo, ho eluso le guardie ai cancelli d’entrata e ho attraversato lo specchio. Tu mi avevi abbandonato, non sapevo se e quando avresti fatto ritorno. Ti detestavo perché non avevi mantenuto fede alla tua promessa, sembrava che non te ne importasse più, che fossi l’unico dei due rimasto con quella dannata voragine scavata dentro al petto. La nostra vendetta era ancora un libro aperto senza un finale ancora scritto e…volevo essere io l’ultimo a impugnare la penna. E sono andato a cercarli… anche se sarebbe più corretto dire che lei ha trovato me».
Leona non aveva alcuna voglia di stare a sentire la confessione di suo fratello ma riuscì comunque a chiedergli, pur conoscendone la risposta, «Chi? Gabriel, di chi stai parlando». Tremava così tanto che credette che la colonna vertebrale le si stesse spezzando in due.
«Non chiedermi come, ma sapevo che fosse lei fin dall’inizio. Ricordo ancora quella inspiegabile sensazione…come se la conoscessi, come se l’avessi già incontrata. La ragazza con i capelli d’argento».
No, non poteva essere. Non poteva crederci che l’avesse fatto davvero senza di lei.
«Io volevo ucciderla. Riuscivo a stento a tenere a bada il mio odio. Mi ha sussurrato delle cose, mi parlava del destino come se venisse da un’altra dimensione, della resurrezione di un regno perduto, di come sarebbero dovute andare le cose… un sacco di stronzate! Mi ha chiesto di seguirla. Ovviamente io mi sono rifiutato. Ma non dimenticherò mai il suo sguardo. Io l’ho visto Lea. È inevitabile, sento che le nostre strade s’incroceranno un’altra volta». Esalate le ultime parole, Gab abbassò gli occhi ricolmi di vergogna, rifugiandosi fra le fessure del selciato. Poi un’aura biancastra evaporò dai contorni della sua figura come se una mano invisibile gli stesse strappando una seconda pelle. Il gargoyle l’aspirò nutrendosene dalla bocca e dalle narici. Si stava cibando del suo segreto. Gab ritirò il braccio dalle sue fauci prima che si sigillassero. Una volta ingoiato, il guardiano gli diede le spalle e ruggì al vuoto del baratro che stranamente non riportò nessuna eco indietro.  Quando ormai pareva che non accadesse più nulla, ci fu una piccola scossa tellurica che fece ondeggiare il pavimento sotto i loro piedi. Smesso di tremare, i quattro protettori osservarono la lunga e stretta piattaforma di pietra dall’aria pericolante che si andava formando sul sentiero che portava dall’altro lato del precipizio. Ma non era abbastanza lunga da toccare l’altra sponda, anzi ricopriva soltanto un terzo della lunghezza e un salto da lì sarebbe equivalso a un suicidio. Servivano altri segreti.
«Ingegnoso, no?» si vantò lo spettro. Leona però non lo stava ascoltando, né quel trucco di magia l’aveva impressionata più di tanto, per lo meno non quanto la confessione di suo fratello, rimasto contrito in un angolo, consolato da Morgana da un lato e Fabiano dall’altro. Lui credeva di averla profondamente delusa, ma non era affatto così. Pensandoci bene, forse anche lei si sarebbe fatta tentare da quella possibilità se ne avesse avuto l’occasione. Non poteva biasimarlo senza trasformarsi lei stessa in un’ipocrita di prima categoria.  Non poteva non pensare a quanto fosse felice che quella bastarda non gli avesse torto un solo capello, che l’universo non fosse riuscito a strappargli via l’unica cosa che amava dopo averle sterminato la famiglia al completo.
«Lea…» provò a dirle.
«Levati subito quella stupida faccia da martire, babbeo» gli rispose ridendo «Non mi sembri nemmeno tu. Ho sempre creduto che avresti preso a calci in culo il destino, senza preoccuparti minimamente delle conseguenze. O forse ti sei rammollito?».
«Ho messo a rischio le nostre vite anche se non ne ero cosciente. Pensavo che…».
«Be, pensavi male. Come sempre del resto. Solo non riprovarci mai più o sarò costretta a spezzarti il collo con le mie stesse mani, chiaro? Quel giorno verrà, te lo prometto ma lo affronteremo insieme. Qualunque cosa accada sarò sempre con te. Siamo legati, non puoi liberarti di me».
«Già, la mia dolcissima spina nel fianco». A quella frase il fantasma sbuffò sonoramente.
«Devo ammetterlo, siete meglio di una soap opera argentina. E mi piacerebbe molto sedermi su una poltrona a sgranocchiare popcorn se solo me ne importasse qualcosa. Volete quel ciondolo o no? Datevi una mossa e rimandate le vostre patetiche smancerie fuori da casa mia! Se avessi ancora le ginocchia, il latte colerebbe a fiumi».
Il quartetto rivolse un’occhiataccia al fantasma che manifestava apertamente di essere allergico ai sentimentalismi. Poi Morgana parlò: «Va bene, adesso è il mio turno». Richiamò con un fischio la bestia e lasciò penzolare il braccio nella sua direzione. Nessuno di loro la aveva mai vista così determinata o ansiosa di far qualcosa, men che meno sventolare davanti a un pubblico i suoi segreti, come se non aspettasse altra occasione per liberarsi di quel peso. Il gargoyle non declinò quell’invito a nozze, il segreto di Gab gli aveva appena stuzzicato l’appetito, e si catapultò subito da lei con le fauci ben spalancate. Quando il braccio fu dentro, Morgana inalò un bel respiro e chiuse gli occhi.
«So bene che questa verità potrebbe ferirvi ma non posso lasciare che marcisca dentro di me nemmeno un secondo di più. Devo correre il rischio e meritate più di chiunque altro di sapere».
Leona si preparò a incassare il colpo non troppo seriamente, in fondo conosceva praticamente tutto di Morgana, cosa mai avrebbe potuto tenerle nascosto?
«Sono io la spia» disse e il gargoyle si nutrì all’istante del suo segreto. Il ruggito si propagò nuovamente nella caverna e un altro pezzo del sentiero levitò dal basso per congiungersi con la passerella da poco emersa dalle profondità delle rocce. Mancava solo un piccolo tratto al traguardo.
«Che cosa?» sbottò incredulo suo fratello.
«Vuoi dire che sei stata tu a raccontare tutto a tuo padre?» domandò Fabiano, il corpo teso e sotto shock per quella rivelazione.
Gabriel infilò le dita fra i riccioli neri «Dimmi che stai scherzando…».
«E secondo te scherzerei su una cosa così importante? Potrei mai ridere di una cosa di cui mi pentirò per il resto della vita? Io volevo solo essere d’aiuto, non immaginavo minimamente che…» si bloccò a metà frase colta dagli spasmi dolorosi causatele dai ricordi di quel giorno che le aveva portato via sua padre.
«Tu avevi giurato, ti rendi conto di cosa hai combinato?» la accusò ancora Gab con la follia che attraversava i suoi occhi come nubi temporalesche.
Fabiano la prese per le spalle scuotendola «Morgana, perché lo hai fatto?».
«Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace» prese a supplicarli fra le lacrime. «Non spero nel vostro perdono, so di aver perso per sempre la vostra fiducia ma credetemi che l’ho fatto con le migliori intenzioni. Se mio padre avesse scoperto i piani del tuo, i protettori si sarebbero schierati dalla nostra, lo avrebbero sostenuto, avrebbe conquistato il potere e avremmo avuto uno squadrone a disposizione per il recupero del ciondolo e non ci sarebbe stato alcun bisogno di rischiare la vita. Non potevo sapere che lo avrebbero giustiziato» singhiozzò.
«Sai quale è stato l’ultimo pensiero di tuo padre, prima di morire?» la interruppe Leona, atona, senza alcuna emozione a colorarle la voce. Fissava il baratro.
«Ha detto che nessun figlio maschio avrebbe potuto renderlo fiero come hai fatto tu e che eri sempre stata tu a dare un senso alla sua vita. Lui ti amava».
Morgana scoppiò in lacrime. Pianse così forte che chiunque sarebbe stato incapace di darle sollievo, persino Gab con le sue premure non sarebbe riuscita a fermarla. Mentre Gab la teneva stretta dentro il suo abbraccio massaggiandole la schiena, alzò lo sguardo verso la sorella, trovandovi nient’altro che una sconcertate abulia, una totale assenza di ciò che l’aveva sempre resa la più sensibile ed empatica del gruppo. Lui parve capire, e le mimò un ‘no’ con le labbra. Anche Fabiano captò l’improvviso cambiamento in lei e fece per afferrarle il polso, ma Leona non glielo permise.
«Ma non è tutto». Morgana tirò su col naso e sollevò di scatto la testa verso di lei, bramosa di sapere dell’altro sulle ultime parole lasciatele in eredità dal padre.
«Proprio prima che il proiettile lo colpisse, ha chiesto il tuo perdono».
«Il mio perdono?» domandò titubante. I suoi occhi da cerbiatta si incresparono.
«Leona, ti scongiuro non farlo» la pregò suo fratello.
«E perché non dovrei? È giusto che conosca chi era veramente l’uomo che era tanto fiero di lei…Ma non preoccuparti, il mio segreto non andrà sprecato. Ehi, faccia di capra!» lo richiamò Leona ignorando le suppliche della cagnolina che le grattava la gamba. Il gargoyle drizzò le orecchie e produsse un ringhio cupo.
«Credo proprio che questo ti piacerà» disse facendogli segno di avvicinarsi, il braccio pronto ad essere infornato giù per la sua gola.
Il suo sorriso si fece terrificante «A quanto pare ce l’hai nel sangue».
«Di cosa stai parlando?».
«Sembra che le cose si stiano facendo interessanti» gongolò lo spettro strofinandosi le mani paffutelle.
Leona si prese tutto il tempo per incrociare lo sguardo della sua amica «Il tradimento».
«Smettila immediatamente» la rimproverò Gab. Leona fece finta di non sentirlo.
«Vorrei che mi guardassi negli occhi mentre ti dico ciò che sto per dirti, Morgana. Nemmeno la più acuminata delle tue frecce avrebbe potuto farmi così male. E sai meglio di me che trovo imperdonabile chi tradisce la mia fiducia, specialmente se si tratta di una persona che mi è molto vicina. Non avresti dovuto farlo». La sua minaccia risuonò grottesca e graffio le pareti rocciose.
«Tu sai quanto bene ti voglio, non puoi pensarlo sul serio…» le gridò la rossa.
«Io penso che li abbia uccisi tu. Tuo padre, mio zio…» disse con asprezza «soltanto perché non sei riuscita a mantenere la bocca chiusa».
 Fabiano la affiancò ansimando «Leona, stai esagerando!». Lei gli fece segno di tacere. Puntò i suoi occhi blu in quelli neri del mostro e disse «Romeo si scopava Sheila. Sì proprio il tuo virtuoso paparino» confermò annuendo in direzione di Morgana.
«No» pianse la protettrice «Non è vero!».
«Nega quanto vuoi, ma se non fosse la verità, non pensi che il tributo non avrebbe attivato la magia?» disse mentre la creatura veniva sfamata per la terza volta con quell’ultimo pettegolezzo. Ancora un’altra scossa di terremoto e l’ultimo pezzo di camminamento allacciò le due coste, erte l’una di fronte all’altra, galleggiando sopra quel lago di tenebre.
Morgana si accasciò devitalizzata sulle sue ginocchia, singhiozzando disperatamente, il volto inondato di lacrime. A Leona fece male sul serio il cuore. Vederla in quello stato le avvelenava il sangue, soprattutto sapendo che era proprio lei la causa del suo dolore. Ma Morgana l’aveva tradita, aveva infranto il giuramento. Non meritava la sua pietà? Giusto? Ormai non era più sicura di nulla e nemmeno poteva rimangiarsi quello che le aveva detto. Forse la regina aveva ragione, in lei si celava, assopita, l’oscurità o non sarebbe mai stata capace di ferire la sua migliore amica in quel modo. Non avrebbero mai saputo quanto subdola e a doppio fine fosse stata la sua mossa. Rivelando le scappatelle di Romeo, si era risparmiata l’enorme fatica di svelare il suo di segreto, cosa che la rendeva ancora più meschina. Il tempo scorreva e soltanto pochi passi la separavano da quella dannata porta. Le sue nocche sbiancarono alle stretta feroce dei pugni e si diresse verso la passerella distogliendo lo sguardo da quello spettacolo straziante.
Era lei il vero mostro.
«Leona, no! Non sei lucida!» le urlò dietro Morgana. Ma ormai aveva già imboccato il ponte sospeso nel nulla. Edna le abbaio per darle man forte.
«No! Soltanto uno alla volta!» li aveva messi in guardia lo spettro. Guardare giù le fece rivoltare le budella nello stomaco ma si costrinse ad avanzare. Le orecchie non cessavano di ronzarle ed ogni respiro le squarciava i polmoni a coltellate.
«E ricorda di guardare dentro te stessa! O il ciondolo della luna non si manifesterà mai!». Quello fu l’ultimo suggerimento che il fantasma si era degnato di darle, enigmatico come sempre. Leona non aveva tempo per i giochetti quando in ballo c’era il suo equilibrio precario e il rischio di essere risucchiata dentro quella fossa che prometteva di inghiottirla in un sol boccone.
Non guardare giù, non guardare giù, non guardare giù, si ripeté finché le labbra non le fecero male. Era quasi arrivata a metà del ponte quando sentii uno spiacevole rumore di pietre che si sgretolano. La metà del suo cuore le batté follemente nel petto e sgranò gli occhi alla vista delle crepe che si diramavano come ragnatele dai suoi scarponcini.
No, non poteva morire così. Non senza prima aver fatto pace con la sua migliore amica, con il pentimento più sincero a schiacciarle il cuore. Non senza aver detto a Fabiano quanto lo amava. Ma soprattutto non poteva permetterselo perché non era la sola ad essere sospesa in quel burrone, e l’altra metà furiosa dei suoi battiti gli sbatterono quella cruda realtà.
Gabriel.
La morte era una grande puttana. Nessuna scusa avrebbe potuto ritardare la sua decisione, non sentiva ragioni quando reclamava a sé l’anima che aveva prescelto, specialmente se stava per prendersene due al prezzo di una. L’ultima cosa che udì furono le sue urla prima che il sisma le sbriciolasse il ponte sotto i suoi piedi, come tutti i suoi sogni e le sue speranze.
Il buio eterno era già lì, pronto ad accoglierla. Il freddo cominciò a scorticarle la pelle e congelarle le ciglia. Le lacrime le si brinarono sul viso sotto forma di gocce di cristallo. Era piombata nell’oscurità senza fine.  Continuava a ripetersi che se lo era meritato, ma non il suo Gabriel, non lui. Perché?, si chiedeva, ma non cessava di cadere, sempre più giù, sempre più in profondità.
Faceva così freddo. Non si sentiva più le dita dei piedi. I suoi pensieri si facevano sempre più incoerenti mano a mano che scivolavano nell’oblio…
Ma poi un lampo di un intenso azzurro stracciò l’oscurità e sentii chiaramente qualcosa avvilupparsi attorno al polso. Un’esplosione calda e rassicurante che durò solo una frazione di secondo. E la luce la inghiottì.
L’attimo prima precipitava nella voragine, quello dopo rotolava su un prato umido avvinghiata ad un altro corpo. Quando finirono a sbattere contro la corteccia di un albero, Leona si ritrovò piegata in due a vomitare la sua stessa bile.
E Noah era lì con lei, a sorreggerle la fronte, come due amici chiusi in uno squallido gabinetto di un bar a smaltire il dopo sbornia. Si asciugò la saliva che le gocciolava sul mento e si mise a fissare i suoi occhi blu nascosti dalle ombre che gli gettava il cappuccio della felpa. Anche lui era madido di sudore e non pareva avere un’ottima cera.
«Dove mi trovo?». La sua voce non era altro che un insulso gracidio.
«È bene che tu non faccia domande. Non potrei comunque risponderti» terminò colto da uno spasmo.
«Ma che diamine…» cominciò a dire poco prima di mettersi a urlare.
Due enormi occhi castani la stavano spiando da troppo vicino. Un gigantesco lupo dal manto rossiccio, al garrese alto quasi quanto un cavallo, si era piegato sulle zampe guaendo a orecchie basse.
«Un licantropo!» gridò puntando il dito contro la creatura che la dominava dall’alto anche da sdraiato.
Non ti sfugge nulla, eh? latrò quella voce nella testa carica di sarcasmo.
«Jacob! Smettila, la stai spaventando!» lo rimproverò una ragazza.
Non una ragazza.
Una vampira.
Leona indietreggiò, inciampando nei suoi stessi piedi.
«Non voglio farti del male» le disse allungando una mano verso di lei. Era bianca come la neve. Non sembrava interessarsi granché alla moda. Jeans attillati a fasciarle le forme, un semplice maglioncino blu di cashmere e scarpe da ginnastica consumate. I lunghi capelli color del cioccolato le ondulavano oltre il petto, non particolarmente pronunciato, e dondolavano soffici in balia del vento. I lineamenti del viso erano dolci, le labbra leggermente asimmetriche, con il labbro inferiore un po’ più pieno rispetto all’arcata superiore. E le sorrideva,  un sorriso delizioso che si estese anche ai suoi occhi, di un caldo colore ambrato.
Nel complesso Leona trovò che la vampira fosse davvero…
«Bella!».
Aveva riconosciuto la voce di Edward ancora prima che si precipitasse a velocità supersonica alle sue spalle. «Che cosa sta succedendo? Che cosa significa tutto questo? Noah, che cosa hai fatto!» li colpì con la sua raffica di domande.
«Zio Ed, sta tranquillo. È solo uno squarcio spazio temporale di pochi minuti. Appena avrò le forze la riporterò indietro».
«Edward che cosa ci fai tu qui?» chiese Leona.
«Lei lo conosce?». Stavolta era stata Alice a parlare, appena comparsa nel vivo di quella riunione di creature sovrannaturali. Due ragazzine, di qualche anno più grandi di Leona, la seguivano a ruota. Una con i capelli ramati, simili a quelli di Edward, e due intelligenti occhi castani, l’altra con una lunga chioma bionda, occhi che brillavano alla luce del sole come smeraldi, travestita da vera teppista, cosparsa da una marea di orecchini che le bucavano lobi, naso e mento. La prima si era inginocchiata accanto alla vampira dai capelli castani, e adesso che poteva osservarle da vicino, la somiglianza fra le due era lampante. L’altra si tenne lontana da loro e sgranò i suoi occhi verdi su Leona, come se non potesse credere che fosse davvero lì in carne ed ossa.  Ebbe un tuffo al cuore. Con quelle sopracciglia chiare aggrottate, era come guardarsi allo specchio e ricevere un’immagine distorta di se stessi…
«Certo che lo conosco, non ti ricordi più Alice? Il bosco di Highgate ti dice nulla?».
Alice ed Edward si scambiarono uno dei loro sguardi complici, oro che si fonde su oro.
Quando la loro conversazione muta terminò, Alice prese a massaggiarsi le tempie come se fosse in preda a un lancinante mal di testa.
«Noah, a quanto pare hai combinato un altro dei tuoi casini» disse la vampira veggente.
«Be’, zietta, dipende dai punti di vista. Se non l’avessi afferrata, lei, sarebbe morta».

Angolo della lettrice: Vi prego di perdonarmi per questi lunghi tempi di attesa fra un capitolo e l'altro! Spero in compenso che vi piaccia. Ci avviciniamo sempre di più verso la fine (siamo all'incirca a -4!). Buona lettura e alla prossima ;) 

 
   
 
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